2021/10/31

Domande di scienza: cosa può far aumentare la CO2 in una stanza chiusa?

Ultimo aggiornamento: 2021/11/01 15:10.

C’è un mistero che non riesco a risolvere da un po’ di tempo, per cui chiedo aiuto al Cervello Collettivo.

Tempo fa ho acquistato un paio di sensori di CO2 (questi) per monitorare la qualità dell’aria al Maniero Digitale. Il loro semaforino, che diventa giallo oltre le 800 ppm e rosso oltre 1200 ppm, mi ha aiutato molto a ventilare correttamente le stanze. Ma ho una camera nella quale succede qualcosa di misterioso: la CO2 aumenta senza che nessuno entri nella stanza. L’ho notato diverse volte e non riesco a darmene una spiegazione. Preciso subito che non succede solo a Halloween.

Così oggi ho fatto un esperimento formale: ho portato nella camera entrambi i sensori (per escludere un malfunzionamento del sensore), ho cambiato l’aria aprendo la porta-finestra fino a raggiungere una concentrazione di CO2 pari a 420 ppm (la media mondiale attuale e quella che ho abitualmente all’aria aperta qui al Maniero), e ho richiuso la porta e la porta-finestra. 

Vorrei chiarire che non si tratta di un quiz a trabocchetto: davvero non ho idea di quale sia la soluzione. 

Fornisco qualche dato per rispondere preventivamente alle domande più logiche:

  • Nessuno è entrato per tutta la durata dell’esperimento, a parte me per qualche istante per fare le foto ai sensori, richiudendo subito la porta.
  • Non ci sono piante o animali nella stanza. 
  • La porta e la finestra sono rimaste tassativamente chiuse.
  • Sono certo che nessuno, né umano né animale, è entrato a parte me (ho dato istruzioni precise in casa).
  • Non ci sono termosifoni (a parte le serpentine sottopavimento, che comunque sono spente).
  • Non ci sono apparecchi elettrici a parte un Apple TV e un televisore (è una camera da letto).
  • Non ci sono bicchieri o bottiglie di acqua o altre bibite gassate nella stanza.
  • Anche la temperatura cambia, ma questo è inevitabile fra giorno e notte.

Eppure i dati sono questi:

  • 15:13 (inizio esperimento): 403 - 420 ppm
  • 15:31 449 - 472 ppm
  • 20:56 584 - 603 ppm
  • 21:43 627 - 637 ppm
  • 22:44 643 - 654 ppm
  • 23:25 (sensori ad altezze differenti) 651 ppm (per terra) - 656 ppm (a 1,5 m)
  • 23:55 (cambiato l’aria; sensori ad altezze differenti) 407 ppm (per terra) - 438 ppm (a 1,5 m)

Queste sono le foto delle prime cinque raccolte di dati:




 

Qualcuno ha qualche teoria o spiegazione? Qualche ulteriore test da fare? Ho già in mente di migliorare l’esperimento usando una webcam in modo da non aprire mai la porta e non entrare nella stanza. 

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22:50. La prima ipotesi è già arrivata via Twitter: “La CO2 che, inizialmente è uniformemente distribuita, si accumula negli strati più bassi della stanza.” (Paolo Sanna). Che ne pensate? 

Intanto ho aggiunto un altro rilevamento (quello delle 22:44) e per mettere alla prova l’ipotesi del deposito ho piazzato un sensore (quello che rileva i valore più alto) a un metro e mezzo di altezza (il massimo consentito dal cavo) e un altro per terra. Vediamo che succede tra poco.

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23.25. Il sensore per terra misura 651 ppm, quello a 1,5 m misura 656 ppm. ho collocato in alto quello che segnava sistematicamente un valore più alto. Per stasera sospendo l’esperimento. Ho cambiato l’aria nella stanza e ora il sensore per terra rileva 407 ppm e quello a 1,5 m rileva 438 ppm. Come prova successiva potrei piazzare un ventilatore per rimescolare l’aria e impedire la stratificazione dei gas.

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2021/11/01 23:45. Seguendo i vostri suggerimenti ho portato entrambi i sensori in ufficio, sulla scrivania, dove li posso tenere d’occhio. Uno l’ho sigillato dentro un sacchetto trasparente Ziploc, di cui ho chiuso l’imboccatura con l’apposita chiusura, avendo cura di sigillare con il nastro adesivo la porzione aperta intorno al filo di alimentazione; l’altro sensore è all’aria aperta. L’ufficio è un ambiente aperto che comunica con il resto del Maniero; la porta è sempre aperta.

Al momento in cui ho iniziato il test (le 23:40), con le finestre chiuse da qualche ora e due persone e una gatta nella stanza, quello sigillato segnava 638 ppm e quello non sigillato segnava 631 ppm. Ho poi aperto la porta-finestra dell’ufficio per far entrare uno spiffero d’aria esterna. Ora segnano rispettivamente 627 e 600 ppm.


 I dati (prima il sensore sigillato, poi quello non sigillato):

  • 23:40 638; 631
  • 23:50 627; 600
  • 00:00 624; 612 (ho richiuso la porta-finestra; ora sono da solo in ufficio)
  • 00:20 623; 638
  • 00:30 632; 645
  • 00:40 638; 643
  • 00:50 642; 645 (sono andato a dormire e l’ufficio è rimasto vuoto)
  • 07:20 493; 483 (sono tornato in ufficio)
  • 07:30 497; 496 (ho aperto la porta-finestra per cambiare l’aria per una decina di minuti)
  • 08:30 490; 483
  • 08:45 485; 474
  • 09:15 500; 575 (da qui in avanti siamo in due in ufficio, più la gatta)
  • 09:30 506; 577
  • 10:00 544; 636
  • 10:30 581; 656
  • 11:30 615; 636
  • 13:30 680; 744 (e qui sospendo l’esperimento in ufficio)

La temperatura è stabile intorno ai 23 gradi (ho il riscaldamento al minimo). Aggiungo anche le dimensioni della camera da letto, quella dove avviene il fenomeno misterioso: 4,8 x 3,6 m di pianta, altezza del soffitto variabile da 2,70 a 4 m.

C’è un’altra stanza del Maniero, situata allo stesso piano della Camera del Mistero, che posso lasciare chiusa a lungo. Ci installerò una webcam e i due sensori (uno chiuso dentro un sacchetto sigillato e alimentato da un powerbank) per vedere cosa succede lì.

Riemergono i nastri di quando facevo il DJ alla radio negli anni Ottanta: World Music Radio Classic

Ultimo aggiornamento: 2021/10/31 21:30.

Tanti, tanti anni fa ho fatto il DJ in inglese in una radio privata in onde medie e onde corte, World Music Radio. All’epoca mi facevo chiamare John Sinclair, come omaggio a Sir Clive Sinclair (erano gli anni dello Spectrum) e a John Koenig di Spazio 1999.

I complottisti mi rinfacciano sempre di essere stato un DJ, ma chissenefrega: è stata una delle più belle esperienze della mia gioventù. Tante amicizie nate in tutto il mondo, alcune delle quali mi hanno letteralmente cambiato la vita, tanta esperienza lavorativa che mi è tornata utile nei lavori fatti successivamente (e ancora oggi) e tantissima musica indimenticabile.

