Come avrete notato dagli articoli dei giorni scorsi, sono stato a Starmus, dove fra le altre cose mi sono imbattuto in un oggetto che pensavo fosse impossibile trovare al di fuori dei centri di ricerca delle aziende specializzate: fra i vari apparati di realtà virtuale messi a disposizione dalla Swiss Society of Virtual and Augmented Reality (SSVAR.ch), c’era un Magic Leap.
Come potete notare dalla foto qui sopra, in cui guardo chi mi sta parlando mentre sto indossando il Magic Leap, si tratta di un dispositivo per realtà aumentata, non per realtà virtuale: non blocca completamente la visione del mondo esterno per rimpiazzarla con immagini sintetiche, ma sovrappone delle immagini create digitalmente sulla realtà circostante e le allinea in modo che sembrino integrate nel mondo reale.
Nella foto qui sotto, sto guardando la demo realizzata per Starmus: un astronauta in grandezza naturale, tridimensionale e animato, che fluttua nello spazio davanti a me. Gli posso girare intorno, posso avvicinarmi e allontanarmi, e posso vederlo da tutti i lati e anche dal basso: è trasparente e quindi un po’ spettrale, ma è come se fosse davanti a me.
Magic Leap non ha bisogno di sensori di posizione: guarda l’ambiente circostante, ne riconosce la forma e individua alcuni punti di riferimento per rilevare gli spostamenti dell’utente, cambiando la visualizzazione che gli viene proposta in base a dove si trova nello spazio. Questo tracking dello spostamento dell’utente è risultato molto fluido e preciso, nonostante le condizioni di illuminazione poco favorevoli (pareti uniformi, nere e poco illuminate).
Il dispositivo è leggerissimo (molto più leggero di un Oculus Quest, per fare un esempio) ed è completamente autonomo: è alimentato a batterie e ha soltanto uno scatolotto che contiene il processore principale (quello che vedete in mano alla persona che mi sta aiutando nella demo). L’interazione con gli oggetti virtuali viene effettuata usando un piccolo controller.
L’illusione della presenza degli oggetti virtuali viene un po’ spezzata non solo dalla loro trasparenza ma anche dal fatto che gli schermi incorporati nelle lenti del visore non coprono tutto il campo visivo ma solo la sua parte centrale: il risultato è che gli oggetti risultano troncati quando debordano dalla superficie degli schermi. Anche l’Hololens di Microsoft ha la stessa limitazione, ma in maniera più marcata: i suoi schermi sono più piccoli di quelli del Magic Leap rispetto all’ampiezza del campo visivo, perlomeno secondo la mia impressione di due anni fa:
Microsoft #HoloLens oggi a Lugano. Impressionante efficacia senza computer esterno pic.twitter.com/Fcq3Fi8U2l— Paolo Attivissimo (@disinformatico) October 19, 2017
Anche con queste limitazioni, gli usi possibili di un Magic Leap sono molto interessanti: per esempio come dispositivo per inviare istruzioni a un tecnico sul campo, mentre l’esperto è altrove ma vede la situazione attraverso gli occhi digitali del Leap. Il suo prezzo non trascurabile (circa 2300 dollari) lo posiziona come oggetto per applicazioni professionali più che come piattaforma di gioco.
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