Questo articolo è stato riscritto per tenere conto delle nuove informazioni. Ultimo aggiornamento: 2019/07/30 22:10.
Secondo un articolo dell’agenzia Dire (copia su Archive.org) del 27 luglio a firma di Alessandra Fabbretti, Facebook avrebbe eliminato dei post di Matteo Salvini, attuale ministro dell’Interno italiano, per incitazione all’odio.
Se l’episodio venisse confermato, sarebbe un intervento senza precedenti da parte di un social network: sarebbe la “prima volta che la comunicazione social del ministro dell’Interno – o meglio, di quella del partito del ministro dell’Interno – finisce nel mirino della moderazione del social network di Mark Zuckerberg,” scrive Giornalettismo. Inoltre si aprirebbe una questione etica non trascurabile: un popolarissimo social network, che per molti è l’unica fonte di notizie, avrebbe deciso di censurare una dichiarazione di un ministro di un governo. Ma ci sono molti punti poco chiari nella vicenda.
Nel titolo e nel testo dell’articolo dell’agenzia Dire si parla testualmente di “post di Salvini” e di “pagine del ministro dell’Interno”, ma poi il testo prosegue dichiarando che un attivista del movimento antirazzista e multiculturale “Cara Italia” avrebbe in realtà “segnalato la pagina Facebook ‘Lega – Salvini premier’”. Cosa ben diversa da un post del ministro.
A supporto di questa versione dei fatti sta circolando uno screenshot (mostrato qui sotto) nel quale viene presentata quella che sembra essere una risposta di Facebook alla segnalazione: “Lega - Salvini Premier è stata esaminata e abbiamo riscontrato che alcuni contenuti sulla Pagina non rispettano i nostri Standard della community. Abbiamo rimosso quei contenuti specifici (ad esempio foto e post) anziché l’intera pagina [...]”.
Un tweet molto popolare di @Ederoclite (533 retweet, 2860 “mi piace” al momento attuale) ha contribuito alla confusione parlando erroneamente di “pagina di #Salvini” e dicendo altrettanto erroneamente che l’autore della segnalazione era Stephen Ogongo di “Cara Italia”.
Infatti l’autore è una terza persona, sempre di “Cara Italia”, ma non è Ogongo. Lo si nota esaminando con attenzione lo screenshot mostrato nel video che accompagna l’articolo dell’agenzia Dire, a 0:27. Si nota che Ogongo cita il post di qualcun altro.
La collega Rosita Rijtano ha contattato Ogongo, che però non ha informazioni su cosa, di preciso, sarebbe stato rimosso. Facebook tace ufficialmente: ufficiosamente, invece, nega qualsiasi rimozione. Da parte mia ho scritto ad Alessandra Fabbretti per sapere se ha qualche dettaglio in più: vi aggiornerò sulla sua risposta.
Se qualcuno ha notizie più dettagliate, me le segnali nei commenti oppure in privato tramite i contatti indicati nella colonna di destra di questo blog.
È interessante confrontare questa situazione (ripeto, non ancora confermata formalmente) con la scelta di Twitter di non bloccare i tweet razzisti o istigatori di odio di Donald Trump perché comunque si tratta di un capo di stato (“Blocking a world leader from Twitter or removing their controversial Tweets would hide important information people should be able to see and debate. It would also not silence that leader, but it would certainly hamper necessary discussion around their words and actions.”).
Vorrei chiarire inoltre che non ne faccio una questione di simpatie o antipatie politiche per la Lega o per Salvini. Vivo in Svizzera e la politica italiana è per me un tafano che sta al di là di una finestra chiusa e che ogni tanto attira la mia attenzione con il suo ottuso sbattere sul vetro. C’è in gioco ben di più: uno scenario nel quale un social network influentissimo direbbe in sostanza a una forza politica di un paese “tu parli quando voglio io”. L’ingerenza di Facebook nel governo di un paese è un problema che tocca tutti.
Quindi, cari odiatori e polemisti che non aspettate altro che un’occasione per odiare e polemizzare, non ci provate. Il mio Blocca è più veloce ed efficiente dei vostri pollici forse opponibili.
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Segnalo infine una di quelle curiose coincidenze della vita: vi ricordate la Clausola del Gatto Sitwoy che inventai tanti anni fa?
Se usi come supporto vitale della tua attività un servizio:
– che non hai la più pallida idea di come funziona,
– che non sai dov'è localizzato geograficamente,
– di cui non sai come contattare i responsabili, perché parlano una lingua a te sconosciuta,
– che non hai pagato perché gratuito e supportato dalla pubblicità,
– che non fornisce alcuna garanzia formale di qualità del servizio;
il giorno che non funziona, non rompere l'anima a chi non c'entra nulla e ha di meglio da fare: sono ... Cat Sitwoy.
Indovinate chi era il deputato italiano che la ispirò nell’ormai lontano 2008.
2019/07/30 16:15
Rosita Rijtano ha ricevuto questa risposta da Facebook:
Quando le persone ci segnalano una Pagina per intero per violazione dei nostri Standard della Comunità, di norma notifichiamo loro qualunque provvedimento preso nei riguardi dei contenuti presenti sulla Pagina. Lo facciamo anche se la violazione riguarda contenuti che nello specifico non sono stati segnalati. Lo scorso 25 luglio abbiamo inviato ad un utente che aveva segnalato la Pagina “Lega-Salvini Premier” una notifica che confermava la violazione dei nostri Standard della Comunità. Questa violazione era relativa ad un post effettuato da un altro utente sulla Pagina e non dall’amministratore stesso della Pagina. Ci rendiamo conto che il nostro messaggio ha creato della confusione e ci scusiamo per qualunque disagio questo possa aver causato
Facebook, insomma, conferma di aver rimosso qualcosa dalla Pagina “Lega-Salvini Premier”, ma non si tratta di un post dell’amministratore della Pagina in questione: si tratta di un contenuto prodotto da terzi.
2019/07/30 22:10
Open ha pubblicato una precisazione dell’ufficio stampa della Lega, che dice di non aver “rilevato la rimozione di alcun post da noi prodotto, né abbiamo ricevuto da Facebook comunicazioni riguardo la rimozione di contenuti prodotti dalla pagina, come di norma avviene in questi casi” (evidenziazioni mie). Notare che la Lega parla di post prodotti da loro e di contenuti prodotti dalla pagina. Non dice nulla a proposito di eventuali commenti o post di altri utenti sulla pagina: questo aspetto resta quindi senza chiarimento da parte della Lega.
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Il 22 luglio scorso è morto a 95 anni Christopher Columbus Kraft. È un nome che a molti non dirà nulla, ma è quello dell’uomo che creò il concetto stesso di “controllo missione”. Kraft sviluppò l’organizzazione, le procedure operative e la cultura della NASA che permisero di fare qualcosa che diamo per scontato nell’apparente facilità e regolarità delle missioni spaziali di oggi: prendere un essere umano, ficcarlo in cima a una bomba ad altissimo potenziale, farla detonare in modo controllato, sparare quell’essere umano a velocità ipersoniche e riuscire a non ucciderlo.