Ora sono riemerse da quel lontano passato le registrazioni di quei programmi, grazie al paziente lavoro di digitalizzazione di Andrea, che ha anche creato una stazione radio digitale in streaming regolarmente registrata.

Se volete ascoltare un po’ di musica degli anni Ottanta e dei decenni precedenti, e siete curiosi di sentire come ero diggèi da giovincello, è la vostra occasione. Lo streaming è sperimentale e non regge tanti ascoltatori simultanei, per cui questo articolo innescherà probabilmente uno stress test interessante. 

Tenete presente, inoltre, che le digitalizzazioni provengono da audiocassette di 40 anni fa e che all’epoca facevamo partire i dischi di vinile usando le “pezze”* sul piatto del giradischi, e tutto era analogico, per cui qualche problema di pitch può capitare.

* Per chi non ricorda cosa fossero le “pezze”: all’epoca le radio più professionali usavano giradischi a partenza immediata, tipo il Technics SL-1200, che non avendo l’inerzia della cinghia di trasmissione permettevano di posizionare la puntina appena prima dell’inizio della musica nel solco del disco, a giradischi fermo, e premere un pulsante per far partire immediatamente il brano.

Ma questi giradischi costavano uno sproposito, per cui le radio meno ricche si accontentavano di giradischi normali con trasmissione a cinghia, che avevano un’inerzia notevole (ci voleva quasi un giro intero per arrivare alla velocità corretta), e ricorrevano a un tappetino circolare di stoffa, la “pezza”, da mettere sul piatto sotto il disco.

Il DJ (io, in questo caso) posizionava la puntina appena prima dell’inizio del brano, teneva ben ferma la pezza con una mano, faceva partire il giradischi con l’altra in modo che il piatto fosse già in rotazione mentre il disco stava immobile sopra la pezza (che slittava rispetto al piatto), e poi mollava la pezza sulla penultima sillaba di quello che stava dicendo. Questo consentiva di ridurre lo spazio di accelerazione a un quarto di giro, che a 33 giri e 1/3 al minuto era appunto l’equivalente della durata di un paio di sillabe.

Potete ascoltare lo streaming dei programmi di tutti gli animatori storici di World Music Radio, mixati con brani più recenti, presso wmrclassic.com/streaming oppure a questo link diretto e scoprire la storia di questa radio un po’ pirata e un po’ pioniera nella sezione History.

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Per evitare equivoci e per rispondere alle domande che sono arrivate dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo: 

  • le voci che sentite nello streaming sono quelle di tutti gli animatori storici di World Music Radio, non solo la mia: la mia è solo quella che si presenta come John Sinclair. 
  • Nei programmi, la mia voce è quella di 40 anni fa; nei jingle che dicono “Hi! This is World Music Radio Classic and I'm John Sinclair! You’re listening to the rebroadcast of old World Music Radio programmes from the 1980s. Please do not send reception reports or messages to addresses mentioned in the programs as they are no longer valid. For further information, visit the website wmrclassic.com - Thanks and enjoy listening!” e “You’re listening to the classic channel of WMR, World Music Radio Classic!” è la mia di ieri :-)
  • Per quelli che faticano a riconoscere la mia voce rispetto a quella che sentono quando parlo in pubblico o nei podcast: non usavo effetti audio particolari, a parte un pochino di bassi extra, e il microfono era ben più scarso dei Neumann che uso adesso alla RSI. Semplicemente all’epoca impostavo la voce “alla DJ anni 80” e la abbassavo di tono; usarla oggi nei podcast sarebbe ridicolo.

2021/10/30

Come si prega nello spazio?

La religione nello spazio è un aspetto molto particolare ma poco conosciuto delle attività spaziali con equipaggi. Di solito le credenze religiose, se ve ne sono, vengono praticate privatamente dai singoli astronauti o cosmonauti. A bordo della Stazione Spaziale Internazionale ci sono alcune icone religiose cristiane, appese nella sezione russa, e la cabina personale di ciascun occupante della Stazione può ospitare oggetti legati alla spiritualità, ma la Stazione formalmente non offre niente di più, e lo stesso vale per i veicoli spaziali in generale.

Storicamente ci sono pochi momenti religiosi legati allo spazio. L’equipaggio di Apollo 8, nel 1968, lesse in diretta TV alcuni passi della Genesi (testo sacro per tre religioni) durante il primo volo di esseri umani intorno alla Luna. Buzz Aldrin, durante la prima missione umana sulla Luna, Apollo 11, celebrò la comunione cristiana, ma lo fece privatamente (anche per evitare contestazioni, alla quale la NASA era estremamente sensibile per motivi legali). Oggi ognuno porta con sé la propria spiritualità in maniera molto discreta. Occasionalmente si scorge qualche collana con simboli religiosi al collo di qualche astronauta, ma a parte questo la religione ha poco spazio nello spazio.

Alcune religioni, però, hanno regole precise che vengono messe alla prova dall’ambiente spaziale, ben diverso da quello nel quale sono nate. Un esempio è dato dall’Islam, con la sua prescrizione di pregare rivolgendosi verso la Mecca. Una cosa perfettamente fattibile quando si è fermi sulla Terra: basta avere una bussola o un GPS e una mappa per calcolare qual è la direzione giusta, che non cambia. Ci sono metodi differenti (quello del cerchio massimo o quello della lossodromia o rhumb line in inglese), per cui un musulmano in Alaska o a New York può pregare rivolgendosi verso nord o verso est, ma finché si sta fermi sulla superficie terrestre il problema è relativamente semplice: si sceglie una direzione e si tiene quella.

A bordo di un veicolo spaziale o di una stazione spaziale che orbita intorno alla Terra a 28.000 km/h, invece, questa direzione cambia continuamente. Nel corso di una singola sessione di preghiera, può variare anche di 180 gradi. Nel 2007 l’astronauta malese Sheikh Muszaphar Shukor, musulmano, andò nello spazio a bordo di una Soyuz, raggiungendo la Stazione Spaziale Internazionale, e si pose quindi il problema di consentirgli di espletare correttamente le proprie devozioni durante i dieci giorni della sua missione.

Fu affrontata anche la questione di come compiere gesti spiritualmente importanti come inginocchiarsi o chinare il capo in un ambiente nel quale, non essendoci un alto o un basso, non ha molto senso parlare di abbassare lo sguardo o di porsi in una posizione di sottomissione. C’era anche la questione del digiuno dall’alba al tramonto durante il Ramadan, e la missione di Shukor avveniva proprio in quel periodo. Come si determinano albe e tramonti in un ambiente in cui il sole “sorge” e “tramonta” sedici volte nell’arco di ventiquattro ore?

Anche i lavaggi rituali pongono problemi non banali, in un ambiente nel quale l’acqua scarseggia ed è riciclata partendo da urina e sudore.

Shukor non fu il primo astronauta musulmano: prima di lui volarono Sultan bin Salman bin Abdulaziz al-Saud (1985) e Anousheh Ansari (2006), ma fu il primo per il quale furono redatte delle linee guida formali. L’agenzia spaziale malese Angkasa, per la quale volava Shukor, organizzò una conferenza apposita, radunando 150 scienziati e studiosi islamici che produssero un documento, "A Guideline of Performing Ibadah (worship) at the International Space Station (ISS)", successivamente approvato dalle autorità religiose malesi.

