Steve Stich, della NASA, ha
comunicato
oggi che il lancio della Crew-4 slitterà di un giorno, dal 19 al 20
aprile, per lasciare più tempo fra il lancio di Axiom-1 e la partenza
di Crew-4.
Per noi DragonChaser i margini di tempo per essere presenti al decollo si
assottigliano, ma ci stiamo ancora dentro.
Intanto si è tenuta una conferenza stampa di un’ora con l’equipaggio della
Crew-4 dal Johnson Space Center. La potete rivedere
qui su YouTube o
nell’embed qui sotto.
A 5m25s, Bob Hines conferma che Samantha Cristoforetti potrebbe avere
l’occasione di una EVA con i russi. A 10m00s, Hines spiega l’origine del suo
nome da pilota, Farmer: l’agricoltura non c’entra e si tratta di un
riferimento scherzoso a un aviogetto militare russo, la cui designazione NATO
è appunto Farmer. Subito dopo, Jessica Watkins spiega che la chiamano
Watty semplicemente sulla base del suo cognome. Kjell Lindgren spiega
il senso della patch, concepita dalla figlia, e nota che la libellula
che mostra è in parte ispirata dal fatto che una libellula si è posata sulla
spalla di uno degli astronauti poco prima di salire a bordo di una delle prime
missioni con equipaggio di SpaceX e molti l’hanno considerato un buon
auspicio.
A 15m30s interviene Samantha a spiegare che prossimamente non sarà più l’unica
donna nel corpo astronauti dell’ESA, grazie alla nuova campagna di selezione.
A 18m40s Lindgren nota che fra le migliorie della nuova capsula
Crew Dragon ci sono le porte USB per la ricarica dei tablet di bordo,
ispirate dalle esigenze della missione privata Inspiration 4 :-)
A 23m20s Samantha spiega il feedback ricevuto dagli equipaggi
precedenti grazie ai debriefing approfonditi e alle mitiche
pizza evening che sono ricche di spunti informali su come si vive a
bordo della capsula.
A 36m circa si parla delle tradizioni di lancio, e pare che i novellini
debbano pagare sempre da bere ai veterani. Samantha accenna all’importanza
della ritualità e di quanto sia confortante, specialmente in Russia, e non
vede l’ora di scoprire le tradizioni del Kennedy Space Center.
A 40m30s arriva una domanda sui rapporti con i colleghi russi in
considerazione della situazione in Ucrania, e Kjell Lindgren risponde molto
diplomaticamente e pragmaticamente: la sola priorità è lavorare insieme ai
colleghi russi per la manutenzione e il funzionamento della Stazione.
A 46m circa Hines parla delle possibilità di restare in contatto con la
famiglia quando si è a bordo della Stazione, grazie anche a un telefono IP
(solo voce) che possono usare frequentemente, più una videoconferenza
settimanale.
A 54m circa Lindgren racconta l’esperienza magica di assistere tutti insieme,
dallo spazio, al decollo notturno di una delle capsule cargo che riforniscono
la Stazione e accenna alla possibilità che questo equipaggio assista al
decollo del vettore gigante Artemis 1.
A 55:00 Samantha spiega che per questa missione non si è addestrata per l’uso
delle tute da EVA statunitensi ma solo con la Orlan russa e ribadisce che la
sua EVA è “al 100% non certa”.
L’impressione generale della conferenza stampa è di grande affiatamento e
rilassatezza dell’intero equipaggio. Ad astra!
All’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio scorso, una parte significativa delle comunicazioni militari ucraine è diventata impossibile a causa di un attacco informatico al sistema di telecomunicazioni satellitari di Viasat usato appunto dalle forze militari del paese. L’attacco ha avuto ripercussioni anche in altri paesi che usano Viasat, dal Regno Unito alla Repubblica Ceca al Marocco. Fra i sistemi colpiti dagli effetti collaterali dell’attacco ci sono anche circa 2000 pale eoliche in Germania. Non risultano interessate le compagnie aeree che usano i sistemi Viasat o i clienti Viasat del governo statunitense. I modem degli utenti colpiti sono stati resi inservibili.
ℹ️ Commercial satellite operator Viasat is investigating a suspected cyberattack that caused a partial outage of its KA-SAT network in Europe.
Network data indicate that the incident began on 24 February ~4 a.m. UTC and is currently ongoing 📉
La vicenda è stata raccontata inizialmente dal Washington Post, da The Hill e in dettaglio da Ars Technica. Anche Wired.it ne ha parlato in questo articolo, indicando che sarebbero stati colpiti dall’attacco circa 27.000 utenti.
Oggi, finalmente, l’azienda direttamente interessata, Viasat, ha pubblicato il proprio resoconto dell’attacco, che spiega come si è svolto e quale punto debole dell’infrastruttura è stato sfruttato. La lettura è molto interessante, perché mostra un modo poco hollywoodiano e per nulla intuitivo di portare alla paralisi una rete di telecomunicazioni satellitari. Non c’è bisogno di “hackerare il satellite” se qualcuno configura maldestramente un accesso VPN al sistema di gestione della rete a terra e da lì qualcun altro manda comandi ai modem degli utenti, inducendoli a sovrascrivere le proprie memorie flash e diventare incapaci di ricollegarsi.
Lo scenario più plausibile è un attacco da parte russa o di affiliati o simpatizzanti del governo russo, ma al momento non ci sono prove.
Mi sono ripromesso di tenermi fuori dal teatrino dei complottismi intorno all'invasione russa dell’Ucraina, ma faccio un’eccezione per questo servizio di Ros Atkins, della BBC, che spiega e smonta bene la polemica artificiosa sul presunto neonazismo che, secondo i russi, dominerebbe in Ucraina e in particolare nel cosiddetto “battaglione Azov". Notate come si fa a comunicare bene, con parole nette, dati concreti, fonti esperte, toni pacati e soprattutto difesa della realtà pura e semplice, senza troppi giri di parole. Nove minuti che valgono novanta minuti di qualunque logorroico talk-show con ospiti chiamati a creare polemica e battibecco invece di informare.
You’ll have seen the multiple false claims that Putin and his supporters are making about ‘Nazis’ in Ukraine. We’ve looked at them in detail. pic.twitter.com/vERMtStdhI
Questa è la trascrizione dei sottotitoli e del parlato. Se a qualcuno interessa, ne preparo una traduzione in italiano.
ATKINS: Vladimir Putin has given several reasons
for his invasion of Ukraine. This is one
of them.
PUTIN: We will be aiming at demilitarization
and de-Nazification of Ukraine.