Kraft, ingegnere aeronautico, entrò a far parte dello Space Task Group della NASA nel 1958 e fu il primo direttore di volo del neonato ente spaziale statunitense. Creò personalmente i processi di pianificazione e di controllo delle missioni, coprendo campi diversissimi come le radiocomunicazioni spaziali, la localizzazione dei veicoli, la risoluzione dei problemi in tempo reale e il recupero degli equipaggi. A quell’epoca era tutto da inventare: non c’erano manuali, esperienze, precedenti ai quali attingere.
Durante il programma Apollo, che culminò con sei allunaggi fra il 1969 e il 1972, Kraft divenne il direttore delle operazioni di volo al Manned Spaceflight Center: divenne sua la responsabilità per la pianificazione, l’addestramento e l’esecuzione di ciascuna missione, fino ad Apollo 12 nel 1969, quando divenne vicedirettore dell’MSC. Si occupò poi dei programmi Skylab (la prima stazione spaziale americana), del volo congiunto russo-americano Apollo-Soyuz e dei primi voli dello Space Shuttle, concludendo la propria attività alla NASA nel 1982.
Chris Kraft, al centro, festeggia l’allunaggio di Apollo 11 nel 1969.
Dal 2011 l’edificio 30 del Johnson Space Center, dove si trova lo storico Controllo Missione della NASA, porta il suo nome. Il suo libro autobiografico Flight: My Life in Mission Control è una lettura obbligatoria per chiunque voglia realmente capire lo straordinario processo organizzativo che consente a centinaia di specialisti di prendere decisioni di vita o di morte nel giro di pochi secondi e gli infiniti problemi di un compito così delicato. Gli sopravvivono la moglie Betty Anne, con la quale era sposato dal 1950, e i loro due figli. L’ente spaziale lo ricorda in questa pagina e gli ha dedicato questo video commemorativo.
Fonti aggiuntive: BBC. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Chiedo agli esperti che seguono questo blog: si può fabbricare, e quanto costerebbe, un impianto fotovoltaico per caricare (almeno in parte) una piccola auto elettrica come la mia?
Faccio una premessa, poi vi propongo i dettagli della sfida.
Mi avete segnalato in tanti la Sion, auto elettrica completamente tappezzata di celle fotovoltaiche che, secondo i costruttori, dovrebbero fornire fino a 34 km di autonomia in più per ogni giorno intero di esposizione al sole. Quel “fino a” è da prendere con le molle, perché è probabilmente un valore ideale ottenuto in condizioni ottimali che dipendono da moltissimi fattori, ma è comunque un progetto interessante. Uscirà nel 2021, a un prezzo stimato di circa 25.000 euro e con un’autonomia di circa 250 km, che la renderebbe appena appena papabile come sostituto della mia auto a pistoni.
Anche Toyota sta sperimentando un’auto ibrida analoga, le cui speciali celle ad alta efficienza sarebbero in grado di fornire fino a 860 watt e 56 km di autonomia al giorno, con la particolarità di poter caricare la batteria mentre l’auto è in movimento.
C’è anche la Lightyear One, un prototipo di auto di lusso che dichiara di poter caricare ben 12 km di autonomia per ogni ora di esposizione al sole, grazie a un’aerodinamica curatissima e a scelte radicali: ruote posteriori carenate, materiali leggeri e soprattutto una coda lunga e rastremata e l’eliminazione del lunotto posteriore (sostituito da una telecamera) per avere una vastissima superficie, dal cofano al tetto alla coda, ricoperta di pannelli fotovoltaici che possono generare fino a 1,2 kW.
C’è anche la Hyundai Sonata, un’auto ibrida che a detta del fabbricante può aggiungere circa 3,6 km al giorno di autonomia grazie al tetto ricoperto di pannelli fotovoltaici. Certo, 3,6 km non sono tanti, ma nell’arco di un anno sono 1300 km gratis e completamente puliti, ottenuti semplicemente parcheggiando l’auto all’aperto.
Il pick-up Cybertruck di Tesla, presentato a fine novembre 2019, avrà in opzione un impianto fotovoltaico che genererà circa 25 km di autonomia al giorno, secondo quanto dichiarato da Elon Musk.
Esiste anche un camion elettrico da 40 tonnellate, circolante sulle strade svizzere, che ha il tetto ricoperto di pannelli solari che generano praticamente tutta l’energia necessaria per le sue tratte quotidiane.
Finora l’idea di caricare un’auto usando solo energia solare tramite celle fotovoltaiche montate sul veicolo sembrava impraticabile, ma forse non è più così. Se fosse possibile, risolverebbe almeno quattro dei principali ostacoli all’adozione in massa di auto a emissioni zero:
Non sarebbe necessario attingere alla rete elettrica per caricare le auto.
Non ci sarebbe più alcuna dipendenza da fonti di energia “sporche” per la ricarica.
Non sarebbe necessario avere un posto auto dotato di presa per la ricarica, per cui anche chi non ha un garage e lascia l’auto in strada potrebbe avere un’auto elettrica.
Sarebbe possibile caricare l’auto ovunque, semplicemente lasciandola all’aperto, senza dipendere dalla disponibilità di colonnine di ricarica, e farlo persino durante le ore di guida.
Questi esperimenti e alcune considerazioni sui progressi fatti nello sviluppo delle celle fotovoltaiche e sul crollo dei loro costi mi hanno ispirato un progetto, o per meglio dire un esperimento mentale: valutare se si possa costruire un impianto di ricarica trasportabile per ELSA, la mia piccola auto elettrica, una Peugeot iOn.
Un’auto a bassa autonomia come la mia (90 km, 16 kWh di batteria) avrebbe infatti un beneficio percentuale molto maggiore rispetto a una berlina elettrica a lunga autonomia: anche aggiungere pochi chilometri (kWh) potrebbe fare una grossa differenza, in particolare quella fra arrivare a destinazione oppure no (o doversi fermare a caricare oppure no).
Su una batteria così piccola, anche due soli kWh al giorno mi darebbero 1/8 di carica; su una Tesla o una Kona, con batterie da 50 kWh e oltre, 2 kWh sarebbero invece trascurabili.
Non solo: uso ELSA piuttosto occasionalmente (ci faccio in media 650 km/mese), per cui potrei benissimo lasciarla al sole per giorni interi e lasciare che man mano accumuli carica. Quindi sarebbe più che accettabile caricarla anche lentissimamente, un pochino ogni giorno, purché col sole. Se dovessi avere fretta, potrei comunque caricarla collegandola a una presa o a una colonnina rapida.
