Pubblicazione iniziale: 2022/12/18 19:55. Ultimo aggiornamento: 2022/12/22
09:30. Una versione più breve di questo articolo è disponibile nel podcast Il Disinformatico del 23 dicembre 2022.
Sto cercando di evitare di parlare troppo di Twitter e Elon Musk, ma gli
ultimi sviluppi e dietrofront sono talmente assurdi e comici che mi tocca fare
un aggiornamento ai riassunti che ho già pubblicato (uno,
due). Come ho già detto, sospetto che fra qualche anno ci chiederemo se sia
davvero successa tutta questa follia, per cui credo sia opportuno tenerne
traccia adesso, finché è possibile.
Giornalisti bannati e poi (parzialmente) ripristinati
Cominciamo dal ban di Twitter a vari giornalisti di cui avevo già
segnalato
le prime avvisaglie: il 15 dicembre (le prime ore del 16 in Europa) almeno
dieci giornalisti hanno scoperto che i propri account Twitter erano stati
sospesi permanentemente, senza preavviso e senza dare alcuna motivazione.
Questo è l’elenco stilato da
Gizmodo:
- Matt Binder (Mashable)
- Drew Harwell (Washington Post)
- Steve Herman (VOA News)
- It’s Going Down News (Independent Site)
- Micah Lee (The Intercept)
- Ryan Mac (New York Times)
- Mastadon (Social Media Site)
- Keith Olbermann (formerly MSNBC)
- Donie O’Sullivan (CNN)
- Tony Webster (Minnesota Reformer)
A questi dieci si sono aggiunti Taylor Lorenz (Washington Post), che
racconta la propria vicenda
qui, Aaron Rupar e Linette Lopez.
Queste sospensioni hanno ricevuto la condanna delle Nazioni Unite, dell’Unione
Europea e del ministero degli affari esteri tedesco, come riferisce la
BBC
aggiungendo che un portavoce di Twitter ha dichiarato che i
ban sarebbero legati alla
“condivisione in tempo reale di dati di localizzazione”, che è vietata
dalle nuove
Regole di Twitter
anche quando queste informazioni sono pubbliche.
Se usate Twitter, insomma, teoricamente potreste trovarvi nei guai se postate
una foto di un vostro amico mentre state mangiando insieme al ristorante e il
tweet è geolocalizzato automaticamente, come capita spesso.
A giudicare da vari tweet di Elon Musk, i giornalisti sarebbero stati bannati
per aver segnalato ai loro lettori l’esistenza di un account che era su
Twitter e ora è su Mastodon e permette di sapere dove si trova il suo jet
personale, cosa che secondo Musk avrebbe permesso a uno stalker di
accostarsi a un’auto che trasportava almeno uno dei suoi figli a Los Angeles.
La polizia della città, però,
non ha trovato alcun nesso
fra questo account e l’episodio di stalking contestato da Musk, che è
avvenuto 23 ore dopo l’ultimo tweet di tracciamento da parte di
@elonjet e a circa 40 chilometri di distanza dall’aeroporto.
Inoltre alcuni dei giornalisti bannati non avevano nemmeno menzionato questa
vicenda (Lorenz, per esempio, si era limitata a chiedere a Musk un commento),
e nessuno di loro aveva pubblicato informazioni sugli spostamenti in auto di
Musk o della sua famiglia (Lorenz è stata
accusata
nel 2022 di aver condiviso un indirizzo di abitazione, via Twitter e in un
articolo
per il New York Times, ma di un’altra persona e in una
vicenda legale
completamente slegata da Musk e famiglia).
Alcuni di questi giornalisti hanno semplicemente citato l’account
Twitter @elonjet, che pubblicava in tempo reale, usando dati pubblici,
i voli del jet di Musk per segnalarne l’impatto ambientale ed è stato nel
frattempo sospeso da Twitter il 13 dicembre.
Zoe Kleinman, technology editor per la BBC, ha
riassunto la
situazione come segue:
[...] Fondamentalmente, Elon Musk ha abbattuto e fatto precipitare in fiamme
il suo tanto strombazzato impegno per la “libertà di parola”. Libertà di
parola, purché la parola non lo faccia arrabbiare personalmente: questo sembra
essere il messaggio.