Il documento mostra che alla fine prevalse il pragmatismo: ogni fedele faccia quello che può. Se può rivolgersi precisamente verso la Mecca, bene; altrimenti va bene se si orienta verso la proiezione della Mecca, o in alternativa almeno verso la Terra, e se neanche questo è possibile con certezza, conta comunque l’intenzione più che la pedanteria geografica.

Del resto, problemi analoghi possono capitare sui mezzi di trasporto terrestre, per esempio quando un treno cambia direzione in galleria o un aereo cambia rotta di notte. La preghiera potrebbe iniziare in una direzione e terminare in un’altra, ma è lo spirito che conta.

Se nello spazio non è possibile inginocchiarsi perché non c’è un alto o un basso, inoltre, fu deciso che è accettabile inclinare la testa oppure chiudere gli occhi, o anche solo immaginare di compiere questi gesti di devozione.

Per gli orari delle preghiere e dei digiuni, Shukor adottò il fuso orario del suo luogo di partenza dalla Terra, il Kazakistan. Per i lavaggi, invece, gli fu permessa la soluzione usata nelle zone desertiche della Terra, dove si usano le ”abluzioni a secco” (terra e sabbia per pulirsi le mani): Shukor batté simbolicamente le mani contro una parete o uno specchio.

In questo video si vede Sheikh Muszaphar Shukor che mostra come ha effettuato le preghiere giornaliere islamiche a bordo della Stazione.

Se vi interessa l’argomento, ho qualche fonte per voi (in inglese): Wired, Saudi Gazette, Christian Science Monitor.

 

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2021/10/29

Podcast del Disinformatico RSI 2021/10/29: Green pass di Hitler, nuovi Windows e MacOS, finte app di Squid Game, truffa su Booking


È disponibile il podcast di oggi de Il Disinformatico della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, condotto da me insieme ad Alessio Arigoni. Questi sono gli argomenti trattati, con i link ai rispettivi articoli di approfondimento:

Il podcast di oggi, insieme a quelli delle puntate precedenti, è a vostra disposizione presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) ed è ascoltabile anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto!

Una strana truffa su Booking

Mi capita spesso di raccontare truffe online, ma è raro che la vittima sia una persona che conosco prima che mi contatti per la truffa: stavolta, però, il bersaglio del raggiro è il collega della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera con il quale ho fatto tanti podcast, Alessio Arigoni. Lui stesso l’ha raccontata nel podcast di questa settimana: io la riassumo qui con alcune immagini che Alessio mi ha fornito.

Alessio è andato su Booking.com a cercare un appartamento per un breve soggiorno a Bologna, e ha trovato questa offerta di Lineron flats Bologna, in via San Felice 71 (ho alterato il link aggiungendogli “togliquesto-” per evitare di linkare il sito).

Ha risposto all’offerta, stando sempre sulla piattaforma Booking.com, e ha prenotato, senza anticipare denaro. Ha ricevuto correttamente la mail di conferma da Booking.com.

Poco dopo gli è arrivato tramite WhatsApp un messaggio che gli ha riepilogato in inglese i dettagli della sua prenotazione (indirizzo, date, numero degli alloggiati, prezzo) e gli ha chiesto conferma della correttezza di questi dati.


Alessio, visto che la persona conosceva i dati esatti della prenotazione, ha dato per scontato che si trattava del gestore dell’alloggio e ha risposto confermando la correttezza dei dati. 

La persona ha proseguito dando istruzioni dettagliate per il ritiro delle chiavi, stavolta in italiano, e ribadendo che il pagamento dell’appartamento “viene effettuato solo online tramite booking.com a causa del covid-19” e spiegando il funzionamento del “modulo di caparra”:


Poi ha inviato ad Alessio un link per il modulo di caparra, ma ha misteriosamente iniziato a scrivere in spagnolo. Ovviamente a questo punto Alessio si era già insospettito e questo ulteriore cambio di lingua gli ha confermato che qualcosa non quadrava e che stava comunicando con un truffatore.

Il link del fantomatico “modulo di caparra” portava a un sito che non è affatto il vero Booking.com ma è visualizzato come booking-eu punto id-404958.online/merchant91129291, presso il quale però si trova l’esatta prenotazione fatta da Alessio su Booking.com, con la richiesta di immettere i dati della carta di credito:



Un sito clone pressoché perfetto. Ma come faceva il truffatore (che si firma “Pavel” nei messaggi) a conoscere i dettagli della prenotazione, fatta effettivamente su Booking.com?

C’erano vari indizi sospetti, come il numero di telefono portoghese (l’avevate notato? Alessio ha ricevuto i messaggi WhatsApp da un numero che inizia per +351), i cambi di lingua e il link con un URL differente dal normale Booking.com, ma l’elemento che dava attendibilità a “Pavel” era appunto questa conoscenza dei dati di Alessio.

La spiegazione più probabile è questa: l’inserzione su Booking.com è gestita dal truffatore stesso. Il truffatore ha creato un alloggio inesistente su Booking.com e quindi riceve da Booking.com le informazioni sulle prenotazioni, che poi usa per contattare le vittime e dirottarle verso il suo sito-clone, nel quale le vittime immettono i dati della propria carta di credito, regalandoli così al truffatore.

In tal caso, Booking.com non avrebbe verificato l’autenticità dell’inserzione. Alessio ha segnalato la situazione a Booking, che ora mostra sulla pagina del finto alloggio la dicitura “Siamo spiacenti, al momento non è possibile effettuare prenotazioni per questo hotel sul nostro sito” ma non l’ha rimosso.

 

Non ci sono stati addebiti sulla carta di credito di Alessio (che è stata comunque bloccata e sostituita su sua richiesta) e tutto è finito bene, ma c’è mancato poco.

A settembre 2021 il programma Patti Chiari della RSI si è occupato di Booking.com e dell’affidabilità delle offerte presenti sul sito, trovando numerosi alloggi falsi:

Truffe di questo genere, vissute a mente serena in un racconto come questo, sembrano fin troppo evidenti e quindi molti si chiedono come possano essere efficaci. Ma quando vengono vissute sulla propria pelle i loro campanelli d’allarme spesso non suonano, e soprattutto il truffatore è libero di tentare il raggiro con tante persone, finché non trova quella giusta che abbocca. Siate vigili.

Squid Game, virus e truffe abusano della popolarità della serie

Tutti parlano di Squid Game, la serie coreana distribuita da Netflix, e questa popolarità ha attirato l’interesse dei truffatori.

Circolano finte app Android che fingono di essere sfondi a tema Squid Game ma in realtà installano malware, come nota Lukas Stefanko di ESET. Oltre 200 app in Google Play usano il nome della serie senza però esservi associate ufficialmente e fanno soldi attraverso le pubblicità in-app. Va ricordato che non esiste nessuna app ufficiale della serie. 

Secondo Kaspersky (a 29 minuti dall’inizio del podcast), una di queste app fraudolente è stata scaricata oltre un milione di volte e attiva di nascosto abbonamenti a servizi SMS premium a pagamento, i cui incassi vanno ai gestori dell’app, oppure rubano dati o password.