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Quello che sto immaginando, da assoluto dilettante e profano, è quindi qualcosa di questo genere: un pannello fotovoltaico, modulare o ripiegabile, di qualunque dimensione purché stivabile, da mettere accanto o sopra ELSA quando è parcheggiata (in luoghi sicuri) e da collegare alla sua presa di ricarica lenta (2,3 kW a 220 V AC) tramite un normale connettore Tipo 1. Il tutto dovrebbe funzionare, se possibile, senza fare alcuna modifica all’auto, quindi dovrebbe erogare una corrente alternata equivalente a quella che arriverebbe da una normale presa elettrica, eventualmente con l’aiuto di un sistema di accumulo locale (per esempio, i pannelli fotovoltaici caricano batterie supplementari nel bagagliaio, che poi passano energia all’auto).
So che questo requisito comporta perdite notevoli di conversione da DC ad AC, ma non credo che si possano evitare senza interventi pesanti sull’impianto elettrico di ELSA. È vero che ELSA ha anche una presa di carica DC (standard CHAdeMO), ma non credo che sia particolarmente facile usarla e gestire il protocollo CHAdeMO.
Non ho ambizioni di commercializzazione o di praticità universale: sarebbe un semplice dimostratore e un divertissement personale, da mostrare ai raduni elettrici e da usare per le mie avventurette elettriche. Non avrebbe bisogno di essere resistente alle intemperie.
Con un accessorio del genere, potrei andare a far lezione a scuola, come faccio spesso, parcheggiare l’auto per qualche ora nel cortile della scuola, e tornare con un po' di carica in più. Fossero anche 10 km (2 kWh) dopo mezza giornata, sarebbero benvenuti e soprattutto sarebbero un messaggio molto positivo.
Soprattutto potrei zittire tutti i criticoni che scorrazzano con i diesel puzzoni ma intanto si lamentano che le auto elettriche si caricano con la corrente delle centrali “sporche”.
Vedere che esistono progetti artigianali come questo, che consente al suo proprietario di ottenere circa 16 km di autonomia dal sole ogni giorno, o questo, che è un vero e proprio rimorchio solare (segnalatomi nei commenti), mi ha incuriosito:
[Aggiunta del 2019/10/27 10:20] Questo progetto è stato aggiornato: pur nella sua artigianalità, sembra produrre circa 17 miglia (27 km) con 12 ore di esposizione al sole:
[Aggiunta del 2019/08/26 18:00] Ho trovato questo articolo di CleanTechnica, che racconta il caso della Chevrolet Bolt (in Europa, Opel/Vauhxall Ampera-e) di Daniel McGuire: brutta, ma tappezzata di pannelli fotovoltaici della SunPower che generano 2200 W grazie alla loro efficienza del 23%. Questi pannelli precaricano una batteria al litio da 12 V 300 Ah che alimenta un inverter da 2 kW. McGuire collega il suo caricatore standard da 1,5 kW all’inverter, riuscendo a immettere carica nella batteria primaria a 8 A.
Cosa ne pensate? Se mi dite che è vagamente fattibile, sono disposto a spenderci un po' per fabbricarlo. Anche un “si può fare ma costa troppo” o un “non si può fare” mi va bene: voglio principalmente levarmi una curiosità. I commenti sono a vostra disposizione per discuterne.
2019/08/01 8:30
Ho aggiornato l'articolo per includere la Lightyear One e la Hyundai Sonata, altri esempi di auto “solarizzate”, e tiro un po’ le somme della bella discussione sviluppatasi nei commenti: caricare direttamente a 220 V 2,3 kW (valori minimi accettati da ELSA salvo interventi radicali)* richiederebbe una superficie fotovoltaica troppo grande, che non starebbe nell'auto nemmeno ribaltando i sedili posteriori e sarebbe ingombrantissima e macchinosissima da collocare intorno all’auto, per cui sarebbe necessario un impianto ad accumulo intermedio, con pannelli fotovoltaici (pochi) che caricano molto lentamente una batteria ausiliaria che poi verrebbe usata per ricaricare altrettanto lentamente la batteria di trazione di ELSA.
* Stando al manuale Peugeot, pagina 120, la mia iOn, classe 2011, accetta cariche lente solo a 220 V 16A, 13 A e 10 A. Le iOn successive accettano anche 8 A.
Qualcosa di simile esiste già ed è stato trovato dai commentatori: è lo Yeti 3000 della Goal Zero. Si tratta di una batteria al litio capace di erogare oltre 3000 Wh, quindi teoricamente capace di dare a ELSA circa 15 km in più di autonomia. Pesa 30 kg e misura 26 x 39 x 33 cm. La versione europea eroga anche 220 V CA: praticamente è l’equivalente elettrico di un generatore portatile a benzina.
Costa in Svizzera circa 4500 CHF (4100 €): caro, certo, ma stiamo discutendo di fattibilità, non di convenienza economica.
A questa batteria sono collegabili moduli aggiuntivi al piombo da 1200 Wh, che pesano 35 kg l’uno e misurano 40 x 19 x 27 cm e costano 400 dollari l’uno, più il modulo di collegamento che ne costa altri 400.
Una soluzione del genere sarebbe caricabile non solo a energia solare ma anche con la rete fissa, per cui anche senza pannelli fotovoltaici potrei partire da casa con una “riserva” di 15 km di autonomia in più, fermarmi ovunque senza dover dipendere dalla presenza di una colonnina, e ricaricare (in un’oretta). Però a questi prezzi è più sensato usare quei 4100 euro come acconto per un’auto elettrica che abbia un’autonomia maggiore della piccola ELSA, cosa che farò l’anno prossimo allo scadere del leasing della mia attuale auto a lunga autonomia (una Opel Mokka a benzina).
Dai commenti mi è arrivata anche questa proposta: un pacco batterie aggiuntivo da 8,2 kWh, da caricare fotovoltaicamente o in altro modo, composto da elementi in LiFePo4, che costerebbe circa 2100 euro. Quegli 8 kWh darebbero a ELSA altri 40 km di autonomia, pesando però (se ho capito bene) una cinquantina di chili, più il peso dell’elettronica di controllo. Le dimensioni sarebbero accettabili per il piccolo bagagliaio di ELSA. Ma quest’idea esula dal tema di questo articolo.
In ogni caso, il concetto è stato sviscerato e sono stati chiariti i limiti tecnici di fattibilità, ed è questo che volevo ottenere. La risposta è sì, si potrebbe fare, ma a costi e con disagi che non lo rendono affatto conveniente e pratico. Però se i prezzi scendessero, o se qualcuno sapesse creare qualcosa di analogo ma non così sofisticato come lo Yeti 3000 (restando comunque sicuro), potrei farci un pensierino lo stesso.
Grazie a tutti per l’aiuto!
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Il ransomware sta facendo danni spettacolari, tenendo in scacco intere città, come Baltimora o Lake City in Florida, ma dietro le quinte c’è chi si sta adoperando per risolvere questo problema.