Il 16 dicembre Elon Musk ha avviato un
sondaggio
fra gli utenti di Twitter chiedendo se gli account dei giornalisti andassero
ripristinati subito o entro una settimana: ha vinto con il 58,7% l’opzione
“subito”, e Musk ha
dichiarato
che avrebbe revocato immediatamente le sospensioni.
Il 17 dicembre Twitter ha
annunciato
di aver iniziato a ripristinare alcuni account che erano stati sospesi perché
riteneva che la sospensione permanente fosse una
“azione sproporzionata per la violazione delle regole di Twitter”.
Twitter non ha indicato quali fossero gli account in questione, ma alcuni
degli account dei giornalisti che erano stati sospesi risultano ora
parzialmente
riattivati
(CNN).
Ma il 21 dicembre molti dei giornalisti bannati hanno
dichiarato
che in realtà i loro account non sono stati affatto ripristinati: risultano
visibili agli altri utenti, ma non possono più pubblicare nulla se prima non
rimuovono i tweet che forniscono al pubblico l’informazione,
giornalisticamente rilevante, che esiste un modo semplice per sapere dove si
trovano i jet personali di Elon Musk e di molti altri miliardari e sapere
quanto inquinano usando soltanto informazioni pubbliche.
Sì, i jet personali sono tracciabili usando solo dati pubblici. Anche quello
di Musk
Elon Musk afferma che pubblicare i dati dei suoi voli è doxxing, ossia
rivelazione di dati privati, e
dichiara
(16 dicembre) che il suo aereo
“non è tracciabile senza usare dati non pubblici” (“My plane is actually not trackable without using non-public data”). Ma non è vero.
Un’indagine dettagliata di Open
sui singoli ban ai giornalisti spiega infatti che i dati di volo in
tempo reale degli aerei, compresi i jet privati, sono pubblici: vengono
trasmessi via radio in chiaro da appositi localizzatori di bordo (Automatic Dependent Surveillance – Broadcast
o ADS-B, obbligatorio nello spazio aereo USA) e sono pubblicamente
accessibili da chiunque acquisti un semplice ricevitore.
Per consultarli, anche senza ricevitore, è sufficiente visitare un sito come
Flightradar24 oppure
ADSBExchange e sapere qual è
l’identificativo del jet privato che interessa. Quello del jet di Musk è
N628TS: un dato facilissimo da trovare con Google, per esempio su
Superyachtfan.com, che cita appunto questo identificativo, che è dipinto a grandi lettere
sull’aereo stesso. L’aereo è un Gulfstream G650ER del 2015, che vale 70
milioni di dollari.
C’è una diffusa diceria secondo la quale sarebbe impossibile tracciare il jet
personale di Musk senza usare dati riservati perché Musk avrebbe usato
un’opzione di mascheramento dell’identificativo, il cosiddetto
PIA (Privacy ICAO Address, spiegato benissimo
qui), ossia un identificativo temporaneo che cambia ogni 20 giorni lavorativi.
La diceria è sbagliata, come hanno
spiegato
Aric Toler di Bellingcat,
Olivier Tesquet
e
Veronica Irwin
di Protocol. L’identificativo ICAO dell’aereo di Elon Musk è
citato
pubblicamente nel
database della Federal Aviation Administration, su
FlightAware
e nei
dati di Flightradar24: è A835AF.
Immettendo questi dati in ADSBexchange si ottiene l’attuale localizzazione del
jet di Musk: per esempio, il 18 dicembre 2022 ho provato personalmente a
ottenerla ed è risultato che era in Qatar.
E in effetti quel giorno
Elon Musk era lì:
Ho segnalato quel tweet come violazione delle nuove
Regole di Twitter, che vietano la condivisione di informazioni di localizzazione in tempo
reale
anche se queste informazioni sono reperibili altrove pubblicamente,
come avevo già raccontato la settimana scorsa. Ma la segnalazione è stata
respinta.
