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2016/10/24

Star Trek, specchio trasgressivo della società: saggio breve per la rivista “Formiche”

A settembre 2016 la rivista Formiche mi ha chiesto di scrivere gratuitamente un articolo per un numero contenente testi di vari autori legati a Star Trek per riflettere sulle connessioni in termini di evoluzione politico-sociale della serie. Ho accettato con la condizione di poterlo ripubblicare in seguito altrove, per cui eccolo qui. La traccia assegnatami, piuttosto impegnativa, è stata questa: “Come Star Trek ha assorbito e fatto suoi alcuni cambiamenti e realtà socio-politiche importanti (Guerra Fredda, Vietnam, Kennedy, l’Onu). Interessante anche qualche riflessione sul nuovo film che, come rilevato da alcuni critici, non contiene importanti riferimenti al mondo politico-sociale. È forse esemplificativo di un appiattimento della società moderna?” Questo è il mio svolgimento.


Star Trek, specchio trasgressivo della società


“Trasgressivo” probabilmente non è il primo aggettivo che viene in mente quando si considera la cinquantenaria saga di Star Trek. A prima vista, le avventure del Capitano Kirk, del signor Spock e dell’astronave Enterprise (e degli altri equipaggi delle serie televisive e cinematografiche successive) sono la quintessenza del conformismo americano degli anni Sessanta: una sorta di Alla conquista del West con navi spaziali al posto delle carovane, le stelle al posto delle praterie e il mostro della settimana al posto degli indiani. I bianchi americani sono i migliori e la galassia è la Nuova Frontiera di Kennedy che attende solo di essere conquistata da loro.

In effetti il format di Star Trek fu venduto proprio con questa premessa western alle reti televisive statunitensi proprio negli anni in cui l’America esplorava lo spazio per poi sbarcare sulla Luna. Ma il creatore della saga, Gene Roddenberry, ebbe anche l’astuzia di infilare tra le righe, in aggiunta all’azione e all’avventura e a personaggi-archetipo di grande presa sul pubblico, delle riflessioni pungenti sulla società contemporanea che i censori della controllatissima TV americana degli anni Sessanta non avrebbero mai lasciato passare se fossero state presentate esplicitamente.

Pochi giorni fa [a Bologna, il 17 settembre] ho incontrato William Shatner, l’attore che interpretò il Capitano Kirk nella serie televisiva originale. A ottantacinque anni portati con energia invidiabile, Shatner ha sottolineato alcuni esempi di questa trasgressione, come gli alieni bianchi sul lato destro e neri sul lato sinistro, che odiano e considerano inferiori quelli identici ma con i colori invertiti [Let That Be Your Last Battlefield/Sia questa l’ultima battaglia], chiara allusione ai drammi del razzismo negli Stati Uniti di allora, o il pianeta afflitto dalla rigenerazione spontanea degli organi e da un culto assoluto per la vita, che si trovava quindi in preda alla sovrappopolazione più disperata e allucinante [The Mark of Gideon/Il marchio di Gideon].

I nemici principali dei protagonisti, i Klingon e i Romulani (e successivamente i Borg), erano società aliene militariste, dittatoriali, dominate da un’ideologia unica nella quale l’individuo e le libertà personali erano irrilevanti: riferimenti molto evidenti all’Unione Sovietica e alla Cina degli anni Sessanta, dominati dalla paranoia della Guerra Fredda. Per contro, i nostri eroi viaggiano per l’universo non per sottometterlo ma per esplorarlo, hanno una Direttiva Primaria di non interferire con le altre culture, e operano sotto l’egida di una Federazione dei Pianeti Uniti, che è una versione futuribile dell’ONU.

L’equipaggio stesso dell’Enterprise è una trasgressione per gli standard dell’epoca: non più il solito gruppo di maschi bianchi anglosassoni con donne di contorno e bambini come spalla comica, ma una coralità di etnie, origini e generi. Certo, il Capitano Kirk è il perfetto simbolo dell’America WASP e le minigonne e le scollature abbondano, ma l’astronave è pilotata da un asiatico insieme a un russo con una sovversiva chioma da Beatles, il primo ufficiale è un mezzosangue (Spock è metà alieno e metà umano) ed è il più intelligente a bordo, e le comunicazioni e le riparazioni sono gestite da una donna oltretutto di colore (un ruolo rivoluzionario per i criteri sessisti e razzisti di allora, che ispirò per esempio Whoopi Goldberg a diventare attrice e si meritò il plauso di Martin Luther King). L’Enterprise vince perché unisce i talenti delle persone migliori, a prescindere da ogni discriminazione.

Ma al di sotto di questo livello di allegorie piuttosto palesi (almeno agli occhi di oggi) Star Trek spiccò per altri messaggi, più sottili ma altrettanto penetranti, che sfuggirono alla censura. Per esempio, avvenne in Star Trek il primo bacio televisivo fra un uomo bianco e una donna di colore (il capitano e l’addetta alle comunicazioni), tabù totale per l’epoca; passò perché fu presentato come un bacio forzato da alieni telepatici [Plato's Stepchildren/Umiliati per forza maggiore], generando comunque proteste negli stati americani del sud. La conta dei morti americani nella guerra in Vietnam, altro tabù, fu infilata pari pari nel telegiornale di un pianeta alieno, oltretutto impegnato in una guerra fredda fantascientifica contro un pianeta rivale, nella quale al posto delle bombe atomiche venivano lanciati attacchi virtuali, simulati da calcolatori, e i cittadini dichiarati morti dovevano presentarsi spontaneamente per l’eliminazione reale: un orrore al quale gli abitanti si erano assuefatti da secoli perché l’alternativa, la guerra vera con armi reali, sarebbe stata devastante per entrambi i contendenti [A Taste of Armageddon/Una guerra incredibile]. La vera alternativa, la pace fra i due mondi, era impensabile: un messaggio al limite del sovversivo in un’America uscita da poco dal maccartismo e impegnata in un immenso e costosissimo bluff militare contro l’Unione Sovietica.

Riflessioni e allusioni come queste sono state tentate nelle serie televisive e nei film successivi della saga, ma raramente hanno avuto la profondità e il coraggio di quelle della serie originale. Non sono mancati, per esempio, i riferimenti all’ecologia, all’ingegneria genetica, alla religione, e le famiglie con membri di specie differenti sono state raccontate, ma il primo accenno a una famiglia omosessuale è arrivato solo nel film più recente (Star Trek Beyond) e comunque è talmente garbato e fugace da sfuggire a uno spettatore poco attento. Le nuove produzioni di Star Trek sono state molto più prudenti.

Questa scelta di cautela è, paradossalmente, figlia proprio dei successi di quelle idee dirompenti degli esordi: un film o telefilm, oggi, viene distribuito in tutto il mondo, non più solo in Occidente, e quindi eventuali messaggi devono valere in ogni cultura, per cui tendono a essere molto generici. Per esempio, in Beyond il messaggio di fondo è semplicemente che la vera forza sta nell’unione e che la pace va difesa a qualunque costo contro chi crede che il conflitto sia il vero equilibrio e che se non c’è un nemico bisogna crearlo. Un’idea banale, forse, agli occhi di molti, ma potente in altre culture. Non va dimenticato che persino il messaggio elementare anticolonialista di un altro popolarissimo prodotto di fantascienza, Avatar, è stato sufficiente a impensierire i governanti della Cina quando se ne sono appropriati i cittadini colpiti dalle migrazioni forzate dal governo centrale.

La trasgressione di Star Trek è insomma diventata soft, ma è globale: ne coglieremo i frutti fra altri cinquant’anni.

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