2016/05/05

La farsa del “padre” dei Bitcoin

Satoshi Nakamoto è lo pseudonimo dietro il quale si nasconde l’inventore dei bitcoin. La sua reale identità non è pubblica, ma scoprirla fa gola a molti, sia per semplice curiosità, sia perché Nakamoto sarebbe ricchissimo, dato che ha generato sui propri computer i primi bitcoin, che oggi hanno un valore enorme, stimabile in centinaia di milioni di dollari.

Nel 2011 il New Yorker diceva di aver identificato chi si riparava dietro il nome di fantasia: era Vili Lehdonvirta, un economista finlandese, oppure Michael Clear, uno studente di crittografia al Trinity College di Dublino. Poco tempo dopo, altri investigatori avevano invece indicato altre persone, e nel 2013 Nakamoto era stato “identificato” nel matematico Shinichi Mochizuki. Poi era stato il turno di un fisico, Dorian Nakamoto (il cui nome completo è Dorian Prentice Satoshi Nakamoto), e del crittologo Hal Finney. Tutti avevano negato.

Stavolta la nuova identità di Satoshi Nakamoto non è emersa dalle indagini giornalistiche, ma si è fatta avanti spontaneamente. Pochi giorni fa l’imprenditore australiano Craig Wright ha infatti dichiarato di essere Nakamoto, facendosi intervistare dalla BBC e dando apparenti dimostrazioni tecniche della propria identità.

In realtà il nome di Wright era già emerso a fine 2015 grazie alle indagini di Wired e Gizmodo, ma le prove della sua identità erano sembrate subito inattendibili agli esperti nonostante il fatto che due membri della Bitcoin Foundation (Gavin Andresen e Jon Matonis) avessero dichiarato di essere convinti della veridicità delle affermazioni di Wright.

L’annuncio di Craig Wright ha generato un’impennata nel valore dei bitcoin, ma gli esperti hanno invitato alla calma, parlando apertamente di frode e demolendo in poche ore le “prove” presentate dall’imprenditore, che ha risposto dichiarando che avrebbe dato a breve la dimostrazione definitiva che lui è Nakamoto.

Ma la dimostrazione inoppugnabile, gli hanno fatto notare gli addetti ai lavori, è davvero semplice e non ha bisogno di ricorrere agli arzigogoli usati da Wright fin qui: chi dice di essere Nakamoto non deve fare altro che apporre a un messaggio nuovo la firma digitale di Nakamoto, che è nota e può essere prodotta soltanto dal vero Nakamoto, che è l’unica persona che ha la chiave privata di crittografia necessaria. La chiave per verificare questa firma è invece pubblica e quindi chiunque può controllare se Wright dice il vero. In alternativa, Wright potrebbe spendere anche soltanto una piccolissima parte dei primissimi bitcoin intestati a Nakamoto, che sono registrati pubblicamente sin dal 2009.

Il 5 maggio è arrivato il colpo di scena: Craig Wright ha detto che non fornirà altre prove e ha cancellato il proprio sito, lasciando soltanto un messaggio conclusivo nel quale si atteggia a vittima di false accuse. Un copione purtroppo già visto tante volte nel mondo dei ciarlatani: quando ti chiedono le prove di quello che dici, invece di fornirle, attacca chi te le chiede.



Fonti aggiuntive: Ars Technica, BoingBoing.

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