“Gentiloni choc: ‘Gli italiani imparino a fare sacrifici e la smettano di lamentarsi”, scrive Liberogiornale.com, e la notizia (completamente falsa) diventa rapidamente la più letta in Italia, con decine di migliaia di condivisioni sui social network, secondo i dati di Repubblica.
Ma Liberogiornale.com non è un semplice sito d’informazione amatoriale che sbaglia o un sito di “satira e finzione” (come asserisce in caratteri piccolissimi in un angolo ben nascosto): è una fabbrica professionale di panzane. Pubblica intenzionalmente balle per fare soldi; e se queste balle disinformano un intero paese, creano panico infondato o danneggiano qualcuno, fa niente, tanto i soldi della pubblicità non puzzano e anzi lavano la coscienza.
Altro che informazione “alternativa” di Internet: Liberogiornale.com è in realtà una struttura schiettamente commerciale, che lucra sulle false notizie e sfrutta gli utenti che abboccano ai suoi strilli acchiappaclic. E fa parte di una rete professionale occulta di siti sparabufale che ha ramificazioni anche fuori dall’Italia. Con l’aiuto di David Puente, collega debunker ed esperto in tracciamento online, oggi cominciamo a diradare la cortina fumogena che ha finora coperto gli affari cinici degli spacciatori di false notizie-shock.
La piovra delle panzane
Liberogiornale.com fa parte di una galassia di siti bufalari che spesso storpiano in modo ingannevole i nomi di testate giornalistiche molto note, come Ilfattoquotidaino.com (non è un refuso: è proprio quotidaino), News24tg.com o Gazzettadellasera.com.
L’intento sembra piuttosto evidente: ingannare i lettori facendo credere che le notizie pubblicate provengano da testate autorevoli e incassare grazie al traffico pubblicitario derivante dalla frenetica condivisione.
I nomi dei titolari di questi siti sono nascosti: se si consulta il registro pubblico dei titolari, per esempio tramite Domaintools, risulta che Liberogiornale.com è intestato alla società Domains by Proxy LLC, che è una delle tante aziende online alle quali ci si rivolge per proteggere la propria identità da spammer e altri scocciatori.
Ma c’è un legame nascosto che unisce questi siti apparentemente distinti e permette di risalire ai loro veri proprietari, ed è proprio la pubblicità. Esaminando attentamente il codice pubblico delle loro pagine, come ha fatto David Puente nell’ambito di un’indagine ben più ampia durata alcuni mesi, emerge infatti che questi siti usano una stessa fonte, e addirittura condividono lo stesso account da publisher, per i propri banner pubblicitari.
La fonte è la società Edinet, con sede a Sofia, in Bulgaria. I suoi dati pubblici sono nel registro del Ministero della Giustizia bulgaro. Il sito della società è Edinet.bg, il cui “Chi siamo” (scritto, stranamente, in italiano) spiega che si tratta di un “Gruppo editoriale” che ha uffici “in Francia, Germania, Slovenia e soprattutto Italia. I componenti e collaboratori di Edinet sono al 90% Italiani ed è proprio in Italia che sono puntate tutte le nostre risorse.” Ma che sorpresa.
Il registro del ministero bulgaro indica anche il nome del titolare di Edinet: Carlo Enrico Matteo Ricci Mingani.
Ulteriori ricerche fanno poi emergere un comunicato stampa, presso Comunicati-stampa.net, nel quale compare il nome di Matteo Ricci come “responsabile delle pubblicazioni” di Edinet Ltd. Il comunicato annuncia che “Edinet Ltd ha rilevato il gruppo KontroKultura”. Guarda caso, L’account publisher condiviso da questi siti si chiama “kontrokultura”. Ricci si vanta di gestire “oltre 30 testate online”.