Secondo le stime di @elonjet, il volo di Musk dalla California al Qatar
con ritorno in Texas ha consumato 65 mila litri di carburante e ha prodotto
163 tonnellate di emissioni di CO2, ossia l’equivalente
di 35 anni di emissioni di un’automobile a carburante.
Mastodon segnalato falsamente da Twitter come malware, poi non più
Il 16 dicembre Twitter ha
iniziato a impedire
agli utenti di condividere qualunque link che portasse al social network
alternativo Mastodon, indicando falsamente che si trattava di un link
“potenzialmente dannoso”.
Ci ho provato anch’io, linkando semplicemente il sito del server originale di
Mastodon, ossia Mastodon.social, e il tweet in effetti è stato respinto con il
messaggio “Qualcosa è andato storto, ma non preoccuparti. Riproviamo” e
“La richiesta non può essere completata poiché Twitter o un suo partner ha
identificato questo link come potenzialmente dannoso. Per saperne di più,
visita il nostro Centro assistenza.”
Twitter ha anche bloccato l’inclusione di qualunque link a Mastodon nelle
informazioni dei profili, con un avviso ingannevole che affermava che era
“considerato pericoloso (malware)”:
Nei giorni successivi questi blocchi sono stati revocati dopo le proteste
degli utenti, per cui ora è di nuovo possibile pubblicare tweet che contengono
link a Mastodon e includere questo tipo di link anche nella propria bio su
Twitter.
Divieto di link ad altri social, poi ritirato
Il 18 dicembre l’account ufficiale
@TwitterSupport
ha annunciato che sarebbero stati rimossi
“gli account creati solo allo scopo di promuovere altre piattaforme social
e il contenuto contenente link o nomi utente per le seguenti piattaforme:
Facebook, Instagram, Mastodon, Truth Social, Tribel, Nostr e Post.”
We recognize that many of our users are active on other social media
platforms. However, we will no longer allow free promotion of certain social
media platforms on Twitter. Specifically, we will remove accounts created
solely for the purpose of promoting other social platforms and content that
contains links or usernames for the following platforms: Facebook, Instagram,
Mastodon, Truth Social, Tribel, Nostr and Post. We still allow cross-posting
content from any social media platform. Posting links or usernames to social
media platforms not listed above are also not in violation of this policy.
Il nuovo regolamento in merito (pubblicato
qui) ha
causato
la
reazione
di molti utenti influenti di Twitter che si sono trovati sospesi dal social
network di Elon Musk, ma poche ore dopo è stato rimosso e sono stati rimossi
anche i tweet che lo annunciavano (una copia permanente di questo regolamento
molto effimero è
archiviata qui; i tweet di annuncio sono
archiviati qui). Se questo regolamento fosse stato introdotto definitivamente, sarebbe
stato probabilmente in violazione del
Digital Markets Act
europeo, che regolamenta i comportamenti dei social network, con sanzioni
pesantissime.
Successivamente l’account ufficiale @TwitterSafety ha avviato un
sondaggio, che si è concluso con l’87% di contrari al divieto di linkare altri social
network.
Paradossalmente, Twitter pratica attualmente e da tempo quello stesso
comportamento che avrebbe voluto vietare in casa propria: infatti ha degli
account puramente autopromozionali su
Instagram e su
Facebook.
www.instagram.com/twitter/
www.facebook.com/TwitterInc
Il battibecco pubblico con i giornalisti, le accuse false di Musk
Il 16 dicembre Elon Musk si è inoltre unito a un dibattito online tenutosi su
Twitter, usando la funzione
Twitter Spaces
che consente conversazioni vocali di gruppo, e ha detto che i giornalisti
stavano condividendo il suo indirizzo. Quando gli hanno fatto notare che non
era vero, e che lui stava usando lo stesso metodo di blocco dei link che aveva
trovato così inaccettabile quando era stato
usato per la vicenda del laptop di Hunter Biden, Elon Musk se ne è andato senza rispondere ad altre domande.
Riporto qui sotto la
trascrizione
del suo breve intervento.
Musk: Well, as I'm sure everyone who's been doxxed would agree, showing
real-time information about somebody's location is inappropriate. And I think
everyone would not like that to be done to them. And there's not going to be
any distinction in the future between simple journalists and regular people.