Altre segnalazioni riguardano app che dicono di consentire di vedere una puntata della serie, ma non sono ospitate da Google Play, oppure sono app che fingono di essere giochi legati alla serie ma in realtà mostrano solo un’animazione intanto che si fanno dare i dati degli utenti (o li rubano). Ci sono anche finti negozi ufficiali che rifilano fregature a chi abbocca. Non cascateci.

Fonti aggiuntive: PC Mag, Punto Informatico, Itechpost, TechRepublic, Tomsguide.

Escono Windows e Mac OS nuovi: non c’è fretta di installarli

Sono disponibili al pubblico le nuove versioni dei principali sistemi operativi per computer, ossia Windows 11 e Mac OS 12 Monterey.

Una volta tanto non è urgente installarli: non introducono miglioramenti importanti della sicurezza, perlomeno per l’utente comune, per cui aggiornatevi se volete, ma non sentitevi particolarmente in obbligo. Non c‘è fretta: Windows 10 continuerà a essere supportato fino a ottobre del 2025.

Come sempre, prima di aggiornare un sistema operativo, fate un backup completo dei vostri dati e delle vostre applicazioni (meglio ancora, dell’intero sistema), controllate che le applicazioni che usate e il vostro hardware siano compatibili con la nuova versione di Windows/MacOS e ritagliatevi un paio d’ore di tempo per l’aggiornamento. 

Ho provato a installare sia Windows 11 sia MacOS Monterey, e anche sui miei computer non particolarmente potenti o recenti non sembrano causare rallentamenti. In entrambi i casi, il computer stesso vi avvisa se è compatibile o meno con l’aggiornamento non appena tentate di avviarlo.

Windows 11

La nuova versione del sistema operativo di Microsoft offre un nuovo design molto pulito, che però ha una scelta probabilmente controversa: il pulsante Start, che per decenni è stato nell’angolo in basso a sinistra, ora sta in basso al centro della Taskbar, sovvertendo abitudini e automatismi ben radicati nella memoria muscolare degli utenti. Si può riportare a sinistra andando nelle impostazioni di Windows 11.

A parte questo, una novità interessante di Windows 11 è che vi girano o gireranno anche le applicazioni Android, grazie al Windows Subsystem for Android (WSA), anche se con alcune limitazioni hardware e geografiche. C’è una gestione più potente dei monitor multipli e delle finestre multiple, arriva un nuovo Store delle app Microsoft e ci sono alcune migliorie per i gamer. Ma non ho visto nulla che mi faccia correre ad installarlo.

MacOS 12 (Monterey)

Il nuovo MacOS è installabile anche su computer piuttosto vecchiotti (ho appena finito di installarlo su un Mini del 2014). Anche qui non ci sono miglioramenti che fanno venire fretta di installarlo: sono arrivati gli shortcut, ossia dei “programmi” o script che permettono di automatizzare le operazioni ripetitive (tipo creare una GIF partendo da un video). I Mac possono ora essere usati come monitor e altoparlanti per altri dispositivi, tramite AirPlay: si può mostrare sullo schermo del Mac lo schermo di un iPhone, per esempio. I MacBook recenti hanno una funzione di consumo energetico ridotto (è nelle impostazioni della batteria). C’è un’opzione che consente di limitare notifiche e distrazioni.

La novità forse più interessante è lo Universal Control, che però non è ancora disponibile ma dovrebbe consentire prossimamente di usare una sola tastiera e un solo trackpad o mouse di un Mac per comandare altri Mac e iPad nelle sue vicinanze (che siano sulla stessa rete Wi-Fi e usino lo stesso Apple ID e soprattutto permetterà di trascinare e mollare un file da un dispositivo all’altro.

I nuovi MacBook Pro, per contro, rivelano una magagna piuttosto comica: il loro schermo ha una tacca, il notch, per ospitare la webcam, ma la barra menu situata in alto non ne tiene conto e alcune sue voci finiscono per essere nascoste dalla tacca. Piuttosto imbarazzante, per un’azienda che ha il culto del design e dell’estetica.

Questo tweet https://twitter.com/thelazza/status/1453307197115490317 mostra un problema serio dei nuovi Mac con la tacca per la webcam:

Il problema è parzialmente risolvibile cambiando le impostazioni dello schermo in modo da sacrificarne una fettina.

Fonti aggiuntive: Howtogeek, Gizmodo.

2021/10/27

Perché questi codici QR sembrano “green pass” validi di Adolf Hitler, Topolino e Spongebob?

Pubblicazione iniziale: 2021/10/27 00:00. Ultimo aggiornamento: 2021/10/28 13:40.

Sto ricevendo numerose segnalazioni di codici QR come quello qui accanto, che alcune applicazioni di verifica dei “green pass” considerano validi ma che sono intestati ad Adolf Hitler. Successivamente si sono aggiunti altri codici QR intestati a Topolino, a Spongebob e ad altri.

Provate a scansionare i primi tre codici QR di questo articolo con l’app italiana VerificaC19 o con l’app svizzera equivalente, CovidCheck: restituiscono HITLER come cognome, ADOLF come nome e 01.01.1900 (oppure 01.01.1930) come data di nascita. Cosa più importante, queste app di verifica li accettano come validi.

A prima vista sembrerebbe essere una gravissima violazione dell’affidabilità del sistema dei green pass o certificati Covid digitali, che minerebbe alla base la fiducia nel sistema di verifica. In teoria, infatti, soltanto gli enti o operatori sanitari autorizzati hanno le chiavi crittografiche private che consentono di generare green pass validi e rendono impossibile alterare un green pass esistente immettendovi per esempio un nome differente (questa è la procedura di richiesta di autorizzazione in Svizzera, per esempio). Ma affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie, che per ora scarseggiano.

Questo è un altro codice QR (segnalato da @reversebrain) che fornisce lo stesso risultato, anche qui con il nome e cognome interamente in maiuscolo:

Questo, invece, risulta valido ma intestato a Adolf Hitler (in minuscolo tranne le iniziali), con data di nascita 01.01.1930:

Secondo le prime analisi (grazie @fuomag9 e alla sua app Green Pass Decoder), l’ente emittente indicato nei primi due codici QR sarebbe la CNAM francese (Caisse Nationale d’Assurance Maladie), ma secondo queste fonti e i commenti qui sotto il dato potrebbe essere stato immesso da chiunque abbia una chiave privata valida per l’emissione dei certificati Covid. La chiave privata, infatti, consente di firmare un certificato inserendovi qualunque valore o testo a piacere.

