Il CEO e fondatore di Twitter, Jack Dorsey, si è fatto fregare temporaneamente e parzialmente il controllo del proprio account. Twitter Comms dice che “il numero di telefono associato all’account è stato compromesso a causa di una svista di sicurezza del fornitore cellulare. Questo ha permesso a una persona non autorizzata di comporre e inviare tweet tramite SMS da quel numero di telefono. Il problema è ora risolto”.
Sia come sia, è una buona occasione per ripassare le impostazioni di sicurezza di Twitter.
Per esempio, è assolutamente consigliabile attivare l’autenticazione a due fattori (two-factor authentication o 2FA), altrimenti chiunque scopra o indovini la vostra password potrà prendere il controllo del vostro account.
Io ho la 2FA, basata su Google Authenticator, per cui l’opzione di ricevere un codice di autenticazione tramite SMS non mi serve ed è anzi una possibile vulnerabilità.
L’opzione è accessibile presso questo link diretto di Twitter, ma se ci provate da un browser scoprirete, come è capitato a me, che se cercate di disattivarla verrà disabilitata anche la 2FA. Pessima idea.
Paradossalmente, se faccio la stessa cosa dalla app, funziona senza disabilitare la 2FA.
Basta andare nell’app, toccare l’icona del profilo, scegliere Impostazioni e privacy, Account, Sicurezza, Verifica dell'accesso, e disabilitare la voce SMS.
A questo punto, se vado nell’interfaccia di gestione del mio account tramite browser, mi mostra la voce SMS correttamente disabilitata. Quello che prima mi vietava di fare ora è fatto. Va be’.
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Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2019/08/31
Cari ufologi del CUN, se taccio non vuol dire che confermo. È che sto cercando di non ridere
Comunicazione di servizio: tramite i miei potenti impianti telepatico-bioplasmatici sono venuto a sapere che alcuni ufologi del CUN hanno interpretato il mio silenzio a proposito di un recente caso ufologico come una conferma della credibilità del caso stesso.
Non chiedetemi quale: non voglio regalargli visibilità. Quelli del CUN lo sanno, ed è questo che conta.
Insomma, siamo arrivati al punto che questi ufologi, gli stessi che mi vedono come un babau, mi considerano però un arbitro attendibile della serietà delle loro scoperte. Se il babau non ne parla, ragionano, vuol dire che non sa come smentirlo, quindi il caso è a prova di bomba.
Vorrei calmare subito gli entusiasmi prima che parta un nuovo delirio: non parlo del caso semplicemente perché sto cercando di non riderne. Aspetto che questi autoproclamati scopritori di verità nascoste annuncino trionfalmente di aver trovato, per l’ennesima volta, la prova definitiva delle visite extraterrestri, quella che secondo loro mette a tacere i debunker. Aspetto che ci mettano la faccia.
Poi farò a fettine le loro “prove definitive”. Sarà divertente.
Non chiedetemi quale: non voglio regalargli visibilità. Quelli del CUN lo sanno, ed è questo che conta.
Insomma, siamo arrivati al punto che questi ufologi, gli stessi che mi vedono come un babau, mi considerano però un arbitro attendibile della serietà delle loro scoperte. Se il babau non ne parla, ragionano, vuol dire che non sa come smentirlo, quindi il caso è a prova di bomba.
Vorrei calmare subito gli entusiasmi prima che parta un nuovo delirio: non parlo del caso semplicemente perché sto cercando di non riderne. Aspetto che questi autoproclamati scopritori di verità nascoste annuncino trionfalmente di aver trovato, per l’ennesima volta, la prova definitiva delle visite extraterrestri, quella che secondo loro mette a tacere i debunker. Aspetto che ci mettano la faccia.
Poi farò a fettine le loro “prove definitive”. Sarà divertente.
Nextcharge spedisce all’estero senza problemi tessere di ricarica per auto elettriche
Ultimo aggiornamento: 2019/09/02 10:20
Ieri è arrivata al Maniero Digitale una normale busta postale, col timbro postale di Bologna contenente la tessera prepagata di Nextcharge per la mia auto elettrica, che ho ordinato e pagato seguendo la normale procedura seguita da ogni altro cliente.
A quanto pare, la ditta bolognese riesce a fare quello che l’“azienda globale” Enel X trova impossibile, come ho raccontato qui.
Mi è arrivata poco fa una mail di Enel X che dice che l’azienda ha attivato la spedizione all’estero e che mi manderà la tessera, oltretutto in omaggio. Interessante.
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A quanto pare, la ditta bolognese riesce a fare quello che l’“azienda globale” Enel X trova impossibile, come ho raccontato qui.
2019/09/02 10:20
Mi è arrivata poco fa una mail di Enel X che dice che l’azienda ha attivato la spedizione all’estero e che mi manderà la tessera, oltretutto in omaggio. Interessante.
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Puntata del Disinformatico RSI del 2019/08/30
È disponibile la puntata di ieri del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Tiki.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
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2019/08/30
Arrestata banda di truffatori che si spacciavano per innamorati
Ogni tanto dal fronte delle truffe su Internet arriva una buona notizia: il Dipartimento di Giustizia statunitense ha reso pubblico l’atto di accusa depositato nei confronti di ben 80 persone, operanti negli Stati Uniti e in Nigeria, che truffavano le proprie vittime con la tecnica del romance scam, ossia spacciandosi online per innamorati, conquistando la fiducia dei propri bersagli e poi chiedendo loro denaro con vari pretesti.
Quattordici degli accusati sono stati arrestati e gli altri sono ricercati. Il gruppo era ben strutturato: due membri fornivano agli altri dei conti correnti sui quali far arrivare i soldi ottenuti dalle vittime. Gli stessi due gestivano anche un giro di correntisti bancari che trasferivano i soldi dagli Stati Uniti alla Nigeria. Le frodi messe a segno dal gruppo ammontano a circa 6 milioni di dollari.
La tecnica del romance scam include casi come quello di una donna che credeva di comunicare via Internet con un capitano dell’esercito americano in Siria, un certo Terry Garcia. Il corteggiamento di Garcia è durato dieci mesi, durante i quali la donna ha inviato al presunto capitano innamorato e bisognoso di aiuto parecchi soldi, che aveva chiesto in prestito alla sorella, all’ex marito e agli amici. Quanti? In tutto 200.000 dollari.
La banda gestiva anche un altro tipo di truffa, il business email compromise, nella quale i capibanda creavano conti correnti intestati a società fittizie i cui nomi somigliavano molto a quelli di fornitori di aziende reali e poi contattavano via mail queste aziende reali chiedendo di pagare tramite bonifico una fornitura. Le aziende inviavano soldi agli impostori credendo di pagare il fornitore legittimo.
Questi criminali sono stati sgominati, ma altre bande continuano ad operare, per cui è importante tenere alta la guardia, diffidando di qualunque richiesta di denaro ricevuta via Internet da presunti corteggiatori o fornitori, ed è importante parlarne soprattutto alle persone più vulnerabili a questi tipi di truffa. Una pulce nell’orecchio preventiva può evitare un buco enorme nel portafogli.
Quattordici degli accusati sono stati arrestati e gli altri sono ricercati. Il gruppo era ben strutturato: due membri fornivano agli altri dei conti correnti sui quali far arrivare i soldi ottenuti dalle vittime. Gli stessi due gestivano anche un giro di correntisti bancari che trasferivano i soldi dagli Stati Uniti alla Nigeria. Le frodi messe a segno dal gruppo ammontano a circa 6 milioni di dollari.
