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2008/01/08

Alan Ralsky, “re dello spam”, incriminato formalmente per spamming

Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "ezio.cop****" e "attive" ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2017/01/08 18:40.

Alan M. Ralsky (foto qui accanto), soprannominato "il re dello spam" (spam king) per la sua lunga e prolifica attività di spammer, è stato finalmente incriminato dall'FBI dopo tre anni di indagini. Gli fanno compagnia dieci dei suoi soci.

Il comunicato del Dipartimento di Giustizia del governo statunitense definisce Ralsky e i suoi complici "una delle più grandi organizzazioni illegali di spamming e truffa del paese, un progetto internazionale per guadagnare denaro manipolando le quotazioni di borsa tramite promozioni illecite via e-mail."

Le accuse, dice sempre il comunicato, sono il risultato di tre anni di indagini condotte dall'FBI insieme con lo U.S. Postal Inspection Service e l'ente fiscale statunitense (Internal Revenue Service). Ralsky e soci, le cui vicende sono state seguite in Rete per anni (già nel 2002 mandava un miliardo di mail al giorno), usava il sistema "pump and dump", ossia "gonfia e svendi", per fare soldi.

In questo sistema, lo spammer manda a milioni di utenti, sotto forma di spam, consigli falsi che annunciano l'imminente salita di quotazione di azioni di scarsissimo valore; poi acquista un congruo ammontare di queste azioni, facendone quindi salire la quotazione, e manda uno secondo messaggio di spam che dice grosso modo "Visto? Te l'avevo detto quel titolo sarebbe salito di quotazione, hai perso un'occasione d'oro. Ti annuncio che salirà ancora! Comprala e farai un affarone".

Se un buon numero di polli casca nel tranello, il titolo effettivamente sale perché viene acquistato in massa: ma a un certo punto lo spammer rimette sul mercato le proprie azioni, vendendole con lauto margine. Ma la vendita fa crollare il titolo, e gli altri investitori rimangono buggerati.

Come se non bastasse, Ralsky è accusato di aver utilizzato intestazioni falsificate nei messaggi di spam, di aver utilizzato computer altrui come sistemi per disseminare lo spam, usare nomi di dominio registrati con false generalità per inviare spam, e fare pubblicità ingannevole.

Ralsky, da tempo indicato dall'osservatorio antispam Spamhaus fra i più pestiferi spammer, non si è limitato a queste nefandezze: ha costituito, secondo l'accusa formale, una "botnet", ossia una rete di computer altrui, resi schiavi infettandoli con virus appositi, e ha usato questi computer per disseminare spam a insaputa dei proprietari legittimi.

Secondo gli inquirenti, con questi sistemi illegali la banda di Ralsky avrebbe raggranellato "circa 3 milioni di dollari soltanto nell'estate del 2005".

Spamhaus sottolinea che l'80% dello spam circolante è riconducibile a circa duecento bande di questo genere, situate principalmente negli Stati Uniti.

Nella classifica di Spamhaus c'è un solo nome italiano, Sergio Livrieri: è uno spammer, perlomeno secondo il criterio di questa classifica, che richiede l'espulsione da parte di almeno tre provider per violazioni della policy d'uso del servizio.

Aggiornamento (2010/10/14): Livrieri non è più nell'elenco degli spammer stilato da Spamhaus.

KIF_6528_fixed.jpgSul tema dello spam ho collaborato con la TSI (televisione svizzera di lingua italiana) per un'indagine che ha avuto un momento particolarmente scenografico quando siamo andati a girare in una discarica di rifiuti (tema particolarmente scottante in questi giorni) nel nord Italia, per fare un parallelo fra pubblicità-spazzatura digitale e spazzatura reale.

Le foto, se volete contemplare lo squallore surreale delle immense quantità di rifiuti generate dal modo in cui viviamo, sono su Flickr qui.


Aggiornamento (2017/01/08)


Ho corretto il titolo di questo articolo per chiarire che il “re dello spam” citato nel titolo non è Livrieri, come poteva apparire a un lettore distratto che facesse una ricerca in Google per il nome e cognome di Livrieri. Livrieri, in una corrispondenza privata, mi ha confermato di essere stato espulso da parte di almeno tre provider per violazione delle loro policy d’uso. Per chi volesse approfondire la vicenda, segnalo un articolo di Repubblica e alcune pubblicazioni del Garante per la privacy italiano che citano Livrieri: questa del 2006, questa del 2008 e questa del 2011.

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