Il primo codice viene interpretato da Green Pass Decoder così:


{
	1:"CNAM",
	4:1697234400,
	6:1635199742,
	-260:{
		1:{
			"v":[
				{
					"ci":"URN:UVCI:01:FR:T5DWTJYS4ZR8#4",
					"co":"FR",
					"dn":2,
					"dt":"2021-10-01",
					"is":"CNAM",
					"ma":"ORG-100030215",
					"mp":"EU/1/20/1528",
					"sd":2,
					"tg":"840539006",
					"vp":"J07BX03"
				}
			],
			"dob":"1900-01-01",
			"nam":{
				"fn":"HITLER",
				"gn":"ADOLF",
				"fnt":"HITLER",
				"gnt":"ADOLF"
			},
			"ver":"1.3.0"
		}
	}
}

Il secondo codice viene letto da Green Pass Decoder come se fosse identico al primo, mentre il terzo viene decifrato come segue:


{
	4:1685101990,
	6:1635098906,
	1:"PL",
	-260:{
		1:{
			"v":[
				{
					"dn":1,
					"ma":"ORG-100001417",
					"vp":"J07BX03",
					"dt":"2021-07-11",
					"co":"PL",
					"ci":"URN:UVCI:01:PL:1/AF2AA5873FAF45DFA826B8A01237BDC4",
					"mp":"EU/1/20/1525",
					"is":"Centrum e-Zdrowia",
					"sd":1,
					"tg":"840539006"
				}
			],
			"nam":{
				"fnt":"HITLER",
				"fn":"Hitler",
				"gnt":"ADOLF",
				"gn":"Adolf"
			},
			"ver":"1.0.0",
			"dob":"1930-01-01"
		}
	}
}

Secondo queste info, dob è la data di nascita, fn è il cognome, gn è il nome, co è il paese di vaccinazione, dn è il numero di dosi ricevute, dt è la data di vaccinazione, is è l’ente che ha emesso il green pass, ma è il produttore del vaccino, mp è l’identificativo di prodotto del vaccino, sd è il numero totale di dosi, tg è la malattia coperta dal vaccino, vp indica vaccino o profilassi, ver è la versione dello schema, 4 indica la scadenza del codice e 6 indica la data di generazione del codice.

Su Raidforums c’è una discussione molto lunga e tecnica secondo la quale sembrerebbe che siano state trovate le chiavi private (o che siano state generate per forza bruta). Open ha indagato e dice che sembra che un utente polacco di Raidforums abbia creato un codice QR a nome di Hitler per dimostrare di essere in grado di farlo e offre il servizio a pagamento.

Se così fosse, chiunque potrebbe ottenere un green pass fraudolento e l’intero sistema sarebbe da buttare e rifare da capo (o almeno sarebbe necessario revocare tutte le chiavi private attuali e cambiarle) e in ogni caso il green pass avrebbe perso gran parte della sua credibilità presso l’opinione pubblica non esperta.

Stefano Zanero, docente di computer security e informatica forense al Politecnico di Milano, ha commentato pubblicamente in questo modo: “che si sia trattato di un leak o quantomeno di un abuso di chiavi di firma non è che sia discutibile, è abbastanza evidente.”

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2021/10/27 1:25. VerificaC19 non riconosce più come validi i codici QR mostrati qui sopra, o perlomeno questo è quello che dice l’app sul mio telefono Android, mentre altre persone mi dicono che la loro app continua a ritenerli validi:

L’app svizzera CovidCheck, invece, li riconosce ancora validi. 

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2021/10.27 9:20. Oggi alle 9 circa ho registrato questi due video che documentano la situazione a quel momento (il rumore che sentite nei video è prodotto dalla mia gatta MiniCalzini, che è sorda e quindi non sa quanto è rumorosa quando fa le fusa):

 

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2021/10/27 12:10. Ansa parla di chiavi sottratte e dice che “le chiavi che sono state sottratte sono state annullate e, di conseguenza, sono stati invalidati tutti i green pass generati con quei codici.”

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2021/10/27 13:00. Ne parla anche Il Post. Sembra ormai piuttosto chiaro, anche da alcune verifiche tecniche che mi sono arrivate confidenzialmente, che almeno la chiave privata francese e quella polacca usate per firmare questi codici QR sono state rubate o ottenute in qualche altro modo.

Intanto c’è anche un altro codice QR, stavolta intestato a Rokotepassieu (cognome) Ota Yhteyttä Wickr (nome) con data di nascita 06.12.1917. Dai commenti mi dicono che Rokote in finlandese vuol dire “vaccino”, quindi Rokotepassieu starebbe per “Passi Vaccino EU”, e Ota Yhteyttä Wickr dovrebbe voler dire “contattami su Wickr”). Viene tuttora riconosciuto come valido da CovidCheck ma non da VerificaC19 (perlomeno sul mio telefono Android):

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2021/10/27 14:15. VerificaC19 ora non riconosce più come valido il mio green pass svizzero. La faccenda si fa personale.

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2021/10/27 16:40. La vicenda è approdata anche in Svizzera (LaRegione; RSI.ch). Intanto  Insicurezzadigitale.com segnala un sito nel Dark Web (la parte di Internet accessibile via Tor) che venderebbe green pass falsi a partire da 250 euro.

 

Per chiunque fosse tentato di acquistarne uno sentendosi particolarmente furbo, ho due spunti di riflessione:

  • Il primo è che se sei disposto a violare la legge e a pagare 250 euro per qualcosa che potresti avere gratis semplicemente vaccinandoti, sei il bersaglio perfetto per gli spennapolli che popolano il Dark Web.
  • Il secondo è che se lo comperi, non illuderti che duri più di qualche ora: basta che un singolo agente di polizia o addetto alla sicurezza ne compri uno per sapere quale chiave privata è stata usata per generare i green pass falsi e revocare quella chiave e con essa tutti i green pass truffaldini. Ma i soldi che hai mandato ai truffatori non saranno altrettanto revocabili.

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2021/10/27 20:40. Mi è stata segnalata da fonte confidenziale l’esistenza di un codice QR che viene riconosciuto come green pass valido, sia da VerificaC19 sia da Covid-Check, ed è intestato a Mickey Mouse, data di nascita 31 dicembre 2001. Eccolo.


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2021/10/28 00:25. Mi è arrivata la segnalazione di un altro codice QR falso ma validato dall’app di verifica svizzera, stavolta a nome di Spongebob Squarepants, nato l’1/10/1900, vaccinato il 27 settembre 2021 nel Regno Unito, con Ministry of Health come emittente del certificato, tecnicamente valevole fino al 27 settembre 2022.

Sulla base di tutto questo, di questa analisi di Denys Vitali, di quest’altra analisi, del fatto che i green pass falsi sono apparentemente firmati dalle chiavi di numerosi paesi differenti e anche di alcune informazioni ricevute da fonti confidenziali, sembra che la spiegazione più plausibile (per ora, sottolineo, ipotetica) sia questa:

  • alcuni membri di piccole organizzazioni sanitarie autorizzate a emettere i certificati Covid avrebbero deciso di abusare della fiducia concessa loro e della scarsità di controlli interni (logici e fisici) e quindi avrebbero creato questi codici QR falsi per burla o per soldi.
  • Altri truffatori, nei forum online di criminali, avrebbero deciso di dire di poter generare green pass a pagamento e avrebbero usato questi green pass farlocchi come “dimostrazione” delle loro capacità. Gli allocchi pagherebbero e poi i truffatori scapperebbero coi soldi, senza consegnare il green pass promesso.

In tal caso, i  green pass corrispondenti sarebbero formalmente “veri”, nel senso che sarebbero stati emessi da persone autorizzate, e non ci sarebbe stata alcuna sottrazione massiccia di chiavi crittografiche private di paesi multipli o sfruttamento di qualche falla tecnica del sistema o (ancora più improbabile) bruteforcing per trovare queste chiavi. 

Quello degli addetti disonesti è insomma uno scenario che rispetta il Rasoio di Occam.

