Giugno 1978:
arriva sul mercato dei videogiochi Space Invaders.
E il mondo (almeno quello informatico) non sarà piu lo stesso.
L'enorme successo del gioco, sviluppato in Giappone da Tomohiro
Nishikado, trasforma il gioco digitale da fenomeno di nicchia a
fenomeno di massa, da giocare non in casa (le console di gioco non
c'erano ancora) ma nelle sale giochi (arcade).
Il concetto
del gioco è molto semplice: astronavi aliene si avvicinano con
intento ostile, avanzando in ranghi serrati a zigzag, e il giocatore
deve usare il proprio veicolo spaziale, dotato di un solo cannone,
per centrarli e accumulare punti.
La grafica
era assolutamente primitiva: movimenti a scatti, colore inesistente
(i colori erano aggiunti mettendo delle strisce di plastica colorata
sullo schermo), audio monofonico. Di più, con l'hardware dell'epoca,
non si poteva fare.
Ma nel 1978
le regole di questo videogioco erano così innovative che queste
limitazioni venivano ignorate dal giocatore e anzi contribuivano al
suo fascino: il fatto che il processore fosse così lento significava
che man mano che il giocatore eliminava dallo schermo i nemici,
quelli rimanenti si muovevano progressivamente e visibilmente più in
fretta perché il processore aveva meno elementi da animare. Invece
di cercare di correggere questa caratteristica, Nishikado la tenne
perché rendeva più emozionante la partita.
Space Invaders
fu il primo gioco a diffondere il concetto di raggiungere un
punteggio elevato (era il primo in grado di salvare i risultati dei
giocatori), il primo “sparatutto” nel quale anche i bersagli
rispondevano al fuoco e il primo gioco con vite multiple. E il resto
è storia.
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