2022/03/31

DragonChase 2022: slitta al 20 aprile la partenza della Crew-4; conferenza stampa dell’equipaggio

Steve Stich, della NASA, ha comunicato oggi che il lancio della Crew-4 slitterà di un giorno, dal 19 al 20 aprile, per lasciare più tempo fra il lancio di Axiom-1 e la partenza di Crew-4.

Per noi DragonChaser i margini di tempo per essere presenti al decollo si assottigliano, ma ci stiamo ancora dentro.

Intanto si è tenuta una conferenza stampa di un’ora con l’equipaggio della Crew-4 dal Johnson Space Center. La potete rivedere qui su YouTube o nell’embed qui sotto. 

A 5m25s, Bob Hines conferma che Samantha Cristoforetti potrebbe avere l’occasione di una EVA con i russi. A 10m00s, Hines spiega l’origine del suo nome da pilota, Farmer: l’agricoltura non c’entra e si tratta di un riferimento scherzoso a un aviogetto militare russo, la cui designazione NATO è appunto Farmer. Subito dopo, Jessica Watkins spiega che la chiamano Watty semplicemente sulla base del suo cognome. Kjell Lindgren spiega il senso della patch, concepita dalla figlia, e nota che la libellula che mostra è in parte ispirata dal fatto che una libellula si è posata sulla spalla di uno degli astronauti poco prima di salire a bordo di una delle prime missioni con equipaggio di SpaceX e molti l’hanno considerato un buon auspicio.

A 15m30s interviene Samantha a spiegare che prossimamente non sarà più l’unica donna nel corpo astronauti dell’ESA, grazie alla nuova campagna di selezione.

A 18m40s Lindgren nota che fra le migliorie della nuova capsula Crew Dragon ci sono le porte USB per la ricarica dei tablet di bordo, ispirate dalle esigenze della missione privata Inspiration 4 :-)

A 23m20s Samantha spiega il feedback ricevuto dagli equipaggi precedenti grazie ai debriefing approfonditi e alle mitiche pizza evening che sono ricche di spunti informali su come si vive a bordo della capsula.

A 36m circa si parla delle tradizioni di lancio, e pare che i novellini debbano pagare sempre da bere ai veterani. Samantha accenna all’importanza della ritualità e di quanto sia confortante, specialmente in Russia, e non vede l’ora di scoprire le tradizioni del Kennedy Space Center. 

A 40m30s arriva una domanda sui rapporti con i colleghi russi in considerazione della situazione in Ucrania, e Kjell Lindgren risponde molto diplomaticamente e pragmaticamente: la sola priorità è lavorare insieme ai colleghi russi per la manutenzione e il funzionamento della Stazione.

A 46m circa Hines parla delle possibilità di restare in contatto con la famiglia quando si è a bordo della Stazione, grazie anche a un telefono IP (solo voce) che possono usare frequentemente, più una videoconferenza settimanale.

A 54m circa Lindgren racconta l’esperienza magica di assistere tutti insieme, dallo spazio, al decollo notturno di una delle capsule cargo che riforniscono la Stazione e accenna alla possibilità che questo equipaggio assista al decollo del vettore gigante Artemis 1.

A 55:00 Samantha spiega che per questa missione non si è addestrata per l’uso delle tute da EVA statunitensi ma solo con la Orlan russa e ribadisce che la sua EVA è “al 100% non certa”.

L’impressione generale della conferenza stampa è di grande affiatamento e rilassatezza dell’intero equipaggio. Ad astra!

2022/03/30

Il misterioso attacco a Viasat finalmente spiegato in dettaglio da Viasat

All’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio scorso, una parte significativa delle comunicazioni militari ucraine è diventata impossibile a causa di un attacco informatico al sistema di telecomunicazioni satellitari di Viasat usato appunto dalle forze militari del paese. L’attacco ha avuto ripercussioni anche in altri paesi che usano Viasat, dal Regno Unito alla Repubblica Ceca al Marocco. Fra i sistemi colpiti dagli effetti collaterali dell’attacco ci sono anche circa 2000 pale eoliche in Germania. Non risultano interessate le compagnie aeree che usano i sistemi Viasat o i clienti Viasat del governo statunitense. I modem degli utenti colpiti sono stati resi inservibili.

La vicenda è stata raccontata inizialmente dal Washington Post, da The Hill e in dettaglio da Ars Technica.  Anche Wired.it ne ha parlato in questo articolo, indicando che sarebbero stati colpiti dall’attacco circa 27.000 utenti.

Oggi, finalmente, l’azienda direttamente interessata, Viasat, ha pubblicato il proprio resoconto dell’attacco, che spiega come si è svolto e quale punto debole dell’infrastruttura è stato sfruttato. La lettura è molto interessante, perché mostra un modo poco hollywoodiano e per nulla intuitivo di portare alla paralisi una rete di telecomunicazioni satellitari. Non c’è bisogno di “hackerare il satellite” se qualcuno configura maldestramente un accesso VPN al sistema di gestione della rete a terra e da lì qualcun altro manda comandi ai modem degli utenti, inducendoli a sovrascrivere le proprie memorie flash e diventare incapaci di ricollegarsi.

Lo scenario più plausibile è un attacco da parte russa o di affiliati o simpatizzanti del governo russo, ma al momento non ci sono prove.

2022/03/28

L’Ucraina, la “denazificazione” (secondo i russi) e il battaglione Azov, debunkati in nove minuti da Ros Atkins

Mi sono ripromesso di tenermi fuori dal teatrino dei complottismi intorno all'invasione russa dell’Ucraina, ma faccio un’eccezione per questo servizio di Ros Atkins, della BBC, che spiega e smonta bene la polemica artificiosa sul presunto neonazismo che, secondo i russi, dominerebbe in Ucraina e in particolare nel cosiddetto “battaglione Azov". Notate come si fa a comunicare bene, con parole nette, dati concreti, fonti esperte, toni pacati e soprattutto difesa della realtà pura e semplice, senza troppi giri di parole. Nove minuti che valgono novanta minuti di qualunque logorroico talk-show con ospiti chiamati a creare polemica e battibecco invece di informare.

È disponibile, con sottotitoli, anche su Youtube:

Questa è la trascrizione dei sottotitoli e del parlato. Se a qualcuno interessa, ne preparo una traduzione in italiano.

ATKINS: Vladimir Putin has given several reasons for his invasion of Ukraine. This is one of them.

PUTIN: We will be aiming at demilitarization and de-Nazification of Ukraine.

