C'è chi, come La Stampa, titola “Whatsapp a pagamento, la bufala diventa realtà” e chi, come tanti internauti, annuncia che Whatsapp diventa a pagamento. Ma la bufala non è diventata realtà (è tuttora una bufala) e Whatsapp non è “diventato” a pagamento: lo è sempre stato.
Ai primi di gennaio 2012 circolava un appello-bufala secondo la quale Whatsapp stava per diventare a pagamento per chi non era utilizzatore frequente: per evitare il pagamento bisognava inviare l'appello ad almeno dieci contatti. Ma era appunto una bufala (ne avevo scritto in questo articolo) e lo aveva dichiarato esplicitamente anche Whatsapp.
Inoltre Whatsapp è già a pagamento da un pezzo. La versione iOS/iPhone costa 99 centesimi di dollaro (screenshot). La versione Android costa 99 cent l'anno dopo il primo anno, che è gratuito: c'è scritto chiaramente nella pagina di download presso Whatsapp.com (perlomeno se sapete leggere l'inglese; screenshot). Ed è così almeno da un anno. La pagina dell'app su Google Play, invece, la indica come gratuita (schermata qui accanto), e questo può aver alimentato la confusione.
Trovo comunque piuttosto ridicola la spilorceria di chi protesta e insorge contro la richiesta di pagare ben 79 eurocentesimi l'anno per usare un'app che fa risparmiare moltissimo sulle telecomunicazioni. Settantanove centesimi. Accidenti, che salasso.
Se proprio ci si vuole indignare per Whatsapp, sarebbe semmai il caso di farlo in merito al fatto che nelle versioni Blackberry, Android, Windows e Nokia questa app obbliga l'utente a mandare a Whatsapp.com tutta la propria rubrica degli indirizzi (per la versione iPhone è facoltativo). In altre parole, se avete affidato il vostro numero di telefono o altri dati personali a un amico che usa Whatsapp, quell'amico li ha passati a Whatsapp.com. Ma se è il tipo di persona che “scopre” solo ora che Whatsapp si paga, difficilmente sarà il tipo che capisce il concetto di rispettare la privacy altrui e non mandare in giro i dati personali degli amici.
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