È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto). Questa è l’edizione estiva, dedicata all’approfondimento di un singolo argomento.
I podcast del Disinformatico di Rete Tre sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo e i link alle fonti della storia di oggi, sono qui sotto!
Nota: la parola CLIP nel testo che segue non è un segnaposto in attesa che io inserisca dei contenuti. Indica semplicemente che in quel punto del podcast c’è uno spezzone audio. Se volete sentirlo, ascoltate il podcast oppure guardate il video che ho incluso nella trascrizione.
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Sto guardando una presentazione di un prodotto informatico. Niente di speciale: un uomo, con voce piuttosto monotona, descrive come il suo prodotto consente di scrivere facilmente testi al computer, con il copia e incolla gestito tramite il mouse, e di creare link cliccabili fra un testo e un altro. Permette anche di mandare mail, di fare videoconferenze, tipo Zoom, e di collaborare a un documento a distanza, come Google Docs.
Roba da sbadiglio assoluto, se non ci fosse un piccolo particolare molto, molto speciale: la presentazione risale al 1968.
Questa è la storia di come un uomo, Douglas Engelbart, riuscì a presentare con più di cinquant’anni d’anticipo tutte le principali tecnologie informatiche che usiamo adesso tutti i giorni, e di come quella presentazione passò alla storia come “la madre di tutte le demo”.
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Demo. Una parola semplice, di quattro lettere, che incute angoscia in chiunque debba andare di fronte a un pubblico e fare una dimostrazione pratica di un prodotto, sapendo che qualunque cosa possa andare storta lo farà, e lo farà nel peggior momento possibile, davanti al pubblico più ampio possibile, e finirà quasi sicuramente su YouTube per prolungare in eterno l’imbarazzo.
Come quella volta, ad aprile del 1998, che Chris Capossela di Microsoft stava presentando la novità, Windows 98, davanti al pubblico di addetti ai lavori della celeberrima fiera informatica Comdex, e sotto gli occhi del boss, Bill Gates in persona, gli comparve il mitico Schermo Blu della Morte che indicava il crash di Windows.
(CLIP: Capossela)
Sono cose che succedono, specialmente quando la dimostrazione viene fatta realisticamente, usando davvero i prodotti invece di fare spettacoli accuratamente coreografati, come per esempio la storica presentazione di un certo dispositivo tascabile da parte di Steve Jobs di Apple nel 2007.
(CLIP: Jobs-iPhone)
Pochi sanno che quella demo dell’iPhone fu fatta con un prototipo incompleto, a malapena funzionante, che riusciva a riprodurre uno spezzone di una canzone o di un video ma crashava se si provava a far sentire un brano intero. La demo fu confezionata in modo da eseguire una sequenza molto specifica di compiti che avrebbero ridotto, ma non eliminato, la possibilità che l’iPhone si piantasse davanti a tutto il mondo. Andò bene, ma per un soffio.
Sia come sia, le demo sono notoriamente un momento difficile per chi le conduce e per le aziende che le organizzano. Spesso una demo mal riuscita affossa anni di ricerca e milioni di budget pubblicitario, e quindi si procede con la massima cautela.
Ma allora con quale faccia tosta, con quale sprezzo del pericolo fu organizzata quella che oggi gli informatici chiamano “la madre di tutte le demo” e che presentò realisticamente non una, ma tutta una serie di nuove tecnologie?
Andiamo al 9 dicembre 1968. Siamo alla fine di un anno difficile in tutto il mondo, fra guerra in Vietnam, assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, Maggio francese, invasione sovietica della Cecoslovacchia, dirottamenti, scioperi, sommosse e manifestazioni ovunque.
Lontano da tutto questo c’è un ingegnere statunitense di 43 anni, Douglas Engelbart, che a San Francisco presenta appunto la sua demo davanti a un selezionatissimo pubblico di circa mille esperti informatici, molti dei quali lo considerano letteralmente “uno svitato”.
Però la demo, e le ricerche svolte per anni da Engelbart e dal suo gruppo di esperti allo Stanford Research Institute della Stanford University per arrivare a questa presentazione pubblica, sono finanziate e appoggiate da enti governativi di tutto rispetto, come l’agenzia di ricerca avanzata ARPA, la NASA e l’Aeronautica Militare statunitense.
Engelbart inizia subito con una scenografia decisamente inconsueta: è presente sul palco, seduto davanti al suo terminale, ma il suo volto viene inquadrato da una telecamera e proiettato su uno schermo televisivo gigante di sette metri per sei, un cosiddetto Eidophor, la cui tecnologia incredibile meriterebbe una storia a parte. Oggi schermi giganti del genere sono la norma, ma mezzo secolo fa erano una rarità.
E ancora oggi è raro quello che succede subito dopo: le informazioni presentate dall’ingegnere appaiono in sovrimpressione, in trasparenza, invece che in una finestra a parte. Il suo volto rimane sullo schermo, così il pubblico può vedere le sue espressioni senza spostare lo sguardo dal testo della presentazione. PowerPoint non lo fa neanche adesso, senza software e hardware speciali. Ricordatevi che siamo nel 1968, quando i computer sono grossi come armadi, pesanti come casseforti e sanno soltanto fare calcoli matematici.
Nel giro di un’oretta e mezza di dimostrazione, tutta dal vivo, Engelbart, assistito dietro le quinte da una squadra di tecnici, mostra il suo “oN-Line System”, o NLS, che trasforma questi pesanti tritatori di numeri in strumenti per “potenziare l’intelletto umano”. Dice proprio così: Engelbart era uno che pensava in grande.