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2021/10/28 11:25. Matteo Flora ha pubblicato un video nel quale mostra una tecnica che consentirebbe a quasi chiunque di generare un’anteprima del green pass, senza salvarla, potendo quindi creare codici QR validi ma falsi senza lasciarne traccia nel sistema. Questa sarebbe una falla procedurale davvero grossa, che ha parecchi indizi a supporto. Ecco il video:

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2021/10/28 13:40. Sono stati trovati almeno sei punti di accesso al sistema di generazione delle anteprime dei green pass, lasciati stupidamente accessibili a chiunque. A questo punto è estremamente improbabile che siano state rubate chiavi crittografiche: i truffatori hanno semplicemente usato quello che gli addetti ai lavori hanno stupidamente lasciato in giro. Non c’è alcun bisogno di rubare chiavi, se la porta è aperta.

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 Se scoprite altri dettagli, segnalatemeli nei commenti; aggiornerò questo articolo man mano che avrò informazioni più dettagliate e sicure.

 

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2021/10/26

Gabinetti spaziali: le capsule di SpaceX hanno avuto problemi di corrosione fuori dall’orinario

In alto a destra, la toilette estraibile della Crew Dragon nel suo alloggiamento.

Il volo dei “turisti spaziali” di Inspiration 4 è stato presentato mediaticamente come un successo pieno, e in effetti tutto è andato molto bene se si considerano le complessità e difficoltà dell’impresa, ma dietro le quinte ci sono stati alcuni problemi un po’ particolari.

Secondo il resoconto pubblicato su Twitter dal giornalista specializzato Joey Roulette e dalla Associated Press, William Gerstenmaier (noto anche come Bill Gerst), ex direttore dei voli spaziali umani alla NASA e ora vicepresidente di SpaceX, ha dichiarato che il gabinetto della Crew Dragon, la capsula riutilizzabile dell’azienda, è stato riprogettato dopo i problemi che l’hanno colpito durante la missione Inspiration 4.

Un tubo che trasporta urina verso un contenitore si è rotto e staccato durante la missione e ha avuto delle perdite, dirette verso una ventola che ha spruzzato urina in un’area al di sotto del pavimento della capsula. Gerst dice che l’equipaggio non ha notato nulla durante il volo: il malfunzionamento ha interessato soltanto la sezione interna sotto il pavimento. 

Schema dell’impianto di gestione dei rifiuti biologici liquidi e solidi della capsula Crew Dragon.

La riprogettazione include un sistema completamente saldato, senza giunti che possano “scollarsi” come è avvenuto in questo caso.

SpaceX, preoccupata che lo stesso problema potesse manifestarsi nelle sue altre capsule, ha chiesto agli astronauti di usare un boroscopio (una telecamera di ispezione montata su un sottile cavo flessibile) per controllare la situazione della Crew Dragon attualmente attraccata alla Stazione Spaziale Internazionale. Gli astronauti hanno trovato la stessa contaminazione sotto il pavimento della capsula. La quantità è però minore perché gli astronauti attualmente in orbita sono rimasti nella capsula soltanto per un giorno, mentre l’equipaggio di Inspiration 4 si è trattenuto a bordo per tre giorni.

L’urina degli astronauti si mescola con un composto denominato Oxone (perossimonosolfato di potassio), usato per rimuovere l’ammoniaca dall’urina, e SpaceX temeva che questo potesse corrodere i componenti della capsula in caso di accumulo stagnante per mesi. Pertanto l’azienda ha svolto test molto estesi sulla Terra, comprese delle immersioni di pezzi in alluminio in una miscela di Oxone e urina, ponendo i pezzi per un periodo prolungato in una camera che imita le condizioni di umidità della Stazione.

SpaceX ha scoperto che la “crescita di corrosione” causata dall’Oxone “si autolimita nell’ambiente a bassa umidità a bordo della Stazione”. Per fortuna o intenzionalmente, prosegue Gerst, SpaceX aveva scelto una lega di alluminio molto insensibile alla corrosione. Gli studi proseguono con ulteriori esemplari ancora in camera di test.

La vicenda è un esempio perfetto di quanto è difficile viaggiare nello spazio, specialmente quando si trasporta un equipaggio umano, che è fragile, ha bisogno costante di alimentazione e sostentamento ed è intrinsecamente “sporco” perché la sua biologia è quella che è. Basta un niente, magari appunto una perdita in un tubo della toilette, per rovinare una missione. E se sei in rotta verso Marte non puoi tornare indietro a sistemare il guasto.

Gli ingegneri delle aziende aerospaziali sono bravi a far sembrare tutto facile, ma ogni tanto emergono storie come questa, che ci ricordano che mettere delle persone in cima ad alcune centinaia di tonnellate di propellente altamente infiammabile, scagliarle verso il vuoto pneumatico dello spazio a ventottomila chilometri l’ora, tenerle vive e farle tornare intere sulla Terra richiede dosi enormi di talento, metodo, disciplina e coraggio.

Questi sono i tweet originali di Joey Roulette:

SpaceX’s Bill Gerst says Crew Dragon’s toilet mechanics were redesigned after the toilet issues on the Inspiration4 mission. A tube that sends urine into a container broke off during the mission and leaked into a fan which sprayed the urine in an area beneath the capsule floor.

Gerst says the crew didn’t notice anything during flight; it only affected the internal section under the floor. Redesign involves a fully welded system with no joints that could come “unglued” like the faulty Inspiration4 system did.

SpaceX, concerned that the same toilet issues are plaguing its other vehicles, had astronauts use a borescope to investigate the Crew Dragon currently docked to the ISS. They confirmed SpaceX’s suspicions and indeed found similar contamination under the floor, Gerst said

Astronaut pee is mixed with a compound called Oxon, and SpaceX worried that might corrode hardware on Crew Dragon if pools around the system unchecked for months. So SpaceX did "extensive tests" on the ground that involved soaking aluminum parts in an Oxon-pee mixture

For "an extended period of time," the Oxon-pee-soaked aluminum parts were placed in a chamber that mimicked the humidity conditions on the ISS. SpaceX found "that corrosion growth" caused by Oxon pee "limits itself in the low-humidity environment onboard station."

typo correction - I’ve been told that the correct spelling of the ammonia-removing compound in the astronaut pee is oxone, not “oxon”

So anyway, Crew Dragon appears to be resilient to piss. Gerst: "Luckily, or, on purpose, we chose an aluminum alloy that is very insensitive to corrosion." The study is ongoing — "We got a couple more samples we'll pull out of the chamber"

This was a really good example of how a engineering problem was detected, studied and fixed. Gotta commend Gerst’s transparency here.

 

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2021/10/25

Il Fatto Quotidiano, ANSA e Il Sole 24 Ore pubblicano tutti la stessa notizia falsa

Qualcuno ha una spiegazione plausibile per quest'improvvisa tripletta di fake news su Sole 24 Ore, Ansa e Fatto Quotidiano a proposito dell'atterraggio di Perseverance "oggi" (in realtà avvenuto a febbraio scorso)? 

A parte il rincitrullimento collettivo, intendo?

In realtà la sonda Perseverance è atterrata il 18 febbraio 2021. Qui non c’è ma e non c’è se, non è questione di opinioni: la notizia è falsa. Questo dimostra che i controlli sulle notizie pubblicate sono inesistenti. Ma ricordiamoci che le fake news sono colpa di Internet, mi raccomando :-)

Ho chiesto lumi alle rispettive redazioni: Sole 24 Ore, ANSA, Fatto Quotidiano.