ATKINS: At a recent Putin rally, a banner
declared “for a world without Nazism” and Putin has described a “gang of drug
addicts and neo-Nazis, who settled in Kyiv and took the entire Ukrainian
people hostage”. But Russia's claims about Nazis in Ukraine are a mix of falsehoods and
distortions. For a start, Ukrainians are
not being held hostage by Nazis. Their
president’s Volodymyr Zelensky; he's Jewish,
he has relatives who died in the Holocaust and he's president because he
won 73% of the vote in 2019. The main
far-right candidate reached 1.6%
and that result is part of a broader
shift. In the 2012 parliamentary election,
the main far-right party won 10%. In 2014 it was 6%; in 2019 it was
2%. No far-right groups have any formal
political power in Ukraine and based on
polling and results, the far right's much
less popular in Ukraine than, for example,
the leader of the far-right in France, Marine Le Pen. Far-right groups, though, do exist in Ukraine and Russia's focus on them is
not new.
IZABELLA TAVAROVKSY (Wilson Center): The word “de-Nazify”, the idea that Ukraine has been overrun by the Nazis, is
something that Russian propaganda has
been talking about for eight years, since
the first invasion of Ukraine in 2014.
ATKINS: Ukraine wasn't and isn't being overrun
by Nazis. But what happened eight years
ago is relevant here. That's because in
late 2013, under pressure from Putin, Ukraine's then president Victor Yanukovych backed out of a cooperation
deal with the EU. Huge protests followed, as would a
crackdown. In time, Yanukovych would flee
to Russia. This was a challenge to Putin's ability to influence Ukraine, and
he retaliated. First, Russia annexed Crimea; then it backed separatists in
parts of eastern Ukraine. And this is
where the story connects back to the far
right, because in 2014 the Ukrainian
military was much smaller than it is now. It was struggling, and brigades of
volunteers joined the fight against the
separatists. Some of them had far-right
elements. The most high profile was this
one: the Azov battalion. It was set up by
this man, Andre Baletsky, who has a
history of racist and anti-semitic views
and in 2014 the BBC's Steve Rosenberg
spoke to him.
ROSENBERG: Much has been written about Azov. About it being ultranationalist and even neo-Nazi. What is Azov's ideology?
BALETSKY: Yes, we’re nationalists. We’ve never hidden that. Our whole ideology is in our symbol. It’s a combination of the letters I and N. It means “Idea of the Nation”.
ATKINS: This is the Azov emblem being shown to Steve there. It's a
pagan symbol known as “Wolfsangel”, and a
version of it was used by some SS units
in Nazi Germany. Andreas Umland is an expert
on Ukrainian nationalism. He's looked at
this, writing “The Wolfsangel has
far-right connotations... but it's not
considered a fascist symbol by the
population in Ukraine.” That may be, but
back in 2015 Azov acknowledged that some
of its fighters held Nazi views. A
spokesperson told USA Today that only 10
to 20 percent of the group's members are Nazis, and he sought to make a
distinction using one fighter as an
example. “I know Alex is a Nazi”, he said, “but it's his personal ideology, it has
nothing to do with the official ideology
of the Azov”. Now the degree of Nazi
sentiment in Azov is impossible to
verify, but this 2015 quote is relevant,
because by this time Azov had become
part of Ukraine's National Guard. It was
under government command, and there was
one main reason for that happening.
KACPER REKAWEK (University of Oslo): We have to be honest, they were just good
fighters in 2014, and they seem to be
pretty good fighters now in Mariupol. That's why they were taken on the books.
ATKINS: And in 2014, with Russia backing
separatists, urgent military
considerations trumped all others. Ukraine was under attack and its then
president Petro Poroshenko called Azov
“our best warriors”. But when in 2015 he
was asked by the BBC about the group's
far-right links,
his reply was blunt.
POROSHENKO: Please,
don't listen to Russian propaganda.
ATKINS: Russia has used Azov in its propaganda
for years, and as we assess claims about Azov's role in Ukraine, context is vital
here. Ukraine's armed forces total 250,000 plus 50,000 National Guard. Azov is
part of the National Guard, with around a
thousand volunteer fighters. It's a tiny
fraction of the Ukrainian military. It's
also not the same force as it was in
2014.
ADRIEN NONJON (National Institute of Oriental Languages & Civilizations): Azov opened its recruitment to the whole of Ukrainian society and eventually this
radical core was drowned out by the mass
of newcomers who joined the regiment
because it was an elite unit.
ATKINS: And while the membership, was evolving
the founder also left to start a new
far-right political party. A party which
has failed to achieve any electoral
success. But the Azov regiment that he
left behind is high-profile and
mainstream. This is the view of the Ukrainian government.
ANTON HERASHCHENKO (Adviser to Ukraine’s Interior Minister): The only Nazi elements we have on the
territory of Ukraine now are the Russian
fascist army.
ATKINS: In the last few days, President Zelensky
announced that Azov's commander in Mariupol will receive the highest
national military award. But despite this
acclaim, despite the evolving membership,
questions about neo-Nazi links remain. In
January, Buzzfeed's Christopher Miller
reported that he'd seen an Azov veteran
wearing white supremacists and Nazi
symbols. There is, though, no evidence such
sentiment is widespread. Here's Vitaliy
Shevchenko from BBC Monitoring.
SHEVCHENKO: I was
looking at the Azov battalion's social
media activity and its website
and
all they talk about is fighting the Russian forces, and there's very little
in terms of
extremist,
anti-migrant or
xenophobic rhetoric there.
ATKINS: And so it is
this Azov regiment that is part of Ukraine's resistance, and just as in 2014
its focus is the Donbass region that
includes the two breakaway republics and
the city of Mariupol. It is close to the Sea of Azov which gives the regiment its
name. It's also where Azov made its name. Back in 2014, Azov successfully defended
the city. As Mariupol is bombarded by the Russians now, alongside other Ukrainian
forces, it's trying to do so again. And Azov's presence in Mariupol once more
makes it central to Russia's false
narratives. You'll remember the horror of Russia bombing a maternity hospital in
the city. Afterwards the Russians said
this.
SERGEI LAVROV (Russian Foreign Minister): At the UN Security Council, facts were
proffered by our delegation, saying that
the maternity hospital had been taken
over by Azov battalion and other
radicals.
ATKINS: But there's no evidence Azov
were based there; no evidence it was a
military facility. Then there's Russia's
attack on a theater in Mariupol that was
sheltering civilians. Russia accuses Azov
of doing this; there's absolutely no
evidence this is true. And so, while any Azov volunteers having
neo-Nazi sympathies is shocking and worthy
of note, neo-Nazis are not the threat
that Russia describes. But perhaps this
is not about an actual threat and rather
about something else entirely. The New York Times writes of how the word “Nazi”
appears geared towards Russians, for whom
remembrance of the Soviet Union's
victory over Nazi Germany remains
perhaps the single most powerful element
of a unifying national identity. Putin is
looking to the past to create motivation
in the present. This is the historian Shane O'Rourke.
SHANE O’ROURKE: What the regime is doing is using the
memory of the war, the very deep feelings
it arouses, to legitimize its actions not
just in Ukraine but but in many other
places as well.
