2018/01/06

John Young, astronauta lunare leggendario, ci ha lasciato









È arrivata poco fa la notizia della morte dell’astronauta John Watts Young, un uomo al quale persino l’etichetta di astronauta lunare stava stretta. Aveva 87 anni.

Al pilota e capitano della marina statunitense, nato a San Francisco ma cresciuto a Orlando, in Florida, volare una volta verso la Luna (Apollo 10) non bastò: ci andò due volte. E la seconda (Apollo 16, 1972) vi scese per camminarvi.




Ma camminare sulla Luna e viverci per tre giorni non gli bastò: sulla Luna guidò un’auto.


Poi, per non farsi mancare nulla, pilotò il primo volo dello Space Shuttle (STS-1, 1981): una missione di rischio assoluto su un velivolo sperimentale che non aveva mai volato prima nello spazio ed era il primo veicolo spaziale orbitale alato. E visto che gli era andato bene il primo volo Shuttle, ne fece anche un altro (STS-9) nel quale, per non farsi mancare nulla, atterrò con un incendio interno in coda.

Fu l’uomo dei voli doppi: due Apollo, due Shuttle e, a inizio carriera, due Gemini (la 3, la prima Gemini con equipaggio, e la 10, la prima missione della storia a effettuare un doppio rendez-vous con due veicoli distinti). Fu anche la prima persona al mondo a volare nello spazio sei volte e la prima a orbitare da sola intorno alla Luna (con Apollo 10, mentre i colleghi collaudavano il modulo lunare scendendo fino a pochi chilometri dalla superficie lunare).

Gli aneddoti sulla vita di John Young sono talmente tanti che rasentano l’improbabilità romanzesca. Durante la missione Gemini 3, nel 1965, portò a bordo di nascosto un vietatissimo tramezzino di carne e se lo mangiò in barba a tutte le norme della NASA, che non gradì affatto l’improvvisata. Ma Young era Young, e talenti del genere erano troppo rari, persino fra gli astronauti, per rinunciarvi.



Durante la sua escursione lunare, si fece fotografare dal collega Charlie Duke per il tradizionale saluto alla bandiera mentre saltava. Sulla Luna.





Young contribuì a salvare gli astronauti di Apollo 13 (faceva parte dell’equipaggio di riserva della missione), coordinando sulla Terra il lavoro per improvvisare un filtro per l’aria usando solo i materiali presenti nel veicolo spaziale.

Riassunse così le domande sulla paura degli astronauti nel 1981 per lo Shuttle: “Chiunque si sieda in cima al sistema a propellente idrogeno-ossigeno più grande del mondo, sapendo che stanno per accenderne il fondo, e non si preoccupa un pochino, non capisce pienamente la situazione.”

Era ammirato dai suoi colleghi (fra i tanti oltre ai già citati Terry Virts e Scott Kelly segnalo Chris Hadfield, Leland Melvin, Ron Garan, Rick Mastracchio, TJ Creamer, Nancy Currie-Gregg, Christopher Ferguson, Ellen Ochoa, Mike Fossum, Mark Kelly, Doug Wheelock, Mike Massimino, Samantha Cristoforetti) per la sua competenza ingegneristica, per la sua schiettezza (la sua critica della NASA dopo il disastro dello Shuttle Challenger fu implacabile), per la sua calma glaciale nelle condizioni più impegnative (90 pulsazioni al minuto durante il suo allunaggio; Neil Armstrong arrivò a 150) e per il suo senso dell’umorismo secco e tagliente (“La cosa più pericolosa che facciamo a Houston è andare al lavoro in auto ogni giorno”; “ha funzionato tutto, quella è stata la parte stupefacente... specialmente al rientro, quando non siamo morti tra le fiamme”).

Dopo le sue sei missioni, aveva continuato a lavorare per la NASA per due decenni, fino al 2004, smettendo almeno formalmente a 74 anni. Nel corso della sua carriera era diventato capo dell’Astronaut Office (dal 1974 al 1987) e aveva supervisionato il volo congiunto russo-americano Apollo-Soyuz, lo sviluppo dello Shuttle e le sue prime 25 missioni. Si era dedicato alla sicurezza degli astronauti ma anche alla salvaguardia dell’ambiente (“Se vuoi vedere una specie in pericolo, alzati e guardati allo specchio”; “La storia geologica della Terra è piuttosto chiara: dice, molto francamente, che le specie monoplanetarie non durano. In questo momento noi siamo una specie monoplanetaria. Dobbiamo rimediare”).

La sua biografia, Forever Young, è ricca di storie ed esperienze straordinarie e mette bene in evidenza il talento di Young non solo come pilota ma anche come ingegnere aerospaziale.

Negli ultimi anni si era ritirato a vita privata, dopo aver lasciato la NASA a 74 anni. La sua scomparsa riduce a cinque gli astronauti che hanno camminato sulla Luna e sono ancora tra noi.

Trovate un dettagliato ricordo di John Young su Collectspace.com (in inglese). La NASA lo ricorda con queste parole, con una collezione di foto memorabili e con questo video:






Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi. Fonti: JohnWYoung.org; CNN; Houston Chronicle.

Nessun commento:

Posta un commento

Se vuoi commentare tramite Disqus (consigliato), vai alla versione per schermi grandi. I commenti immessi qui potrebbero non comparire su Disqus.

Pagine per dispositivi mobili