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2015/09/10

Antibufala: donna francese riceve assegno d’invalidità perché è allergica al Wi-Fi

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/09/13 21:10.

La notizia che una donna francese, Marine Rochard, avrebbe ottenuto dal tribunale di Tolosa un'indennità d'invalidità per la propria allergia ai campi elettromagnetici generati dagli apparati Wi-Fi a prima vista sembra dimostrare una volta per tutte che questa ipersensibilità è reale, e in questi termini ne parla per esempio Repubblica. Ma prima di usare questa sentenza come base per chiedere rimozioni di antenne o pensioni d'invalidità è opportuno conoscere bene i fatti.

La donna ha dichiarato di soffrire di ipersensibilità elettromagnetica e che questo la costringe a vivere in un fienile in campagna, lontano dalla civiltà, “a causa delle sensazioni sgradevoli che avverte in prossimità delle radiazioni elettromagnetiche”, scrive il Times. Il suo avvocato, Alice Terrasse, dice che la sentenza del tribunale stabilisce un precedente legale per migliaia di persone.

Ma l'Organizzazione Mondiale per la Sanità e la letteratura medica dicono chiaramente che l'ipersensibilità elettromagnetica non è un fenomeno fisico reale. La pagina informativa dell'OMS spiega che sono stati condotti numerosi studi nei quali persone che si dichiaravano afflitte da questa ipersensibilità sono state esposte, in condizioni controllate di laboratorio, a campi elettromagnetici simili a quelli ai quali attribuivano i propri sintomi. È risultato che queste persone non sono in grado di percepire i campi elettromagnetici più di chiunque altro e che non c'è nessuna correlazione fra sintomi denunciati e presenza di campi elettromagnetici.

Questo non vuol dire che chi dice di soffrire di ipersensibilità elettromagnetica è matto o in malafede: semplicemente è male informato, si è fatto influenzare da una credenza diffusa e da notizie come quella francese e questo lo ha portato a sbagliare nell'attribuire i propri sintomi ai campi elettromagnetici. Il rischio concreto è che questo errore distragga dalla ricerca delle vere cause di questi sintomi.

Secondo l'OMS, queste cause possono essere per esempio lo sfarfallio delle luci al neon, il bagliore eccessivo e prolungato degli schermi di tablet e computer, la qualità dell'aria negli ambienti e lo stress lavorativo. A queste cause concrete può aggiungersi l'ansia prodotta dal timore degli effetti nocivi dei dispositivi elettromagnetici dai quali sono inevitabilmente circondati in qualunque ambiente moderno.

Tutto questo non ha nulla a che vedere, fra l'altro, con le norme di sicurezza sulle emissioni elettromagnetiche da parte di antenne per telefonia, apparati Wi-Fi e telefonini, che stabiliscono limiti ben precisi: chi dice di essere ipersensibile avverte malesseri anche quando questi limiti vengono ampiamente rispettati. E non c'è dubbio che se un impianto supera questi limiti debba essere messo in regola.

La cosa più interessante è che spesso chi dice di essere ipersensibile ai campi elettromagnetici avverte i propri sintomi anche quando gli apparati sono spenti ma non sa che sono spenti, e viceversa non li avverte quando gli apparati sono accesi ma non sa che sono accesi. In medicina questo si chiama effetto nocebo (come descritto per esempio in questo articolo medico sui campi elettromagnetici) ed è un effetto assolutamente reale: se una persona è convinta che un cibo o un medicinale le nuocerà, il suo corpo reagirà come se avesse ingerito una sostanza realmente nociva. Tutti i dati medici indicano, insomma, che l'ipersensibilità elettromagnetica è un autoinganno in buona fede.

Ma allora come mai il tribunale francese ha riconosciuto circa 680 euro (circa 750 franchi) mensili per tre anni alla signora Rochard? È semplice: il tribunale, spiega Neurologica, non ha affatto dichiarato che l'ipersensibilità elettromagnetica è una malattia reale causata dai campi elettromagnetici di Wi-Fi o antenne per telefonia mobile. Non ha certificato che i campi elettromagnetici sono nocivi anche al di sotto dei limiti di legge. Ha semplicemente dichiarato che la donna è effettivamente resa invalida dalla propria condizione, qualunque siano le sue cause (interne o esterne), e che quindi le spetta un'indennità. Del resto, non spetta ai tribunali certificare le malattie: quello è compito dei medici.

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