ATKINS: Putin has his reasons to
do this, but he doesn't have the facts. Just after Russia's invasion, 150
historians who study genocide, Nazism
and World War II released a statement. In
it, they argue “This rhetoric is factually
wrong, morally repugnant and deeply
offensive to the memory of millions of
victims of nazism and those who
courageously fought against it”. The
rhetoric is factually wrong: Nazis don't
hold Ukraine hostage, they're not
launching attacks on Ukrainians. There's
no evidence to support this kind of
claim.
SERGEI MAKROV (Former Russian MP): Most of the Ukrainians hate these
neo-Nazi groups
and they pray for Russia and for
somebody else to liberate Ukrainian society from a Nazi group.
ATKINS: Ukrainians don't need liberating from Nazis; to their president, this idea is
pure fiction.
VOLODYMYR ZELENSKY: It's already the 25th day of the Russian
military trying in vain to find
imaginary Nazis from whom they allegedly
want to defend our people, just as
they're trying in vain to find Ukrainians who would greet them with
flowers.
ATKINS: That search will continue to be
in vain because while the evolution of
the Azov regiment deserves scrutiny,
neo-Nazis and the far-right do not play
the role in Ukraine that Russia falsely
describes. They didn't in 2014;
they don't now.
Da qualche tempo (specificamente dalla versione 93, ottobre 2021) Firefox “protegge” l’utente contro quelli che ritiene scaricamenti di file “insicuri” (l’annuncio ufficiale è qui).
Apprezzo le intenzioni, ma per me (e immagino anche per molti altri) è una scocciatura, perché blocca anche lo scaricamento dei file MP3 da siti https che usano http per il download. Me ne sono accorto quando ho provato a scaricare una puntata del mio podcast dal sito della RSI (per esempio da questo link, che non è quello presente nella pagina web RSI ma è quello che mi arriva nel feed RSS, che leggo tramite Feedly).
Il guaio è che Firefox non avvisa che lo scaricamento non è stato fatto. Per accorgersene bisogna andare nell’elenco dei download, e solo allora compare l’avviso “File not downloaded: Potential security risk” che vedete nello screenshot qui sopra.
Per disattivare questo “aiuto”, Techradar consiglia di digitare about:config nella casella dell’URL di Firefox, cliccare sul pulsante di accettazione del rischio, cercare block_download_insecure e impostarlo a false. Non occorre riavviare Firefox.
ATTENZIONE: Questa modifica ovviamente riduce la protezione offerta dal browser e può portare a situazioni pericolose, quindi usatela con giudizio.
Giada Oricchio su Il Tempo ci spiega che le immagini TV si trasmettono in onde corte e che addirittura lo si faceva già durante la Seconda Guerra Mondiale (copia permanente). Grazie a berner*** per la segnalazione.
Repubblica ci delizia con la grafica che spiega come portare avanti le lancette. Grazie a @santebande per la segnalazione. Copia permanente: archive.ph/lwJPX
TrevisoToday si premura di scrivere “le iniziali” e poi pubblica ripetutamente nome e cognome. Ho aggiunto io le pecette.
La foto scelta dalla RSI propone addirittura di sostituire gli orologi invece di spostare le lancette (grazie a @MieleMielee per la segnalazione):
Intanto Repubblica scrive (a firma di Gennaro Totorizzo) che a una persona hanno rubato la “sedia elettrica”. E lo scrive ripetutamente: “La sua sedia elettrica era fondamentale per avere un minimo di "libertà"... Facciamo un appello a chi ha compiuto questo gesto a riconsegnare la sedia elettrica”. Copia permanente: https://archive.ph/Iwtty. Grazie a LW per la segnalazione. Ho un déjà vu.
È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso
www.rsi.ch/ildisinformatico
(link diretto) e qui sotto.
Quando si insegnano le basi della sicurezza informatica e in particolare come
difendersi dai ladri di password, una delle regole più importanti, ripetute
fino alla noia, è che prima di digitare la propria password bisogna sempre
verificare di essere nel sito vero e non in una sua imitazione fabbricata dai
truffatori.
Per fare questa verifica in modo facile e usabile anche da persone non
esperte, si consiglia di ignorare l’eventuale contenuto grafico della pagina
che sta chiedendo le credenziali di accesso e di guardare con attenzione il
nome del sito, ossia l’URL (quello indicato in alto nella schermata).
Per esempio, se voglio verificare di essere davvero nella schermata di login
di Google e non in quella imitata da un truffatore, dovrò controllare che in
alto ci sia scritto accounts.google.com e non
pincopallino.com oppure googIe.com.
Come ulteriore verifica, cercherò anche l’icona di un lucchetto chiuso accanto
al nome del sito: se non c’è, saprò per certo che mi trovo nel sito di
un truffatore e quindi non digiterò la mia password. Se c’è, invece, non mi
potrò fidare, perché i truffatori più abili possono fare in modo che il
lucchetto chiuso compaia; ma se manca, sarò sicuro di aver evitato un raggiro.
Semplice e pratico, insomma: due piccoli abitudini (guarda il nome, cerca il
lucchetto) che si imparano facilmente e diventano automatiche come guardare a
sinistra e a destra prima di attraversare la strada.
Ma lascia fare agli informatici: è stata pubblicata da poco una tecnica che
sovverte queste regole di sicurezza, perché è in grado di imitare quasi
perfettamente sia il nome del sito, sia la presenza del lucchetto.
Questa tecnica si chiama Browser in the Browser, abbreviato in
BITB, ed è stata
annunciata
da un ricercatore di sicurezza che si fa chiamare semplicemente
mr.d0x.
Funziona così: avete presente quelle finestre di dialogo che compaiono spesso
quando si accede la prima volta a un sito? Quelle che per evitarvi di dover
creare un account e una password appositamente vi dicono
“login con Facebook”,“login con Microsoft”, “continua con Apple”,
“collegati usando Google”
o cose simili e vi propongono appunto di usare un vostro account esistente per
il nuovo sito? Il ricercatore mostra che è estremamente semplice, per un
esperto, creare una versione fraudolenta di queste finestre di dialogo e farla
apparire sullo schermo della vittima.
Fin qui niente di speciale, ma il trucco di mr.d0x è che aggiunge alla
finestra di dialogo un bordo superiore che
imita la testata di un browser.
La vittima, di conseguenza, crede che la finestra di dialogo sia la finestra
del browser, e quando va a controllare il nome del sito e la presenza del
lucchetto, seguendo le classiche regole di sicurezza, guarda il nome del sito
mostrato nella finta testata del browser, che è sotto il controllo del
truffatore.
Il ladro di password, infatti, può far comparire in questa testata un nome di
sito a suo piacimento, per cui se vuole per esempio rubare una password di un
account Google metterà in questa falsa testata accounts.google.com. E
per di più potrà anche inserire l’icona del lucchetto, fintamente
rassicurante.
