Questo articolo era stato pubblicato inizialmente sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
Questa sera a Pattichiari (La1, 21.05) si parlerà di pirateria audiovisiva via Internet, affrontando un caso ticinese che non mancherà di suscitare discussioni e dibattiti. Io sarò ospite della trasmissione e del suo sito a partire dalle 20 circa per chattare con i visitatori. Intanto colgo l'occasione del Disinformatico per segnalare alcuni dati interessanti e poco intuitivi.
Secondo i ricercatori dell'Università Carlos III di Madrid, che hanno esaminato il comportamento degli utenti che scambiano film, telefilm, musica, fumetti e altre opere attraverso Mininova e The Pirate Bay, siti basati sul protocollo Bittorrent, il 66% del contenuto messo a disposizione per lo scaricamento viene offerto da poco più di un centinaio di grandi condivisori sparsi per il mondo. Gran parte del resto degli utenti è costituito dai faker o falsari, ossia da organizzazioni che cercano di sabotare i circuiti di scambio o di infettare gli utenti pubblicando finte copie pirata che in realtà contengono tutt'altro. Il rapporto dei ricercatori è scaricabile qui.
Perché i grandi condivisori sono così attivi? In alcuni casi c'è di mezzo il lucro (attraverso gli abbonamenti a pagamento che consentono lo scaricamento più veloce), ma molto spesso c'è una sorta di "sindrome di Robin Hood" che spinge a offrire film popolari o rari e introvabili.
Secondo una fonte decisamente al di sopra di ogni sospetto di voler minimizzare il problema della pirateria, ossia la Warner Music, arriva inoltre una ricerca che indica che solo il 13% degli americani è da classificare come pirata musicale. Oltretutto questi pirati sono descritti come grandi promotori di musica (i loro consigli sono altamente considerati e spingono altri a fare acquisti) e sono loro stessi grandi acquirenti legittimi.
Dati analoghi sono stati raccolti in Europa; inoltre una ricerca universitaria statunitense sul file sharing indica che soltanto il 20% circa dei problemi dell'industria del disco è riferibile alle violazioni del diritto d'autore commesse in Rete: tutto il resto è dovuto al declino del concetto di album musicale, all'aumento delle vendite di singoli via Internet e al declino numerico dei CD venduti a prezzo pieno.
Fonti aggiuntive: TGDaily, Ars Technica.
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