2020/08/26

Ci ha lasciato un altro astronauta Apollo: Gerald Carr di Skylab 4


È arrivata poco fa la notizia che si è spento a 88 anni Gerald Carr, uno dei tre astronauti che fra il 1973 e il 1974 trascorsero ben 84 giorni a bordo di Skylab, la prima stazione spaziale statunitense.

Lo Skylab fu realizzato modificando un enorme stadio S-IVB concepito per le missioni lunari e fu lanciato con un vettore Saturn V rimasto inutilizzato dopo la cancellazione di alcune di queste missioni. Ho visto di persona il simulatore dello Skylab in scala 1:1 a Houston, e quell’habitat orbitante era davvero immenso, con un volume pressurizzato di 351 metri cubi: in confronto, la Stazione Spaziale Internazionale è un corridoio stretto e lungo, perché gran parte del suo volume pressurizzato (915 metri cubi) è occupata da apparati.

Lo Skylab, invece, aveva ambienti talmente grandi che gli astronauti potevano correre lungo le pareti circolari, restandovi in contatto per forza centrifuga, e le prime prove dello zaino di manovra per le attività extraveicolari furono fatte dentro la stazione. E lo Skylab fu mandato su in un colpo solo, invece di richiedere decine di voli distribuiti su vari anni come la ISS.

Notate le dimensioni delle persone.


Lo Skylab riparato, con un enorme telo dorato, improvvisato dalla NASA e installato dagli astronauti, che fa da parasole.

Test del prototipo degli zaini di manovra extraveicolare dentro lo Skylab.


Lo Skylab fu visitato da tre equipaggi per missioni di durata man mano maggiore (per gli standard dell’epoca): 28, 59 e infine 84 giorni. Carr comandò quest’ultima missione, stabilendo insieme a William Pogue e Ed Gibson un record mondiale che rimase imbattuto fino  al 1978, quando la missione sovietica Salyut 6 durò 96 giorni. Durante la missione effettuò inoltre ben tre “passeggiate spaziali”.

Le missioni Skylab sono una parte spesso trascurata della storia dell’esplorazione spaziale, messa in ombra dall’epopea degli allunaggi che si erano conclusi l’anno precedente e dal fatto che furono realizzate usando gli “avanzi” tecnologici di quelle missioni lunari. Non solo Skylab era uno stadio di un vettore lunare riadattato, ma anche i veicoli usati dai tre equipaggi erano dei Moduli di Comando e Servizio Apollo, come quelli usati per andare sulla Luna. E Carr stesso era stato scelto per la missione lunare Apollo 19, mai realizzata perché cancellata dai tagli imposti alla NASA.

Ma in realtà Carr e i suoi compagni, compresi gli equipaggi delle prime due missioni Skylab, gettarono le basi per tutte le missioni di lunga durata che oggi ci sembrano normali e dimostrarono che era possibile lavorare nello spazio e persino riparare un veicolo. Lo Skylab, infatti, aveva subìto danni ingenti durante il decollo, perdendo uno dei suoi pannelli solari e parte della propria protezione termica. Le temperature a bordo erano salite a oltre 50 gradi ed era stato necessario rinviare il lancio del primo equipaggio mentre la NASA preparava procedure d’emergenza per salvare la stazione. Il primo equipaggio (Conrad, Weitz e Kerwin) riuscì a riparare i danni con una serie di rischiose attività extraveicolari.

Secondo la stampa dell’epoca, Carr, Pogue e Gibson furono anche protagonisti del primo “ammutinamento spaziale”: in realtà si trattò di un singolo giorno di fermo delle attività di bordo, deciso degli astronauti per riprendersi da un carico eccessivo di lavoro, e durante quel giorno per un errore di configurazione delle radio non risposero alle comunicazioni. Tutto fu chiarito subito con il Controllo Missione, ma il mito della ribellione di bordo rimase.

Gerald Carr a bordo dello Skylab.


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