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2016/12/29

Il cinico business delle bufale. Terza parte: Repubblica e il nipote finto passante

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi (Paypal/ricarica Vodafone/wishlist Amazon) per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2016/12/31 15:30.

È troppo facile e semplicistico dare a Internet e ai social network la colpa del dilagare delle false notizie. Sicuramente la Rete e Facebook contribuiscono al fenomeno; ma le testate giornalistiche, che si atteggiano a verginelle sante e senza macchia, hanno la loro dose di colpa. Ne abbiamo visto un esempio pochi giorni fa con Affaritaliani.it, testata giornalistica online; oggi ne vediamo un altro con Repubblica, testata “tradizionale” che dal cartaceo si è estesa al digitale, per documentare come la fabbricazione di notizie sia ben radicata anche nel giornalismo classico, tanto da non essere neanche vista come un problema o un tradimento della fiducia dei lettori.

Di conseguenza, qualunque iniziativa (governativa o commerciale) contro le false notizie che abbia effetto solo su Internet e non tocchi l’intero sistema della diffusione di notizie è miope, assurda e inammissibile.

Caso mai non fosse chiaro: se qualcuno pensa che io possa sostenere o lasciar correre un tentativo di censurare Internet o progetti che assegnano alla stampa “tradizionale” un ruolo di guardiano e arbitro dell’informazione corretta, non ha capito nulla di me e dei miei vent’anni di debunking fatti senza risparmiare nessuno. Chi avesse bisogno di chiarirsi le idee può leggere questo.

Detto questo, vi propongo una piccola storia di ordinaria bufalocrazia.

––––––

Il 27 dicembre è morta la popolarissima attrice e scrittrice Carrie Fisher. Repubblica ha pubblicato sulla propria pagina Facebook ufficiale un servizio giornalistico video di Silvia Bizio [2016/12/31: successivamente rimosso; URL CDN originale], nel quale la giornalista va davanti alla casa di Carrie Fisher, gira un video di cinque minuti in stile “selfie con telefonino” e nota con commiserazione che non ci sono nugoli di fan piangenti o altre manifestazioni di lutto. Cosa piuttosto difficile, visto che la casa sta su una trafficatissima strada principale senza marciapiedi, ma lasciamo stare. Lasciamo stare anche la qualità del servizio e i suoi sorrisetti, le sue frasi smozzicate, le sue risatine e le sue immagini traballanti. Pura aria fritta, ma pazienza.

La cosa importante è che nel video Silvia Bizio dice che “c’è soltanto un fan, un ragazzo, un sedicenne... his name is Marco. Marco, tell us”. “Marco” è un nome abbastanza insolito da trovare in California, ma sorvoliamo anche questo (almeno per ora).

Il ragazzo racconta le proprie impressioni in inglese. La Bizio gli chiede “Why was Carrie Fisher and Guerre Stellari [sic] so important to you?”. Marco, stranamente, non si ferma a chiedere cosa mai vogliano dire le parole italiane “Guerre Stellari”, ma risponde disinvolto, come se sapesse l’italiano. Che strano.

Lei non lo ringrazia né gli rivolge più la parola, ma prosegue in italiano, sbagliando anche il titolo del film (è Il risveglio della Forza, non La Forza si risveglia). E finisce ridendo. Sì: Carrie Fisher è morta e Silvia Bizio se la ride in pubblico, davanti a casa della morta, sulla pagina Facebook di Repubblica.

Al momento in cui ho fatto lo screenshot qui sopra (le 23:06 italiane del 27/12), il video di Repubblica aveva già avuto 41.000 visualizzazioni, accompagnate da commenti non molto lusinghieri. Mentre scrivo la stesura iniziale di queste righe (mezzogiorno del 29/12) è arrivato a oltre 432.000 visualizzazioni.

Un brutto servizio, insomma; non certo una pagina di grande giornalismo. Cose che càpitano e che ho rimproverato a Repubblica. La storia sarebbe chiusa, se non fosse per un dettaglio che trasforma un brutto servizio da quasi mezzo milione di clic in una falsificazione.

Infatti mi viene segnalato da un lettore che il ragazzo intervistato da Silvia Bizio, somiglia sorprendentemente a Marco Bizio, nipote della giornalista.