La tecnica del romance scam include casi come quello di una donna che credeva di comunicare via Internet con un capitano dell’esercito americano in Siria, un certo Terry Garcia. Il corteggiamento di Garcia è durato dieci mesi, durante i quali la donna ha inviato al presunto capitano innamorato e bisognoso di aiuto parecchi soldi, che aveva chiesto in prestito alla sorella, all’ex marito e agli amici. Quanti? In tutto 200.000 dollari.
La banda gestiva anche un altro tipo di truffa, il business email compromise, nella quale i capibanda creavano conti correnti intestati a società fittizie i cui nomi somigliavano molto a quelli di fornitori di aziende reali e poi contattavano via mail queste aziende reali chiedendo di pagare tramite bonifico una fornitura. Le aziende inviavano soldi agli impostori credendo di pagare il fornitore legittimo.
Questi criminali sono stati sgominati, ma altre bande continuano ad operare, per cui è importante tenere alta la guardia, diffidando di qualunque richiesta di denaro ricevuta via Internet da presunti corteggiatori o fornitori, ed è importante parlarne soprattutto alle persone più vulnerabili a questi tipi di truffa. Una pulce nell’orecchio preventiva può evitare un buco enorme nel portafogli.
Azienda di pornografia compra sito che rivelava i dati personali dei creatori di contenuti per adulti e gli dà fuoco
Dal mondo della pornografia online arriva una storia di privacy piuttosto insolita, segnalata da Vice.com.
Il sito PornWikileaks.com conteneva un forum dedicato al doxing, ossia alla rivelazione di dati personali (nomi, cognomi, indirizzi di casa e simili) di persone che operano nel settore e dei loro famigliari. Le persone venivano poi molestate e perseguitate dai partecipanti al forum, che conteneva circa 300.000 post.
A quanto pare molte persone che frequentano siti pornografici hanno problemi a capire che anche e soprattutto chi opera in settori sensibili come quello dei contenuti per adulti ha diritto alla propria privacy e a vivere in pace.
L’aspetto insolito della vicenda è che per proteggere queste persone è stata trovata una soluzione decisamente poco ortodossa: un noto sito pornografico ha acquistato il sito PornWikileaks.com e il nome di dominio, ne ha rimosso i contenuti e ha pubblicato un avviso nel quale spiega che ha chiuso il sito, strapieno di messaggi “negativi e pieni di odio”, e ha dato fuoco ai dischi rigidi che ospitavano i dati, mostrando in video il gesto. Dice l’avviso: “Anche se chiudere questo sito non elimina da Internet tutti i possibili collegamenti a nomi reali e altro, perlomeno ora c’è un posto in meno che ospita e permette di trovare facilmente questi dati”.
Un gesto simbolico e inevitabilmente efficace anche come richiamo pubblicitario, che ha dei limiti ma che comunque manda un messaggio importante: tutti, ma proprio tutti, hanno il diritto di non essere perseguitati, e perseguitare non è accettabile, neanche su Internet.
Il sito PornWikileaks.com conteneva un forum dedicato al doxing, ossia alla rivelazione di dati personali (nomi, cognomi, indirizzi di casa e simili) di persone che operano nel settore e dei loro famigliari. Le persone venivano poi molestate e perseguitate dai partecipanti al forum, che conteneva circa 300.000 post.
A quanto pare molte persone che frequentano siti pornografici hanno problemi a capire che anche e soprattutto chi opera in settori sensibili come quello dei contenuti per adulti ha diritto alla propria privacy e a vivere in pace.
L’aspetto insolito della vicenda è che per proteggere queste persone è stata trovata una soluzione decisamente poco ortodossa: un noto sito pornografico ha acquistato il sito PornWikileaks.com e il nome di dominio, ne ha rimosso i contenuti e ha pubblicato un avviso nel quale spiega che ha chiuso il sito, strapieno di messaggi “negativi e pieni di odio”, e ha dato fuoco ai dischi rigidi che ospitavano i dati, mostrando in video il gesto. Dice l’avviso: “Anche se chiudere questo sito non elimina da Internet tutti i possibili collegamenti a nomi reali e altro, perlomeno ora c’è un posto in meno che ospita e permette di trovare facilmente questi dati”.
Un gesto simbolico e inevitabilmente efficace anche come richiamo pubblicitario, che ha dei limiti ma che comunque manda un messaggio importante: tutti, ma proprio tutti, hanno il diritto di non essere perseguitati, e perseguitare non è accettabile, neanche su Internet.
Promemoria antibufala periodico: no, l’avviso salvaprivacy di Facebook non è reale
Certe bufale non muoiono mai. Ha ripreso a circolare questa, che parla di una scadenza (un generico “domani” che vale sempre) dopo la quale Facebook potrà usare le foto degli utenti e avvisa che tutte le cose che avete mai postato diventano pubbliche a partire da oggi, compresi i messaggi che avete cancellato o le foto non permesse, a meno che pubblichiate una dicitura legale che cita la legge “UCC 1-308-1 1 308-103” e lo “Statuto di Roma”.
Questo è un esempio recente, in inglese, segnalato da Sophos:
E questa è una versione in italiano:
L’avevo già segnalata nel 2012: era falsa e continua a esserlo anche oggi, sette anni più tardi: chi si iscrive a Facebook sottoscrive infatti un contratto vincolante,
che non può essere alterato unilateralmente, né da Facebook, né
dall'utente iscritto, senza il consenso di entrambi.
Quindi cestinate pure questa comunicazione e avvisate chi la diffonde che ha preso un granchio.
Questo è un esempio recente, in inglese, segnalato da Sophos:
Don’t forget tomorrow starts the new Facebook rule where they can use your photos. Don’t forget Deadline today!!! It can be used in court cases in litigation against you. Everything you’ve ever posted becomes public from today Even messages that have been deleted or the photos not allowed. It costs nothing for a simple copy and paste, better safe than sorry. Channel 13 News talked about the change in Facebook’s privacy policy. I do not give Facebook or any entities associated with Facebook permission to use my pictures, information, messages or posts, both past and future. With this statement, I give notice to Facebook it is strictly forbidden to disclose, copy, distribute, or take any other action against me based on this profile and/or its contents. The content of this profile is private and confidential information. The violation of privacy can be punished by law (UCC 1-308- 1 1 308-103 and the Rome Statute. NOTE: Facebook is now a public entity. All members must post a note like this. If you prefer, you can copy and paste this version. If you do not publish a statement at least once it will be tacitly allowing the use of your photos, as well as the information contained in the profile status updates. FACEBOOK NOR ANYONE ELSE DOES NOT HAVE MY PERMISSION TO SHARE PHOTOS OR MESSAGES
Copy, Paste and Breathe
E questa è una versione in italiano:
Non dimenticare che domani inizia la nuova regola di Facebook in cui potrai usare le tue foto. Scadenza oggi, non dimenticare! Può essere usato in cause legali contro di te. Tutto quello che hai pubblicato da oggi sarà pubblico. Non sono ammessi messaggi o foto cancellati. Non costa nulla per una semplice copia e incolla, meglio della tolleranza. Channel 13 news ha parlato della modifica delle norme sulla protezione dei dati di Facebook.