Un video pubblicato
su YouTube illustra in dettaglio il procedimento necessario per creare un sito
rubapassword che usi questa tecnica, con tanto di modelli predefiniti (anche
qui) e sito dimostrativo (Getgophish.com). La semplicità di questo metodo è preoccupante, ed è inevitabile che questa
tecnica verrà utilizzata dai truffatori e non solo dai ricercatori di
sicurezza.
Anzi,
è già stata usata
almeno una volta, nel 2020, per rubare password del servizio di distribuzione
di videogiochi Steam.
A questo punto occorre insomma aggiornare le regole di sicurezza: non basta
più controllare il nome del sito e l’eventuale assenza del lucchetto. Gli
esperti notano che c’è un modo abbastanza semplice per distinguere un sito
fraudolento che usa questa tecnica rubapassword da un sito autentico. Consiste
nel provare a spostare la finestra di dialogo: se è vera, sarà possibile
spostarla in modo che si sovrapponga alla vera testata del browser; se
è falsa, questo spostamento la farà finire sotto la vera testata. Ma
l’utente medio si ricorderà di fare ogni volta tutti questi controlli?
È improbabile, per cui si consiglia di usare un approccio differente, di
prevenzione: attivare l’autenticazione a due fattori su ogni account, usando
le istruzioni apposite facilmente reperibili in Google. In questo modo, se si
sbaglia e si digita la propria password in un sito che la ruba, i ladri non
potranno comunque prendere il controllo dell’account e si dovrà semplicemente
cambiare la password.
Come sempre, anche in informatica, prevenire è meglio che curare.
Da tempo gli esperti avvisavano che prima o poi qualcuno avrebbe creato
disinformazione intorno a un tema di importanza mondiale usando la tecnica del
deepfake, quella in cui un video viene alterato applicando al corpo di
una controfigura il volto di una persona famosa e poi animando quel volto in
modo che sembri realistico e tridimensionale. Spesso questa tecnica viene
sfruttata per far fare e dire a qualcuno qualcosa che non ha in realtà né
fatto né detto.
Il momento di cui avvisavano gli esperti è arrivato: l’aggressione della
Russia ai danni dell’Ucraina viene combattuta anche a colpi di propaganda, e i
deepfake sono diventati parte integrante di questa propaganda.
È infatti in circolazione un video nel quale il presidente ucraino Zelensky
sembra chiedere ai civili di deporre le armi e arrendersi ai militari russi.
Il video ha ottenuto una certa
visibilità sui social network, ma è stato
segnalato
dai media ucraini e rimosso dai social abbastanza prontamente; inoltre
Zelensky stesso è
apparso
in un altro video per smentire il deepfake.
In questo caso è abbastanza facile capire che il video del presunto invito
alla resa è un falso: il volto sovrapposto di Zelensky ha una nitidezza e una
colorazione nettamente differenti da quelli del resto del corpo. Ma è
importante non fermarsi alla semplice analisi tecnica del video: bisogna
sempre controllarne la fonte.
Zelensky, nota
Snopes, ha registrato numerosi video usando lo stesso sfondo, ma li ha sempre
pubblicati sui suoi profili social e sulle pagine social ufficiali del governo
ucraino. Il video falso, invece, non è mai apparso su queste fonti.
Sta circolando anche un altro deepfake legato all’invasione russa
dell’Ucraina: è un
video
nel quale una persona che sembra essere il presidente russo Putin annuncia
apparentemente la fine della guerra e dice che è stata raggiunta la pace con
l’Ucraina e che verrà ripristinata l’indipendenza della Crimea.
Президент РФ обьявил о капитуляции россии. Русский солдат, бросай оружие и
иди домой, пока жив!
pic.twitter.com/5wWC3UlpYr
La qualità tecnica di questo secondo deepfake è decisamente superiore a
quella del video precedente: la risoluzione del volto e la sua ombreggiatura
sono coerenti con il resto del corpo, e gli unici indizi tecnici di
manipolazione sono il fatto che la bocca del finto Putin non è ben
sincronizzata con il parlato e che la voce non è quella di Putin. Ma sono
sottigliezze che possono passare inosservate per via dell’emotività della
situazione, della scarsa familiarità di molti con la vera voce del presidente
russo e della bassa qualità delle immagini se viste sugli schermi molto
piccoli degli smartphone.
Gli
esperti
sono riusciti a scoprire che il falso video di Putin è stato realizzato
partendo da un
video reale
pubblicato dal Cremlino il 21 febbraio.
Anche in questo caso, quindi, vale la regola della fonte e del contesto. Non
basta che un video sia tecnicamente realistico: bisogna anche vedere se viene
pubblicato e confermato dalla fonte ufficiale che dovrebbe averlo prodotto.
I truffatori su Internet non hanno scrupoli. Non si fermano di fronte a nulla, neppure alla guerra: anzi, ne approfittano, sfruttando l’emotività di chi vi assiste e vorrebbe poter aiutare in qualche modo.
L’esperto informatico Graham Cluley segnala in particolare due casi di tentata truffa legati all’invasione russa dell’Ucraina.
Il primo caso è una mail che finge di provenire da donne ucraìne che offrono di mostrare le proprie grazie in chat a pagamento. Andando a controllare il sito che organizza il servizio emergono rimpalli da un sito a un altro e soprattutto strane condizioni contrattuali, fra le quali spicca il fatto che il foro competente per eventuali controversie legali sarebbe quello di Frankfort, nel Kentucky, un po’ lontano dal teatro del conflitto.
Non c’è modo di verificare che le donne in questione siano realmente ucraìne o che i soldi spesi in questa maniera arrivino effettivamente alle persone in difficoltà in Ucraina. La situazione drammatica di questo paese sembra essere semplicemente la leva emotiva che viene sfruttata in questo momento dai truffatori, per cui consiglio di essere particolarmente cauti di fronte a questo tipo di offerte.
Tenete presente, inoltre, che ci sono truffatori che non si limitano a questo tipo di inganno, ma vanno ben oltre, invitando le vittime a chat gratuite che diventano ben presto bollenti. Il loro obiettivo, in questo caso, è convincere le vittime a esibirsi personalmente in video, usando la tecnica del “se mi fai vedere qualcosa tu, ti faccio vedere qualcosa anch’io”, e poi ricattarle minacciando di pubblicare il video della chat, magari mandandola specificamente agli amici o al partner sentimentale, i cui nomi vengono facilmente trovati dai ricattatori grazie alle informazioni che le persone pubblicano sui social network.
L’informatico Graham Cluley segnala anche un altro tipo di truffa, nel quale una mail inviata da un sedicente “Esercito dell’Ucraina” chiede sostegno economico e dice che la Banca Nazionale dell’Ucraina ha aperto un conto speciale per la raccolta di fondi, anche tramite criptovalute come i bitcoin.