ATKINS:  At a recent Putin rally, a banner declared “for a world without Nazism” and Putin has described a “gang of drug addicts and neo-Nazis, who settled in Kyiv and took the entire Ukrainian people hostage”. But Russia's claims about Nazis in Ukraine are a mix of falsehoods and distortions. For a start, Ukrainians are not being held hostage by Nazis. Their president’s Volodymyr Zelensky; he's Jewish, he has relatives who died in the Holocaust and he's president because he won 73% of the vote in 2019. The main far-right candidate reached 1.6% and that result is part of a broader shift. In the 2012 parliamentary election, the main far-right party won 10%. In 2014 it was 6%; in 2019 it was 2%. No far-right groups have any formal political power in Ukraine and based on polling and results, the far right's much less popular in Ukraine than, for example, the leader of the far-right in France, Marine Le Pen. Far-right groups, though, do exist in Ukraine and Russia's focus on them is not new.

IZABELLA TAVAROVKSY (Wilson Center): The word “de-Nazify”, the idea that Ukraine has been overrun by the Nazis, is something that Russian propaganda has been talking about for eight years, since the first invasion of Ukraine in 2014. 

ATKINS: Ukraine wasn't and isn't being overrun by Nazis. But what happened eight years ago is relevant here. That's because in late 2013, under pressure from Putin, Ukraine's then president Victor Yanukovych backed out of a cooperation deal with the EU. Huge protests followed, as would a crackdown. In time, Yanukovych would flee to Russia. This was a challenge to Putin's ability to influence Ukraine, and he retaliated. First, Russia annexed Crimea; then it backed separatists in parts of eastern Ukraine. And this is where the story connects back to the far right, because in 2014 the Ukrainian military was much smaller than it is now. It was struggling, and brigades of volunteers joined the fight against the separatists. Some of them had far-right elements. The most high profile was this one: the Azov battalion. It was set up by this man, Andre Baletsky, who has a history of racist and anti-semitic views and in 2014 the BBC's Steve Rosenberg spoke to him.

ROSENBERG: Much has been written about Azov. About it being ultranationalist and even neo-Nazi. What is Azov's ideology?

BALETSKY: Yes, we’re nationalists. We’ve never hidden that. Our whole ideology is in our symbol. It’s a combination of the letters I and N. It means “Idea of the Nation”.

ATKINS: This is the Azov emblem being shown to Steve there. It's a pagan symbol known as “Wolfsangel”, and a version of it was used by some SS units in Nazi Germany. Andreas Umland is an expert on Ukrainian nationalism. He's looked at this, writing “The Wolfsangel has far-right connotations... but it's not considered a fascist symbol by the population in Ukraine.” That may be, but back in 2015 Azov acknowledged that some of its fighters held Nazi views. A spokesperson told USA Today that only 10 to 20 percent of the group's members are Nazis, and he sought to make a distinction using one fighter as an example. “I know Alex is a Nazi”, he said, “but it's his personal ideology, it has nothing to do with the official ideology of the Azov”. Now the degree of Nazi sentiment in Azov is impossible to verify, but this 2015 quote is relevant, because by this time Azov had become part of Ukraine's National Guard. It was under government command, and there was one main reason for that happening.

KACPER REKAWEK (University of Oslo): We have to be honest, they were just good fighters in 2014, and they seem to be pretty good fighters now in Mariupol. That's why they were taken on the books.

ATKINS: And in 2014, with Russia backing separatists, urgent military considerations trumped all others. Ukraine was under attack and its then president Petro Poroshenko called Azov “our best warriors”. But when in 2015 he was asked by the BBC about the group's far-right links, his reply was blunt.

POROSHENKO: Please, don't listen to Russian propaganda.

ATKINS: Russia has used Azov in its propaganda for years, and as we assess claims about Azov's role in Ukraine, context is vital here. Ukraine's armed forces total 250,000 plus 50,000 National Guard. Azov is part of the National Guard, with around a thousand volunteer fighters. It's a tiny fraction of the Ukrainian military. It's also not the same force as it was in 2014. 

ADRIEN NONJON (National Institute of Oriental Languages & Civilizations): Azov opened its recruitment to the whole of Ukrainian society and eventually this radical core was drowned out by the mass of newcomers who joined the regiment because it was an elite unit.

ATKINS: And while the membership, was evolving the founder also left to start a new far-right political party. A party which has failed to achieve any electoral success. But the Azov regiment that he left behind is high-profile and mainstream. This is the view of the Ukrainian government.

ANTON HERASHCHENKO (Adviser to Ukraine’s Interior Minister): The only Nazi elements we have on the territory of Ukraine now are the Russian fascist army.

ATKINS: In the last few days, President Zelensky announced that Azov's commander in Mariupol will receive the highest national military award. But despite this acclaim, despite the evolving membership, questions about neo-Nazi links remain. In January, Buzzfeed's Christopher Miller reported that he'd seen an Azov veteran wearing white supremacists and Nazi symbols. There is, though, no evidence such sentiment is widespread. Here's Vitaliy Shevchenko from BBC Monitoring.

SHEVCHENKO: I was looking at the Azov battalion's social media activity and its website and all they talk about is fighting the Russian forces, and there's very little in terms of extremist, anti-migrant or xenophobic rhetoric there.

ATKINS: And so it is this Azov regiment that is part of Ukraine's resistance, and just as in 2014 its focus is the Donbass region that includes the two breakaway republics and the city of Mariupol. It is close to the Sea of Azov which gives the regiment its name. It's also where Azov made its name. Back in 2014, Azov successfully defended the city. As Mariupol is bombarded by the Russians now, alongside other Ukrainian forces, it's trying to do so again. And Azov's presence in Mariupol once more makes it central to Russia's false narratives. You'll remember the horror of Russia bombing a maternity hospital in the city. Afterwards the Russians said this.

SERGEI LAVROV (Russian Foreign Minister): At the UN Security Council, facts were proffered by our delegation, saying that the maternity hospital had been taken over by Azov battalion and other radicals.

ATKINS: But there's no evidence Azov were based there; no evidence it was a military facility. Then there's Russia's attack on a theater in Mariupol that was sheltering civilians. Russia accuses Azov of doing this; there's absolutely no evidence this is true. And so, while any Azov volunteers having neo-Nazi sympathies is shocking and worthy of note, neo-Nazis are not the threat that Russia describes. But perhaps this is not about an actual threat and rather about something else entirely. The New York Times writes of how the word “Nazi” appears geared towards Russians, for whom remembrance of the Soviet Union's victory over Nazi Germany remains perhaps the single most powerful element of a unifying national identity. Putin is looking to the past to create motivation in the present. This is the historian Shane O'Rourke.

SHANE O’ROURKE: What the regime is doing is using the memory of the war, the very deep feelings it arouses, to legitimize its actions not just in Ukraine but but in many other places as well.

ATKINS: Putin has his reasons to do this, but he doesn't have the facts. Just after Russia's invasion, 150 historians who study genocide, Nazism and World War II released a statement. In it, they argue “This rhetoric is factually wrong, morally repugnant and deeply offensive to the memory of millions of victims of nazism and those who courageously fought against it”. The rhetoric is factually wrong: Nazis don't hold Ukraine hostage, they're not launching attacks on Ukrainians. There's no evidence to support this kind of claim.