👇
Non do il permesso a Facebook o alle aziende associate a Facebook di utilizzare le mie immagini, informazioni, messaggi o post sia in passato che in futuro. Con questa dichiarazione, faccio notare a Facebook che è rigorosamente proibito pubblicare, copiare, diffondere o prendere qualsiasi altra azione contro di me in base a questo profilo e / o al suo contenuto. Il contenuto di questo profilo è un'informazione privata e riservata. La violazione della privacy può essere punito per legge (UCC 1-308-1 1 308-103 e lo status di Roma). Nota: Facebook è ora una struttura pubblica. Tutti i membri devono postare un indizio come questo. Se preferite, è possibile copiare e incollare questa versione. Se non pubblica una dichiarazione almeno una volta, l'uso delle tue foto e le informazioni incluse nel profilo status sono ammessi.
Non condividere. Copia e incolla.
Il tuo nuovo algoritmo sceglie le stesse poche persone - circa il 25 % che leggono i tuoi post. Quindi,
Tieni premuto il dito in qualsiasi punto del post e verrà mostrato " Copia Fai clic su "Copia". poi accedi alla tua pagina, inizia un nuovo post e metti il dito nel campo vuoto da qualche parte. "inserisci" appare e clicca su inserisci
In questo modo si eluse il sistema.
Quindi cestinate pure questa comunicazione e avvisate chi la diffonde che ha preso un granchio.
Aggiornamento di iOS aggiorna l’aggiornamento che disaggiornava gli iPhone e iPad. Aggiornatevi
Se siete stati diligenti e avete aggiornato il vostro iPhone o iPad, avrete notato che un mesetto fa è uscita la nuova versione di iOS, la 12.4. Ora Apple ha già distribuito un altro aggiornamento, il 12.4.1.
Come consueto, la dicitura che accompagna l’aggiornamento parla di “importanti aggiornamenti di sicurezza e miglioramenti alla stabilità”, ma la realtà stavolta è un po’ diversa dal solito.
Questo nuovo aggiornamento, infatti, serve anche a correggere un difetto di iOS che consentiva di fare il jailbreak degli smartphone e tablet Apple: una cosa che non capitava da un bel po’ di tempo.
Ormai il jailbreak è passato parecchio di moda, perché i vantaggi che offriva (per esempio l’installazione di app piratate) sono diminuiti nel corso del tempo, ma c’è ancora chi lo pratica per passione, spesso senza rendersi conto che sta togliendo le protezioni messe da Apple per evitare attacchi informatici.
A marzo scorso un ricercatore, Ned Williamson, ha scoperto una falla in iOS che consentiva il jailbreak. Apple l’ha corretta a maggio con iOS 12.2, ma poi, non si sa perché, ha eliminato questa correzione nell’aggiornamento alla versione 12.4. Ora la versione 12.4.1 rimedia all’errore.
Lo so che fare gli aggiornamenti è una scocciatura, ma è importante: non va dimenticato che l’aggiornamento alla 12.4 correggeva una falla critica che consentiva a un aggressore di attaccare un iPhone semplicemente mandandogli un messaggio di iMessage appositamente confezionato, e gli esperti di Google hanno individuato un attacco che consentiva di rubare dati e installare software di sorveglianza su qualunque iPhone semplicemente inducendolo a visitare un sito ed è stato bloccato con l’aggiornamento di febbraio scorso.
Quindi, se non avete già aggiornato il vostro dispositivo iOS, andate in Impostazioni - Aggiornamento software e seguite le istruzioni.
Fonti aggiuntive: Sophos, Hot for Security, Sophos.
Come consueto, la dicitura che accompagna l’aggiornamento parla di “importanti aggiornamenti di sicurezza e miglioramenti alla stabilità”, ma la realtà stavolta è un po’ diversa dal solito.
Questo nuovo aggiornamento, infatti, serve anche a correggere un difetto di iOS che consentiva di fare il jailbreak degli smartphone e tablet Apple: una cosa che non capitava da un bel po’ di tempo.
Ormai il jailbreak è passato parecchio di moda, perché i vantaggi che offriva (per esempio l’installazione di app piratate) sono diminuiti nel corso del tempo, ma c’è ancora chi lo pratica per passione, spesso senza rendersi conto che sta togliendo le protezioni messe da Apple per evitare attacchi informatici.
A marzo scorso un ricercatore, Ned Williamson, ha scoperto una falla in iOS che consentiva il jailbreak. Apple l’ha corretta a maggio con iOS 12.2, ma poi, non si sa perché, ha eliminato questa correzione nell’aggiornamento alla versione 12.4. Ora la versione 12.4.1 rimedia all’errore.
Lo so che fare gli aggiornamenti è una scocciatura, ma è importante: non va dimenticato che l’aggiornamento alla 12.4 correggeva una falla critica che consentiva a un aggressore di attaccare un iPhone semplicemente mandandogli un messaggio di iMessage appositamente confezionato, e gli esperti di Google hanno individuato un attacco che consentiva di rubare dati e installare software di sorveglianza su qualunque iPhone semplicemente inducendolo a visitare un sito ed è stato bloccato con l’aggiornamento di febbraio scorso.
Quindi, se non avete già aggiornato il vostro dispositivo iOS, andate in Impostazioni - Aggiornamento software e seguite le istruzioni.
Fonti aggiuntive: Sophos, Hot for Security, Sophos.
CamScanner, app Android malevola da 100 milioni di download
Un’app molto popolare presente nello store ufficiale Android ha infettato i dispositivi sui quali veniva installata: si chiama CamScanner, e se l‘avete ospitata sul vostro tablet o smartphone probabilmente avete un problema e non siete i soli, visto che l’app è stata scaricata 100 milioni di volte.
CamScanner è stata a lungo un’app regolare, che consentiva di scansionare e gestire documenti facendo riconoscimento ottico e generando file PDF e si finanziava attraverso pubblicità e acquisti in-app.
Ma Kaspersky ha annunciato di aver scoperto che una versione recente di CamScanner contiene un componente che scarica vari altri componenti ostili che possono per esempio far comparire pubblicità indesiderate oppure abbonare le vittime a servizi a pagamento.
Kaspersky ha segnalato il problema a Google, che ha rimosso l’app da Google Play.
Chi ha installato quest’app farebbe bene a rimuoverla dal proprio dispositivo Android, che va poi analizzato con un antivirus aggiornato di un fornitore ben conosciuto.
Va chiarito che i creatori di CamScanner, la CC Intelligence di Shanghai, sono probabilmente incolpevoli: secondo le analisi tecniche, i componenti ostili provengono infatti da un modulo (libreria) di gestione delle pubblicità fornito da terzi, che sono presumibilmente i veri responsabili. I creatori dell’app hanno pubblicato un comunicato che avvisa del problema e include l’invito a scaricare e installare la versione aggiornata di CamScanner da un sito esterno a Google Play.
Maggiori dettagli sulla vicenda sono disponibili su Ars Technica e ZDNet.
CamScanner è stata a lungo un’app regolare, che consentiva di scansionare e gestire documenti facendo riconoscimento ottico e generando file PDF e si finanziava attraverso pubblicità e acquisti in-app.
Ma Kaspersky ha annunciato di aver scoperto che una versione recente di CamScanner contiene un componente che scarica vari altri componenti ostili che possono per esempio far comparire pubblicità indesiderate oppure abbonare le vittime a servizi a pagamento.
Kaspersky ha segnalato il problema a Google, che ha rimosso l’app da Google Play.
Chi ha installato quest’app farebbe bene a rimuoverla dal proprio dispositivo Android, che va poi analizzato con un antivirus aggiornato di un fornitore ben conosciuto.
