È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto). Questa è la versione Story, dedicata all’approfondimento di un singolo argomento.
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Se vi interessano il testo e i link alle fonti della storia di oggi, sono qui sotto. Buon ascolto!
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[CLIP: (in sottofondo) Vento e rumori di una città deserta]
Qui una volta, neanche tanto tempo fa, viveva tanta gente. Le strade erano piene di vita, c’erano negozi, luoghi d’incontro, milioni di cittadini, un’economia fiorente e in crescita, un artigianato creativo e originale. Gli esperti dicevano che questa sarebbe stata la comunità del futuro, con nuove leggi e nuove forme di cultura e socialità.
Oggi c’è il deserto: la popolazione è crollata, nei negozi non c’è più quasi nessuno e le ambasciate aperte con entusiasmo e milioni di dollari pochi anni fa sono deserte.
Questa è la storia di Second Life, la comunità virtuale che molti commentatori, in questi giorni, citano come modello e monito a proposito del Metaverso, la nuova esperienza virtuale di Internet proposta da Mark Zuckerberg, e di come il suo fallimento e i suoi errori possono illuminare la strada verso il futuro immersivo descritto dal fondatore di Facebook.
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È il 23 giugno 2003: Philip Rosedale della Linden Labs pubblica Second Life, un’applicazione che consente agli utenti Windows, Mac e Linux di creare un simulacro digitale di se stessi, un avatar, e di muoverlo in un mondo virtuale tridimensionale, interagendo con altri utenti tramite la voce e i gesti, per socializzare e partecipare ad attività di gruppo, costruire ambienti, fabbricare oggetti virtuali, comprarli e venderli. Second Life ha una moneta, il Linden Dollar. Non è un gioco: non c’è un obiettivo o un traguardo da raggiungere. Second Life è un luogo, dove sono gli utenti a decidere cosa succede e ognuno può scegliere di avere l’aspetto che preferisce.
È una rivoluzione: gli utenti arrivano a frotte e non si parla d’altro. I giornali generalisti descrivono Second Life esaltandone le immense opportunità economiche. Nel 2005 Linden Labs dichiara che l’economia di Second Life ha generato tre milioni e mezzo di dollari in un solo mese. Nel 2006 il PIL di Second Life sale a 64 milioni. In Second Life si tengono concerti e conferenze, compreso il World Economic Forum di Davos, le imprese acquistano spazi virtuali pagandoli fior di quattrini, i governi aprono consolati per fornire informazioni e servizi. Nel 2007 anche il ministro italiano delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, apre uno spazio su Second Life per il proprio movimento politico.
Ma proprio nel 2007 cominciano ad arrivare le stroncature. Second Life risulta lento e macchinoso da usare, la sua grafica è rudimentale e richiede computer potenti e una connessione veloce a Internet; ma soprattutto gli oltre otto milioni di utenti vantati da Second Life sono in realtà tutti coloro che si sono iscritti gratuitamente, sono entrati una volta sola e non si sono più ripresentati.
Secondo i dati di Forrester Research, anche nei momenti di punta non ci sono mai più di 30-40.000 utenti collegati attivi. I negozi virtuali delle aziende sono deserti. Subentra un certo imbarazzo, perché uno degli oggetti più commerciati su Second Life è costituito dai genitali (che si devono comperare a parte). La bolla scoppia.
Oggi Second Life esiste ancora. Dichiara circa 900.000 utenti attivi: niente, rispetto ai tre miliardi di Facebook e alle centinaia di milioni di tanti altri social network e mondi virtuali più recenti, come Roblox o Minecraft. I suoi Linden Dollar, che una volta si scambiavano alla pari con il dollaro statunitense, sono quasi carta straccia: nel 2020 il tasso di cambio era 320 Linden Dollar per un solo dollaro americano. La grafica è migliorata, i computer odierni hanno tutti una potenza di calcolo più che sufficiente e le connessioni Internet veloci sono ovunque.
Ma resta un problema di fondo: esattamente a che cosa serve Second Life?
[CLIP: Zuckerberg presenta il Metaverso]
Se tutto questo vi sembra molto familiare, è normale. Il Metaverso proposto a ottobre 2021 da Mark Zuckerberg con enorme visibilità mediatica è, sotto molti punti di vista, una riedizione delle idee di Second Life, ma con una tecnologia decisamente superiore e un’ideologia molto chiara sin da subito, che si riassume in due parole: soldi e dati.
A differenza di Second Life e di molti altri mondi virtuali, il Metaverso di oggi non è limitato a qualcosa che abbiamo davanti a noi sullo schermo e che comandiamo toccando dei tasti: può essere usato anche in questo modo, ma si estende anche alla realtà virtuale e alla realtà aumentata. Non c’è un “dentro” e un “fuori”, una linea netta di confine: si può entrare nel Metaverso in maniera graduale.
Il livello più semplice è ancora basato sullo schermo tradizionale: Microsoft, per esempio, ha annunciato che offrirà gli avatar in Teams. Potremo quindi partecipare a una videoconferenza su Teams presentandoci con un’immagine animata tridimensionale, che duplicherà i nostri gesti e le nostre espressioni, al posto della nostra immagine video spettinata, struccata, sonnolenta e male illuminata. Per chiunque abbia difficoltà o disagi nel presentare il proprio aspetto o la propria identità, questo può essere un miglioramento sociale notevolissimo. Questo livello non richiede occhiali speciali, visori per realtà virtuale o altri accessori: basta una normale telecamera.
Chi invece ha questi accessori può vivere il Metaverso in maniera molto più immersiva. Gli occhiali per realtà aumentata promettono di mostrare oggetti o persone virtuali integrati direttamente – perlomeno a livello visivo – nel mondo reale. Vedere famiglia e amici lontani come se fossero seduti nel nostro soggiorno è sicuramente allettante. E naturalmente i pubblicitari hanno già l’acquolina in bocca al pensiero di assalire i nostri sensi con spot virtuali animati che sbucano dai muri per convincerci a comperare nuovi prodotti e servizi.