“Marco” nel video di Silvia Bizio per Repubblica
(immagine schiarita per ridurre le ombre).

Marco Bizio nel suo profilo Facebook pubblico.

Intervistare un familiare spacciandolo per un passante qualsiasi sarebbe davvero squallido, per cui prima di sbilanciarmi chiedo pubblicamente chiarimenti a Repubblica e alla diretta interessata. Ed è qui che la cosa si fa interessante.







Altri miei tweet restano senza risposta, complice il fuso orario. La Bizio risponde qualche ora dopo:



Notate che la giornalista dice “non è mio figlio”, ma invece di chiarire rispondendo “è mio nipote”, svicola dicendo che è “un piccolo fan”. Un piccolo fan che lei conosce. Insomma, il passante intervistato per caso (come sembra dal video), l’unica persona davanti alla casa di Carrie Fisher in quel momento, è in realtà una persona che Silvia Bizio conosce. Che mirabile coincidenza. Chiedo chiarimenti.







Notate che la Bizio continua a eludere la questione. Così insisto:



La risposta è illuminante e dà l’impressione che la Bizio si renda perfettamente conto di aver violato la deontologia professionale e stia cercando di coprire la falsificazione:







Di nuovo Silvia Bizio cerca di non ammettere i fatti ricorrendo a giri di parole:







Notate che Silvia Bizio minimizza: “Tutto qui”. Nascondere a oltre quattrocentomila spettatori che il “passante” è in realtà suo nipote e che tutta l’intervista è combinata con un parente per lei è liquidabile con un “tutto qui”. Come se imbrogliare gli spettatori fosse una cosa normale. Deontologia, questa sconosciuta.

Ed è così che Repubblica – non un blog, non un utente Facebook, ma una testata giornalistica – fabbrica scientemente una bufala. E dico Repubblica perché la redazione è ben al corrente di questo episodio. Gliel’ho segnalato io, prima di pubblicare questo articolo, ma il video è ancora lì e le sue visualizzazioni acchiappaclic continuano ad aumentare. Se rimane al suo posto, vuol dire che Repubblica ne avalla il contenuto.



Si potrebbe obiettare che questo è un caso tutto sommato minore, ed è vero: ma è un caso chiaro e semplice di falsificazione giornalistica, che è emerso solo perché qualcuno ha avuto il colpo di fortuna di riconoscere il nipote della giornalista e di segnalarmelo. Se Repubblica accetta disinvoltamente che i suoi giornalisti mentano su queste cose e falsifichino un servizio pur di portarsi a casa mezzo milione di clic, come facciamo a fidarci che Repubblica non lo faccia anche su questioni più importanti? Quante altre frodi giornalistiche come questa possono esserci state senza che ce ne siamo accorti?

È questo il danno di incidenti come questo: minano il rapporto di fiducia con i lettori. E una volta persa, quella fiducia, è difficile riconquistarla.

Mi spiace, Repubblica, ma stavolta è Internet a fare le pulci ai giornali. E la diffusione di Internet non vi permette di farla franca come un tempo. Ve la siete cercata. Godetene i frutti.

Fonte: Mediobanca, 2016.


2016/12/31 00:30 – Repubblica rimuove il servizio


Mi arrivano segnalazioni che il video è stato rimosso oggi (ne ho comunque una copia) e che Repubblica ha postato questa dichiarazione su Facebook:

“Nei giorni scorsi, in un FbLive davanti all'abitazione di Carrie Fisher a Los Angeles, la collega Silvia Bizio ha intervistato un minorenne, senza specificare che fosse suo nipote.
Pur comprendendo la buona fede del ragazzo, sicuramente fan di "Star Wars" e competente sull'argomento, riteniamo che questo servizio giornalistico non risponda ai nostri canoni di informazione.
Repubblica ha quindi deciso di rimuovere il video dalla pagina Facebook.
Il video non è stato mai pubblicato su Repubblica.it.”


Notate la precisazione “il video non è mai stato pubblicato su Repubblica.it”. Vero: ma il video è stato pubblicato sulla pagina Facebook ufficiale di Repubblica. Quella con il logo di Repubblica e il bollino di autenticità. Esattamente come l’annuncio di rimozione. Boh.

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