Credit: Wikipedia/Gage Skidmore |
I verbali dell’FBI descrivono il modo in cui una delle vittime, identificata soltanto come J.L. (presumibilmente Jennifer Lawrence), si è fatta delle foto intime con il proprio iPhone, non le ha mai condivise pubblicamente, mandandole soltanto al proprio partner e cancellandole subito dopo averle inviate.
Detta così, si direbbe che la vittima abbia preso tutte le precauzioni normalmente sufficienti; ma dai verbali emerge che la vittima ha ricevuto una mail di phishing, che simulava un messaggio dell’assistenza clienti di Apple con il mittente appleprivacysecurity@icloud.com:
Your Apple ID was used to login into iCloud from an unrecognized device on Wednesday, August 20th, 2014. Operating System: iOS 5.4. Location: Moscow, Russia (IP=95.108.142.138). If this wasn't you, for your protection we recommend you change your password immediately. In order to make sure it is you changing the password, we have given you a one time passcode, 0184737, to use when resetting your password at http://applesecurity.serveuser.com/. We apologize for the inconvenience and any concerns about your privacy. Apple Privacy Protection.
La vittima ha dichiarato di averlo ritenuto autentico, anche se non ricorda se ha seguito le sue istruzioni. Se lo ha fatto, ha regalato la propria password di iCloud al ladro di foto, che a quel punto poteva scaricare via Internet, senza che la vittima lo sapesse, tutte le copie delle fotografie della vittima salvate automaticamente su iCloud.
Sul caso ticinese c'è stretto riserbo da parte degli inquirenti, per cui per ora non è da escludere che alcune delle foto di minorenni non siano state condivise in pubblico volontariamente ma siano state rubate via Internet con una tecnica come quella che ha descritto l’FBI, peraltro assolutamente standard nel settore. Una perizia tecnica sugli smartphone delle persone coinvolte potrebbe togliere questo dubbio importante, visto che per molti genitori (e probabilmente anche per l’opinione pubblica) c’è una grande differenza di responsabilità fra fare un autoscatto intimo tenendolo per sé o per il partner e condividerlo intenzionalmente con chiunque su un social network. Prima di giudicare, insomma, è meglio chiarire come le foto in questione sono diventate pubblicamente accessibil.
Cosa altrettanto importante, episodi come questo dimostrano che rubare le foto dagli smartphone è più facile di quel che si pensa comunemente, perché non è necessario l’accesso fisico al telefonino e quindi le normali precauzioni di buon senso non bastano. L’unica soluzione sicura per garantire che un selfie intimo non finisca in giro è, molto drasticamente, non farne, per nessun motivo. Quello che non c’è non si può rubare.
Nessun commento:
Posta un commento
Se vuoi commentare tramite Disqus (consigliato), vai alla versione per schermi grandi. I commenti immessi qui potrebbero non comparire su Disqus.