Ne parla la BBC, citando il progetto No More Ransom (www.nomoreransom.org), che dichiara di aver salvato oltre 200.000 vittime ed evitato che almeno 108 milioni di dollari finissero nelle tasche dei criminali informatici.
Si tratta di un’iniziativa lanciata alcuni anni fa da Europol, dalla polizia olandese e da McAfee (ne avevo parlato qui nel 2016), che ora ha oltre 150 partner sparsi per il mondo e offre strumenti informatici per sbloccare i dati bloccati con la cifratura dai criminali senza dover pagare loro un riscatto.
Questi strumenti sono ora in grado di decrittare 109 tipi di malware: solo nel corso di quest’anno ne sono stati aggiunti altri 14.
Uno dei maggiori successi di NoMoreRansom è lo strumento che risolve le infezioni del malware GandCrab: è stato usato da quasi 40.000 persone, facendo loro risparmiare in totale circa 50 milioni di dollari di riscatto. Ma serve più collaborazione: le autorità degli Stati Uniti, per esempio, non partecipano al progetto.
L’ufologia è piena di “perizie” su filmati e immagini fatte esagerando i colori o il contrasto. Ma questi metodi in realtà non fanno altro che creare artefatti digitali che non rivelano nulla e fanno solo perdere tempo.
Come si fa, invece, una perizia vera su un presunto video ufologico? Ci vuole molto, molto lavoro. Ci sono alcuni requisiti di base, che troppi ufologi puntualmente ignorano:
Le analisi serie si fanno sull’originale, non su una sua copia degradata e ricompressa per la diffusione via Internet.
Si devono raccogliere i dati precisi su dove e quando è stata effettuata la ripresa.
Si deve identificare chi ha fatto la ripresa e con quale specifica apparecchiatura è stata realizzata (cinepresa, fotocamera analogica o digitale, videocamera, altro).
Si deve ricostruire la posizione di ripresa (scoprendo per esempio se ci sono di mezzo finestre, finestrini o altri oggetti non inquadrati).
Per esempio, il filmato mostrato qui sotto è un classico dell’ufologia, considerato per anni un mistero straordinario: una ripresa effettuata da un aereo nel 1966, che sembra mostrare inequivocabilmente un oggetto a forma di sigaro, con alcune protuberanze semisferiche, che si affianca all’aereo e poi schizza via a velocità impossibile.
Impressionante, ma cosa succede quando si fa una perizia come si deve? Ossia quando si indaga e si scopre su quale aereo fu effettuata la ripresa e da quale posto specifico a bordo fu effettuata? Salta fuori questo, come racconta Piero Angela in una puntata di Superquark:
Lo spiega benissimo Scientificast: l’aereo in questione era un Viking della Vickers, un bimotore a elica, e il presunto UFO è semplicemente la punta dello stabilizzatore orizzontale dell’aereo, vista attraverso un finestrino il cui bordo deforma l’immagine e crea un’illusione molto efficace.
Naturalmente nulla di tutto questo ha impedito agli ufologi superficiali di continuare a proporre questo filmato come una prova schiacciante dell’esistenza di veicoli extraterrestri che passano il tempo a svolazzare vicino ai nostri aeroplani.
Episodi come questo confermano il concetto che per inventare una presunta prova di un fenomeno misterioso non ci vuole nulla, mentre per indagare e verificare ci vuole una fatica enorme.
Il 25 luglio 1976 la sonda Viking 1 della NASA, in orbita intorno a Marte, scattò una delle fotografie più celebri dell’esplorazione spaziale: quella che sembra mostrare, sulla superficie del pianeta, una enorme struttura a forma di volto umano, lunga circa tre chilometri e larga uno e mezzo.
Le immagini scattate successivamente, insieme alle misurazioni altimetriche dettagliatissime, hanno chiarito che si tratta semplicemente di una collina la cui forma creava in quel momento un’illusione ottica (pareidolia) grazie al gioco delle ombre e alla bassa risoluzione, ma questo non ha impedito a generazioni di ufologi di continuare a presentare questa struttura come una prova della presenza di civiltà extraterrestri su Marte, naturalmente tenute nascoste dalla NASA brutta e cattiva e intente, chissà perché, a creare sculture di noi terrestri.
C’è chi si è spinto a dire che la NASA avrebbe addirittura falsificato le immagini successive per nascondere questa prova, senza pensare che l’ente spaziale avrebbe potuto semplicemente fare a meno di mostrare la foto iniziale, visto che all’epoca era l’unica fonte di immagini del suolo marziano a questa risoluzione.
Da sinistra: Viking 1 (1976); Mars Global Surveyor (1998); Mars Global Surveyor (2001).
Ma in realtà, andando a ripescare i comunicati stampa dell’epoca, salta fuori che fu proprio la NASA a creare il mito del Volto su Marte. La didascalia originale della foto, riportata qui sotto e pubblicata pochi giorni dopo lo scatto, attirava l’attenzione proprio su questa struttura, parlando di “una enorme formazione rocciosa... che somiglia a una testa umana,,, formata dalle ombre, che producono l’illusione di occhi, naso e bocca” ("huge rock formation ... which resembles a human head ... formed by shadows giving the illusion of eyes, nose and mouth.").
NATIONAL AERONAUTICS AND SPACE ADMINISTRATION
VIKING NEWS CENTER
PASADENA, CALIFORNIA
(213) 354-6000
Viking 1-61
P-17384 (35A72)
PHOTO CAPTION July 31, 1976
This picture is one of many taken in the northern latitudes of Mars by
the Viking 1 Orbiter in search of a landing site for Viking 2.
The picture shows eroded mesa-like landforms. The huge rock formation
in the center, which resembles a human head, is formed by shadows
giving the illusion of eyes, nose and mouth. The feature is 1.5
kilometers (one mile) across, with the sun angle at approximately
20 degrees. The speckled appearance of the image is due to bit errors,
emphasized by enlargement of the photo. The picture was taken on July
25 from a range of 1873 kilometers (1162 miles). Viking 2 will arrive
in Mars orbit next Saturday (August 7) with a landing scheduled for
early September.
Gli autori del comunicato stampa pensarono che sarebbe stato un modo per attirare l’interesse dell’opinione pubblica. Non l’avessero mai fatto: più di quarant’anni dopo, questa storia è ancora un tormentone che affligge chiunque si occupi seriamente di esplorazione spaziale.
In questi giorni si parla molto di FaceApp e della teoria secondo la quale le foto del volto di chi usa quest’app per simulare il proprio invecchiamento o ringiovanimento o altre modifiche verrebbero raccolte da imprecisate organizzazioni ficcanaso, ma mancano prove. E poi perché preoccuparsi di FaceApp, quando abbiamo caricato sui social network ogni sorta di immagini, video e testi?
