2016/09/30

Nuove frontiere degli attacchi informatici: oscurare un sito tramite le webcam

Ultimo aggiornamento: 2016/10/05 8:05.

Siamo ormai abituati agli attacchi informatici messi a segno tramite virus, siti falsi o documenti che rubano password. Ma pochi giorni fa KrebsOnSecurity, il sito del popolare esperto di sicurezza informatica Brian Krebs, è stato oscurato con una forma di attacco decisamente insolita: sono state utilizzate centinaia di migliaia di telecamere connesse a Internet.

Insieme a router, videoregistratori digitali e altri dispositivi connessi (la cosiddetta Internet delle cose), queste telecamere sono state infatti infettate in massa e comandate dagli aggressori in modo da generare un traffico enorme verso il sito di Krebs: l'equivalente informatico di migliaia di persone che tentano di telefonare contemporaneamente allo stesso numero. In gergo tecnico si chiama distributed denial of service o DDOS.

Si tratta di uno degli attacchi più grandi mai effettuati: le stime parlano di 620 gigabit al secondo. Per dare un senso a questa cifra, immaginate di trasmettere a qualcuno via Internet settanta film al secondo (stimando un gigabyte per film). Ed è stato probabilmente un assaggio di quello che vedremo nel prossimo futuro: pochi giorni dopo, un servizio di hosting francese, OVH, è stato attaccato ancora più massicciamente con 1100 gigabit al secondo. E Ars Technica segnala numerosi altri casi di oscuramenti effettuati tramite webcam.

L’oscuramento del sito di Brian Krebs, spina nel fianco di molti criminali online per via delle sue inchieste che fanno i loro nomi e cognomi, ha messo in ginocchio persino le risorse di una delle più grandi aziende per la distribuzione di contenuti via Internet, Akamai, che aveva difeso gratuitamente Krebs dagli attacchi subiti in passato ad opera di questi criminali. Al suo posto è subentrato Google, che ha sopportato l’attacco nell’ambito del proprio Project Shield per la difesa dei giornalisti dalla censura online. In effetti un DDOS è una forma di censura: se nessuno ti può leggere, è come se tu non avessi scritto nulla.

Il problema principale di questi attacchi è che la loro potenza di fuoco è difficile da mitigare e resta attiva a lungo perché gli oggetti connessi a Internet, a differenza dei computer, non vengono quasi mai aggiornati per correggerne le falle e per i loro proprietari è difficile rendersi conto di essere complici di un’aggressione online. Questi oggetti, inoltre, non hanno antivirus che permettano di fare una loro scansione alla ricerca, appunto, di virus o simili o di proteggerli da intrusioni. E con la crescente popolarità dell’Internet delle Cose (insicure), possiamo aspettarci altri attacchi spacca-Internet come questi.

Tutto quello che possiamo fare noi utenti per evitare di diventare complici inconsapevoli di questi assalti è cambiare le password predefinite dei dispositivi che colleghiamo a Internet: sarebbe già un grande miglioramento, visto che non lo fa nessuno, a giudicare dal numero di oggetti digitali accessibili tramite le loro password standard, e oltretutto metterebbe anche noi al riparo da eventuali atttacchi di ficcanaso. Alcuni dispositivi, però, sono realizzati in modo talmente insicuro da non consentire cambi di password: in questi casi l’unica soluzione è scollegarli o isolarli da Internet, se possono funzionare senza essere online. Benvenuti nell’Internet delle Cose.


Fonti aggiuntive: The Inquirer, Motherboard

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