SERGEI MAKROV (Former Russian MP): Most of the Ukrainians hate these neo-Nazi groups and they pray for Russia and for somebody else to liberate Ukrainian society from a Nazi group.

ATKINS: Ukrainians don't need liberating from Nazis; to their president, this idea is pure fiction.

VOLODYMYR ZELENSKY: It's already the 25th day of the Russian military trying in vain to find imaginary Nazis from whom they allegedly want to defend our people, just as they're trying in vain to find Ukrainians who would greet them with flowers.

ATKINS: That search will continue to be in vain because while the evolution of the Azov regiment deserves scrutiny, neo-Nazis and the far-right do not play the role in Ukraine that Russia falsely describes. They didn't in 2014; they don't now.

2022/03/27

Consentire i download “insicuri” in Firefox

Da qualche tempo (specificamente dalla versione 93, ottobre 2021) Firefox “protegge” l’utente contro quelli che ritiene scaricamenti di file “insicuri” (l’annuncio ufficiale è qui). 

Apprezzo le intenzioni, ma per me (e immagino anche per molti altri) è una scocciatura, perché blocca anche lo scaricamento dei file MP3 da siti https che usano http per il download. Me ne sono accorto quando ho provato a scaricare una puntata del mio podcast dal sito della RSI (per esempio da questo link, che non è quello presente nella pagina web RSI ma è quello che mi arriva nel feed RSS, che leggo tramite Feedly).

Il guaio è che Firefox non avvisa che lo scaricamento non è stato fatto. Per accorgersene bisogna andare nell’elenco dei download, e solo allora compare l’avviso “File not downloaded: Potential security risk” che vedete nello screenshot qui sopra.

Per disattivare questo “aiuto”, Techradar consiglia di digitare about:config nella casella dell’URL di Firefox, cliccare sul pulsante di accettazione del rischio, cercare block_download_insecure e impostarlo a false. Non occorre riavviare Firefox.

ATTENZIONE: Questa modifica ovviamente riduce la protezione offerta dal browser e può portare a situazioni pericolose, quindi usatela con giudizio.

Le perle giornalistiche di oggi

Giada Oricchio su Il Tempo ci spiega che le immagini TV si trasmettono in onde corte e che addirittura lo si faceva già durante la Seconda Guerra Mondiale (copia permanente). Grazie a berner*** per la segnalazione.



Repubblica ci delizia con la grafica che spiega come portare avanti le lancette. Grazie a @santebande per la segnalazione. Copia permanente: archive.ph/lwJPX

TrevisoToday si premura di scrivere “le iniziali” e poi pubblica ripetutamente nome e cognome. Ho aggiunto io le pecette.

La foto scelta dalla RSI propone addirittura di sostituire gli orologi invece di spostare le lancette (grazie a @MieleMielee per la segnalazione):

Intanto Repubblica scrive (a firma di Gennaro Totorizzo) che a una persona hanno rubato la “sedia elettrica”. E lo scrive ripetutamente: “La sua sedia elettrica era fondamentale per avere un minimo di "libertà"... Facciamo un appello a chi ha compiuto questo gesto a riconsegnare la sedia elettrica”. Copia permanente: https://archive.ph/Iwtty. Grazie a LW per la segnalazione. Ho un déjà vu.


2022/03/25

Podcast RSI - Deepfake di guerra, truffe a tema Ucraina, nuove tecniche rubapassword e pronuncia di GIF

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

I podcast del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano i testi e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

2022/03/24

Insolita tecnica rubapassword: il BITB o “Browser in the Browser”

Quando si insegnano le basi della sicurezza informatica e in particolare come difendersi dai ladri di password, una delle regole più importanti, ripetute fino alla noia, è che prima di digitare la propria password bisogna sempre verificare di essere nel sito vero e non in una sua imitazione fabbricata dai truffatori.

Per fare questa verifica in modo facile e usabile anche da persone non esperte, si consiglia di ignorare l’eventuale contenuto grafico della pagina che sta chiedendo le credenziali di accesso e di guardare con attenzione il nome del sito, ossia l’URL (quello indicato in alto nella schermata).

Per esempio, se voglio verificare di essere davvero nella schermata di login di Google e non in quella imitata da un truffatore, dovrò controllare che in alto ci sia scritto accounts.google.com e non pincopallino.com oppure googIe.com.

Come ulteriore verifica, cercherò anche l’icona di un lucchetto chiuso accanto al nome del sito: se non c’è, saprò per certo che mi trovo nel sito di un truffatore e quindi non digiterò la mia password. Se c’è, invece, non mi potrò fidare, perché i truffatori più abili possono fare in modo che il lucchetto chiuso compaia; ma se manca, sarò sicuro di aver evitato un raggiro.

Semplice e pratico, insomma: due piccoli abitudini (guarda il nome, cerca il lucchetto) che si imparano facilmente e diventano automatiche come guardare a sinistra e a destra prima di attraversare la strada.

Ma lascia fare agli informatici: è stata pubblicata da poco una tecnica che sovverte queste regole di sicurezza, perché è in grado di imitare quasi perfettamente sia il nome del sito, sia la presenza del lucchetto.

Questa tecnica si chiama Browser in the Browser, abbreviato in BITB, ed è stata annunciata da un ricercatore di sicurezza che si fa chiamare semplicemente mr.d0x.

Funziona così: avete presente quelle finestre di dialogo che compaiono spesso quando si accede la prima volta a un sito? Quelle che per evitarvi di dover creare un account e una password appositamente vi dicono “login con Facebook”, “login con Microsoft”, “continua con Apple”, “collegati usando Google” o cose simili e vi propongono appunto di usare un vostro account esistente per il nuovo sito? Il ricercatore mostra che è estremamente semplice, per un esperto, creare una versione fraudolenta di queste finestre di dialogo e farla apparire sullo schermo della vittima.

Fin qui niente di speciale, ma il trucco di mr.d0x è che aggiunge alla finestra di dialogo un bordo superiore che imita la testata di un browser.

La vittima, di conseguenza, crede che la finestra di dialogo sia la finestra del browser, e quando va a controllare il nome del sito e la presenza del lucchetto, seguendo le classiche regole di sicurezza, guarda il nome del sito mostrato nella finta testata del browser, che è sotto il controllo del truffatore.

Il ladro di password, infatti, può far comparire in questa testata un nome di sito a suo piacimento, per cui se vuole per esempio rubare una password di un account Google metterà in questa falsa testata accounts.google.com. E per di più potrà anche inserire l’icona del lucchetto, fintamente rassicurante.