Se volete farvi un’idea di quante cose avete condiviso nel corso degli anni tramite i social network e volete magari scaricarne una copia, F-Secure ha preparato una serie di guide (anche in italiano) che spiegano come procedere o linkano le istruzioni ufficiale dei vari servizi:
Da parte mia aggiungo le istruzioni per il download dei propri dati da Instagram e Telegram. Se ne conoscete altre di altri social network, segnalatemele nei commenti.
Stamattina alle 11 andrà in onda la seicentesima puntata del Disinformatico che conduco per la Radiotelevisione Svizzera. La trasmissione debuttò il 3 ottobre 2006, quasi tredici anni fa.
Grazie a tutti quelli che la seguono e in particolare a giovanni, che propose come titolo “Disinformatica”, da cui poi derivò Il Disinformatico.
Farò qualcosa di speciale per la ricorrenza, magari approfittando del fatto che ora oltre all’audio c’è anche il video? Sicuramente. Non aspettatevi giocolieri e ballerine, ma m’inventerò qualcosa.
Rutger Hauer, interprete del replicante Roy Batty in Blade Runner e autore del suo struggente monologo finale, è morto il 19 luglio nella sua casa in Olanda dopo una breve malattia. Aveva 75 anni. Ne ha dato notizia solo oggi Variety, ricordando la sua ricca carriera costellata di personaggi memorabili. Lo ricordo anche per Ladyhawke e per The Hitcher, ma il suo volto mi resterà impresso per sempre insieme a queste parole:
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.”
L’antenna di Honeysuckle Creek il 20 luglio 2019. Credit: “dreadspectre”.
Ultimo aggiornamento: 2019/07/23 00:42.
Ho ricevuto poco fa questa mail dall’Australia:
Having just watched your wonderful video at the Tidbinbilla Deep Space Tracking Station, Australia - just meters away from the Honeysuckle Creek dish, I am hoping you can send me the link for the full download. Thank you for your excellent work! Cheers
Nel cinquantenario del primo allunaggio, il mio documentario Moonscape, dedicato a quell’allunaggio, è stato proiettato presso la stazione ricevente di Tidbinbilla, in Australia, dove si trova ora l’antenna (nella foto) con la quale furono ricevute le prime immagini televisive dei primi esseri umani a camminare sulla Luna. All’epoca l’antenna si trovava alla stazione ricevente di Honeysuckle Creek, sempre in Australia.
Un'altra mail, arrivata successivamente, mi ha informato che la proiezione è stata sincronizzata al secondo con gli eventi del cinquantenario:
I saw Moonscape at NASA's Tidbinbilla Deep Space Tracking station on the day of the 50th anniversary of the Moon landing. It was shown synched to the exact UTC time when Neil Armstrong took his small step for Mankind's Giant Leap.
For the whole week there had been multiple TV show and videos. Nothing came near Moonscape.
This video is a masterpiece. Will appreciate a chance to download it. Please send me the instructions if there is still sufficient bandwidth for the month.
Naturalmente ho mandato loro il link.
Poi mi chiedono come faccio a sopportare gli attacchi dei lunacomplottisti. Facile: mi basta pensare che loro non avranno mai soddisfazioni come questa.
Moonscape non sarebbe stato possibile senza il lavoro di tanti appassionati e senza le donazioni che hanno permesso di acquistare i riversamenti digitali, i software e i computer che ho usato per montarlo. Questa soddisfazione e questo risultato sono anche merito vostro. Grazie!
Da parecchi giorni sul mio Mac Firefox e Chrome mi bloccano tutti i video di Youtube, compresi quelli senza alcuna restrizione geografica o di altro genere, come questo. Mi compare la dicitura Video non disponibile. Questo video è sottoposto a limitazioni. Prova a effettuare l’accesso con il tuo Account Google Apps.
Safari, sempre sullo stesso Mac, li visualizza senza alcun problema. Anche Chrome funziona se uso la modalità Incognito; Firefox, invece, non funziona neanche in una finestra anonima. Gli altri computer del Maniero (in particolare il mio PC Linux principale) visualizzano tutti i video (compreso questo) perfettamente.
Ho cercato informazioni online e il problema sembra essere abbastanza diffuso, ma nessuno sa fornire una soluzione. Avete idee?
2019/07/23 22:00 - Ho disinstallato F-Secure SAFE, l’antivirus che uso abitualmente sui miei Mac, e tutto è tornato a posto. Può darsi che qualche sua estensione protettiva per browser abbia causato questo malfunzionamento. Riprovo a installare, vediamo che succede.
2019/07/23 22:25 - Reinstallando la versione aggiornata di SAFE, funziona ancora tutto. Provando a installare la Browsing protection extension per Firefox, i video continuano a essere correttamente visibili. Mi arrendo al mistero; la cosa importante è che ora funziona. Grazie a tutti per i tanti suggerimenti.
2019/08/01 00:10 - La stessa cosa mi è capitata su un altro Mac: ho rimosso F-Secure SAFE, ma non è cambiato nulla. Ma quando ho rimosso la Browsing Protection Extension da Firefox tutto è andato a posto.
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Sono orgoglioso di essere stato chiamato come consulente tecnico e storico per questa puntata, che ha richiesto mesi di lavoro da parte di tantissime persone. Vedrete immagini davvero notevoli e sentirete racconti personali ancora più notevoli.
Prima che me lo chiediate: non so se e come si potrà vedere la trasmissione in streaming e nei mille modi complicatissimi con i quali oggi molta gente guarda i programmi televisivi. Rivolgetevi alla Rai o al vostro fornitore di servizio Internet/TV.
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La radio australiana Radio SBS ha un canale in lingua italiana e mi ha intervistato (in italiano) a proposito del cinquantenario del primo allunaggio e delle tesi complottiste. Il podcast (circa 15 minuti) è a vostra disposizione qui.
“La magia di questi viaggi? Non tanto il fatto di andare sulla #Luna, ma il fatto di essere così lontani dalla propria casa da rendersi conto che è l’unica che abbiamo, e che quindi forse dovremmo trattarla un po’ meglio” @disinformatico#podcast#Apollo11https://t.co/qbzfx9seM3
Questa settimana di cinquantenario del primo allunaggio non può chiudersi senza almeno citare brevemente uno degli strumenti d’insegnamento scientifico più divertenti e riusciti in campo spaziale: il Kerbal Space Program.
In estrema sintesi, si tratta di un videogioco di simulazione per PC Windows, Linux e Mac, Steam, PS4 e XBox One nel quale il giocatore deve progettare e costruire un veicolo spaziale che trasporterà non degli umani ma dei Kerbal, una sorta di Minions votati all’esplorazione del cosmo.
Il veicolo rispetta le leggi della fisica e quindi deve essere costruito e lanciato tenendone conto, altrimenti si sfracellerà. Dovrà raggiungere la velocità corretta e assumere la traiettoria corretta per restare in orbita, ma dovrà anche avere una struttura adeguata, altrimenti le sollecitazioni impartite dai motori lo faranno disintegrare. Dovrà inoltre tenere conto della presenza di un’atmosfera sia durante il decollo, sia durante il rientro.