La cosa strana è che il link presente nella mail (copia su Archive.org) porta davvero al sito reale della Banca Nazionale dell’Ucraina, specificamente alla sua pagina che annuncia realmente l’apertura di un conto speciale a sostegno delle forze armate ucraine, proprio come dice la mail truffaldina, ma c’è un trucco.
Le coordinate di pagamento indicate nella mail dei truffatori sono differenti da quelle riportate sul sito reale della banca. La banca indica dei numeri di conto normali, mentre la mail dei truffatori riporta un wallet o portafogli in bitcoin (bc1qv729ckc4m256vzjsmvwg4gcerdkh64zr7hp8f8).
In altre parole, i truffatori stanno approfittando di una notizia reale, e del buon cuore delle persone, per imbrogliare.
Per fortuna sembra che per ora l’imbroglio stia andando maluccio: dato che il registro delle transazioni delle criptovalute è pubblico, possiamo sapere quanti soldi sono passati dal wallet usato dai truffatori. Al momento ammontano a circa 279 dollari, versati ai criminali da otto vittime.
Fate attenzione, e se volete fare donazioni, rivolgetevi soltanto a intermediari conosciuti e affidabili; non fidatevi dei link ricevuti via mail o tramite WhatsApp e simili.
Stephen Wilhite, il creatore del popolarissimo formato grafico GIF,
è morto a 74 anni il 14 marzo scorso. Ne ha dato
annuncio
la moglie Kathaleen.
La sua invenzione di questo formato grafico risale al 1987, quando Wilhite
lavorava alla Compuserve, uno dei grandi operatori online statunitensi
dell’era pre-Internet. Fu una rivoluzione per la grafica digitale, che
all’epoca era quasi inesistente a causa delle limitazioni tecniche dei
computer, dei modem e delle linee telefoniche di quel tempo.
Oggi che guardiamo disinvoltamente video in 4K in streaming può sembrare
incredibile, ma negli anni Ottanta era normale aspettare
diversi secondi mentre la singola immagine fissa si componeva, riga dopo
riga, sullo schermo del computer. E persino questo misero risultato era
ottenibile soltanto grazie a una serie di scorciatoie tecniche molto eleganti
adottate da Wilhite.
La scorciatoia principale era la riduzione della quantità di dati da
trasmettere, grazie alla compressione digitale (LZW) e alla riduzione
del numero di colori realmente presenti nell’immagine: ne venivano infatti usati al
massimo 256, e tutte le sfumature intermedie venivano simulate usando pixel di
colori approssimativamente simili (come potrete notare ingrandendo l’immagine
di Wilhite qui sopra, che è ovviamente in formato GIF).
Il formato non era ideale per le fotografie, ma era ottimo per i grafici e
aveva due grandi vantaggi: consentiva di creare piccole animazioni cicliche --
ve li ricordate i classici omini stilizzati che lavorano negli avvisi “sito in
costruzione”? -- e inoltre era compatibile con tutti i tipi di computer. Anche per
questo è ancora diffusissimo anche adesso, per esempio per creare
mini-immagini di commento o decorazione per i post sui social network.
Nel 2012 la sigla GIF, che sta per
Graphics Interchange Format, ossia
“formato per l’interscambio di grafica”, è stata scelta come parola
dell’anno dai prestigiosi
Oxford Dictionaries, e nel 2013 Stephen Wilhite ha vinto un prestigioso
premio Webby
per la sua invenzione e per il suo contributo alla cultura di Internet.
Sull’importanza del formato creato da Wilhite non ci sono dubbi: ma su come si
pronunci il nome di quel formato, invece, c’è un battibecco che spopola fra
gli informatici da decenni. Si dice GIF (gif) con la G di giraffa o GIF
(ghif) con la G di ghianda?
Secondo la documentazione tecnica ufficiale, rilasciata nel 1987, la pronuncia
corretta sarebbe gif (con la G di giraffa):
“The GIF (Graphics Interchange Format), pronounced "JIF", was designed by
CompuServe and the official specification released in June of 1987” (GIF Pronunciation Page).
Wilhite stesso, nel ritirare il premio Webby nel 2013, ha ribadito che la
pronuncia corretta è gif, e lo ha fatto a modo suo, usando appunto una
GIF animata con la dicitura
“It's pronounced "JIF" / not "GIF"”:
In teoria, essendo il creatore dello standard, è lui a decidere qual è la
pronuncia corretta del nome della sua creatura. Ma molti linguisti sono
dell’avviso che in realtà è l’uso comune, non la regola astratta e imposta, a decidere
la pronuncia dei vocaboli e degli acronimi, per cui il papà delle GIF
(ghif) o GIF (gif) che dir si voglia non avrebbe l’ultima parola
sul nome della propria creatura.
Di fatto, a livello mondiale sembra che si stia imponendo la pronuncia
ghif, secondo alcuni
sondaggi, e i dizionari più
autorevoli sono divisi sulla questione. La controversia è stata
citata
anche in Big Bang Theory (nella puntata
The Fortification Implementation).
Howard Wolowitz : Settle this. Those little animated pictures on the Internet,
are they called "gifs" or "jifs"?
Leonard Hofstadter : Well, the G
stands for "graphics." That's a hard G, so I'd say "gif."
Raj
Koothrappali : What? The guy who invented it says it's "jif."
Howard
Wolowitz : I'm sorry, do you mean the guy or the juy?
Qui sotto trovate lo spiegone, illuminante come sempre, di Tom Scott.
Una cosa è certa: tormentare i vostri amici informatici sottoponendo loro la
domanda “Ma si pronuncia “gif” o “ghif”?” è sempre stato un metodo
garantito per creare pandemonio. Ora è utile anche per tenere viva la memoria
di Stephen Wilhite.
Kjell Lindgren, comandante dell’equipaggio della missione Crew-4 alla quale
parteciperà a metà aprile Samantha Cristoforetti come specialista di missione, ha
annunciato
il nome della capsula Crew Dragon che li porterà alla Stazione Spaziale
Internazionale insieme al pilota Robert Hines e alla specialista di missione Jessica Watkins.
Questo è il testo dei suoi tweet di annuncio:
FREEDOM!! Crew-4 will fly to the International Space Station in a new Dragon capsule named “Freedom.” The name celebrates a fundamental human right, and the industry and innovation that emanate from the unencumbered human spirit. Through the Commercial Crew Program, NASA and SpaceX have restored a national capability and we honor the ingenuity and hard work of those involved. Alan Shepard flew on Freedom 7 at the dawn of human spaceflight. We are honored to bring Freedom to a new generation!
Da sinistra: Watkins, Hines, Lindgren e Cristoforetti nella capsula Crew Dragon.
