Noi debunker veniamo spesso rimproverati di difendere la “versione ufficiale”. Stavolta, però, il rimprovero sarà difficile, perché ho da raccontarvi una storia che va contro la versione ufficiale. Una storia che va anche contro le mie convinzioni e certezze coltivate per decenni. Ma i fatti sono quelli che sono, e li devo raccontare come sono.
Siamo nel 1965, in piena competizione politica e militare fra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il 18 marzo l’Unione Sovietica stupisce il mondo con un’impresa incredibile: un suo cosmonauta, il trentenne Alexei Leonov, vola nello spazio intorno alla Terra, a cinquecento chilometri di quota, ed esce dalla sua capsula, la Voskhod-2, protetto solo dalla sua sottile tuta spaziale contro il vuoto cosmico.
È la prima “passeggiata spaziale” della storia. Le immagini del suo fluttuare senza peso, trasmesse poco dopo dalla TV russa e riprese a colori da una cinepresa montata esternamente, fanno il giro del mondo.
Sono immagini talmente sensazionali che inizialmente si sospetta che si tratti di una falsificazione. Ma nei giorni successivi le autorità sovietiche rilasceranno spezzoni delle riprese fatte su pellicola, che toglieranno ogni dubbio: erano impossibili da falsificare.
L’Unione Sovietica si dimostra ancora una volta in testa nella corsa spaziale, vista come una dimostrazione di forza, tecnologia e ideologia superiore. I resoconti ufficiali dell’epoca sono trionfali, il filmato del primo uomo che volteggia nel cosmo viene presentato al festival del cinema di Cannes, e i dodici minuti di attività extraveicolare vengono raccontati poeticamente come se fossero stati perfettamente controllati e pianificati.
Ma la realtà è stata ben diversa. Leonov ha galleggiato nello spazio praticamente senza alcun controllo, cercando di districarsi dal cavo lungo cinque metri che lo legava alla capsula e lo collegava alla radio di bordo. E il suo rientro a bordo è stato particolarmente drammatico.
La sua tuta, infatti, si è gonfiata e le sue mani sono scivolate fuori dai guanti, dentro le maniche, e i suoi piedi si sono sfilati dagli scarponi. Si è trovato a galleggiare all’interno della tuta. Non era più in grado di rientrare a bordo, e così è stato costretto a sfiatare parte dell’aria contenuta nella tuta spaziale, con tutti i rischi che questo comportava. È riuscito così a rientrare con enorme fatica nella capsula Voskhod-2, dove lo attendeva, impotente, il suo compagno di volo Pavel Belyaev.
Ricostruzione della “passeggiata spaziale” di Leonov, dal film The Spacewalker (in italiano Spacewalker: il tempo dei primi, 2016) |
Nel libro Two Sides of the Moon (2004), scritto con il collega e rivale statunitense David Scott, Leonov ha raccontato (a pagina 108) i dettagli delle sue fatiche, tenute segrete a lungo per difendere la versione ufficiale del Cremlino (la prima rivelazione delle disavventure di Leonov che ho trovato finora risale al 2001, in The Rocket Men di Rex Hall e David Shayler, a pagina 248). Ha spiegato che il rigonfiamento della sua tuta lo aveva obbligato non solo a sfiatare parte dell’aria interna, ma anche a rientrare nella camera di decompressione (airlock) della capsula (uno stretto tubo gonfiabile montato esternamente) a testa in avanti anziché con i piedi in avanti come previsto dalla procedura, in modo da poter azionare i meccanismi della camera con le mani.
“L’unica soluzione era ridurre la pressione della mia tuta aprendo la valvola di pressione e sfiatando un po’ di ossigeno per volta mentre tentavo di infilarmi lentamente nella camera di decompressione. Inizialmente pensai di riferire al Controllo Missione quello che intendevo fare, ma decisi di non farlo. Non volevo creare nervosismo a terra [...] Anche quando riuscii finalmente a tirarmi completamente dentro la camera di decompressione, dovetti fare un’altra manovra quasi impossibile. Dovetti raggomitolare il mio corpo per raggiungere il portello per chiudere la camera.”