La complessità e il realismo del Kerbal Space Program sono tali da permettere di usare il gioco come una piattaforma di apprendimento delle basi della tecnologia aerospaziale e della meccanica orbitale, che non sono per nulla intuitive: quando sei in orbita, più acceleri e più sali di quota, ma al tempo stesso perdi velocità. Anche chi non ha ambizioni di ingegneria aerospaziale può giocare e nel frattempo farsi un’idea piuttosto chiara delle limitazioni e della difficoltà di un volo spaziale.
Qui sotto potete vedere l’astronauta Scott Kelly che usa il Kerbal Space Program per insegnare appunto i rudimenti della meccanica orbitale e concetti come il max Q (pressione dinamica massima al decollo), la circolarizzazione di un’orbita e il rientro in atmosfera in maniera molto divertente, anche se un po' catastrofica.
Domani, cinquantenario del primo allunaggio, sarà particolarmente emozionante per me tenere due conferenze sull’argomento, una a Genova e una Spotorno.
Alle 15.30 sarò a Genova, nell’Aula Magna del Palazzo dell’Università, in via Balbi 5, per parlare di complottismi lunari.
Alle 21:30 sarò a Spotorno, in Piazza della Vittoria, per mostrare immagini rare e restaurate e raccontare storie poco conosciute degli allunaggi in “Un piccolo passo: l’avventura della Luna”.
Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero. Avrò con me qualche copia dell’edizione in italiano del libro L‘ultimo uomo sulla Luna, di Gene Cernan e Don Davis: l’autobiografia dell’ultimo astronauta a camminare sulla Luna.
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L’Apollo Guidance Computer o AGC è il computer, per l’epoca straordinariamente moderno e miniaturizzato, che portò gli astronauti sulla Luna. Rispetto ai calcolatori di oggi è incredibilmente modesto e primitivo, tanto che oggi lo si può emulare addirittura su un telefonino o un tablet.
Ci sono numerosi progetti di emulazione dell’AGC per computer, come Virtual AGC o Moonjs, resi possibili dal fatto che gli schemi tecnici dei circuiti e il software dell’Apollo Guidance Computer sono pubblicamente disponibili ed esistono ancora alcuni AGC funzionanti, restaurati con passione eccezionale.
Ma se volete farvi rapidamente un’idea di quanto fossero diversi i computer di cinquant’anni fa, provate l’app DSKY per iPad: emula anche visivamente la tastiera e il display dell’AGC (quelle che oggi chiameremmo interfaccia utente) e accetta comandi nel particolare, laconicissimo formato usato per interagire con questo computer: verb (verbo o azione), numero, noun (sostantivo), numero, Enter.
In sintesi, il VERB dice al computer “fai qualcosa”, il numero gli dice cosa fare (per esempio VERB 16 significa “monitora, visualizza”), NOUN gli dice “fallo sulla cosa identificata da questo numero”. Decisamente non è un’interfaccia di comando intuitiva, ma era il meglio che si potesse fare con la tecnologia dell’epoca.
Toccando l’icona “i” in basso a destra nell’app compare una schermata di aiuto: questa versione preleva dati dai sensori del tablet e quindi non permette di scendere sulla Luna ma in compenso consente di visualizzare la latitudine, longitudine e altitudine rilevata dai sensori GPS (VERB 16 NOUN 43 ENTER): la risposta compare sul display numerico (niente grafica, niente lettere) sotto forma di gradi di latitudine, gradi di longitudine e metri o piedi di altitudine.
In alternativa, potete monitorare i sensori di assetto del tablet (VERB 16 NOUN 17 ENTER), con risultati espressi in gradi (senza punto decimale: quello lo deve mettere a mente l’astronauta), oppure più semplicemente sapere che ore sono (VERB 16 NOUN 36 ENTER), ottenendo la risposta espressa in ore, minuti, secondi e centesimi di secondo. Buon divertimento.
La prossima volta che vi capita di dover fare assistenza informatica a qualcuno, rivolgete un momento il vostro pensiero a Don Eyles, uno degli ingegneri del software delle missioni Apollo. Durante la missione Apollo 14, gli capitò un problema informatico molto speciale: poco prima che il veicolo spaziale iniziasse la sua discesa verso la Luna, sulla Terra si accorsero che c’era un falso contatto nel pulsante di Abort: quello che, se premuto, avrebbe interrotto bruscamente la discesa e invertito la rotta.
Se questo falso contatto fosse scattato per errore durante la discesa, la missione sarebbe fallita: gli astronauti sarebbero stati costretti a tornare sulla Terra senza allunare.
All’una del mattino, a Don Eyles venne proposta questa sfida: il software del computer che rileva quel falso contatto l’hai scritto tu. Riesci a correggerlo? Piccolo problema: tu sei sulla Terra, ma il computer che devi modificare è intorno alla Luna. E se sbagli, gli astronauti moriranno.
Eyles scrisse la correzione, la provò nel simulatore, e poi ne trasmise le istruzioni (ben 61 digitazioni estremamente precise, da non sbagliare assolutamente) all’astronauta Ed Mitchell, dettandogliele via radio, con i minuti contati. Mitchell le eseguì alla perfezione, e il computer funzionò correttamente, ignorando il falso contatto. Apollo 14 scese sulla Luna e la missione fu un grande successo.
La soluzione software di Eyles fu geniale: far credere al computer che il pulsante era già stato premuto e che quindi poteva ignorarne i segnali spuri.
Se avete una stampante 3D, ora potete farvi una replica personale della tuta spaziale di Neil Armstrong, anche in grandezza naturale: il museo Smithsonian ha messo sul proprio sito i file scaricabili delle scansioni 3D di questa preziosissima tuta.
Anche se non disponete di una stampante, le pagine del sito permettono di esplorare il reperto storico in incredibile dettaglio.
Trovate i guanti, il casco esterno e la tuta completa. Nelle stesse pagine sono a disposizione anche file scaricabili per applicazioni di realtà virtuale e realtà aumentata.
La tuta è stata digitalizzata usando una combinazione di metodi: una scansione con un braccio dotato di laser per i dettagli più fini, compresa la trama dei tessuti; la fotogrammetria per i colori; la luce strutturata per le forme generali; e la tomografia computerizzata di tipo medico per i dettagli interni.
Il risultato, spiega il museo, è stato un pacchetto di dati grezzi di ben 345 gigabyte, che è stato poi ripulito ed elaborato per renderlo usabile e gestibile, e soprattutto umanamente scaricabile.
Come raccontavo qui, di recente ho incontrato a Starmus Brian May dei Queen e David Eicher di Astronomy Magazine, gli autori del libro Mission Moon 3D: foto scattate nello spazio e sulla Luna ed elaborate per crearne versioni 3D. Mi hanno gentilmente concesso quest’intervista.