Io cerco di non farmi venire i travasi di bile, ma vorrei proprio sapere come
fa un giornalista a non chiedersi cosa possa mai essere un
"virus tergicristallo".
A quanto pare, secondo Nicola Pepe (“capo servizio redazione online La Gazzetta del Mezzogiorno”, secondo la sua bio su Twitter)
e altri, a un giornalista costa troppa fatica chiedere a un esperto prima di
stampare una scemenza monumentale del genere.
L’immagine completa, per chi ha difficoltà con Twitter:
Nicola Pepe non è l’unico, come mostra una semplice ricerca in Google:
In originale è "wiper". Sì, da solo vuol dire "tergicristallo",
ma "wiper" è un tipo di virus/malware che cancella tutti i dati della
vittima. Sarebbe bastato usare
Wikipedia.
Sarebbe bastato non lavorare col deretano.
E non è finita: adesso arriva anche l’"attacco tergicristallo".
La scemenza viene ripetuta più volte nell’articolo di Hitechglitz (copia permanente), nelle varianti “attacco al tergicristallo”,
“virus tergicristallo” e anche “il tergicristallo”tout court:
Cari colleghi, davvero NESSUNO si ferma a pensare prima di scrivere queste
minchiate? NESSUNO si chiede cosa mai possa voler dire
"attacco tergicristallo"? Siamo giornalisti o amebe?
---
E prima che arrivi il solito che dice
“ma è nel titolo/sottitolo, che non viene scritto dal giornalista”,
mettiamo in chiaro bene una cosa:
al lettore non gliene frega niente di chi l’ha scritto, che sia il
titolista, il giornalista o il Mago Zurlì. È troppo comodo dare la colpa al
titolista anonimo.
Il titolista anonimo è stato scelto e messo sotto contratto da qualcuno del
giornale; non è caduto in redazione per caso, portato dalla cicogna. Fa parte
della redazione del giornale. Se scrive minchiate, la colpa è sua, ma è anche
di chi l’ha messo lì a scrivere minchiate e lo lascia lì a continuare a
scrivere minchiate.
Perché scemenze di questo genere continuano a uscire sui giornali e nessuno fa
niente per cercare di evitarle. Questo non è un incidente isolato di
incompetenza informatica e di giornalismo a neuroni spenti: è un problema
generale di metodo di lavoro. Le redazioni che lavorano così dovrebbero farsi
un esame di coscienza e chiedersi seriamente se lo scopo fondamentale del loro
giornale sia fare informazione oppure fottere il lettore rifilandogli scemenze
a pacchi con la minore spesa possibile, sperando che non se ne accorga.
---
Nicola Pepe ha risposto pubblicamente come segue alla mia segnalazione su
Twitter:
“Quindi sono scemenze le notizie del dl del Governo sui software di società
russe? O gli alert dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale? O gli
avvisi del Csirt? A chi giova questa (contro) informazione su una parola tra
virgolette che non c'entra nulla col 90% della notizia?”
(copia permanente).
Gli ho
risposto
così:
“Certo che no, collega. Gll avvisi del CSIRT non sono scemenze. Quel
titolo, con quel termine ridicolo, invece, lo è. Sarebbe dignitoso
ammetterlo, invece di cercare scuse.”
Sua
replica:
“Non cerco scuse. Puoi anche fare sarcasmo senza offendere il lavoro di un
collega e di una testata, se sei un giornalista. Sarebbe bastato edulcorare
i contenuti offensivi. Diversamente faró querela o segnalarero alla
Polizia delle comunicazioni. Non siamo al circo”
(copia permanente).
E
anche:
“Spero che chi ha messo un like a questo teeet offensivo abbia un
paracadute svizzero come il suo autore perché dopo questo momenti di gloria
virtuale sarà querelato e dovrà difendersi in tribunale con un avvocato.”
(copia permanente). Fra l’altro, il
mio tweet
al quale si riferisce non lo riguarda nemmeno.
La discussione è proseguita (ben presto senza di me) con livelli crescenti di
surrealismo, Effetto Streisand e lesa maestà.
Poi la gente mi chiede perché non contatto in privato i colleghi per avvisarli
quando scrivono stupidaggini.
---
Intanto c’è chi giustamente ci ride su, anche per non piangere:
sì sì, voi ridete e scherzate, ma vi assicuro che per chi se l'è
beccato, come il sottoscritto, non c'è proprio niente da ridere! 😪
pic.twitter.com/8TAXgb0Eb9
Il programma Patti Chiari della Radiotelevisione Svizzera ha fatto il punto sul confronto di costi fra auto elettrica e auto tradizionale alla luce dei recenti rincari dei carburanti.
Il test (da 54m19s) riguarda una persona che fa 500 km a settimana (24.000/anno) sulle strade svizzere. Per fare 100 km ha consumato 6,4 litri con l’auto a gasolio, secondo i dati indicati dall’auto. Al prezzo di 1,970 CHF/litro, 100 km gli sono costati 12,6 CHF; ma per rabboccare l’auto e tornare al pieno ha speso 14,05 CHF comperando 7,13 litri. Con l’auto elettrica (una Volkswagen) ricaricata a casa, spende 45 centesimi al kWh e 4,50 CHF (quindi 10 kWh) in tutto per percorrere gli stessi 100 km. Gli risulta un risparmio di 2280 CHF l’anno.
Questo, va notato, con un contratto che gli fa pagare i kWh più del doppio di quello che spendo io (16 centesimi in fascia notturna) con il carburante a 1,970 CHF/litro. Oggi i prezzi sono intorno ai 2,3 CHF/litro, per cui la differenza è ancora maggiore: quei 100 km costano 14,72 CHF, mentre con un contratto elettrico come il mio costerebbero 1,6 CHF. Nove volte meno.
Va detto che 10 kWh per 100 km sono un risultato ottimo, dovuto forse alla velocità molto ridotta: a velocità autostradali si consuma solitamente il doppio in auto elettrica. Per cui il costo sarebbe “solo” quattro volte e mezza più basso rispetto al carburante.
Anche con questa stima prudente, significa che si risparmiano circa 131 CHF ogni 1000 chilometri. Un automobilista che fa 10.000 km/anno risparmia 1310 CHF; uno che ne fa 50.000/anno risparmia 6700 CHF/anno. A questi prezzi, la differenza di spesa iniziale dell’auto elettrica si ammortizza piuttosto in fretta. Con quello che si spende extra in dieci anni di benzina ci si compra una Tesla nuova.
A 1h14m56s ci sono anche alcuni consigli per ridurre i consumi sia per le auto a carburante, sia per quelle elettriche.
Pochi giorni fa sono stato intervistato da Astrospace.it a proposito del programma spaziale Artemis di ritorno umano sulla Luna e sui possibili effetti di questo ritorno sulle tesi di complotto intorno agli allunaggi di cinquant’anni fa. Ecco il video.