Va chiarito che i creatori di CamScanner, la CC Intelligence di Shanghai, sono probabilmente incolpevoli: secondo le analisi tecniche, i componenti ostili provengono infatti da un modulo (libreria) di gestione delle pubblicità fornito da terzi, che sono presumibilmente i veri responsabili. I creatori dell’app hanno pubblicato un comunicato che avvisa del problema e include l’invito a scaricare e installare la versione aggiornata di CamScanner da un sito esterno a Google Play.
Maggiori dettagli sulla vicenda sono disponibili su Ars Technica e ZDNet.
2019/08/29
Una volta tanto, un’assistenza clienti davvero spaziale: Famemaster
Capita spesso di lamentarsi pubblicamente di un disservizio; lo faccio anch’io, su queste pagine digitali. Ma stavolta vorrei spendere due parole per chi invece fa bene il proprio lavoro e anzi lo fa con altruismo: una cosa che troppo sovente passa sotto silenzio, senza alcun riconoscimento. E così il mondo sembra pieno soltanto di cose negative e di storie tristi. Forse dovremmo dedicare più spazio alle cose belle e ai gesti costruttivi.
Premessa: tre anni fa ho comperato dalla Famemaster uno spettacolare modello in scala 1:100 del razzo Saturn V, da assemblare totalmente a incastro, con parti già verniciate e scritte già applicate. L’ho usato spesso nelle mie conferenze sulle missioni spaziali: alto un metro e dieci, attira subito l’interesse e rende concreto l’argomento. È bellissimo e sta accanto a me nel mio ufficio al Maniero Digitale.
Questa è la vista dal lato intero:
E questa è quella dal lato con le porzioni trasparenti:
Il modello è davvero fedele (molto più di quello della Lego, ma questa è un’altra storia), a parte un dettaglio: il terzo stadio, l’S-IVB, ha le pareti ondulate anziché lisce come erano nella realtà. Si tratta della porzione cilindrica mostrata nella foto qui sotto:
Grazie a questa recensione su Amazon ho scoperto che il difetto era stato rimediato e che la Famemaster spediva il pezzo sostitutivo ai clienti. Così ad aprile scorso ho mandato una mail all’azienda, a Hong Kong, chiedendo come avere il pezzo e offrendomi di pagarlo insieme alle spese di spedizione.
Ho ricevuto risposta dalla Famemaster, che mi ha chiesto di inviare una prova dell’acquisto e di fare una donazione di almeno 30 dollari a uno degli enti benefici indicati nella mail. Ho scelto Medici Senza Frontiere, donando qualcosina in più, e ho spedito le informazioni richieste alla Famemaster.
Oggi è arrivato per posta un pacchettino da Hong Kong, che conteneva questo:
Nel giro di mezz’ora ho smontato il terzo stadio e sostituito il pezzo. Ora va molto meglio:
Insomma, l’azienda mi ha dato e spedito gratis il pezzo di ricambio in cambio di una mia donazione in beneficenza. Quante aziende conoscete che si comportano così?
Ho scritto subito una mail alla Famemaster per ringraziare, mandando una foto del Saturn V aggiornato in tutto il suo splendore.
Se volete saperne di più su questo modello e su come acquistarlo e farsi mandare il pezzo correttivo, la storia completa è qui su Complotti Lunari.
Premessa: tre anni fa ho comperato dalla Famemaster uno spettacolare modello in scala 1:100 del razzo Saturn V, da assemblare totalmente a incastro, con parti già verniciate e scritte già applicate. L’ho usato spesso nelle mie conferenze sulle missioni spaziali: alto un metro e dieci, attira subito l’interesse e rende concreto l’argomento. È bellissimo e sta accanto a me nel mio ufficio al Maniero Digitale.
Questa è la vista dal lato intero:
E questa è quella dal lato con le porzioni trasparenti:
Il modello è davvero fedele (molto più di quello della Lego, ma questa è un’altra storia), a parte un dettaglio: il terzo stadio, l’S-IVB, ha le pareti ondulate anziché lisce come erano nella realtà. Si tratta della porzione cilindrica mostrata nella foto qui sotto:
Grazie a questa recensione su Amazon ho scoperto che il difetto era stato rimediato e che la Famemaster spediva il pezzo sostitutivo ai clienti. Così ad aprile scorso ho mandato una mail all’azienda, a Hong Kong, chiedendo come avere il pezzo e offrendomi di pagarlo insieme alle spese di spedizione.
Ho ricevuto risposta dalla Famemaster, che mi ha chiesto di inviare una prova dell’acquisto e di fare una donazione di almeno 30 dollari a uno degli enti benefici indicati nella mail. Ho scelto Medici Senza Frontiere, donando qualcosina in più, e ho spedito le informazioni richieste alla Famemaster.
Oggi è arrivato per posta un pacchettino da Hong Kong, che conteneva questo:
Nel giro di mezz’ora ho smontato il terzo stadio e sostituito il pezzo. Ora va molto meglio:
Quello a destra sullo sfondo è un modello in scala 1:1 del guanto destro della tuta spaziale di Neil Armstrong, stampato con una stampante 3D. Ma questa è un’altra storia. |
Insomma, l’azienda mi ha dato e spedito gratis il pezzo di ricambio in cambio di una mia donazione in beneficenza. Quante aziende conoscete che si comportano così?
Ho scritto subito una mail alla Famemaster per ringraziare, mandando una foto del Saturn V aggiornato in tutto il suo splendore.
Se volete saperne di più su questo modello e su come acquistarlo e farsi mandare il pezzo correttivo, la storia completa è qui su Complotti Lunari.
2019/08/28
SpaceX fa volare il suo StarHopper. Scene da fantascienza molto steampunk
Ultimo aggiornamento: 2019/08/28 20:25.
Sembra il classico bidone di latta lucente con tre alette concepito dagli illustratori classici della fantascienza, è invece lo StarHopper di SpaceX è reale: ha appena concluso un volo di collaudo di poco meno di un minuto, arrivando a circa 150 metri di quota, facendo una rotazione e atterrando perfettamente al centro della piazzola di arrivo a Boca Chica, in Texas.
Senza un termine di paragone è difficile capire quanto sia grande questo veicolo sperimentale: è alto circa 20 metri e ha un diametro di 9 metri. Notate la precisione con la quale l’ugello del singolo motore Raptor (anche questo altamente innovativo, alimentato a ossigeno liquido e metano liquido) mantiene l’assetto dello StarHopper.
Niente male, per un coso costruito all’aperto, contrariamente a tutti gli abituali criteri di iper-pulizia tipici dei veicoli spaziali, assemblando anelli d’acciaio e lavorando di martello e saldatrice. Un coso, fra l’altro, assemblato a tempo di record.
Non è certo il primo veicolo a fare un saltino di questo genere: ci provò già negli anni Novanta la McDonnell Douglas con il DC-X, e la stessa SpaceX costruì e fece volare il Grasshopper (2013) per sperimentare le tecnologie che poi avrebbero portato al rientro e atterraggio verticale dei primi stadi del Falcon 9 e del Falcon Heavy. Ma è sicuramente quello costruito nella maniera più bizzarra e apparentemente raffazzonata allo scopo di contenere tempi e costi.
Con questo suo breve volo, StarHopper è già arrivato a fine carriera. Diventerà ora la piattaforma statica di test per i motori e i materiali della StarShip di SpaceX: un veicolo spaziale riutilizzabile, che grazie a un primo stadio lanciatore sarà capace di raggiungere lo spazio portando un grande carico verso destinazioni come la Luna o eventualmente Marte, atterrandovi verticalmente, a costi drasticamente inferiori rispetto ai costosissimi colossi usa e getta dell’industria aerospaziale tradizionale. Ne vedremo delle belle.