Questa è una foto presa dietro le quinte dell’intervista, nelle stesse condizioni di luce usate per la ripresa video: notate come il talento della videomaker (Anna Spacio) cambia completamente l’atmosfera e le tinte.
Credit: Rodri Van Click.
Questa è la mia traduzione integrale dell’intervista. Ho riformulato le mie domande per maggiore chiarezza.
Cosa vi affascina della Luna così tanto da avervi spinto a creare un libro di immagini 3D dedicato ad essa, "Mission Moon 3D"?
BRIAN MAY: È una celebrazione della prima avventura dell'uomo nel raggiungere un altro corpo celeste. La Luna è quello più vicino a noi, è la sorellina della Terra, in un certo senso, nessuno aveva mai lasciato questo pianeta per mettere piede altrove. Quindi è la celebrazione di 50 anni di questa incredibile avventura che fu il progetto Apollo e che culmina con Apollo 11, l'allunaggio vero e proprio. Ed è per questo che ci piace, giusto?
DAVID EICHER: Sì, è per questo che ci piace! Non solo è vicina, ma le sue rocce sono molto simili a quelle della Terra. Questo è un indizio, emerso dalle missioni Apollo, che le sue origini sono legate alla Terra.
BRIAN MAY: La Luna ha una grande influenza in così tanti modi. Controlla le maree, ha sicuramente un influsso sul comportamento umano, ed è in cielo a darci luce argentea quando cala il sole. Ha ispirato un milione di canzoni d'amore e ha un ruolo importantissimo nella vita di ogni persona. E questi uomini hanno camminato sulla Luna e questo è tuttora incredibile per me; non avrei mai pensato di vederlo accadere nel corso della mia vita.
Avete una canzone preferita che parli della Luna?
DAVID EICHER: (ridendo) Forse è ancora da scrivere, una bella canzone d'amore che parli di Luna...
BRIAN MAY: (ridendo) C'è questa rima, in inglese, fra "Moon" e "June", "Luna" e "giugno", che se stiamo parlando di scrivere testi di canzoni è l'esempio perfetto di mancanza di originalità.
Siamo qui a Zurigo per parlare di comunicazione della scienza. Si parla spesso di crisi climatica, ma secondo voi esiste anche una crisi di comunicazione della scienza, che Starmus aiuta a contrastare?
BRIAN MAY: Starmus non è stato creato per risolvere un problema, ma è stato creato per celebrare una certa visione, ossia che l'arte e la scienza sono legate insieme e non avrebbero mai dovuto essere separate. Questa è l'etica della filosofia di Garik Israelian ed è anche la mia perché ho aiutato Garik a creare Starmus. E ogni volta che ci incontriamo per questo festival abbiamo questa meravigliosa combinazione di musica e scienza e astronomia e arte di vario genere e funziona tutto insieme, non c'è senso di separazione fra i due ambiti. Tutti danno il massimo e tutti beneficiano di questa interazione. È stato un grande successo di Garik secondo me. Ovviamente, parlare di cambiamenti climatici fa parte delle cose trattate da Starmus, ma noi parliamo di tutto. Parliamo dell'esplosione informativa, e delle varie minacce che subisce il nostro pianeta, e la relazione di Martin Rees è stata particolarmente illuminante e ci ha fatto pensare alle cose terribili che potrebbero capitare alla Terra se non ci diamo da fare rapidamente. Ma fondamentalmente Starmus è gioia, noi celebriamo e amiamo farlo, in un certo senso ci sguazziamo.
DAVID EICHER: Sono d'accordo, e credo che ci sia una crisi nella comunicazione della scienza e nella comunicazione in generale, circola tanta cattiva informazione e Internet aiuta a diffonderla velocemente e un altro aspetto di Starmus è fornire la verità, il resoconto razionale, non distorto, non esagerato a proposito della scienza. Poche occasioni fanno questo così bene quanto lo fa Starmus.
Come è nato il vostro interesse per la scienza? Brian May, lei era già interessato all’astrofisica prima degli allunaggi, o la passione è nata dopo?
BRIAN MAY: È iniziato nella mia infanzia e soprattutto per merito di un popolarissimo programma della TV britannica, The Sky at Night presentato da Sir Patrick Moore, che tutti abbiamo amato e ci ha spalancato gli occhi, ci ha fatto guardare il cielo con meraviglia e ci ha fatto godere tutta questa visione. Quindi sì per me risale alla prima infanzia. Ma naturalmente anche gli allunaggi sono stati un forte impulso, ci siamo resi conto di colpo che potevamo influenzare le cose ed essere davvero là fuori nello spazio. E tu? (rivolto a David)
DAVID EICHER: Io sono cresciuto in una famiglia scientifica, mio padre era un professore di chimica. Io ho sempre avuto interesse per la scienza di ogni genere. Ricordo che a 7 anni ho visto l'allunaggio e mi ha emozionato tantissimo, ma per me è successo a 14 anni, quando ho visto Saturno in un telescopio: mi ha elettrizzato e mi sono reso conto che volevo fare astronomia.
Cosa consigliereste ai giovani, quindi? Comprare un telescopio e guardare Saturno?
BRIAN MAY: Assolutamente sì, procuratevi un telescopio, implorate, rubatelo o prendetelo in prestito (ride) e guardate Giove, guardare Saturno, vi cambierà la vita. È molto triste che la maggior parte di noi cresce in città dove le stelle quasi non si vedono ed è una perdita terribile. Ancora quando ero bambino io potevi guardare in su in una notte limpida e vedere migliaia di stelle. E ti dava tanta ispirazione, vedevi la Via Lattea, oggi invece se vivi in qualunque città grande o media in occidente non vedi nulla, devi andare lontano, dove non c'è inquinamento luminoso, e vedere le meraviglie e gli splendori del cielo, ti sconvolgeranno.
Dove eravate durante l’allunaggio di Apollo 11?
BRIAN MAY: Questa è facile, io ero in Cornovaglia a casa della mamma del mio batterista Roger, e abbiamo visto l'allunaggio sul suo piccolissimo televisore da circa 10 pollici ed è stata una cosa straordinariamente emozionante eravamo tutti intensamente coinvolti. È stato magico. E mio papà, che non era certo uno sciocco, lavorava in aeronautica ed era un bravissimo scienziato e ingegnere, mi aveva detto circa un anno prima che non sarebbe mai successo e che non avevamo la tecnologia per farlo. E invece è successo, noi siamo rimasti tutti stupiti.
DAVID EICHER: Io ero a casa, in una cittadina universitaria dell'Ohio. Ricordo di essermi emozionato perché a 7 anni potevo stare sveglio fino a tardissimo, fino alle 11 di sera, per vedere quelle immagini incerte in bianco e nero, per me è stato assolutamente elettrizzante e ha innescato il mio interesse per la scienza anche prima di Saturno.