Un video pubblicato su YouTube illustra in dettaglio il procedimento necessario per creare un sito rubapassword che usi questa tecnica, con tanto di modelli predefiniti (anche qui) e sito dimostrativo (Getgophish.com). La semplicità di questo metodo è preoccupante, ed è inevitabile che questa tecnica verrà utilizzata dai truffatori e non solo dai ricercatori di sicurezza.

Anzi, è già stata usata almeno una volta, nel 2020, per rubare password del servizio di distribuzione di videogiochi Steam.

A questo punto occorre insomma aggiornare le regole di sicurezza: non basta più controllare il nome del sito e l’eventuale assenza del lucchetto. Gli esperti notano che c’è un modo abbastanza semplice per distinguere un sito fraudolento che usa questa tecnica rubapassword da un sito autentico. Consiste nel provare a spostare la finestra di dialogo: se è vera, sarà possibile spostarla in modo che si sovrapponga alla vera testata del browser; se è falsa, questo spostamento la farà finire sotto la vera testata. Ma l’utente medio si ricorderà di fare ogni volta tutti questi controlli?

È improbabile, per cui si consiglia di usare un approccio differente, di prevenzione: attivare l’autenticazione a due fattori su ogni account, usando le istruzioni apposite facilmente reperibili in Google. In questo modo, se si sbaglia e si digita la propria password in un sito che la ruba, i ladri non potranno comunque prendere il controllo dell’account e si dovrà semplicemente cambiare la password.

Come sempre, anche in informatica, prevenire è meglio che curare.

La guerra dei deepfake

Da tempo gli esperti avvisavano che prima o poi qualcuno avrebbe creato disinformazione intorno a un tema di importanza mondiale usando la tecnica del deepfake, quella in cui un video viene alterato applicando al corpo di una controfigura il volto di una persona famosa e poi animando quel volto in modo che sembri realistico e tridimensionale. Spesso questa tecnica viene sfruttata per far fare e dire a qualcuno qualcosa che non ha in realtà né fatto né detto.

Il momento di cui avvisavano gli esperti è arrivato: l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina viene combattuta anche a colpi di propaganda, e i deepfake sono diventati parte integrante di questa propaganda.

È infatti in circolazione un video nel quale il presidente ucraino Zelensky sembra chiedere ai civili di deporre le armi e arrendersi ai militari russi. Il video ha ottenuto una certa visibilità sui social network, ma è stato segnalato dai media ucraini e rimosso dai social abbastanza prontamente; inoltre Zelensky stesso è apparso in un altro video per smentire il deepfake.


In questo caso è abbastanza facile capire che il video del presunto invito alla resa è un falso: il volto sovrapposto di Zelensky ha una nitidezza e una colorazione nettamente differenti da quelli del resto del corpo. Ma è importante non fermarsi alla semplice analisi tecnica del video: bisogna sempre controllarne la fonte.

Zelensky, nota Snopes, ha registrato numerosi video usando lo stesso sfondo, ma li ha sempre pubblicati sui suoi profili social e sulle pagine social ufficiali del governo ucraino. Il video falso, invece, non è mai apparso su queste fonti.

Sta circolando anche un altro deepfake legato all’invasione russa dell’Ucraina: è un video nel quale una persona che sembra essere il presidente russo Putin annuncia apparentemente la fine della guerra e dice che è stata raggiunta la pace con l’Ucraina e che verrà ripristinata l’indipendenza della Crimea.

La qualità tecnica di questo secondo deepfake è decisamente superiore a quella del video precedente: la risoluzione del volto e la sua ombreggiatura sono coerenti con il resto del corpo, e gli unici indizi tecnici di manipolazione sono il fatto che la bocca del finto Putin non è ben sincronizzata con il parlato e che la voce non è quella di Putin. Ma sono sottigliezze che possono passare inosservate per via dell’emotività della situazione, della scarsa familiarità di molti con la vera voce del presidente russo e della bassa qualità delle immagini se viste sugli schermi molto piccoli degli smartphone.

Gli esperti sono riusciti a scoprire che il falso video di Putin è stato realizzato partendo da un video reale pubblicato dal Cremlino il 21 febbraio.

Anche in questo caso, quindi, vale la regola della fonte e del contesto. Non basta che un video sia tecnicamente realistico: bisogna anche vedere se viene pubblicato e confermato dalla fonte ufficiale che dovrebbe averlo prodotto.

Attenzione alle false proposte di aiutare l’Ucraina. Anche a quelle sexy

I truffatori su Internet non hanno scrupoli. Non si fermano di fronte a nulla, neppure alla guerra: anzi, ne approfittano, sfruttando l’emotività di chi vi assiste e vorrebbe poter aiutare in qualche modo.

L’esperto informatico Graham Cluley segnala in particolare due casi di tentata truffa legati all’invasione russa dell’Ucraina.

Il primo caso è una mail che finge di provenire da donne ucraìne che offrono di mostrare le proprie grazie in chat a pagamento. Andando a controllare il sito che organizza il servizio emergono rimpalli da un sito a un altro e soprattutto strane condizioni contrattuali, fra le quali spicca il fatto che il foro competente per eventuali controversie legali sarebbe quello di Frankfort, nel Kentucky, un po’ lontano dal teatro del conflitto. 

Non c’è modo di verificare che le donne in questione siano realmente ucraìne o che i soldi spesi in questa maniera arrivino effettivamente alle persone in difficoltà in Ucraina. La situazione drammatica di questo paese sembra essere semplicemente la leva emotiva che viene sfruttata in questo momento dai truffatori, per cui consiglio di essere particolarmente cauti di fronte a questo tipo di offerte.

Tenete presente, inoltre, che ci sono truffatori che non si limitano a questo tipo di inganno, ma vanno ben oltre, invitando le vittime a chat gratuite che diventano ben presto bollenti. Il loro obiettivo, in questo caso, è convincere le vittime a esibirsi personalmente in video, usando la tecnica del “se mi fai vedere qualcosa tu, ti faccio vedere qualcosa anch’io”, e poi ricattarle minacciando di pubblicare il video della chat, magari mandandola specificamente agli amici o al partner sentimentale, i cui nomi vengono facilmente trovati dai ricattatori grazie alle informazioni che le persone pubblicano sui social network.

L’informatico Graham Cluley segnala anche un altro tipo di truffa, nel quale una mail inviata da un sedicente “Esercito dell’Ucraina” chiede sostegno economico e dice che la Banca Nazionale dell’Ucraina ha aperto un conto speciale per la raccolta di fondi, anche tramite criptovalute come i bitcoin.

La cosa strana è che il link presente nella mail (copia su Archive.org) porta davvero al sito reale della Banca Nazionale dell’Ucraina, specificamente alla sua pagina che annuncia realmente l’apertura di un conto speciale a sostegno delle forze armate ucraine, proprio come dice la mail truffaldina, ma c’è un trucco.

