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2018/06/07

Come mai la Finlandia resiste alle fake news?

A volte il contrasto alle notizie false sembra una sfida impossibile da vincere: produrre fandonie è molto più facile e costa molto meno che smascherarle accuratamente, per cui chi fa lo sbufalatore lavora con uno svantaggio apparentemente incolmabile.

Ma ci sono paesi che sono riusciti a tenere a bada le fake news: paesi nei quali le notizie false continuano a esistere, ma non fanno danni significativi. Uno di questi paesi è la Finlandia, come racconta un recente rapporto dell’International Press Institute. Vediamo come hanno fatto i finlandesi ad addomesticare le fake news.

Le notizie false in Finlandia toccano temi comuni a molti altri paesi, come per esempio l’immigrazione e le campagne d’odio neonaziste, e arrivano a livelli estremi: il canale video Internet RT Russia Today (il link porta al servizio di Full Frontal di Samantha Bee, non direttamente a RT), per esempio, ha diffuso l’accusa che il governo finlandese rapisce i bambini delle famiglie russe, e lo fa per venderli alle coppie gay negli Stati Uniti. La stessa accusa è stata diffusa anche dal sito russo Sputnik News. Queste campagne di disinformazione hanno scatenato proteste e attacchi da parte degli ultranazionalisti, che vogliono credere a queste notizie perché confermano la loro visione del mondo.

Ma i media finlandesi non hanno reagito a queste dicerie ignorandole: hanno invece pubblicato prontamente le rispettive smentite e dato anche ampio spazio alle rettifiche nei casi in cui avevano pubblicato notizie errate, facendo in modo che queste rettifiche fossero visibili almeno tanto quanto la notizia sbagliata originale.

Questa scelta editoriale è stata coordinata tramite il Consiglio Finlandese dei Mass Media o Council for Mass Media, un comitato di autoregolamentazione dei mezzi di comunicazione di massa, istituito nel lontano 1968, che ha anche il potere di obbligare una testata giornalistica a pubblicare una rettifica in caso di violazione delle buone prassi professionali. Nessuna censura, insomma, ma un chiaro obbligo di pubblicare una rettifica ben visibile. Non sembra un’invenzione particolarmente geniale, eppure provate a guardare, a titolo di confronto, quante rettifiche ben visibili trovate nei media in Italia.

Il governo finlandese ha anche sottoposto un centinaio dei propri funzionari a corsi di formazione specifici contro la disinformazione e ha istituito nelle scuole lezioni, tenute da giornalisti, su cosa significa fare il giornalista e su come evitare le fake news, insegnando non solo agli studenti, ma anche ai docenti e ai genitori degli studenti, a leggere le notizie con attenzione e ad esercitare il proprio senso critico. Anche questi non sembrano passi particolarmente fantascientifici, costosi o applicabili soltanto in quel paese.

I risultati non sono mancati: secondo un sondaggio, solo l’1% degli studenti fra 13 e 15 anni (quindi in una fascia d’età particolarmente vulnerabile alle fake news semplicemente per inesperienza) considera attendibili le fonti di notizie cosiddette “alternative”. E la fiducia verso i media tradizionali, che le fake news ambiscono a incrinare come strategia a lungo termine, è rimasta alta, anche fra gli adulti, il 50% dei quali conosce le fonti alternative ma soltanto l’8% dei quali le considera affidabili, mentre il 79% considera i giornali stampati la fonte più fidata.

In altre parole, le fake news si possono sì fermare, ma occorre investire tempo e risorse a lungo termine e coinvolgere tutti: giornalisti ed editori, istituzioni e scuole. Ci vogliamo almeno provare?

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