Adesso va di moda fare comunicazione della scienza sonorizzando i dati, ossia creando suoni a partire dai dati scientifici raccolti. Cosa ne pensate?
BRIAN MAY: So che Garik è stato uno dei pionieri in questo campo. Ci abbiamo provato anche noi insieme a Garick ma poi siamo stati troppo presi da altre cose. Garik è stato uno dei pionieri, lui li chiamava "suoni stellari". I suoi suoni stellari erano vere onde di pressione, mentre molti di questi suoni odierni derivano invece da onde elettriche che puoi prendere da una stella o altro e convertire in qualcosa che si comporta come un'onda sonora, ma non è reale. I suoni di Garik invece erano reali. Ci abbiamo sperimentato per fare musica, ma sinceramente non è musica. Se vuoi la mia opinione schietta, non è veramente musica: sono suoni e la musica è fatta di suoni, ma i suoni sono solo un ingrediente. Deve esserci un intervento umano e so che non verrò amato per quello che sto per dire, la musica delle sfere per me è una serie di suoni e la musica vera è quella che viene dagli esseri umani.
PAOLO ATTIVISSIMO: Dott. Brian May, David Eicher, grazie per averci dedicato il vostro tempo.
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Apolloinrealtime.org. Tutto l'audio, tutte le foto, tutta la telemetria, tutti i video e i filmati di Apollo 11, in una cronologia meticolosa, completa e affascinante dell’intera missione, da seguire oggi e nei prossimi giorni in tempo reale sincronizzato (cliccando su Now) o in differita (cliccando su T-minus 1m).
È un’opera di ricostruzione storica impagabile, realizzata da Ben Feist con il contributo di numerosissimi esperti e veterani, che include ben undicimila ore di audio multitraccia delle comunicazioni interne dei centri di lancio e di controllo della missione.
Se non ci sono stati cambiamenti di programma, questa sera alle 20.30 al Piccolo Eliseo di Roma verrà proiettato gratuitamente il video lunacomplottista American Moon alla presenza del suo creatore, Massimo Mazzucco.
Ci saranno vari Prezzolati Agenti del Nuovo Ordine Mondiale in borghese, che si mescoleranno tra il pubblico in maniera perfettamente dissimulata per documentare pacificamente la serata e schedare telepaticamente i presenti tramite scie chimiche miniaturizzate disciolte nelle bibite e chip sottopelle inseriti nelle poltrone. Se avete voglia di tenere loro compagnia e vedere come va a finire, la parola d’ordine è birra e salcicce. Pare che sia necessaria la prenotazione inviando una mail a comunicazione@teatroeliseo.com.
La metto sul ridere perché ho una storia comica da raccontarvi a proposito di Mazzucco: avete presente che Focus TV farà uno speciale sugli allunaggi il 18 luglio al quale parteciperò insieme a Massimo Polidoro, come ho preannunciato? Beh, il piano originale era moltodiverso.
Infatti quando mi aveva contattato inizialmente Focus TV, la loro idea era di trasmettere il video di Mazzucco e poi lasciare a me e Massimo il compito di smontarne una dopo l’altra tutte le fandonie, le falsità e gli inganni.
Io ho fatto notare che due ore di video complottista avrebbero richiesto almeno altrettanto tempo per ribattere documentatamente, visto il numero vastissimo di baggianate asserite dal video. Insomma, sarebbe stata una maratona fantozziana di mortificazione che non avrebbe seguito nessuno. In confronto la Corazzata Potëmkin sarebbe sembrato Fast and Furious.
Ho proposto una sintesi: il complottista avrebbe presentato la sua top ten delle prove migliori (secondo lui) e noi avremmo analizzato quelle. Sembrava tutto deciso, e ho anche ricevuto una lista di queste presunte prove migliori, ma poi dalla produzione è arrivata la segnalazione che Mazzucco aveva rifiutato seccamente di presentare il suo video quando aveva saputo che sarebbe stato seguito daun debunking al quale avrei partecipato io e al quale non avrebbe potuto replicare (avendo già detto la sua all’inizio). Sono proprio la sua magnifica ossessione :-).
La cosa comica è che Mazzucco sarebbe stato regolarmente pagato da Focus TV per la messa in onda del suo video. Lo dice lui stesso: “A quel punto ho rinunciato a dargli il film, anche se mi è dispiaciuto parecchio perdere la possibilità di vederlo andare in onda, e di guadagnare anche qualche bel soldino” (copia archiviata qui su Archive.org).
E così, al posto di diffondere un video complottista in prima serata e di pagare un complottista, Focus ha scelto di trasmettere un documentario sugli allunaggi molto ben fatto, Il giorno che camminammo sulla Luna (The Day We Walked on the Moon), curato dallo Smithsonian Channel, e poi di mandare in onda una chiacchierata fra Massimo Polidoro e il sottoscritto in cui avremmo sbufalato le principali tesi di complotto. Comprese quelle presentate da Mazzucco.
Non poteva andare meglio:
non andrà in onda un video complottista,
il complottista ci ha pure rimesso dei soldi,
e al posto del suo video andranno in onda due ore di documentario che confermano splendidamente gli allunaggi e poi un’oretta di allegro debunking.
Non c’è che dire, i complottisti hanno uno spiccato senso della comunicazione e degli affari.
La versione degli eventi raccontata da Mazzucco è, guarda caso, completamente opposta: potete leggerla senza regalargli traffico sempre qui su Archive.org. In sintesi, secondo lui lo scopo di Mediaset/Focus TV “non era affatto quello di appurare la verità sui viaggi lunari, ma piuttosto di confondere il pubblico, lasciandolo intenzionalmente nel dubbio, anche se questo avesse comportato il mandare in onda delle bugie plateali [...]“.
Addirittura, stando a quello che scrive pubblicamente Mazzucco, qualcuno della produzione di Focus TV gli avrebbe detto "Ma è proprio questo che noi vogliamo", ossia fare in modo che il pubblico non capisca dove sta la verità.
Queste insinuazioni diffamatorie non sono piaciute alla produzione, che ora si riserva di agire in sede legale.
Complimenti per l’autogol. Se andate al Piccolo Eliseo stasera, chiedetegliene conto e salutatemelo garbatamente.
2019/07/19 18:30
Mediaset/Focus TV è molto contenta del risultato della trasmissione: mi ha scritto che il documentario ha ottenuto 226.000 telespettatori e la chiacchierata fra me e Massimo Polidoro ne ha raggiunti 268.000, che è il doppio degli ascolti abituali.
Immagino che a questo punto Mazzucco stia riflettendo sulla saggezza della sua scelta di non partecipare alla trasmissione. Avrebbe potuto esporre le sue tesi a quasi trecentomila persone, e oltretutto essere pagato per farlo, e invece le ha presentate a forse trecento in un teatro. Geniale.
2020/07/31 13:30
L’intera trasmissione è ora disponibile qui sotto e su Youtube.
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Grazie a Verzasoft per la segnalazione. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.