2011/11/20

Disinformatico radio, podcast del 2011/11/18

È disponibile temporaneamente sul sito della Rete Tre della RSI il podcast della scorsa puntata del Disinformatico radiofonico. Ecco i temi e i rispettivi articoli di supporto: le nuove opzioni di ricerca di Google, i primi 40 anni del microprocessore, l'invasione d'immagini scioccanti in Facebook, la bufala del PIN dei bancomat rovesciato che chiama la polizia e l'appello che paventa censura di tutta Internet da parte degli USA.

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Questi articoli erano stati pubblicati inizialmente sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non sono più disponibili. Vengono ripubblicati qui per mantenerli a disposizione per la consultazione.

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Nuove funzioni di ricerca di Google in arrivo

Google sta cambiando le proprie opzioni di ricerca: avrete già notato che corregge automaticamente gli errori di ortografia (per cui se cercate "microporcessore" Google propone risultati di ricerca per “microprocessore”) e trova anche varianti della parola digitata (per esempio “immagine” o “immagini”). Fino a poco tempo fa c'era anche l'operatore “+”, che serviva per chiedere a Google di restituire solo risultati esattamente corrispondenti a quello che l'utente aveva digitato.

Ma adesso non c'è più, forse anche per evitare confusioni con il nome del social network Google+ (Google dice invece che l'operatore “+” veniva usato da pochissimi utenti e spesso in modo scorretto). Allora come si fa a imporre a Google di non correggere automaticamente e non proporre varianti, come capita a volte quando si effettuano ricerche su temi di nicchia? Oltretutto c'è un fatto poco conosciuto: Google personalizza le ricerche in base alle ricerche precedenti dell'utente, per cui i risultati possono cambiare da persona a persona.

Google ha suggerito l'uso delle virgolette, ma la proposta non è stata accolta da molti utenti, per cui è stato introdotto da poco uno strumento apposito, per ora disponibile soltanto nella versione inglese (su Google.com).

Per usare la ricerca senza le correzioni automatiche e gli altri effetti di Google, per esempio per trovare le pagine nelle quali compaiono ortografie sbagliate ma diffuse, come “coniglio d'amministrazione”, si va su Google.com (cliccando su “Google.com in English" in basso a destra), si digita l'argomento e si clicca nella colonna di sinistra su "More search tools" ("Più strumenti") e si sceglie "Verbatim". La nuova funzione verrà resa disponibile anche nelle altre versioni linguistiche di Google nelle prossime settimane.

Microprocessore, i suoi primi quarant'anni

Il 15 novembre scorso il microprocessore, il componente indispensabile di ogni computer, telefonino, console per videogiochi e di molti altri dispositivi elettronici fondamentali per la nostra esistenza quotidiana, ha compiuto quarant'anni. In quella data, nel 1971, comparve infatti sulla rivista Electronic News l'annuncio della commercializzazione di un nuovo tipo di circuito integrato, capace di svolgere su un singolo chip varie operazioni eseguendo le istruzioni che gli venivano inviate di volta in volta.

L'idea che ha trasformato il mondo si chiamava 4004 ed era stata sviluppata per la Intel dall'italiano Federico Faggin, da Ted Hoff e da Stanley Mazor insieme alla società giapponese Busicom. Il 4004 lavorava a 740 kilohertz, aveva circa 2300 transistor ed era realizzato con un procedimento che creava elementi da 10 micron (10.000 nanometri). Per dare un termine di paragone, un processore moderno lavora a 3,5 gigahertz, ospita circa 2,3 miliardi di transistor e ha elementi da 32 nanometri. Un nanometro equivale grosso modo a dieci atomi.

Dal 4004 il team di Faggin sviluppo l'8008 (nel 1972) e poi l'8080 (1974), l'8086 e l'8088, che fu scelto da IBM per il suo primo PC nel 1981. Non pago di averci regalato uno dei mattoni fondamentali dell'informatica, Faggin fondò nel 1986 la Synaptics, l'azienda che ha fatto conoscere al mondo un altro componente diffusissimo: il touchpad.

Fonti: Zeus News, The Register.