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Sembra il classico bidone di latta lucente con tre alette concepito dagli illustratori classici della fantascienza, è invece lo StarHopper di SpaceX è reale: ha appena concluso un volo di collaudo di poco meno di un minuto, arrivando a circa 150 metri di quota, facendo una rotazione e atterrando perfettamente al centro della piazzola di arrivo a Boca Chica, in Texas.
Senza un termine di paragone è difficile capire quanto sia grande questo veicolo sperimentale: è alto circa 20 metri e ha un diametro di 9 metri. Notate la precisione con la quale l’ugello del singolo motore Raptor (anche questo altamente innovativo, alimentato a ossigeno liquido e metano liquido) mantiene l’assetto dello StarHopper.
Niente male, per un coso costruito all’aperto, contrariamente a tutti gli abituali criteri di iper-pulizia tipici dei veicoli spaziali, assemblando anelli d’acciaio e lavorando di martello e saldatrice. Un coso, fra l’altro, assemblato a tempo di record.
Non è certo il primo veicolo a fare un saltino di questo genere: ci provò già negli anni Novanta la McDonnell Douglas con il DC-X, e la stessa SpaceX costruì e fece volare il Grasshopper (2013) per sperimentare le tecnologie che poi avrebbero portato al rientro e atterraggio verticale dei primi stadi del Falcon 9 e del Falcon Heavy. Ma è sicuramente quello costruito nella maniera più bizzarra e apparentemente raffazzonata allo scopo di contenere tempi e costi.
Con questo suo breve volo, StarHopper è già arrivato a fine carriera. Diventerà ora la piattaforma statica di test per i motori e i materiali della StarShip di SpaceX: un veicolo spaziale riutilizzabile, che grazie a un primo stadio lanciatore sarà capace di raggiungere lo spazio portando un grande carico verso destinazioni come la Luna o eventualmente Marte, atterrandovi verticalmente, a costi drasticamente inferiori rispetto ai costosissimi colossi usa e getta dell’industria aerospaziale tradizionale. Ne vedremo delle belle.
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2019/08/27
Ci vediamo a Canobbio il 26 settembre per parlare di libertà e sicurezza informatica?
Giovedì 26 settembre alle 18 sarò all’Aula Magna della Scuola Media di Canobbio (da non confondere con Cannobio, in Italia) insieme con l‘avvocato Gianni Cattaneo per parlare del rapporto fra libertà digitali e sicurezza informatica. L’incontro sarà moderato da Silvano Petrini, direttore del Centro sistemi informativi del Canton Ticino.
La serata è aperta a tutti ed è organizzata dal Club Plinio Verda.
La serata è aperta a tutti ed è organizzata dal Club Plinio Verda.
2019/08/21
Quando una ditta lascia online i dati dei clienti e ignora gli avvisi, che si fa? Si pubblica
Ultimo aggiornamento: 2019/08/27 12:00.
Le gioie dei dati nel cloud: la San Marino Tourservice S.p.A. ha messo centinaia di file contenenti dati dei clienti in un bucket Amazon leggibile da chiunque, con buona pace della sua privacy policy (che ho archiviato qui).
So che è già stata allertata tempo fa (non da me), ma non ha fatto nulla: i dati sono ancora lì, come lo erano a marzo scorso, alla mercé del primo che passa. Nomi, numeri di telefono, date di viaggio, infortuni e problemi di salute.
Un paio di esempi (in cui ho mascherato i principali dati), tanto per chiarire che non sto scherzando:
Visto che segnalare il problema direttamente e con discrezione agli interessati non sembra aver ottenuto alcun effetto, vediamo cosa succede con una segnalazione pubblica della figuraccia. Perché un cliente ha il diritto di sapere se i suoi dati personali verranno davvero tutelati dall’azienda alla quale si rivolge o se, come sembra, vige il chissenefrega più totale.
Ho inviato segnalazione anche al CNAIPIC.
15:50. Sono stato contattato dal responsabile informatico dell’azienda e gli ho spiegato i dettagli tecnici della questione, chiarendo che non ho trovato alcuna vulnerabilità ignota ma ho semplicemente usato uno degli appositi motori di ricerca che indicizzano i bucket world-readable. È comunque già un passo avanti. I dati sono tuttora leggibili e scaricabili da chiunque, anche in massa. Ricordo alle aziende che usano i bucket di Amazon che Amazon offre una guida alla messa in sicurezza e anche uno strumento di verifica delle impostazioni dei bucket.
21:10. Mi è arrivata una mail dal responsabile informatico dell’azienda, che ha confermato la mia segnalazione e ha detto che verranno prese misure opportune (che non descrivo qui) e ringraziato con la promessa di aggiornarmi sulle modifiche e con la cortese richiesta di verificare il loro operato. Tutto è bene quel che finisce bene? Beh, resta la questione delle conseguenze GDPR di questa esposizione di dati privati. Ma questa è un’altra storia.
2019/08/22 7:35. Sono stato contattato di nuovo dall’azienda, che mi ha chiesto di verificare che a seguito di un intervento tecnico ora i dati non sono più accessibili a chiunque. I miei controlli a campione confermano che è così.
2019/08/27 12:00. Ho sostituito gli screenshot iniziali (che avevo mascherato quasi completamente) con delle versioni completamente mascherate.
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So che è già stata allertata tempo fa (non da me), ma non ha fatto nulla: i dati sono ancora lì, come lo erano a marzo scorso, alla mercé del primo che passa. Nomi, numeri di telefono, date di viaggio, infortuni e problemi di salute.
Un paio di esempi (in cui ho mascherato i principali dati), tanto per chiarire che non sto scherzando:
Visto che segnalare il problema direttamente e con discrezione agli interessati non sembra aver ottenuto alcun effetto, vediamo cosa succede con una segnalazione pubblica della figuraccia. Perché un cliente ha il diritto di sapere se i suoi dati personali verranno davvero tutelati dall’azienda alla quale si rivolge o se, come sembra, vige il chissenefrega più totale.
Ho inviato segnalazione anche al CNAIPIC.
15:50. Sono stato contattato dal responsabile informatico dell’azienda e gli ho spiegato i dettagli tecnici della questione, chiarendo che non ho trovato alcuna vulnerabilità ignota ma ho semplicemente usato uno degli appositi motori di ricerca che indicizzano i bucket world-readable. È comunque già un passo avanti. I dati sono tuttora leggibili e scaricabili da chiunque, anche in massa. Ricordo alle aziende che usano i bucket di Amazon che Amazon offre una guida alla messa in sicurezza e anche uno strumento di verifica delle impostazioni dei bucket.
21:10. Mi è arrivata una mail dal responsabile informatico dell’azienda, che ha confermato la mia segnalazione e ha detto che verranno prese misure opportune (che non descrivo qui) e ringraziato con la promessa di aggiornarmi sulle modifiche e con la cortese richiesta di verificare il loro operato. Tutto è bene quel che finisce bene? Beh, resta la questione delle conseguenze GDPR di questa esposizione di dati privati. Ma questa è un’altra storia.
2019/08/22 7:35. Sono stato contattato di nuovo dall’azienda, che mi ha chiesto di verificare che a seguito di un intervento tecnico ora i dati non sono più accessibili a chiunque. I miei controlli a campione confermano che è così.