L’ingegnere indossa quella che oggi chiameremmo una cuffietta ultrasottile da gamer e procede con calma e compostezza a dimostrare una tecnologia dirompente dopo l’altra. Muove un puntatore sullo schermo usando una scatoletta che tiene in mano e sposta sulla propria scrivania: è il prototipo del mouse, sviluppato insieme al collega Bill English, per il quale riceverà un brevetto. È proprio Engelbart a dargli il nome mouse, “topo”, per via del filo elettrico di collegamento che sporge dalla scatoletta e somiglia appunto alla coda di un topo.
Con quel mouse evidenzia e seleziona il testo, lo copia e incolla, e ridimensiona delle porzioni dello schermo: è la prima volta che qualcuno divide uno schermo di computer in finestre multiple, permettendo di spostare oggetti, parole e paragrafi da una finestra all’altra. Non ci sarà nulla del genere per altri vent’anni.
Engelbart presenta poi una tastiera che consente di premere più tasti contemporaneamente, creando combinazioni, come degli accordi su un pianoforte, che sono gli antenati del Control-C, Control-V e Control-Alt-Canc di oggi. È la prima volta nella storia dell’informatica che qualcuno mostra pubblicamente un sistema di elaborazione di testi tramite computer così potente.
(CLIP: Engelbart fa Zoom - 46.00 nel video)
Poi fa una videochiamata – nel 1968! – con i suoi colleghi che stanno a circa 50 chilometri di distanza, a Menlo Park, e la mostra sullo schermo gigante, spiegando come sia possibile non solo dialogare con le persone a distanza, come facciamo oggi con Teams, WhatsApp o Zoom, ma anche modificare collettivamente e contemporaneamente lo stesso documento intanto che ciascuna persona vede le altre.
Sì, non tutto funziona alla perfezione, le immagini sono in bianco e nero e c’è il trucco, nel senso che la videochiamata usa una connessione a microonde dedicata, di tipo televisivo professionale, invece delle comuni linee telefoniche, e ci sono due modem a 1200 baud (velocissimi per l’epoca) per lo scambio dei dati. Tecnologie non alla portata di tutti, allora, ma il concetto è chiaro: i computer non sono soltanto delle macchine per fare calcoli, ma consentono (o un giorno consentiranno) di comunicare e di lavorare in gruppo, condividendo dati, immagini e documenti, senza spostarsi fisicamente.
Come se tutto questo non bastasse, Engelbart clicca su una porzione di testo sottolineata e mostra che questo clic fa comparire un’altra pagina di informazioni: in altre parole, sta dimostrando l’ipertesto, quello che una ventina d’anni più tardi sarà la base concettuale di Internet e del Web.
Alla fine della demo, Engelbart ringrazia il suo gruppo di collaboratori e la moglie e le figlie, che sono in sala, per aver sopportato pazientemente “un marito che si è dedicato in maniera monomaniacale a qualcosa di folle” ...
(CLIP: Engelbart ringrazia)
...e poi riceve una standing ovation.
(CLIP: Engelbart standing ovation)
In novanta minuti ha convertito gli scettici.
Ma le sue idee resteranno comunque troppo avanti anche per molti esperti di allora: la praticità del mouse, per esempio, verrà sottovalutata dallo Stanford Research Institute, che cederà una licenza per il suo brevetto per soli 40.000 dollari a una piccola, nascente azienda di personal computer di nome Apple, che la userà soltanto quindici anni più tardi, dapprima con il fallimentare computer Lisa, nel 1983, e poi con il popolarissimo Macintosh nel 1984.
Anche le finestre di Engelbart resteranno ancora più a lungo un’esclusiva del mondo Apple e di pochi, costosi computer di nicchia, fino all’arrivo di Microsoft Windows 3.0, la prima versione di grande successo, nel 1990. Il resto del mondo andrà avanti ancora parecchio con una schermata singola di solo testo.
Certo, non gli mancheranno i riconoscimenti, come il premio Turing, il premio MIT-Lemelson di 500.000 dollari e il premio von Neumann, conferitigli dalle associazioni internazionali degli esperti di settore. E un’altra azienda nascente, la svizzera Logitech, quella che con il mouse P4 realizzerà il primo mouse commercialmente disponibile nel 1981, gli assegnerà un ufficio nella propria sede principale fino al 2007 per consentirgli di proseguire le sue ricerche.
Ma il suo obiettivo molto anni Sessanta di usare l’informatica per potenziare l’intelletto umano gli sfuggirà. Vinton Cerf, uno dei padri fondatori di Internet, lo ricorderà così nel documentario del 2020 The Augmentation of Douglas Engelbart:
(CLIP: Cerf a 55.31)
“La storia di Doug” dice Cerf “è per certi versi una storia dolorosa su cui riflettere. È chiaro che aveva capito in modo straordinario quello che i computer avrebbero potuto fare e quanto sarebbero stati dei facilitatori. Ma allo stesso tempo, per far sì che qualcosa avvenga su vasta scala, deve esserci alla base un motore economico che la renda possibile”. E un idealista come Engelbart non era interessato ai motori economici, quelli grazie ai quali tutte le apparecchiature e i collegamenti necessari per quella costosa e complicatissima demo del 1968 risiedono ora a prezzi abbordabili nelle nostre tasche, dentro i nostri smartphone e computer.
Douglas Engelbart è morto il 2 luglio 2013, a 88 anni. Ha fatto in tempo a vedere realizzarsi tutte le profezie tecnologiche che aveva fatto in quella incredibile demo di oltre mezzo secolo fa. A noi non resta che goderne i frutti, ringraziando per la lungimiranza e tenendo vivo il ricordo di un informatico davvero visionario. E magari chiedendoci se ci sia, e chi sia, l’inascoltato Douglas Engelbart di oggi.
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