Per chi avesse dubbi sulla realtà degli allunaggi e se li volesse togliere, il mio sito/libro gratuito è sempre a disposizione (anche in inglese).
È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso
www.rsi.ch/ildisinformatico
(link diretto) e qui sotto.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
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È il 26 marzo 2009. Sul canale YouTube WhisperingLife viene pubblicato il
primo video concepito intenzionalmente per generare un effetto ASMR (MentalFloss). Non
contiene immagini, ma solo una voce femminile che spiega, sussurrando, che le
piace tantissimo ascoltare registrazioni di persone che bisbigliano e lo trova
“assolutamente strano”.
L’effetto ASMR è quello che avete probabilmente provato ascoltando questo
video di WhisperingLife, specialmente se lo avete fatto usando delle cuffie
(cosa che vi consiglio vivamente di fare): è una sensazione difficile da
descrivere e molto soggettiva, per alcuni è una sorta di solletichìo
sensoriale, che coinvolge solitamente il cuoio capelluto e la nuca, e per
altri è una forma più generale di piacere, euforia o rilassamento. Altri
ancora provano disagio. In ogni caso, è un effetto inatteso e sorprendente,
che oggi ha una popolarità altrettanto inattesa e sorprendente.
Questa sensazione non aveva nemmeno un nome, nel 2009: o meglio, ne
aveva
molti
non formali, come “solletico al cervello” o “orgasmo cerebrale”. Bisogna
aspettare il 2010 per vedere la nascita della sua etichetta definitiva, ossia
ASMR, da parte dell’informatica Jennifer Allen, che conia questa sigla
come acronimo di Autonomous Sensory Meridian Response, ossia
“risposta sensoriale meridiana autonoma”. È un nome in realtà privo di
significato medico in senso stretto, ma Nick Davis, psicologo e
neuroscienziato della Metropolitan University di Manchester che studia l’ASMR,
lo descrive per
Wired (a 1m00s).
È una risposta autonoma perché avviene nel soggetto; è
sensoriale perché colpisce puramente i sensi e non è necessario fare
nulla, per esempio muoversi, per evocarla; ed è meridiana perché...
perché questa parola è un eufemismo al posto di orgasmica, che avrebbe
reso più difficile per i ricercatori affrontare il tema senza essere sommersi
dalle risatine dei colleghi.
Infatti, spiega Davis, l’ASMR non sembra essere legato necessariamente alla
sfera sessuale, anche se su Internet non mancano esempi di ASMR di questo
genere (Gizmodo), ma ha più a che fare con il fatto che la voce sussurrata, che il
cervello interpreta come vicina, dà la sensazione che qualcuno stia dedicando
attenzione personale all’ascoltatore.
ASMR in italiano. Lo spezzone che si sente nel podcast è tratto da qui.
L’ipotesi dell’accudimento sembra essere avvalorata anche dalla popolarità dei
video ASMR nei quali le persone mangiano qualcosa molto vicino al microfono:
Nick Davis (a 4:00 nel video di Wired) fa notare che l’unica occasione che si ha, nella vita
normale, di udire suoni analoghi è durante l’infanzia, quando il bambino sta
in braccio al genitore, con l’orecchio vicino o a contatto con la testa
dell’adulto, e quindi può sentirlo masticare da vicino. Questo richiamo alle
sicurezze dell’infanzia sarebbe una delle ragioni dell’efficacia rilassante
dei video ASMR.
Un’altra ipotesi è che la sensazione di vicinanza stimoli piacevolmente
perché viene associata all’intimità con una persona, non necessariamente in
senso sessuale: per esempio, alcune persone descrivono sensazioni simili a
quelle dell’ASMR quando vanno dal parrucchiere o dal truccatore.
Anche se i meccanismi precisi sono ancora da scoprire, secondo
ThinkwithGoogle
c’è un fenomeno che sembra dimostrare l’efficacia dei video ASMR per aiutare a
prendere sonno: in tutto il mondo, le ricerche della sigla ASMR in Google
hanno un
picco
intorno alle 22:30 locali, ora alla quale molta gente sta cercando appunto di
addormentarsi.
La ricerca scientifica sull’ASMR è ancora scarsa: il primo libro
sull’argomento risale al 2007, si intitola Brain Tingles (“formicolii
al cervello”) ed è stato scritto da
Craig Richard, professore di scienze biofarmaceutiche alla Shenandoah University. Gli
articoli scientifici non sono tanti, ma hanno già documentato che gli effetti
fisiologici dell’ASMR sono reali e tutt’altro che immaginari: il battito
cardiaco rallenta, la risposta elettrica della pelle varia, con risultati
paragonabili a quelli dell’ascolto di musica o delle pratiche di
mindfulness.
Le emozioni positive e le sensazioni di relazione sociale generate
dall’esposizione a contenuti ASMR sono altrettanto significative, secondo una
ricerca dell’Università di Sheffield condotta su un numero molto elevato di
volontari (Science Daily). Altre ricerche indicano un effetto positivo, anche se temporaneo, nella
riduzione dei sintomi della depressione, dello stress e del dolore cronico (Autonomous Sensory Meridian Response (ASMR): a flow-like mental state, di Emma L. Barratt e Nick J. Davis, 2015, PeerJ).
Per contro, ci sono anche persone che trovano assolutamente irritanti i video
e i suoni ASMR o ne ricevono una sensazione di disagio: questa condizione
viene spesso descritta come
misofonia.
Può sembrare strano che la scienza non si sia occupata granché del fenomeno e
che l’ASMR sia stato portato alla ribalta soltanto con l’avvento di YouTube,
ma il problema di fare ricerca scientifica su questo effetto è che gli
strumenti che consentirebbero di osservarlo, come la risonanza magnetica, sono
estremamente rumorosi e poco rilassanti.
Di fatto, i video ASMR sono una delle tendenze più popolari su YouTube: questo
acronimo è al terzo posto nella classifica dei termini più cercati di tutti i
tempi negli Stati Uniti (i primi due sono Fortnite e Minecraft)
ed è al quinto posto nella classifica mondiale (Semrush). Ci sono oltre 13 milioni di video ASMR su YouTube e quasi undici milioni
di post su Instagram con il tag ASMR (Mental Floss). Alcuni canali YouTube dedicati a questo genere di contenuti hanno oltre un
milione di iscritti, e alcuni video hanno oltre
venti milioni di visualizzazioni, e così questo genere di produzione ha attirato inevitabilmente interessi
commerciali.
23 milioni di visualizzazioni per questo video ASMR.
