Musica online: l'economia dell'offerta contro quella della repressione
Come preannunciato alcuni giorni fa, il nuovo album "In Rainbows" dei Radiohead è disponibile per lo scaricamento, senza lucchetti digitali e senza prezzo fisso. Avete capito bene: si può scaricare senza restrizioni e siete voi a decidere quanto pagarlo. L'operazione a volte presenta qualche intoppo tecnico, ma il principio generale è valido.
E' una formula di vendita senza intermediari decisamente atipica. Ma funziona? Sicuramente ha dato all'album dei Radiohead moltissima pubblicità gratuita, e non va dimenticato che oltre alla versione digitale scaricabile c'è anche una lussosa versione fisica (cofanetto con 2 CD e 2 vinili) in vendita che beneficia di questa promozione a costo zero.
C'è chi ha fatto le pulci ai download dei Radiohead. Si può davvero scaricare l'album senza pagare: basta immettere "0.00" come prezzo, ed effettivamente secondo un sondaggio condotto nel Regno Unito, circa un terzo del primo milione di scaricatori ha fatto così. Ma grazie al fatto che altri hanno pagato anche più di 20 dollari, il prezzo medio pagato è di circa 8 dollari, paragonabile a quello di molti CD, ma senza tutto il fardello di intermediari, agenti, negozianti, stampatori di CD e copertine, TIR che trasportano i dischi, codazzo di "assistenti personali" e compagnia bella.
Funziona, insomma: e la questione più interessante, qui, è capire cosa spinge le persone a pagare qualcosa che potrebbero avere gratis. E' davvero così diffusa la lungimiranza che permette di capire che se nessuno paga, i Radiohead non venderanno altra musica secondo questa formula? O c'è sotto qualcos'altro?
Dopotutto, la stessa lungimiranza dovrebbe far capire che anche l'industria del disco attuale è destinata a soccombere se tutti piratano e nessuno paga, ma questo non ha impedito alla pirateria musicale di dilagare.
La differenza forse sta nel destinatario dell'offerta: pagare la propria band preferita fa sentire bene; pagare le case discografiche, che hanno una reputazione paragonabile a quella delle lobby farmaceutiche, non è altrettanto gratificante. Il problema, in tal caso, non è di natura commerciale, ma d'immagine: le case discografiche e le società che tutelano i diritti d'autore devono reinventarsi e riguadagnarsi una reputazione. Cosa che sarà molto difficile finché insisteranno a fare cause da duecentomila dollari per ventiquattro canzoni messe in file sharing o a chiedere indennizzi ai garagisti che tengono la radio troppo alta.
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