Come probabilmente già sapete, la navetta Columbia si è disintegrata al rientro nell'atmosfera. Le possibilità di sopravvivenza delle sette persone dell'equipaggio sono minime.
I miei pensieri sono con i familiari dell'equipaggio e con tutti coloro che verranno coinvolti da questa tragedia. Volare nello spazio è rischioso, non è un mistero, e gli astronauti e i loro familiari affrontano questo rischio con serena consapevolezza. Ma quando succedono gli incidenti, fa male lo stesso.
Nei prossimi giorni si leveranno molte teste parlanti a blaterare delle possibili cause e inevitabilmente si faranno le ipotesi più assurde da parte dei soliti incompetenti. Si parlerà della presenza di un astronauta israeliano a bordo e di attentati, assolutamente impossibili alla quota e alla velocità a cui stava rientrando. Si farà notare ossessivamente che l'incidente è avvenuto proprio nella stessa settimana dell'incidente del Challenger del 1986 (il 28 gennaio) e sicuramente sentirete un sacco di altre stupidaggini, comprese le profezie di Nostradamus.
Proprio per questo, rileggo nauseato quello che ho scritto ieri in questa newsletter a proposito della sperimentazione dei protocolli Internet a bordo della navetta: "non fatevi venire il panico pensando che qualche aggressore possa prendere il controllo dello Shuttle e farvelo cadere in testa."
Vorrei tanto non aver scritto queste parole ora diventate così infelici.
A nessuno venga il dubbio, neppure per un momento, che questa sperimentazione possa aver avuto un ruolo nel disastro e che un "hacker", nel senso deteriore ormai consolidato di questo termine, possa aver influito sui sistemi di bordo durante il rientro. Spero solo di non aver suggerito un'altra ipotesi di complotto a qualche mentecatto.
Ciao da Paolo.
Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.
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