Le coordinate di pagamento indicate nella mail dei truffatori sono differenti da quelle riportate sul sito reale della banca. La banca indica dei numeri di conto normali, mentre la mail dei truffatori riporta un wallet o portafogli in bitcoin (bc1qv729ckc4m256vzjsmvwg4gcerdkh64zr7hp8f8).

In altre parole, i truffatori stanno approfittando di una notizia reale, e del buon cuore delle persone, per imbrogliare. 

Per fortuna sembra che per ora l’imbroglio stia andando maluccio: dato che il registro delle transazioni delle criptovalute è pubblico, possiamo sapere quanti soldi sono passati dal wallet usato dai truffatori. Al momento ammontano a circa 279 dollari, versati ai criminali da otto vittime.

Fate attenzione, e se volete fare donazioni, rivolgetevi soltanto a intermediari conosciuti e affidabili; non fidatevi dei link ricevuti via mail o tramite WhatsApp e simili.

Addio a Stephen Wilhite, papà dei GIF

Stephen Wilhite, il creatore del popolarissimo formato grafico GIF, è morto a 74 anni il 14 marzo scorso. Ne ha dato annuncio la moglie Kathaleen.

La sua invenzione di questo formato grafico risale al 1987, quando Wilhite lavorava alla Compuserve, uno dei grandi operatori online statunitensi dell’era pre-Internet. Fu una rivoluzione per la grafica digitale, che all’epoca era quasi inesistente a causa delle limitazioni tecniche dei computer, dei modem e delle linee telefoniche di quel tempo. 

Oggi che guardiamo disinvoltamente video in 4K in streaming può sembrare incredibile, ma negli anni Ottanta era normale aspettare diversi secondi mentre la singola immagine fissa si componeva, riga dopo riga, sullo schermo del computer. E persino questo misero risultato era ottenibile soltanto grazie a una serie di scorciatoie tecniche molto eleganti adottate da Wilhite.

La scorciatoia principale era la riduzione della quantità di dati da trasmettere, grazie alla compressione digitale (LZW) e alla riduzione del numero di colori realmente presenti nell’immagine: ne venivano infatti usati al massimo 256, e tutte le sfumature intermedie venivano simulate usando pixel di colori approssimativamente simili (come potrete notare ingrandendo l’immagine di Wilhite qui sopra, che è ovviamente in formato GIF).

Il formato non era ideale per le fotografie, ma era ottimo per i grafici e aveva due grandi vantaggi: consentiva di creare piccole animazioni cicliche -- ve li ricordate i classici omini stilizzati che lavorano negli avvisi “sito in costruzione”? -- e inoltre era compatibile con tutti i tipi di computer. Anche per questo è ancora diffusissimo anche adesso, per esempio per creare mini-immagini di commento o decorazione per i post sui social network.

Una GIF animata. Credit: Wikipedia.

Nel 2012 la sigla GIF, che sta per Graphics Interchange Format, ossia “formato per l’interscambio di grafica”, è stata scelta come parola dell’anno dai prestigiosi Oxford Dictionaries, e nel 2013 Stephen Wilhite ha vinto un prestigioso premio Webby per la sua invenzione e per il suo contributo alla cultura di Internet.

Sull’importanza del formato creato da Wilhite non ci sono dubbi: ma su come si pronunci il nome di quel formato, invece, c’è un battibecco che spopola fra gli informatici da decenni. Si dice GIF (gif) con la G di giraffa o GIF (ghif) con la G di ghianda

Secondo la documentazione tecnica ufficiale, rilasciata nel 1987, la pronuncia corretta sarebbe gif (con la G di giraffa): “The GIF (Graphics Interchange Format), pronounced "JIF", was designed by CompuServe and the official specification released in June of 1987” (GIF Pronunciation Page).

Wilhite stesso, nel ritirare il premio Webby nel 2013, ha ribadito che la pronuncia corretta è gif, e lo ha fatto a modo suo, usando appunto una GIF animata con la dicitura “It's pronounced "JIF" / not "GIF"”:

In teoria, essendo il creatore dello standard, è lui a decidere qual è la pronuncia corretta del nome della sua creatura. Ma molti linguisti sono dell’avviso che in realtà è l’uso comune, non la regola astratta e imposta, a decidere la pronuncia dei vocaboli e degli acronimi, per cui il papà delle GIF (ghif) o GIF (gif) che dir si voglia non avrebbe l’ultima parola sul nome della propria creatura.

Di fatto, a livello mondiale sembra che si stia imponendo la pronuncia ghif, secondo alcuni sondaggi, e i dizionari più autorevoli sono divisi sulla questione. La controversia è stata citata anche in Big Bang Theory (nella puntata The Fortification Implementation).

Howard Wolowitz : Settle this. Those little animated pictures on the Internet, are they called "gifs" or "jifs"?

Leonard Hofstadter : Well, the G stands for "graphics." That's a hard G, so I'd say "gif."

Raj Koothrappali : What? The guy who invented it says it's "jif."

Howard Wolowitz : I'm sorry, do you mean the guy or the juy?

Qui sotto trovate lo spiegone, illuminante come sempre, di Tom Scott.


Una cosa è certa: tormentare i vostri amici informatici sottoponendo loro la domanda “Ma si pronuncia “gif” o “ghif”?” è sempre stato un metodo garantito per creare pandemonio. Ora è utile anche per tenere viva la memoria di Stephen Wilhite.

2022/03/23

DragonChase 2022: la capsula si chiamerà “Freedom”

Kjell Lindgren, comandante dell’equipaggio della missione Crew-4 alla quale parteciperà a metà aprile Samantha Cristoforetti come specialista di missione, ha annunciato il nome della capsula Crew Dragon che li porterà alla Stazione Spaziale Internazionale insieme al pilota Robert Hines e alla specialista di missione Jessica Watkins.

Questo è il testo dei suoi tweet di annuncio: 

FREEDOM!! Crew-4 will fly to the International Space Station in a new Dragon capsule named “Freedom.” The name celebrates a fundamental human right, and the industry and innovation that emanate from the unencumbered human spirit. Through the Commercial Crew Program, NASA and SpaceX have restored a national capability and we honor the ingenuity and hard work of those involved. Alan Shepard flew on Freedom 7 at the dawn of human spaceflight. We are honored to bring Freedom to a new generation!

Da sinistra: Watkins, Hines, Lindgren e Cristoforetti nella capsula Crew Dragon.
Come sopra, all’esterno della capsula.

Secondo i giornalisti sono arrivati i “virus tergicristallo”

Ultimo aggiornamento: 2022/03/23 21:00.