Quali altri siti ospitano i banner pubblicitari di Edinet con l’account “kontrokultura”? A questo punto non è difficile scoprirlo, usando sempre strumenti pubblici: oltre a Gazzettadellasera.com e Liberogiornale.com spuntano News24europa.com, News24tg.com, Notiziea5stelle.com e altri ancora.
Ci sono molti altri elementi che legano e accomunano questi siti: questo è solo l’inizio e ne parleremo nelle prossime puntate. C’è anche, intorno a questi siti, uno stuolo di promotori, di “pompatori” di queste false notizie sui social network: complici consapevoli e inconsapevoli. Ma se nel frattempo volete sapere chi è che fabbrica queste bufale ad alto impatto sociale e politico, chi crea polemiche finte, chi coordina questo spaccio destabilizzante, ora avete un nome. Un nome che ha fatto molto per nascondere le proprie tracce, ma che alla fine è emerso usando proprio le risorse di quella Rete che i bufalari di professione vorrebbero sfruttare come miniera d’oro personale.
2016/12/17
Questo articolo ha superato le centomila visualizzazioni ed è stato ripreso da molte testate giornalistiche, sia online sia su carta: Il Secolo XIX, Repubblica, Il Post, TGCom24, La Stampa, Il Foglio e altri. È un buon passo verso l’obiettivo di questo ciclo di indagini, che non è la censura, ma la segnalazione al grande pubblico dell’esistenza di un business della bufala, socialmente pericoloso e poco conosciuto. Poi ognuno deciderà se alimentare questo business o no. E personalmente sono contrario alla censura, come chiunque può leggere nei miei articoli sul tema.
Matteo Ricci Mingani ha fatto alcune dichiarazioni a Repubblica, al Corriere, al Secolo XIX e ad Agi.it. Sempre Agi.it, a firma di Matteo Flora e Arcangelo Rociola, ha proseguito l’indagine, partendo dai dati pubblicati qui e fornendo altri dettagli sull’attività e la struttura di Edinet e della galassia di siti promotori di articoli-bufala.
Mingani ha dichiarato di essere estraneo ai contenuti dei siti in questione e di fare semplice hosting: le prossime puntate di questa indagine documenteranno che questa sua asserzione è perlomeno fantasiosa.
Intanto Liberogiornale.com e Ilfattoquotidaino.com hanno sospeso volontariamente le pubblicazioni: al posto delle bufale ora c’è solo un avviso che recita “Servizio sospeso – Edinet Ltd in seguito a quanto appreso dai mezzi di comunicazione sospende l'erogazione del servizio gestito su nostri server in via cautelare. Edinet Ltd è estranea ai contenuti pubblicati da terzi ospitati su nostri server.” Forse involontariamente, l’avviso conferma che Edinet è collegata a Liberogiornale.com e Ilfattoquotidaino.com.
Matteo Ricci Mingani ha eliminato il proprio account Twitter (@nighyfly), che mostrava la sua affiliazione politica molto esplicita: un aspetto che David Puente ed io conoscevamo ma abbiamo volutamente messo da parte per non prestare il fianco a chi, inevitabilmente, avrebbe teorizzato un attacco politicizzato, distraendo dal reale scopo del debunking, che è ridurre i danni causati dalle bufale. Francamente a me non interessa il colore politico degli spacciatori di bufale: di destra o di sinistra, sono comunque pusher della panzana e seminano odio e paure infondate.
Un altro chiarimento importante: molti hanno collegato la pubblicazione di questa indagine al recente appello della Presidente della Camera, Laura Boldrini, contro le bufale del Web, pensando che l’indagine sia stata fatta in risposta a questo appello. Per farla breve: no. Una ricerca sistematica e dettagliata come quella che David Puente mi ha fornito non s’improvvisa in qualche giorno. I dati che ho visto (e che non ho ancora pubblicato) risalgono a mesi fa, quando non era neanche stato immaginato il convegno sulle bufale che ho moderato a Montecitorio.
2016/12/27
La seconda parte di questa serie di articoli è stata pubblicata qui.
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