2019/08/27 12:00. Ho sostituito gli screenshot iniziali (che avevo mascherato quasi completamente) con delle versioni completamente mascherate.
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Ci vediamo a Tesero venerdì per parlar di Luna?
Questo venerdì sera alle 21 sarò a Tesero (Trento), alla Sala Bavarese del Teatro Comunale, per proporre una conferenza dedicata all’avventura della Luna.
Parlerò degli inevitabili complottismi per levare i dubbi a chi li avesse, ma vorrei soprattutto raccontare aspetti poco conosciuti e anche personali dei protagonisti dell’esplorazione dello spazio, tornati di nuovo d’attualità con il cinquantenario del primo allunaggio di un equipaggio (luglio 1969) e con la promessa americana di tornare sulla Luna entro il 2024.
L’ingresso è libero e la serata è organizzata dal Gruppo Astrofili Fiemme.
Parlerò degli inevitabili complottismi per levare i dubbi a chi li avesse, ma vorrei soprattutto raccontare aspetti poco conosciuti e anche personali dei protagonisti dell’esplorazione dello spazio, tornati di nuovo d’attualità con il cinquantenario del primo allunaggio di un equipaggio (luglio 1969) e con la promessa americana di tornare sulla Luna entro il 2024.
L’ingresso è libero e la serata è organizzata dal Gruppo Astrofili Fiemme.
2019/08/19
Alla TV svizzera parlo di crowdfunding: pro, contro e trappole
Su TVSvizzera.it, il sito della Radiotelevisione Svizzera dedicato agli spettatori italiani, trovate un servizio sul fenomeno del crowdfunding, tratto dal programma Falò. A 22:25 circa faccio una capatina anch’io per parlare di bufale e raggiri in questo settore.
Cena dei Disinformatici e beneficenza
Per chi si fosse perso l’aggiornamento: dal budget della recente Cena (foto qui) sono
avanzati 25 euro, che come da istruzioni del Maestro di Cerimonie ho
devoluto in beneficenza. Insieme a un mio contributo, ho scelto di donarli a Medici Senza
Frontiere.
2019/08/18
Antibufala: le foto della “bellezza del Creato” pubblicate dal sindaco di Venezia Brugnaro
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha pubblicato oggi queste immagini affermando che si tratta delle “prime foto della Terra inviate dalla missione spaziale Chadrayan 2”.
In realtà le foto sono false: non provengono affatto dalla missione spaziale in questione, il cui nome corretto è Chandrayaan 2, ma sono delle illustrazioni digitali. Open ha tutti i dettagli e le origini di queste foto.
Preoccupa che un sindaco di una grande città non abbia idea di come sia realmente la Terra vista dallo spazio; preoccupa che un adulto in una posizione di responsabilità non abbia la minima idea di com’è fatto il mondo. Se sbaglia qui, quante altre decisioni sbagliate prenderà sulla base della sua non conoscenza della realtà?
Preoccupa ancora di più che quando gli viene segnalato l’errore grossolano, risponda così: “Le foto che ho pubblicato sono artefatte?! Non me ne sono reso conto, ma forse avete ragione voi che siete più esperti di contraffazione e manipolazioni Restano delle bellissime immagini di un creato che porto nel cuore e vorrei nei miei sogni fosse di pace e amore. Ma poi...”
Sarebbe bastato chiedere scusa e correggersi.
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In realtà le foto sono false: non provengono affatto dalla missione spaziale in questione, il cui nome corretto è Chandrayaan 2, ma sono delle illustrazioni digitali. Open ha tutti i dettagli e le origini di queste foto.
Preoccupa che un sindaco di una grande città non abbia idea di come sia realmente la Terra vista dallo spazio; preoccupa che un adulto in una posizione di responsabilità non abbia la minima idea di com’è fatto il mondo. Se sbaglia qui, quante altre decisioni sbagliate prenderà sulla base della sua non conoscenza della realtà?
Preoccupa ancora di più che quando gli viene segnalato l’errore grossolano, risponda così: “Le foto che ho pubblicato sono artefatte?! Non me ne sono reso conto, ma forse avete ragione voi che siete più esperti di contraffazione e manipolazioni Restano delle bellissime immagini di un creato che porto nel cuore e vorrei nei miei sogni fosse di pace e amore. Ma poi...”
Sarebbe bastato chiedere scusa e correggersi.
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2019/08/16
Puntata del Disinformatico RSI del 2019/08/16
È disponibile la puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme ad Angelo Caruso.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
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Secondo Amazon, due legislatori americani su dieci sono criminali. Le gioie del riconoscimento facciale
Sono sempre più numerosi i governi che spingono per l’introduzione del riconoscimento facciale come strumento di sorveglianza e lotta al crimine, ma è importante capire bene la reale affidabilità di questi sistemi, specialmente se non vengono configurati rispettando attentamente le raccomandazioni dei produttori.
Di recente la ACLU, un’associazione statunitense che si batte per la difesa dei diritti civili, ha dato una dimostrazione molto efficace dei limiti di affidabilità del sistema Rekognition di Amazon. Al sistema sono state date in pasto 120 immagini di legislatori californiani, per confrontarle con 25.000 foto segnaletiche di criminali. Rekognition ha trovato 26 corrispondenze. Tutte errate.
I legislatori, che sono chiamati proprio in questo periodo a legiferare sul riconoscimento facciale, ci possono ridere sopra: ma una persona che cerca lavoro e viene erroneamente identificata come un criminale ride molto meno.
Amazon ha contestato i risultati di questa dimostrazione, dicendo che se Rekognition viene usato “usando la soglia raccomandata di certezza del 99% e nell’ambito di una decisione guidata da esseri umani”, funziona adeguatamente. Il test della ACLU, invece, aveva usato una soglia dell’80%. Che però, nota l’associazione, è l’impostazione predefinita del software, ed è comunque piuttosto alta.
Quello che è certo è che senza un’impostazione corretta e scelta caso per caso, il rischio di falsi positivi che possono rovinare una vita è alto. Conviene quindi dare a questi sistemi di riconoscimento facciale una certa tara, altrimenti c’è il rischio che chi li usa li scambi per oracoli infallibili.
Di recente la ACLU, un’associazione statunitense che si batte per la difesa dei diritti civili, ha dato una dimostrazione molto efficace dei limiti di affidabilità del sistema Rekognition di Amazon. Al sistema sono state date in pasto 120 immagini di legislatori californiani, per confrontarle con 25.000 foto segnaletiche di criminali. Rekognition ha trovato 26 corrispondenze. Tutte errate.
I legislatori, che sono chiamati proprio in questo periodo a legiferare sul riconoscimento facciale, ci possono ridere sopra: ma una persona che cerca lavoro e viene erroneamente identificata come un criminale ride molto meno.
Amazon ha contestato i risultati di questa dimostrazione, dicendo che se Rekognition viene usato “usando la soglia raccomandata di certezza del 99% e nell’ambito di una decisione guidata da esseri umani”, funziona adeguatamente. Il test della ACLU, invece, aveva usato una soglia dell’80%. Che però, nota l’associazione, è l’impostazione predefinita del software, ed è comunque piuttosto alta.
Quello che è certo è che senza un’impostazione corretta e scelta caso per caso, il rischio di falsi positivi che possono rovinare una vita è alto. Conviene quindi dare a questi sistemi di riconoscimento facciale una certa tara, altrimenti c’è il rischio che chi li usa li scambi per oracoli infallibili.