Everyone is going to be treated the same—no special treatment.
You doxx, you get suspended. End of story. And ban evasion or trying to be
clever about it, like "Oh, I posted a link - to the real-time information,"
that's obviously something trying to evade the meaning, that's no different
from actually showing real-time information.
Katie Notopoulos: When you're saying, 'posting a link to it,' I mean, some of
the people like Drew and Ryan Mac from The New York Times, who were banned,
they were reporting on it in the course of pretty normal journalistic
endeavors. You consider that like a tricky attempted ban evasion?
Musk: You show the link to the real-time information – ban evasion,
obviously.
Katie Notopoulos: Drew, I don't think you were posting the real-time
information, right?
Drew Harwell: You're suggesting that we're sharing your address, which is not
true. I never posted your address.
Musk: You posted a link to the address.
Drew Harwell: In the course of reporting about ElonJet, we posted links to
ElonJet, which are now banned on Twitter. Twitter also marks even the
Instagram and Mastodon accounts of ElonJet as harmful.
We have to acknowledge, using the exact same link-blocking technique that you
have criticized as part of the Hunter Biden-New York Post story in 2020.
So what is different here?
Musk: It's not more acceptable for you than it is for me. It's the same
thing.
Drew Harwell: So it's unacceptable what you're doing?
Musk: No.
You doxx, you get suspended.
End of story. That's it.
Circa mezz’ora dopo,
l’intero servizio
Twitter Spaces
è stato
disabilitato. È poi tornato online nei giorni successivi.
Musk litiga pubblicamente anche con gli esperti di marketing e di informatica
e li insulta
In una discussione su Twitter Spaces fra esperti di marketing pubblicitario,
Musk li ha interrotti affermando che stavano dicendo stupidaggini quando in realtà stavano parlando delle basi di come funziona la pubblicità nei social:
In una conversazione, sempre su Twitter Spaces, con ex ingegneri informatici
di Twitter, quando uno di loro gli ha chiesto di descrivere tecnicamente cosa
non andasse bene dell’attuale software del social, Musk ha tagliato corto e
gli ha dato del “jackass”, ossia dell’ignorante.
Il sondaggio di Musk se stare a capo di Twitter o no
Il 19 dicembre Elon Musk ha tweetato un sondaggio, indetto da lui stesso, per
chiedere se restare a capo di Twitter o no, aggiungendo che avrebbe rispettato
l’esito del sondaggio. "Vox populi, vox dei", diceva. Il risultato
finale, con circa 17 milioni di account partecipanti, è stato che il 57,4% è a
favore della sua rinuncia alla carica.
Dopo due giorni di sostanziale silenzio, Musk ha
annunciato
il 21 dicembre che si dimetterà dal ruolo di CEO non appena troverà
“qualcuno abbastanza
incosciente
da accettare l’incarico” e che resterà a capo dei reparti software e server (“I will resign as CEO as soon as I find someone foolish enough to take the
job! After that, I will just run the software & servers teams.”).
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A Twitter, insomma, regna ancora la confusione e non c’è un piano organico di
ristrutturazione: le decisioni vengono prese sull’impulso del momento, senza
valutarne le conseguenze.
La burla di “John Mastodon”
E per finire, se vi state chiedendo perché si parla tanto online del signor
John Mastodon ed è così popolare l’hashtag #JohnMastodon, tutto nasce
da un errore di un giornalista, Isaac Schorr, che il 16 dicembre ha scritto su
Mediaite.com un articolo sulla vicenda Twitter (copia d'archivio qui) nel quale voleva parlare dell’account Twitter @joinmastodon, che era
stato bandito, ma ha invece scritto John Mastodon, descrivendolo come
“il fondatore di una società concorrente nei social media che prende il
nome da lui”
(“the platform removed John Mastodon, the founder of a competing social
media company named after himself”).
Ed è così che
è nato un mito, con memi, biografie inventate e fotografie dell’inesistente signor John
Mastodon generate con l’intelligenza artificiale.
Fonti aggiuntive:
BBC;
Ars Technica;
Gizmodo.