Leonov, esausto, fradicio di sudore, a corto di ossigeno e intralciato dalla tuta, con le pulsazioni a 140 al minuto e una temperatura corporea salita a 38 gradi, dovette insomma fare una sorta di capriola quasi impossibile dentro la strettissima camera tubolare (quella che si vede ricostruita nell’immagine qui sopra tratta dal film russo The Spacewalker del 2016).
Il cosmonauta stesso racconta questa manovra quasi sovrumana in questo video del 2014, da 15:00 in poi.
La situazione claustrofobica e le contorsioni salvavita di Leonov vengono ricostruite dettagliatamente anche in The Spacewalker (da 1:06 in poi) secondo il racconto del cosmonauta.
Insomma, queste sue decisioni disperate ma coraggiose sono diventate leggenda e parte integrante della storia ufficiale dell’esplorazione spaziale, e infatti avevo raccontato questa vicenda cinque anni fa in occasione del cinquantenario.
Ma è emerso che non andò affatto così.
Un articolo dello storico spaziale russo Anatoly Zak, pubblicato da Air & Space alla fine di marzo 2020, ribalta completamente gli eventi, attingendo a documenti inediti, resi pubblici dalle autorità russe soltanto di recente e ospitati sul sito dell’ente spaziale russo Roscosmos. Si tratta di filmati più estesi, del diario di bordo originale e dei resoconti firmati personalmente da Leonov stesso subito dopo la missione, e in questo materiale non c’è alcuna traccia dell’eroica contorsione raccontata al mondo per decenni. Anche la decisione di sfiatare la tuta spaziale era stata ampiamente prevista durante le prove a terra.
Una pagina del resoconto di missione di Leonov, desecretato nel 2013. |
Anatoly Zak traduce così le parole scritte da Leonov:
“Sulla Terra avevo pensato cosa fare se fosse fallita la prima entrata. Avevo previsto, sulla Terra, di portare la pressione a 0,27 atmosfere (rispetto alle 0,4 atmosfere nominali). Le mie stime sono state confermate ed è andata esattamente così...”
Il cosmonauta aggiunge che alla fine dell’uscita nello spazio era stanco, ma certamente non esausto, e descrive solo una leggera difficoltà nell’entrare nella camera di decompressione, indicando chiaramente di essere entrato a piedi in avanti. Questa situazione è documentata nel filmato a 1:00:30 dall’inizio: si vede chiaramente Leonov che entra nell’assetto corretto e non con la testa in avanti come ha dichiarato per tutti questi anni.
Alexei Leonov è morto l’11 ottobre 2019 a 85 anni, e quindi non è possibile chiedergli cosa lo ha spinto a raccontare una versione sensazionale di un evento che era già di per sé storico ed eccezionale e quindi non aveva alcun bisogno di essere ingigantito. È un altro dei suoi segreti, come l’identità del pilota russo la cui manovra errata uccise involontariamente l’eroe nazionale Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, o i nomi dei veri cosmonauti perduti del programma spaziale sovietico, ma questa è un’altra storia.
La versione ufficiale, insomma, dovrà essere riscritta una seconda volta: ma l’impresa di osare di esporsi al vuoto dello spazio, protetto soltanto da una tuta fragilissima e artigianale, resterà immutata nella sua essenziale straordinarietà. Alexei Leonov sarà per sempre il primo essere umano a “passeggiare” nello spazio. Per cui continuerò certamente a celebrare il suo coraggio bevendo il mio tè sul vassoio dedicato a lui che ho comperato al Science Museum di Londra. Anche se ci sarà una punta di amaro in più.
Fonti aggiuntive: Dan Beaumont Space Museum (con spezzone dell’entrata a 37:53), Sven Grahn, Nvidia, Russian Space Web. Questo racconto fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!
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