Copia permanente della tripla perla: ANSA, Fatto Quotidiano, Sole24 Ore.

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2021/10/24

Due chiacchiere sull’incertezza dell’esplorazione spaziale al CICAPFest

Il 3 settembre scorso ho fatto una chiacchierata pubblica a ruota libera, nell’ambito del CICAPFest tenutosi a Padova, sul tema dell’esplorazione spaziale e delle sue incertezze. Se vi interessa, c’è un video della chiacchierata: lo trovate qui sotto.

Purtroppo la qualità audio non è un granché, perché il sonoro non è stato preso dal mixer.

2021/12/30. L’audio diretto dal mixer, molto più pulito, è ora disponibile qui su Radio Cicap e qui su YouTube.

2021/10/22

La bufala della Tesla schiantatasi in Texas e "nessuno era al volante"

Ricordate la vicenda della Tesla Model S che ad aprile 2021 si era schiantata vicino a Houston mentre "nessuno era al volante", secondo la polizia e come scriveva Repubblica? Le due persone a bordo erano morte.

Ora la perizia tecnica del National Transportation Safety Board dimostra, sulla base dei dati recuperati dalla “scatola nera” di bordo, che c’era eccome una persona al posto di guida e che l’acceleratore era premuto praticamente a fondo (al 98,8%) e che la velocità massima registrata nei cinque secondi precedenti l’impatto è stata di 108 km/h.

Data from the module indicate that both the driver and the passenger seats were occupied, and that the seat belts were buckled when the EDR recorded the crash. The data also indicate that the driver was applying the accelerator in the time leading up to the crash; application of the accelerator pedal was found to be as high as 98.8 percent. The highest speed recorded by the EDR in the 5 seconds leading up to the crash was 67 mph.

L’Autopilot, insomma, avrà anche un nome discutibile, ma in questo caso proprio non c’entra nulla. Vediamo se i giornali che hanno pubblicato la notizia iniziale pubblicheranno la rettifica. Per ora l’articolo di Repubblica è ancora al suo posto, com’era sei mesi fa, senza alcuna menzione dei nuovi risultati della perizia. Ne salvo una copia permanente, non si sa mai che qualcuno scopra il ravvedimento operoso.

La mia indagine iniziale, con tutti i dettagli e la cronologia della vicenda, è qui.


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Podcast del Disinformatico RSI 2021/10/22: Virus replicanti, oggi e 20 anni fa. Da Iloveyou a FluBot


È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto). Questa puntata (la numero 700 da quando ho iniziato, nel 2006) è in versione Story, quella sperimentata quest’estate e dedicata all’approfondimento di un singolo argomento, che sarà il format standard dal 5 novembre prossimo.

Come consueto, i podcast del Disinformatico di Rete Tre sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo e i link alle fonti della storia di oggi, sono qui sotto!

Nota: la parola CLIP nel testo che segue non è un segnaposto in attesa che io inserisca dei contenuti. Indica semplicemente che in quel punto del podcast c’è uno spezzone audio. Se volete sentirlo, ascoltate il podcast oppure guardate il video (se disponibile) che ho incluso nella trascrizione.

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Credit: Naked Security.

[CLIP: (in sottofondo) Rumore di tastiera di computer degli anni 90]

È il 4 maggio 2000, un giovedì come tanti a Manila, nelle Filippine. Uno studente d’informatica, il ventiquattrenne Onel de Guzman, vuole collegarsi a Internet, come tante altre persone in tutto il mondo quel giorno.

Ma Onel non sa ancora che tra poche ore scatenerà il caos informatico planetario, causando danni per oltre dieci miliardi di dollari, travolgendo il Pentagono, la CIA, il Parlamento britannico e moltissime aziende multinazionali. Farà tutto questo usando un singolo computer e un messaggio d’amore ingannevole, che si propagherà via mail in decine di milioni di esemplari perché gli utenti non sapranno resistere alla curiosità di sapere cosa c’è dietro le tre parole di quel semplice messaggio scritto da Onel: I Love You.

Mentre preparo questo podcast, la Svizzera e molti paesi europei sono invasi da messaggi digitali che stuzzicano gli utenti allo stesso modo: sono SMS che dicono che c’è un messaggio vocale importante per loro. Chi non resiste alla tentazione, li apre e ne segue ciecamente le istruzioni finisce per farsi infettare lo smartphone e per farsi rubare il contenuto del proprio conto bancario.

Questa è la storia di quell’attacco informatico mondiale di oltre vent’anni fa e dei suoi paralleli con quello in corso attualmente. Gli anni passano, la tecnologia cambia, ma la leva più potente per scardinare le difese tecnologiche rimane sempre la stessa: la curiosità umana.

[SIGLA]

Torniamo a Manila e a quello studente d’informatica, Onel de Guzman. È squattrinato e le connessioni a Internet costano. Così ha un’idea: scrivere un worm, ossia un programma autoreplicante che rubi le password di accesso a Internet di altri utenti, così lui potrà collegarsi senza pagare.

Per creare questo worm, de Guzman sfrutta una delle scelte più fallimentari della storia dell’informatica: quella di nascondere automaticamente le cosiddette estensioni dei nomi dei file. Ogni file, infatti, ha un nome che è composto da una parte principale e da un’estensione: se scrivete un documento con Microsoft Word e lo chiamate Fattura, il suo nome completo sarà Fattura.docx. Docx è l’estensione. Il punto separa la parte principale del nome dalla sua estensione.

Questa estensione viene usata spesso dai dispositivi digitali per sapere come gestire un file: per esempio, se l’estensione è xls o xlsx, allora si tratta di un foglio di calcolo, che va aperto con Excel; se l’estensione è odt, è un documento di testo che va aperto con LibreOffice o OpenOffice; se l’estensione è mp3, è un brano musicale o un file audio, e così via.

Ma normalmente Windows nasconde le estensioni, appunto, e Onel lo sa bene. Così crea un worm che manda una mail che contiene un allegato il cui nome termina con .txt.vbs. In questo modo chi riceve l’allegato vede un file che ha apparentemente l’estensione txt, che identifica i file di testo normale, assolutamente innocui, ma in realtà il file è uno script, ossia un programma scritto in Visual Basic.

In altre parole, l’allegato sembra un documento perfettamente sicuro agli occhi della vittima, ma il computer della vittima lo interpreta come una serie di comandi da eseguire.

Non solo: Onel de Guzman approfitta anche di un altro errore monumentale presente in Microsoft Outlook a quell’epoca: Outlook esegue automaticamente gli script in Visual Basic che riceve in allegato se l’utente vi clicca sopra.

Queste due falle, concatenate, permettono a de Guzman di confezionare un attacco potentissimo: le vittime ricevono via mail quello che sembra essere un documento non pericoloso ma è in realtà un programma, lo aprono per sapere di cosa si tratta, e il loro computer esegue ciecamente quel programma. Il programma a quel punto si legge tutta la rubrica degli indirizzi di mail della vittima e la usa per mandare una copia di se stesso a tutti i contatti del malcapitato utente intanto che ruba le password di accesso a Internet.