Io cerco di non farmi venire i travasi di bile, ma vorrei proprio sapere come fa un giornalista a non chiedersi cosa possa mai essere un "virus tergicristallo"

A quanto pare, secondo Nicola Pepe (“capo servizio redazione online La Gazzetta del Mezzogiorno”, secondo la sua bio su Twitter) e altri, a un giornalista costa troppa fatica chiedere a un esperto prima di stampare una scemenza monumentale del genere.

L’immagine completa, per chi ha difficoltà con Twitter:

Nicola Pepe non è l’unico, come mostra una semplice ricerca in Google:

In originale è "wiper". Sì, da solo vuol dire "tergicristallo", ma "wiper" è un tipo di virus/malware che cancella tutti i dati della vittima. Sarebbe bastato usare Wikipedia. Sarebbe bastato non lavorare col deretano.

E non è finita: adesso arriva anche l’"attacco tergicristallo".

La scemenza viene ripetuta più volte nell’articolo di Hitechglitz (copia permanente), nelle varianti “attacco al tergicristallo”, “virus tergicristallo” e anche “il tergicristallo” tout court:

Cari colleghi, davvero NESSUNO si ferma a pensare prima di scrivere queste minchiate? NESSUNO si chiede cosa mai possa voler dire "attacco tergicristallo"? Siamo giornalisti o amebe?

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E prima che arrivi il solito che dice “ma è nel titolo/sottitolo, che non viene scritto dal giornalista”, mettiamo in chiaro bene una cosa: al lettore non gliene frega niente di chi l’ha scritto, che sia il titolista, il giornalista o il Mago Zurlì. È troppo comodo dare la colpa al titolista anonimo.

Il titolista anonimo è stato scelto e messo sotto contratto da qualcuno del giornale; non è caduto in redazione per caso, portato dalla cicogna. Fa parte della redazione del giornale. Se scrive minchiate, la colpa è sua, ma è anche di chi l’ha messo lì a scrivere minchiate e lo lascia lì a continuare a scrivere minchiate.

Perché scemenze di questo genere continuano a uscire sui giornali e nessuno fa niente per cercare di evitarle. Questo non è un incidente isolato di incompetenza informatica e di giornalismo a neuroni spenti: è un problema generale di metodo di lavoro. Le redazioni che lavorano così dovrebbero farsi un esame di coscienza e chiedersi seriamente se lo scopo fondamentale del loro giornale sia fare informazione oppure fottere il lettore rifilandogli scemenze a pacchi con la minore spesa possibile, sperando che non se ne accorga.

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Nicola Pepe ha risposto pubblicamente come segue alla mia segnalazione su Twitter: “Quindi sono scemenze le notizie del dl del Governo sui software di società russe? O gli alert dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale? O gli avvisi del Csirt? A chi giova questa (contro) informazione su una parola tra virgolette che non c'entra nulla col 90% della notizia?” (copia permanente). 

Gli ho risposto così: “Certo che no, collega. Gll avvisi del CSIRT non sono scemenze. Quel titolo, con quel termine ridicolo, invece, lo è. Sarebbe dignitoso ammetterlo, invece di cercare scuse.”

Sua replica: “Non cerco scuse. Puoi anche fare sarcasmo senza offendere il lavoro di un collega e di una testata, se sei un giornalista. Sarebbe bastato edulcorare i contenuti offensivi. Diversamente  faró querela o segnalarero alla Polizia delle comunicazioni. Non siamo al circo” (copia permanente).

E anche: “Spero che chi ha messo un like a questo teeet offensivo abbia un paracadute svizzero come il suo autore perché dopo questo momenti di gloria virtuale sarà querelato e dovrà difendersi in tribunale con un avvocato.” (copia permanente). Fra l’altro, il mio tweet al quale si riferisce non lo riguarda nemmeno.

La discussione è proseguita (ben presto senza di me) con livelli crescenti di surrealismo, Effetto Streisand e lesa maestà.

Poi la gente mi chiede perché non contatto in privato i colleghi per avvisarli quando scrivono stupidaggini.

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Intanto c’è chi giustamente ci ride su, anche per non piangere:

2022/03/21

Con il prezzo dei carburanti alle stelle, l’auto elettrica diventa ancora più conveniente. Il test di Patti Chiari (RSI)

Il programma Patti Chiari della Radiotelevisione Svizzera ha fatto il punto sul confronto di costi fra auto elettrica e auto tradizionale alla luce dei recenti rincari dei carburanti.

Il test (da 54m19s) riguarda una persona che fa 500 km a settimana (24.000/anno) sulle strade svizzere. Per fare 100 km ha consumato 6,4 litri con l’auto a gasolio, secondo i dati indicati dall’auto. Al prezzo di 1,970 CHF/litro, 100 km gli sono costati 12,6 CHF; ma per rabboccare l’auto e tornare al pieno ha speso 14,05 CHF comperando 7,13 litri. Con l’auto elettrica (una Volkswagen) ricaricata a casa, spende 45 centesimi al kWh e 4,50 CHF (quindi 10 kWh) in tutto per percorrere gli stessi 100 km. Gli risulta un risparmio di 2280 CHF l’anno.

Questo, va notato, con un contratto che gli fa pagare i kWh più del doppio di quello che spendo io (16 centesimi in fascia notturna) con il carburante a 1,970 CHF/litro. Oggi i prezzi sono intorno ai 2,3 CHF/litro, per cui la differenza è ancora maggiore: quei 100 km costano 14,72 CHF, mentre con un contratto elettrico come il mio costerebbero 1,6 CHF. Nove volte meno. 

Va detto che 10 kWh per 100 km sono un risultato ottimo, dovuto forse alla velocità molto ridotta: a velocità autostradali si consuma solitamente il doppio in auto elettrica. Per cui il costo sarebbe “solo” quattro volte e mezza più basso rispetto al carburante.

Anche con questa stima prudente, significa che si risparmiano circa 131 CHF ogni 1000 chilometri. Un automobilista che fa 10.000 km/anno risparmia 1310 CHF; uno che ne fa 50.000/anno risparmia 6700 CHF/anno. A questi prezzi, la differenza di spesa iniziale dell’auto elettrica si ammortizza piuttosto in fretta. Con quello che si spende extra in dieci anni di benzina ci si compra una Tesla nuova.

A 1h14m56s ci sono anche alcuni consigli per ridurre i consumi sia per le auto a carburante, sia per quelle elettriche.

Due chiacchiere sui complottismi lunari: che fine faranno, ora che si sta per tornare sulla Luna?

Pochi giorni fa sono stato intervistato da Astrospace.it a proposito del programma spaziale Artemis di ritorno umano sulla Luna e sui possibili effetti di questo ritorno sulle tesi di complotto intorno agli allunaggi di cinquant’anni fa. Ecco il video.

Per chi avesse dubbi sulla realtà degli allunaggi e se li volesse togliere, il mio sito/libro gratuito è sempre a disposizione (anche in inglese).