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riconoscimento facciale
Tre parole per dire dove sei: What3words
La BBC segnala che la polizia britannica sta consigliando a tutti di installare un’app salvavita sul proprio smartphone: si tratta di What3Words (Android; iOS).
L’app serve per quando ci si perde, per esempio durante un’escursione, e non si sa dove ci si trova, come è successo pochi giorni fa a Jess Tinsley e ai suoi amici, che si sono persi in un bosco di notte nella contea di Durham.
Quando hanno finalmente trovato una zona dove c’era il segnale della rete cellulare, hanno chiamato il numero di soccorso con uno smartphone. I soccorritori hanno consigliato loro di installare What3Words.
La ragione di questo consiglio insolito è che questa app genera una sequenza di tre parole che rappresentano le coordinate geografiche di localizzazione con una precisione di tre metri. Comunicare queste tre parole ai soccorritori, che le immettono nella propria copia dell’app, è infinitamente più semplice che dettare delle coordinate geografiche o condividere un link.
Per esempio, è decisamente più semplice dire eterni nuotato lavaggi che dettare 46°00'31.3"N 8°56'16.3"E (le coordinate della sede della Radiotelevisione Svizzera), magari su una connessione telefonica disturbata e debole. Eppure entrambi i dati puntano allo stesso luogo. Se per esempio non ci si può muovere per un infortunio e non c’è segnale della rete telefonica mobile ma il GPS dello smartphone funziona, è possibile affidare queste tre parole a una persona che vada a cercare soccorsi.
L’app, concepita nel 2013, suddivide il mondo intero in 57.000 miliardi di celle quadrate di tre metri per tre e assegna tre parole a ciascuna di queste celle. È possibile scegliere la lingua di queste parole (l’app permette di scegliere fra 35 lingue).
Senza arrivare a queste situazioni estreme, What3Words può essere un modo pratico per indicare con facilità un luogo esatto dove incontrarsi. La Mongolia ha adottato il sistema di tre parole per il proprio servizio postale e Mercedes Benz l’ha incorporato nelle proprie auto.
Aggiornamento: dai commenti mi segnalano che Swisstopo (l’ufficio federale svizzero di topografia) integra tra i vari sistemi di coordinate anche What3words qui: map.geo.admin.ch. È sufficiente cliccare con il tasto destro in qualsiasi luogo.
L’app serve per quando ci si perde, per esempio durante un’escursione, e non si sa dove ci si trova, come è successo pochi giorni fa a Jess Tinsley e ai suoi amici, che si sono persi in un bosco di notte nella contea di Durham.
Quando hanno finalmente trovato una zona dove c’era il segnale della rete cellulare, hanno chiamato il numero di soccorso con uno smartphone. I soccorritori hanno consigliato loro di installare What3Words.
La ragione di questo consiglio insolito è che questa app genera una sequenza di tre parole che rappresentano le coordinate geografiche di localizzazione con una precisione di tre metri. Comunicare queste tre parole ai soccorritori, che le immettono nella propria copia dell’app, è infinitamente più semplice che dettare delle coordinate geografiche o condividere un link.
Per esempio, è decisamente più semplice dire eterni nuotato lavaggi che dettare 46°00'31.3"N 8°56'16.3"E (le coordinate della sede della Radiotelevisione Svizzera), magari su una connessione telefonica disturbata e debole. Eppure entrambi i dati puntano allo stesso luogo. Se per esempio non ci si può muovere per un infortunio e non c’è segnale della rete telefonica mobile ma il GPS dello smartphone funziona, è possibile affidare queste tre parole a una persona che vada a cercare soccorsi.
L’app, concepita nel 2013, suddivide il mondo intero in 57.000 miliardi di celle quadrate di tre metri per tre e assegna tre parole a ciascuna di queste celle. È possibile scegliere la lingua di queste parole (l’app permette di scegliere fra 35 lingue).
Senza arrivare a queste situazioni estreme, What3Words può essere un modo pratico per indicare con facilità un luogo esatto dove incontrarsi. La Mongolia ha adottato il sistema di tre parole per il proprio servizio postale e Mercedes Benz l’ha incorporato nelle proprie auto.
Aggiornamento: dai commenti mi segnalano che Swisstopo (l’ufficio federale svizzero di topografia) integra tra i vari sistemi di coordinate anche What3words qui: map.geo.admin.ch. È sufficiente cliccare con il tasto destro in qualsiasi luogo.
Apple, FaceID battuto da un paio di occhiali
Alla conferenza di sicurezza Black Hat di Las Vegas, dei ricercatori della Tencent hanno scoperto e reso pubblica una tecnica che consente di eludere, in certe condizioni, il sistema di riconoscimento facciale FaceID di Apple: mettere alla vittima un paio di occhiali leggermente modificati.
Normalmente FaceID verifica che il proprietario dello smartphone abbia gli occhi aperti, e quindi non stia dormendo, per evitare che qualcuno possa sbloccare il telefonino semplicemente puntandolo sul viso del proprietario appisolato.
Ma questo controllo viene semplificato parecchio se il proprietario indossa occhiali. In questo caso, spiegano i ricercatori, i sensori dello smartphone non estraggono informazioni di tridimensionalità dall’area dell’occhio. Questi sensori, inoltre, si limitano a cercare in quella zona un’area nera (l’occhio) con un punto bianco (l’iride) al centro.
Il risultato è che i ricercatori hanno mostrato che FaceID si può sbloccare mettendo sul viso della vittima un paio di occhiali sulle cui lenti sono stati applicati dei rettangoli di nastro adesivo nero al centro dei quali c’è un pezzetto di nastro adesivo bianco. Lo sblocco consente pieno accesso al contenuto dello smartphone, esattamente come se fosse stato sbloccato dal proprietario.
Può sembrare che questo tipo di vulnerabilità sia sfruttabile solo in circostanze piuttosto estreme: la vittima deve essere in stato di incoscienza tale da non accorgersi che qualcuno le sta mettendo in faccia degli occhiali. Ma ci sono situazioni abbastanza normali nelle quali questo succede, per esempio in seguito a consumo eccessivo di alcolici o all’assunzione di alcuni farmaci o semplicemente perché si ha il sonno pesante.
Il rimedio è piuttosto semplice: se vi aspettate di potervi trovare in una situazione del genere, spegnete completamente lo smartphone o disabilitate lo sblocco tramite riconoscimento facciale.
Normalmente FaceID verifica che il proprietario dello smartphone abbia gli occhi aperti, e quindi non stia dormendo, per evitare che qualcuno possa sbloccare il telefonino semplicemente puntandolo sul viso del proprietario appisolato.
Ma questo controllo viene semplificato parecchio se il proprietario indossa occhiali. In questo caso, spiegano i ricercatori, i sensori dello smartphone non estraggono informazioni di tridimensionalità dall’area dell’occhio. Questi sensori, inoltre, si limitano a cercare in quella zona un’area nera (l’occhio) con un punto bianco (l’iride) al centro.
Il risultato è che i ricercatori hanno mostrato che FaceID si può sbloccare mettendo sul viso della vittima un paio di occhiali sulle cui lenti sono stati applicati dei rettangoli di nastro adesivo nero al centro dei quali c’è un pezzetto di nastro adesivo bianco. Lo sblocco consente pieno accesso al contenuto dello smartphone, esattamente come se fosse stato sbloccato dal proprietario.