Con i visori per la realtà virtuale, quelli che coprono tutto il campo visivo con immagini tridimensionali, tutto quello che vediamo intorno a noi è creato digitalmente e quindi è manipolabile in mille modi. Possiamo presentarci con avatar tridimensionali, andare virtualmente a eventi o concerti con la sensazione visiva di essere in mezzo al pubblico o addirittura sul palco, esplorare in tutta sicurezza luoghi inaccessibili, accogliere gli amici in una casa virtuale lussuosa e sempre magicamente pulita e in ordine. Questa è la forma più ricca del Metaverso, che però non è solo realtà virtuale: il Metaverso è una tecnologia ben più ampia e abilitante.
Molte aziende qui fiutano l’odore dei soldi: quegli avatar andranno vestiti in qualche modo, e quindi si potranno vendere indumenti virtuali, esattamente come oggi si comprano a caro prezzo skin e altri accessori in giochi come Fortnite o Call of Duty. Quei concerti e quei luoghi virtuali avranno un biglietto d’ingresso. Quelle ville virtuali dovranno essere progettate e costruite da qualcuno, e sarà socialmente necessario che siano personalizzate, naturalmente a pagamento, perché sarà considerato imbarazzante presentarsi con una casa standard, un po’ come nel libro Snow Crash di Neal Stephenson, lo scrittore che ha coniato il termine “metaverso”, i poveri hanno accesso a questo ambiente virtuale tramite terminali pubblici che li visualizzano in bianco e nero, aprendoli alla derisione degli altri.
Questi comportamenti sociali, però, non sono fantascienza: già oggi in Fortnite i giocatori deridono e bullizzano gli altri utenti che non comprano le skin personalizzate per i propri avatar e si presentano con l’aspetto standard, esattamente come si viene a volte sbeffeggiati e umiliati perché ci si presenta a scuola o in ufficio con le scarpe o i vestiti dell’anno scorso.
Le imprese hanno così già la salivazione accelerata: ci saranno da vendere tanti oggetti virtuali e anche oggetti reali per poter fruire di quelli virtuali. Per sfoggiare la skin del proprio avatar all’ultima moda bisognerà infatti avere un casco per realtà virtuale di nuova generazione e serviranno connessioni mobili, probabilmente 5G, sempre più veloci.
L’interesse commerciale, però, non è solo direttamente monetario: l’uso del Metaverso, specialmente tramite occhiali per realtà aumentata e visori per realtà virtuale ma anche con semplici telecamere che ci riprendono, regala alle aziende montagne di dati biometrici e fisiologici altrimenti inaccessibili e immensamente monetizzabili.
Cose come il modo in cui ci muoviamo, in che direzione guardiamo, come parliamo, come respiriamo, che espressioni facciamo, se abbiamo messo su qualche chilo di troppo e dove, quanto movimento fisico facciamo: dati estremamente personali, usabili sia per diagnosticare lo stato di salute di miliardi di persone, con ovvie conseguenze per la privacy, sia per personalizzare ancora di più le offerte pubblicitarie. “Abbiamo notato che sorridi di meno ultimamente. Ti serve un antidepressivo? Vuoi vedere un film comico? Ti interessa un sito di incontri?”
Il metaverso e gli avatar pongono anche delle nuove sfide sul fronte della sicurezza informatica. Oggi siamo purtroppo abituati al ransomware che blocca i dati aziendali e chiede un riscatto per sbloccarli; nel metaverso arriveranno, inevitabilmente, anche i criminali informatici con forme di attacco su misura per questo ambiente. Non è difficile immaginare un ransomware che toglie i vestiti al nostro avatar e chiede soldi per non farci andare in giro nel metaverso nudi o farci partecipare a una videoconferenza serissima conciati come Pennywise, il pagliaccio assassino di It.
Per le imprese, insomma, anche stavolta i motivi di lucro per interessarsi al metaverso non mancano, e questo spiega il fragore mediatico dell’annuncio di Mark Zuckerberg. Rispetto ai tentativi passati, come Second Life, è cambiata però un’idea fondamentale: il metaverso oggi viene proposto come un’esperienza fluida e continua, che ingloba tutto e non ha barriere. In Second Life bisognava entrare, e quello che si creava restava lì, sui computer di una specifica azienda; nel metaverso prossimo venturo, invece, gli avatar, gli oggetti e gli indumenti creati saranno esportabili e usabili ovunque, grazie a standard aperti. O almeno così ci viene promesso: ci sono ancora parecchi ostacoli tecnici ed economici notevoli da superare.
Nel frattempo resta senza risposta una domanda, che è la stessa che mise in crisi Second Life: esattamente a cosa serve il Metaverso? A parte fare soldi per le aziende, intendo.
Manca, per ora, la cosiddetta killer app del Metaverso: quell’applicazione i cui pregi sono così evidenti e irresistibili da spingere tanti ad acquisire gli strumenti necessari per poterla usare. In passato abbiamo avuto killer app come VisiCalc e WordStar, un foglio di calcolo e un programma di scrittura testi che fecero esplodere il mercato dei personal computer, o Video Toaster sugli Amiga, o ancora Excel e poi Microsoft Office per il mondo Windows.
È impossibile prevedere quale sarà questa killer app. Specialmente in informatica, cercare di prevedere il futuro è come guidare a fari spenti lungo una stradina di campagna guardando nello specchietto retrovisore. E quindi questa è un’altra storia.
Fonti aggiuntive: Money Crashers, QRCA Views, Wikipedia, Engadget.
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