Podcast RSI - ASMR, storia dei sussurri rilassanti

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

I podcast del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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È il 26 marzo 2009. Sul canale YouTube WhisperingLife viene pubblicato il primo video concepito intenzionalmente per generare un effetto ASMR (MentalFloss). Non contiene immagini, ma solo una voce femminile che spiega, sussurrando, che le piace tantissimo ascoltare registrazioni di persone che bisbigliano e lo trova “assolutamente strano”.

L’effetto ASMR è quello che avete probabilmente provato ascoltando questo video di WhisperingLife, specialmente se lo avete fatto usando delle cuffie (cosa che vi consiglio vivamente di fare): è una sensazione difficile da descrivere e molto soggettiva, per alcuni è una sorta di solletichìo sensoriale, che coinvolge solitamente il cuoio capelluto e la nuca, e per altri è una forma più generale di piacere, euforia o rilassamento. Altri ancora provano disagio. In ogni caso, è un effetto inatteso e sorprendente, che oggi ha una popolarità altrettanto inattesa e sorprendente.

Questa sensazione non aveva nemmeno un nome, nel 2009: o meglio, ne aveva molti non formali, come “solletico al cervello” o “orgasmo cerebrale”. Bisogna aspettare il 2010 per vedere la nascita della sua etichetta definitiva, ossia ASMR, da parte dell’informatica Jennifer Allen, che conia questa sigla come acronimo di Autonomous Sensory Meridian Response, ossia “risposta sensoriale meridiana autonoma”. È un nome in realtà privo di significato medico in senso stretto, ma Nick Davis, psicologo e neuroscienziato della Metropolitan University di Manchester che studia l’ASMR, lo descrive per Wired (a 1m00s).

È una risposta autonoma perché avviene nel soggetto; è sensoriale perché colpisce puramente i sensi e non è necessario fare nulla, per esempio muoversi, per evocarla; ed è meridiana perché... perché questa parola è un eufemismo al posto di orgasmica, che avrebbe reso più difficile per i ricercatori affrontare il tema senza essere sommersi dalle risatine dei colleghi.

Infatti, spiega Davis, l’ASMR non sembra essere legato necessariamente alla sfera sessuale, anche se su Internet non mancano esempi di ASMR di questo genere (Gizmodo), ma ha più a che fare con il fatto che la voce sussurrata, che il cervello interpreta come vicina, dà la sensazione che qualcuno stia dedicando attenzione personale all’ascoltatore.

ASMR in italiano. Lo spezzone che si sente nel podcast è tratto da qui.

L’ipotesi dell’accudimento sembra essere avvalorata anche dalla popolarità dei video ASMR nei quali le persone mangiano qualcosa molto vicino al microfono: Nick Davis (a 4:00 nel video di Wired) fa notare che l’unica occasione che si ha, nella vita normale, di udire suoni analoghi è durante l’infanzia, quando il bambino sta in braccio al genitore, con l’orecchio vicino o a contatto con la testa dell’adulto, e quindi può sentirlo masticare da vicino. Questo richiamo alle sicurezze dell’infanzia sarebbe una delle ragioni dell’efficacia rilassante dei video ASMR.

Un’altra ipotesi è che la sensazione di vicinanza stimoli piacevolmente perché viene associata all’intimità con una persona, non necessariamente in senso sessuale: per esempio, alcune persone descrivono sensazioni simili a quelle dell’ASMR quando vanno dal parrucchiere o dal truccatore.

Anche se i meccanismi precisi sono ancora da scoprire, secondo ThinkwithGoogle c’è un fenomeno che sembra dimostrare l’efficacia dei video ASMR per aiutare a prendere sonno: in tutto il mondo, le ricerche della sigla ASMR in Google hanno un picco intorno alle 22:30 locali, ora alla quale molta gente sta cercando appunto di addormentarsi.

La ricerca scientifica sull’ASMR è ancora scarsa: il primo libro sull’argomento risale al 2007, si intitola Brain Tingles (“formicolii al cervello”) ed è stato scritto da Craig Richard, professore di scienze biofarmaceutiche alla Shenandoah University. Gli articoli scientifici non sono tanti, ma hanno già documentato che gli effetti fisiologici dell’ASMR sono reali e tutt’altro che immaginari: il battito cardiaco rallenta, la risposta elettrica della pelle varia, con risultati paragonabili a quelli dell’ascolto di musica o delle pratiche di mindfulness.

Le emozioni positive e le sensazioni di relazione sociale generate dall’esposizione a contenuti ASMR sono altrettanto significative, secondo una ricerca dell’Università di Sheffield condotta su un numero molto elevato di volontari (Science Daily). Altre ricerche indicano un effetto positivo, anche se temporaneo, nella riduzione dei sintomi della depressione, dello stress e del dolore cronico (Autonomous Sensory Meridian Response (ASMR): a flow-like mental state, di Emma L. Barratt e Nick J. Davis, 2015, PeerJ).

Per contro, ci sono anche persone che trovano assolutamente irritanti i video e i suoni ASMR o ne ricevono una sensazione di disagio: questa condizione viene spesso descritta come misofonia.

Può sembrare strano che la scienza non si sia occupata granché del fenomeno e che l’ASMR sia stato portato alla ribalta soltanto con l’avvento di YouTube, ma il problema di fare ricerca scientifica su questo effetto è che gli strumenti che consentirebbero di osservarlo, come la risonanza magnetica, sono estremamente rumorosi e poco rilassanti.

Di fatto, i video ASMR sono una delle tendenze più popolari su YouTube: questo acronimo è al terzo posto nella classifica dei termini più cercati di tutti i tempi negli Stati Uniti (i primi due sono Fortnite e Minecraft) ed è al quinto posto nella classifica mondiale (Semrush). Ci sono oltre 13 milioni di video ASMR su YouTube e quasi undici milioni di post su Instagram con il tag ASMR (Mental Floss). Alcuni canali YouTube dedicati a questo genere di contenuti hanno oltre un milione di iscritti, e alcuni video hanno oltre venti milioni di visualizzazioni, e così questo genere di produzione ha attirato inevitabilmente interessi commerciali.

23 milioni di visualizzazioni per questo video ASMR.

Sono già nati i primi spot pubblicitari, soprattutto nel settore alimentare, che sfruttano le tecniche ASMR, anche perché i creatori di questi video spesso già usano i prodotti da reclamizzare: li scartano, li stappano, li masticano, e quindi è facile creare un abbinamento promozionale o una sponsorizzazione (ThinkwithGoogle). Nel 2019 uno spot per il Superbowl ha fatto sussurrare Zoë Kravitz mentre picchiettava su una bottiglia di una nota marca di birra; altre marche che hanno fatto ricorso all’ASMR sono KFC, Dove, IKEA, e Ritz.