L’effetto valanga che ne consegue è rafforzato dall’ingrediente finale scelto da Onel de Guzman: il nome dell’allegato l’oggetto della mail è I Love You, “ti amo” o “ti voglio bene” in inglese, scritto senza spazi.

Mettetevi nei panni delle vittime di questo attacco: ricevete una mail che vi invita a leggere una lettera d’amore. Questa lettera, oltretutto, proviene da qualcuno che conoscete. Riuscireste a resistere alla tentazione di aprirla?

Il risultato di questa tempesta perfetta di difetti informatici e di astuzia psicologica è un’ondata virale di messaggi che nel giro di poche ore intasa i computer di mezzo mondo, causando confusioni e congestioni a non finire, anche perché il virus informatico non si limita ad autoreplicarsi massicciamente, ma rinomina e cancella anche molti dei file presenti sui dischi rigidi delle vittime.

Vengono colpiti il settore finanziario di Hong Kong, il parlamento danese, quello britannico, la CIA, il Pentagono, la Ford e Microsoft stessa, paralizzate dall’enorme traffico di mail; lo stesso accade a quasi tutte le principali basi militari degli Stati Uniti. Le infezioni segnalate nel giro di dieci giorni sono oltre cinquanta milioni: circa il 10% del computer di tutto il mondo connessi a Internet. I danni e i costi di ripristino ammontano a decine di miliardi di dollari.

[CLIP: reporter di CTV che riferisce dei danni causati da Iloveyou (da 0:09 a 0:23)]

Eppure Onel de Guzman, con il suo worm Iloveyou, voleva soltanto procurarsi qualche password per connettersi a Internet senza pagare.

[CLIP: Suono di modem che si collega in dialup]

Quando si rende conto del disastro che ha involontariamente combinato, cerca di coprire le proprie tracce, ma è troppo tardi: nel giro di pochi giorni viene rintracciato dalle autorità.

Ma le leggi delle Filippine nel 2000 non includono i reati informatici e quindi de Guzman non è punibile, perché non ha commesso alcun reato.

Negli anni successivi il creatore accidentale di uno dei virus informatici più distruttivi della storia scomparirà dalla scena pubblica. A maggio del 2020 viene rintracciato da un giornalista, Geoff White, che scopre che Onel de Guzman lavora presso un negozietto di riparazione di telefonini a Manila. Ogni tanto qualcuno lo riconosce, ma lui mantiene un profilo basso ed evita ogni attenzione mediatica. Chissà se sa che nel 2002 i Pet Shop Boys hanno scritto una canzone, E-mail, che a giudicare dal testo, con quella richiesta di mandare una mail che dice "I love you", sembra proprio dedicata a lui.

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Da quell’attacco informatico sferrato per povertà da uno studente oltre vent’anni fa sono cambiate molte cose. Le Filippine, come moltissimi altri stati, ora hanno leggi che puniscono severamente il furto di password e il danneggiamento dei sistemi informatici. Microsoft ha chiuso le falle tecniche che avevano permesso a Onel de Guzman e a molti altri suoi emuli di creare programmi ostili autoreplicanti.

Ma dopo molti anni senza ondate di virus informatici diffusi automaticamente via mail, in questi giorni è ricomparso un worm che usa esattamente le stesse tecniche sfruttate da Onel de Guzman e si sta diffondendo a moltissimi utenti di smartphone in un elevato numero di copie. Si chiama FluBot, e invece di usare la mail adopera gli SMS, ma a parte questo segue il medesimo copione.

La vittima di FluBot riceve un SMS il cui mittente è qualcuno che conosce e di cui quindi tende a fidarsi, proprio come capitava con Iloveyou. L’SMS contiene un invito a cliccare su un link per ascoltare un messaggio vocale, e siccome proviene da un suo contatto scatta la molla emotiva della curiosità, oggi come vent’anni fa. 

Credit: Le Temps.

Il messaggio vocale, però, in realtà non esiste e il link porta invece a un avviso che dice che per ascoltare il messaggio la vittima deve installare un’app apposita non ufficiale che non si trova nei normali archivi di app. Questa app è il virus vero e proprio.

Se la vittima abbocca all’esca emotiva e la installa, FluBot prende il controllo dello smartphone e si mette in attesa. Quando la vittima usa il telefonino per una transazione bancaria, FluBot se ne accorge, ruba il nome utente e la password e intercetta l’SMS che contiene la password aggiuntiva temporanea necessaria per validare la transazione. Fatto questo, ha tutto il necessario per prendere il controllo del conto corrente della vittima e consegnarne il contenuto ai criminali informatici che gestiscono il virus.

Già che c’è, FluBot usa la rubrica telefonica della vittima per trovare nuovi bersagli, esattamente come faceva Iloveyou, e questo gli consente di propagarsi in modo esplosivo.

Rimuovere FluBot dal telefonino, inoltre, non è facile: non basta togliere l’app ma è necessario un riavvio in Safe Mode, una procedura che è meglio affidare a mani esperte.

C’è anche un altro parallelo con quell’attacco di due decenni fa: FluBot può colpire soltanto se l’utente clicca sul link presente nel messaggio, proprio come avveniva con lloveyou. Senza questo primo gesto, l’attacco fallisce.

FluBot e Iloveyou sono accomunati anche da un’altra peculiarità: funzionano soltanto su alcuni tipi specifici di dispositivi molto diffusi. Iloveyou poteva agire soltanto sui popolarissimi sistemi Windows 95 che usavano Outlook; non aveva alcun effetto sui computer MacOS o Linux. Allo stesso modo, oggi FluBot colpisce soltanto gli smartphone, e specificamente gli smartphone Android; non ha effetto sui telefonini non smart e sugli iPhone.

L’attacco di FluBot, quindi, ha effetto soltanto se si verifica una catena ben precisa di errori dell’utente:

  1. la vittima si fida del messaggio di invito, pensando che provenga da un suo conoscente fidato;
  2. clicca sul link presente nel messaggio; 
  3. scarica e installa un’app non ufficiale senza chiedersi come mai non è presente negli App Store normali; 
  4. e usa uno smartphone Android senza proteggerlo con un antivirus aggiornato. 

Se manca uno solo di questi anelli della catena, l’attacco fallisce.

Oggi come allora, insomma, difendersi dagli attacchi informatici più diffusi è soprattutto questione di emozioni, di psicologia più che di tecnologia. E siccome la psicologia umana non cambia e non si aggiorna, certe trappole funzionano sempre e continueranno a funzionare.

La differenza è che adesso le trappole psicologiche vengono usate dal crimine organizzato, mentre vent’anni fa Onel de Guzman era semplicemente uno smanettone che voleva usare Internet a scrocco. E la sua esca psicologica era altrettanto semplice: il bisogno universale umano di sentirsi amati da qualcuno. 

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Informazioni su FluBot e istruzioni per riconoscerlo e rimuoverlo

Guida dell’operatore telefonico svizzero Salt (in italiano).

Descrizione tecnica dettagliata di FluBot (Switch.ch, in inglese).

Articolo di Le Temps.ch (in francese).

Avvertenza del Centro Nazionale per la Cibersicurezza svizzero (in italiano, giugno 2021).

Fonti aggiuntive: CNN, Sophos, AP Archive, Graham Cluley.

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