Sono già nati i primi spot pubblicitari, soprattutto nel settore alimentare,
che sfruttano le tecniche ASMR, anche perché i creatori di questi video spesso
già usano i prodotti da reclamizzare: li scartano, li stappano, li masticano,
e quindi è facile creare un abbinamento promozionale o una sponsorizzazione
(ThinkwithGoogle). Nel 2019 uno
spot per il
Superbowl ha fatto sussurrare Zoë Kravitz mentre picchiettava su una bottiglia
di una nota marca di birra; altre marche che hanno fatto ricorso all’ASMR sono
KFC, Dove, IKEA, e Ritz.
Esiste anche un sito,
ASMR University, che raccoglie tutte
le informazioni e i consigli utili per chi vuole entrare in questo mercato.
I
suggerimenti
fondamentali sono l’uso di un microfono di buona qualità, visto che dovrà
amplificare parecchio dei suoni molto deboli, un filtro antipop per smorzare
le consonanti esplosive o occlusive, come la P o la B, un ambiente silenzioso,
magari usato di notte in modo da ridurre i rumori provenienti dall’esterno, e
guardare cosa fanno gli altri YouTuber ASMR per imitarne gli aspetti più
appaganti ma aggiungervi un tocco personale e spontaneo. In fin dei conti, se
l’efficacia dell’ASMR dipende dalla sua capacità di creare una situazione
rassicurante e intima, non impegnativa, in cui l’ascoltatore si sente accudito
personalmente, essere sinceri e spontanei è indispensabile.
Arriveremo mai ad avere un medico che ci prescrive sessioni di video ASMR su
YouTube al posto dei sonniferi? È decisamente troppo presto per dirlo; la
storia e la scienza dell’ASMR sono ancora tutte da scrivere, e nulla di quello
che vi ho raccontato fin qui va interpretato come consiglio medico o sostituto
di terapie convenzionali. Ma resta sicuramente il fascino di un fenomeno nuovo
e inaspettato, scoperto per caso grazie agli effetti dell’evoluzione
informatica, senza la quale saremmo ancora fermi a chiederci cosa sia quella
strana sensazione che proviamo quando ci tagliano i capelli.
La partenza della missione Crew-4 è stata
posticipata ufficialmente
da “non prima del 15 aprile” a “non prima del 19 aprile”. L’annuncio formale NASA è qui e dice che il rinvio è stato deciso “per consentire alle squadre di completare le operazioni sul veicolo spaziale prima della missione” (“to allow teams to complete final spacecraft processing ahead of the mission”). Lo stesso vale, dice sempre NASA nello stesso annuncio, anche per il volo della missione Axiom 1 (che usa, come la Crew-4, una capsula Crew Dragon e un vettore Falcon 9, entrambi di SpaceX). Il sito di Axiom Space il 18 marzo ha indicato“non prima del 3 aprile” come data di partenza. L’orario di partenza di Axiom 1 sarebbe le 1:13 pm EDT (17:13 UTC) e quello di Crew-4 sarebbe le 6.45 am EDT (10:45 UTC), secondo Teslarati.
Per
fortuna noi DragonChaser abbiamo previsto di restare in Florida fino al
23, per cui abbiamo ancora qualche speranza di vedere il decollo di Samantha nonostante questo rinvio. Inoltre forse riusciremo a vedere anche un altro lancio di Falcon 9, quello che porterà in orbita un lotto di satelliti Starlink, previsto per “non prima del 14 aprile” e in partenza dalla rampa SLC-40 della stazione militare di Cape Canaveral.
Il rinvio della partenza della Crew-4 è legato allo slittamento della tabella di marcia della missione Axiom 1. Infatti serve per garantire “una separazione temporale adeguata per le operazioni e per l’esame dei dati post-volo fra missioni di volo spaziale umano e per consentire tntativi di lancio consecutivi multipli”. In altre parole, NASA e SpaceX vogliono attendere i risultati finali della missione Axiom 1 (primo volo spaziale interamente privato diretto alla Stazione e privo di membri d’equipaggio affiliati ad agenzie spaziali) per tenerne conto per Crew-4. Siccome Axiom 1 tornerà sulla Terra il 13 aprile, a NASA e SpaceX rimangono così sei giorni per recuperare la Crew Dragon di Axiom 1, fare il debriefing dell’equipaggio, analizzare i dati della missione e prepararsi per il lancio di Crew-4.
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Secondo una dichiarazione fatta dal cosmonauta Oleg Artemiev in
conferenza stampa ieri e riportata da
Katya Pavlushchenko, è previsto
che @AstroSamantha faccia
un’attività extraveicolare (EVA) o “passeggiata spaziale”. Pavlushchenko ha aggiunto che quest’EVA dovrebbe essere indicata dalla sigla VKD55 e vedrebbe Samantha Cristoforetti in abbinamento con Oleg Artemiev; non è stata indicata alcuna data. Le gravi tensioni internazionali e la progressiva interruzione delle collaborazioni spaziali con la Russia potrebbero comportare cambiamenti a questo piano. Le prossime due EVA russe, VKD52 e VKD53, sono state pianificate per il 28 aprile e per il 28 aprile e saranno svolte da Artemiev e Matveev.
Nella
foto d’archivio
qui sotto, datata 2012, Samantha indossa una tuta russa Orlan simile a quella
che potrebbe indossare per questa EVA ed è ritratta insieme al collega europeo
Alexander Gerst.
A prima vista i colori delle loro divise sembrano dirla lunga sulla
reazione dei cosmonauti alle recenti scelte politiche del loro presidente, ma va detto che non è la prima volta che gli equipaggi russi indossano
tute gialle: lo stesso Artemiev lo aveva fatto durante una missione precedente
(la Expedition 39/40, come nota
@Noemi_Cogoni
su Twitter), nel 2015.
Sempre Pavlushchenko
segnala
che
“ogni equipaggio sceglie il proprio schema di colori molto tempo prima del
volo. Di solito i colori sono bianco, blu o azzurro. La tuta rossa di Yulia
Peresild è stata unica perché, come attrice, voleva avere un
bell’aspetto.... Forse hanno scelto il colore come omaggio ai colori della
propria università, o semplicemente a loro piacciono i colori del sole e del
cielo. Il fatto è che non c’è molto posto a bordo della Soyuz, e non si può
semplicemente spacchettare tutto per cercare altri indumenti se scopri che
quelli da indossare all’arrivo sono di colori discutibili. Non so se è stato
possibile reimballare gli indumenti tre settimane prima del volo e lasciare
a portata di mano T-shirt e pantaloni di colore neutro. Comunque non ho
dubbio che qualcuno verrà punito per non aver previsto la possibile
reazione.”
È inoltre improbabile che i cosmonauti abbiano voluto mettere a rischio la propria carriera e forse anche la propria incolumità personale (e quella delle loro famiglie) con un gesto politico che in questo momento in Russia è estremamente pericoloso. Pertanto è probabile che si tratti di una coincidenza che viene interpretata come segnale legato all’invasione russa dell’Ucraina ma in realtà è una scelta fatta per altri motivi e risalente a ben prima dell’inizio della guerra.