2022/03/23

Secondo i giornalisti sono arrivati i “virus tergicristallo”

Ultimo aggiornamento: 2022/03/23 21:00.

Io cerco di non farmi venire i travasi di bile, ma vorrei proprio sapere come fa un giornalista a non chiedersi cosa possa mai essere un "virus tergicristallo"

A quanto pare, secondo Nicola Pepe (“capo servizio redazione online La Gazzetta del Mezzogiorno”, secondo la sua bio su Twitter) e altri, a un giornalista costa troppa fatica chiedere a un esperto prima di stampare una scemenza monumentale del genere.

L’immagine completa, per chi ha difficoltà con Twitter:

Nicola Pepe non è l’unico, come mostra una semplice ricerca in Google:

In originale è "wiper". Sì, da solo vuol dire "tergicristallo", ma "wiper" è un tipo di virus/malware che cancella tutti i dati della vittima. Sarebbe bastato usare Wikipedia. Sarebbe bastato non lavorare col deretano.

E non è finita: adesso arriva anche l’"attacco tergicristallo".

La scemenza viene ripetuta più volte nell’articolo di Hitechglitz (copia permanente), nelle varianti “attacco al tergicristallo”, “virus tergicristallo” e anche “il tergicristallo” tout court:

Cari colleghi, davvero NESSUNO si ferma a pensare prima di scrivere queste minchiate? NESSUNO si chiede cosa mai possa voler dire "attacco tergicristallo"? Siamo giornalisti o amebe?

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E prima che arrivi il solito che dice “ma è nel titolo/sottitolo, che non viene scritto dal giornalista”, mettiamo in chiaro bene una cosa: al lettore non gliene frega niente di chi l’ha scritto, che sia il titolista, il giornalista o il Mago Zurlì. È troppo comodo dare la colpa al titolista anonimo.

Il titolista anonimo è stato scelto e messo sotto contratto da qualcuno del giornale; non è caduto in redazione per caso, portato dalla cicogna. Fa parte della redazione del giornale. Se scrive minchiate, la colpa è sua, ma è anche di chi l’ha messo lì a scrivere minchiate e lo lascia lì a continuare a scrivere minchiate.

Perché scemenze di questo genere continuano a uscire sui giornali e nessuno fa niente per cercare di evitarle. Questo non è un incidente isolato di incompetenza informatica e di giornalismo a neuroni spenti: è un problema generale di metodo di lavoro. Le redazioni che lavorano così dovrebbero farsi un esame di coscienza e chiedersi seriamente se lo scopo fondamentale del loro giornale sia fare informazione oppure fottere il lettore rifilandogli scemenze a pacchi con la minore spesa possibile, sperando che non se ne accorga.

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Nicola Pepe ha risposto pubblicamente come segue alla mia segnalazione su Twitter: “Quindi sono scemenze le notizie del dl del Governo sui software di società russe? O gli alert dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale? O gli avvisi del Csirt? A chi giova questa (contro) informazione su una parola tra virgolette che non c'entra nulla col 90% della notizia?” (copia permanente). 

Gli ho risposto così: “Certo che no, collega. Gll avvisi del CSIRT non sono scemenze. Quel titolo, con quel termine ridicolo, invece, lo è. Sarebbe dignitoso ammetterlo, invece di cercare scuse.”

Sua replica: “Non cerco scuse. Puoi anche fare sarcasmo senza offendere il lavoro di un collega e di una testata, se sei un giornalista. Sarebbe bastato edulcorare i contenuti offensivi. Diversamente  faró querela o segnalarero alla Polizia delle comunicazioni. Non siamo al circo” (copia permanente).

E anche: “Spero che chi ha messo un like a questo teeet offensivo abbia un paracadute svizzero come il suo autore perché dopo questo momenti di gloria virtuale sarà querelato e dovrà difendersi in tribunale con un avvocato.” (copia permanente). Fra l’altro, il mio tweet al quale si riferisce non lo riguarda nemmeno.

La discussione è proseguita (ben presto senza di me) con livelli crescenti di surrealismo, Effetto Streisand e lesa maestà.

Poi la gente mi chiede perché non contatto in privato i colleghi per avvisarli quando scrivono stupidaggini.

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Intanto c’è chi giustamente ci ride su, anche per non piangere:

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