Esiste anche un sito, ASMR University, che raccoglie tutte le informazioni e i consigli utili per chi vuole entrare in questo mercato.

I suggerimenti fondamentali sono l’uso di un microfono di buona qualità, visto che dovrà amplificare parecchio dei suoni molto deboli, un filtro antipop per smorzare le consonanti esplosive o occlusive, come la P o la B, un ambiente silenzioso, magari usato di notte in modo da ridurre i rumori provenienti dall’esterno, e guardare cosa fanno gli altri YouTuber ASMR per imitarne gli aspetti più appaganti ma aggiungervi un tocco personale e spontaneo. In fin dei conti, se l’efficacia dell’ASMR dipende dalla sua capacità di creare una situazione rassicurante e intima, non impegnativa, in cui l’ascoltatore si sente accudito personalmente, essere sinceri e spontanei è indispensabile.

Arriveremo mai ad avere un medico che ci prescrive sessioni di video ASMR su YouTube al posto dei sonniferi? È decisamente troppo presto per dirlo; la storia e la scienza dell’ASMR sono ancora tutte da scrivere, e nulla di quello che vi ho raccontato fin qui va interpretato come consiglio medico o sostituto di terapie convenzionali. Ma resta sicuramente il fascino di un fenomeno nuovo e inaspettato, scoperto per caso grazie agli effetti dell’evoluzione informatica, senza la quale saremmo ancora fermi a chiederci cosa sia quella strana sensazione che proviamo quando ci tagliano i capelli.

DragonChase 2022: Lancio posticipato a non prima del 19 aprile. Secondo fonti russe, Samantha Cristoforetti farà un’EVA. Le tute gialle e blu sulla ISS

Ultimo aggiornamento: 2022/03/26 17:00.

La partenza della missione Crew-4 è stata posticipata ufficialmente da “non prima del 15 aprile” a “non prima del 19 aprile”. L’annuncio formale NASA è qui e dice che il rinvio è stato deciso “per consentire alle squadre di completare le operazioni sul veicolo spaziale prima della missione” (“to allow teams to complete final spacecraft processing ahead of the mission”). Lo stesso vale, dice sempre NASA nello stesso annuncio, anche per il volo della missione Axiom 1 (che usa, come la Crew-4, una capsula Crew Dragon e un vettore Falcon 9, entrambi di SpaceX). Il sito di Axiom Space il 18 marzo ha indicato “non prima del 3 aprile” come data di partenza. L’orario di partenza di Axiom 1 sarebbe le 1:13 pm EDT (17:13 UTC) e quello di Crew-4 sarebbe le 6.45 am EDT (10:45 UTC), secondo Teslarati.

Per fortuna noi DragonChaser abbiamo previsto di restare in Florida fino al 23, per cui abbiamo ancora qualche speranza di vedere il decollo di Samantha nonostante questo rinvio. Inoltre forse riusciremo a vedere anche un altro lancio di Falcon 9, quello che porterà in orbita un lotto di satelliti Starlink, previsto per “non prima del 14 aprile” e in partenza dalla rampa SLC-40 della stazione militare di Cape Canaveral.

Il rinvio della partenza della Crew-4 è legato allo slittamento della tabella di marcia della missione Axiom 1. Infatti serve per garantire “una separazione temporale adeguata per le operazioni e per l’esame dei dati post-volo fra missioni di volo spaziale umano e per consentire tntativi di lancio consecutivi multipli”. In altre parole, NASA e SpaceX vogliono attendere i risultati finali della missione Axiom 1 (primo volo spaziale interamente privato diretto alla Stazione e privo di membri d’equipaggio affiliati ad agenzie spaziali) per tenerne conto per Crew-4.  Siccome Axiom 1 tornerà sulla Terra il 13 aprile, a NASA e SpaceX rimangono così sei giorni per recuperare la Crew Dragon di Axiom 1, fare il debriefing dell’equipaggio, analizzare i dati della missione e prepararsi per il lancio di Crew-4

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Secondo una dichiarazione fatta dal cosmonauta Oleg Artemiev in conferenza stampa ieri e riportata da Katya Pavlushchenko, è previsto che @AstroSamantha faccia un’attività extraveicolare (EVA) o “passeggiata spaziale”. Pavlushchenko ha aggiunto che quest’EVA dovrebbe essere indicata dalla sigla VKD55 e vedrebbe Samantha Cristoforetti in abbinamento con Oleg Artemiev; non è stata indicata alcuna data. Le gravi tensioni internazionali e la progressiva interruzione delle collaborazioni spaziali con la Russia potrebbero comportare cambiamenti a questo piano. Le prossime due EVA russe, VKD52 e VKD53, sono state pianificate per il 28 aprile e per il 28 aprile e saranno svolte da Artemiev e Matveev.

Nella foto d’archivio qui sotto, datata 2012, Samantha indossa una tuta russa Orlan simile a quella che potrebbe indossare per questa EVA ed è ritratta insieme al collega europeo Alexander Gerst.

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Intanto a bordo della Stazione sono giunti tre cosmonauti russi (da sinistra: Sergei Korsakov, il già citato Oleg Artemiev e Denis Matveev) a bordo della Soyuz MS-21.

A prima vista i colori delle loro divise sembrano dirla lunga sulla reazione dei cosmonauti alle recenti scelte politiche del loro presidente, ma va detto che non è la prima volta che gli equipaggi russi indossano tute gialle: lo stesso Artemiev lo aveva fatto durante una missione precedente (la Expedition 39/40, come nota @Noemi_Cogoni su Twitter), nel 2015.

Sempre Pavlushchenko segnala che “ogni equipaggio sceglie il proprio schema di colori molto tempo prima del volo. Di solito i colori sono bianco, blu o azzurro. La tuta rossa di Yulia Peresild è stata unica perché, come attrice, voleva avere un bell’aspetto.... Forse hanno scelto il colore come omaggio ai colori della propria università, o semplicemente a loro piacciono i colori del sole e del cielo. Il fatto è che non c’è molto posto a bordo della Soyuz, e non si può semplicemente spacchettare tutto per cercare altri indumenti se scopri che quelli da indossare all’arrivo sono di colori discutibili. Non so se è stato possibile reimballare gli indumenti tre settimane prima del volo e lasciare a portata di mano T-shirt e pantaloni di colore neutro. Comunque non ho dubbio che qualcuno verrà punito per non aver previsto la possibile reazione.”

È inoltre improbabile che i cosmonauti abbiano voluto mettere a rischio la propria carriera e forse anche la propria incolumità personale (e quella delle loro famiglie) con un gesto politico che in questo momento in Russia è estremamente pericoloso. Pertanto è probabile che si tratti di una coincidenza che viene interpretata come segnale legato all’invasione russa dell’Ucraina ma in realtà è una scelta fatta per altri motivi e risalente a ben prima dell’inizio della guerra.

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