I dettagli sono nell’evento Facebook: l’ingresso è libero.
Sarà particolarmente interessante parlare di complottismi, visto che stamattina (18 novembre) ho concluso una serie di incontri pubblici con uno degli astronauti lunari, Charlie Duke, per il quale ho fatto da traduttore sia a Lonato (BS), sia a Torino, e una delle cose che ha raccontato nei suoi interventi pubblici ha dimostrato come è facile costruire una tesi di complotto.
Duke, uno dei protagonisti della missione Apollo 16, ha descritto la sua esplorazione della Luna, fatta nel 1972 insieme a John Young, a bordo di un’auto elettrica. Sì, nel 1972 eravamo capaci di costruire un’auto elettrica, oltretutto pieghevole, e portarla fin sulla Luna. Ma abbiamo smesso di andare sulla Luna e abbiamo abbandonato tutta la tecnologia che ce lo aveva permesso, e così non ci andiamo più da quasi cinquant’anni e non siamo più in grado di andarci.
Durante la descrizione ha accennato al fatto che la sua missione è atterrata quasi al centro della faccia della Luna rivolta verso la Terra, per cui lui aveva la Terra grosso modo allo zenit. Duke ha spiegato, inoltre, che la flessibilità limitata della tuta spaziale gli impediva di vedere il pianeta dal quale era arrivato: non poteva inclinarsi all’indietro, a causa del peso dello zaino contenente i sistemi di supporto vitale, e alzare la testa dentro il casco sarebbe stato inutile, dato che la sommità del casco non era trasparente.
La posizione esatta della Terra, però, era importante, perché l’auto elettrica era dotata di una telecamera radiocomandata e di un ricetrasmettitore, che inviavano sulla Terra in diretta le immagini degli astronauti quando l’auto era ferma. Questo consentiva ai tecnici sulla Terra di comandare la telecamera e osservare in dettaglio le attività degli astronauti.
Sì, nel 1972 eravamo capaci non solo di costruire un’auto elettrica, di renderla pieghevole e di portarla sulla Luna, ma eravamo anche capaci, una volta portata lì, di usarla come stazione televisiva mobile per trasmettere immagini in diretta dalla Luna e a colori (paradossalmente, all’epoca la TV in Italia era ancora in bianco e nero). Certo, erano immagini a bassa risoluzione e sulla Terra c’erano parabole riceventi enormi, ma questo era il livello della tecnologia di punta di quegli anni.
Questo apparato trasmetteva tramite un’antenna parabolica, che doveva essere puntata verso la Terra. Piccolo problema (con relativa tesi di complotto): se Duke ha detto che la tuta impediva agli astronauti di vedere la Terra, come potevano mai puntare con precisione quest’antenna?
L’auto elettrica lunare: sulla sinistra, la parabola per le trasmissioni TV verso la Terra. |
La spiegazione l’ho avuta (e devo darmi i pizzicotti nel raccontarvelo) direttamente da Duke, con il quale stamattina ho fatto colazione in albergo. A 84 anni ha una lucidità e precisione di pensiero assolutamente invidiabili, e ha risposto alla mia domanda sul puntamento in modo semplice e lampante: la NASA si era resa conto del problema e aveva installato sul meccanismo di puntamento della parabola una sorta di mezzo periscopio, con uno specchio attraverso il quale l’astronauta poteva traguardare la Terra tenendo la testa orizzontale.
Anche in questo caso, insomma, la tesi di complotto si smonta semplicemente informandosi invece di saltare alle conclusioni. Io ho avuto il privilegio di potermi informare direttamente alla fonte, da uno degli uomini che quel puntamento surreale l‘ha fatto; ma chi non ha questa fortuna può leggersi la vastissima documentazione tecnica pubblicamente disponibile.
Se avete altri dubbi o domande, o se semplicemente volete che racconti e illustri qualche chicca delle tante che abbelliscono le vicende delle esplorazioni lunari, o che vi dica cosa ne pensa Duke del progetto Artemis di tornare sulla Luna entro il 2024, vi aspetto domani (19 novembre) a Bolzano.
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