Facebook invaso da immagini shock per 24 ore

All'inizio della settimana, per circa ventiquattro ore, moltissimi utenti di Facebook hanno trovato nei propri feed del social network una pioggia di immagini scioccanti, dalla pornografia agli abusi su animali. Non è mancata una foto ritoccata di Justin Bieber che lo faceva sembrare alle prese con un'attività piuttosto personale.

Inizialmente alcuni avevano sospettato che l'attacco provenisse dal gruppo Anonymous, ma poi Facebook ha spiegato la natura dell'intrusione e ha dichiarato di conoscere l'identità degli attaccanti, scagionando Anonymous.

L'attacco si basava sull'inganno e su una vulnerabilità in un browser (non precisato): gli utenti venivano convinti, presumibilmente con esche psicologicamente accattivanti, a immettere del Javascript nella barra dell'indirizzo del browser. Questo Javascript, a loro insaputa, diffondeva via Facebook le immagini-shock usando una tecnica classica, chiamata XSS (cross-site scripting). Le vittime non vedevano nulla di anomalo, ma i loro amici si vedevano comparire, attraverso la bacheca, ogni sorta di contenuti non adatti ai palati fini.

I tecnici di Facebook hanno introdotto automatismi per bloccare l'attacco al social network, ma resta aperta la vulnerabilità degli utenti: molti, infatti, non sanno che non bisogna copiaincollare disinvoltamente nella barra dell'indirizzo del proprio browser istruzioni misteriose.

Fonte aggiuntiva: Sophos.

Gli USA vogliono “censurare tutta Internet”, allarme in Rete

Moltissimi siti Web e innumerevoli commenti su Facebook stanno diffondendo un allarme secondo il quale “in queste ore il Congresso americano sta discutendo una legge che gli conferirebbe il potere di censurare internet in tutto il mondo”. Una volta tanto l'appello diffuso dal passaparola ha un fondo importante di verità, anche se prima di aderire alle petizioni è meglio fare un po' d'attenzione.

In questi giorni il governo degli Stati Uniti sta effettivamente discutendo non una ma due leggi che potrebbero avere effetti molto importanti su Internet in tutto il mondo. Una è il SOPA (Stop Online Piracy Act), l'altra è il Protect IP Act. Entrambi i provvedimenti hanno lo scopo di contenere la pirateria audiovisiva e la vendita di prodotti farmaceutici contraffatti, ma se venissero approvati nella loro forma attuale darebbero alle autorità statunitensi il potere di ordinare ai fornitori di servizi Internet nazionali di far scomparire dai motori di ricerca e rendere inaccessibile qualunque sito ritenuto colpevole di ospitare contenuti che violano il diritto d'autore.

Per ragioni tecniche, questi effetti si estenderebbero anche al di fuori degli Stati Uniti, per esempio sui tanti che usano OpenDNS (un servizio DNS statunitense molto popolare), e potrebbero influire sull'accessibilità di qualunque sito .net, .com o .org, la cui registrazione è gestita da società statunitensi, che quindi si potrebbero trovare obbligate a prenderne il controllo se un titolare di diritti d'autore facesse una semplice segnalazione di presunta violazione.

Contro queste proposte sono scesi in campo i più grandi nomi di Internet. Eric Schmidt, presidente di Google, le ha definite “draconiane” e ha ribadito che queste leggi “richiederebbero di rimuovere degli URL dal web, cosa che si chiama anche 'censura'”. Google stessa, insieme ad AOL, eBay, Facebook, LinkedIn, Mozilla, Twitter, Yahoo! e Zynga hanno firmato una lettera aperta; anche l'Unione Europea ha pubblicato una risoluzione che sottolinea “la necessità di proteggere l'integrità della rete Internet globale e la libertà di comunicazione evitando misure unilaterali per annullare indirizzi IP o nomi di dominio”.

Il rischio di censura paventato dall'appello, insomma, è credibile e concreto. Ma questo non significa che sia utile o prudente aderire alle raccolte di “firme” o alle petizioni che circolano attualmente su Internet in proposito: una “firma” raccolta in questo modo non ha alcun valore legale e c'è il rischio che i dati personali vengano utilizzati in modi illeciti.

Fonti aggiuntive: Techdirt, Electronic Frontier Foundation, Punto Informatico, ZDNet, InformationWeek, The Register, Michael Geist, Google Public Policy Blog.

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