Può sembrare che questo tipo di vulnerabilità sia sfruttabile solo in circostanze piuttosto estreme: la vittima deve essere in stato di incoscienza tale da non accorgersi che qualcuno le sta mettendo in faccia degli occhiali. Ma ci sono situazioni abbastanza normali nelle quali questo succede, per esempio in seguito a consumo eccessivo di alcolici o all’assunzione di alcuni farmaci o semplicemente perché si ha il sonno pesante.
Il rimedio è piuttosto semplice: se vi aspettate di potervi trovare in una situazione del genere, spegnete completamente lo smartphone o disabilitate lo sblocco tramite riconoscimento facciale.
2019/08/15
Usa NULL come targa pensando di beffare il sistema informatico delle multe. Il sistema beffa lui
Un ricercatore di sicurezza californiano, Joseph Tartaro, ha creduto di aver avuto un’idea geniale quando, nel 2016, ha ottenuto la targa automobilistica personalizzata NULL. Come ha spiegato alla conferenza d’informatica Defcon, in molti linguaggi informatici NULL è una parola riservata che rappresenta il valore “vuoto” o “non definito”.
È diverso da zero, perché zero è un valore definito (se Mario ha zero libri, sappiamo quanti ne ha; se Mario ha NULL libri, vuol dire che non sappiamo quanti ne ha e neanche se ne ha).
La speranza di Tartaro era che il sistema informatico di gestione delle multe, leggendo la stringa NULL nel campo del numero di targa, l’avrebbe interpretata come “targa non definita” e quindi non gli avrebbe potuto infliggere multe.
Non è andata come sperava: invece di eludere le multe, gli sono arrivate tutte le multe nelle quali l’agente di polizia non aveva indicato il numero di targa o il sistema di lettura automatico delle targhe non era riuscito a leggere correttamente.
A un certo punto il totale delle multe a carico del ricercatore è arrivato a 12.049 dollari. Gli sono arrivate anche sanzioni che risalivano a prima che avesse l’auto. Ora sta litigando con l’amministrazione californiana e con l’azienda privata che gestisce le multe per cercare di farsi togliere le sanzioni che non lo riguardano, ma è un procedimento lungo e pieno di rimpalli.
Se volete sapere tutti i dettagli, Wired.com li racconta e aggiunge la storia di un uomo che si è trovato con lo stesso problema, ma non per scelta: si chiama infatti Christopher Null, e la sua vita è, come dire, complicata. Immaginate di chiamarvi Nessuno o Assente di cognome e di dover compilare un modulo e comincerete a intuire quali possano essere le conseguenze.
Fra l’altro, non è l’unico caso del genere in campo automobilistico: nel 2014 è emerso che il sistema di lettura automatica delle targhe dei rilevatori automatici di eccesso di velocità in Francia non era in grado di gestire le nuove targhe belghe, che iniziano con un 1, e registrava soltanto la prima cifra. Risultato: le multe andavano tutte all’automobilista belga che ha la targa numero 1, ossia il Re Filippo, come riferice il Luxembourg Times di allora. Le multe sono state annullate.
Sì, lo so, c’è un celebre precedente mitologico conclusosi con successo di uno che ha usato Nessuno come nome: ma Ulisse doveva solo sfuggire a un ciclope, mica a un sistema informatico programmato al massimo ribasso e in subappalto.
Fonti aggiuntive: The Verge, Gizmodo, Ars Technica.
È diverso da zero, perché zero è un valore definito (se Mario ha zero libri, sappiamo quanti ne ha; se Mario ha NULL libri, vuol dire che non sappiamo quanti ne ha e neanche se ne ha).
La speranza di Tartaro era che il sistema informatico di gestione delle multe, leggendo la stringa NULL nel campo del numero di targa, l’avrebbe interpretata come “targa non definita” e quindi non gli avrebbe potuto infliggere multe.
Non è andata come sperava: invece di eludere le multe, gli sono arrivate tutte le multe nelle quali l’agente di polizia non aveva indicato il numero di targa o il sistema di lettura automatico delle targhe non era riuscito a leggere correttamente.
A un certo punto il totale delle multe a carico del ricercatore è arrivato a 12.049 dollari. Gli sono arrivate anche sanzioni che risalivano a prima che avesse l’auto. Ora sta litigando con l’amministrazione californiana e con l’azienda privata che gestisce le multe per cercare di farsi togliere le sanzioni che non lo riguardano, ma è un procedimento lungo e pieno di rimpalli.
Se volete sapere tutti i dettagli, Wired.com li racconta e aggiunge la storia di un uomo che si è trovato con lo stesso problema, ma non per scelta: si chiama infatti Christopher Null, e la sua vita è, come dire, complicata. Immaginate di chiamarvi Nessuno o Assente di cognome e di dover compilare un modulo e comincerete a intuire quali possano essere le conseguenze.
Fra l’altro, non è l’unico caso del genere in campo automobilistico: nel 2014 è emerso che il sistema di lettura automatica delle targhe dei rilevatori automatici di eccesso di velocità in Francia non era in grado di gestire le nuove targhe belghe, che iniziano con un 1, e registrava soltanto la prima cifra. Risultato: le multe andavano tutte all’automobilista belga che ha la targa numero 1, ossia il Re Filippo, come riferice il Luxembourg Times di allora. Le multe sono state annullate.
Sì, lo so, c’è un celebre precedente mitologico conclusosi con successo di uno che ha usato Nessuno come nome: ma Ulisse doveva solo sfuggire a un ciclope, mica a un sistema informatico programmato al massimo ribasso e in subappalto.
Fonti aggiuntive: The Verge, Gizmodo, Ars Technica.
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EPIC FAIL,
ReteTreRSI
Icone che non hanno più senso
Pochi giorni fa è diventato virale un tweet di un giovane utente di Excel in Giappone che chiedeva, forse seriamente o forse in modo ironico, come mai l’icona di salvataggio dell’applicazione fosse un distributore di bibite con una bibita pronta per il prelievo.
In realtà l’icona rappresenta un floppy disk da 3,5 pollici, ossia un supporto magnetico riscrivibile sul quale si salvavano i dati molti anni fa. Oggi non lo usa praticamente più nessuno, ed è quindi comprensibile che una persona giovane possa non averne mai visto uno e di conseguenza non trovi affatto intuitiva quest’icona.
In altre parole, se sapete l’origine di quest’icona, sentitevi pure vecchi. Più seriamente, però, il tweet è uno spunto per chiedersi quanti dei simboli “intuitivi” che usiamo oggi lo sono veramente. Ne sapete citare qualcun altro? A me viene in mente subito la cornetta telefonica usata come simbolo per indicare un telefono, e ho notato che la “modalità aereo” degli smartphone ora comincia a essere descritta come “modalità offline” ma è ancora accompagnata dall’icona di un aereo. Altri esempi sono in questo mio articolo del 2012.
In realtà l’icona rappresenta un floppy disk da 3,5 pollici, ossia un supporto magnetico riscrivibile sul quale si salvavano i dati molti anni fa. Oggi non lo usa praticamente più nessuno, ed è quindi comprensibile che una persona giovane possa non averne mai visto uno e di conseguenza non trovi affatto intuitiva quest’icona.
In altre parole, se sapete l’origine di quest’icona, sentitevi pure vecchi. Più seriamente, però, il tweet è uno spunto per chiedersi quanti dei simboli “intuitivi” che usiamo oggi lo sono veramente. Ne sapete citare qualcun altro? A me viene in mente subito la cornetta telefonica usata come simbolo per indicare un telefono, e ho notato che la “modalità aereo” degli smartphone ora comincia a essere descritta come “modalità offline” ma è ancora accompagnata dall’icona di un aereo. Altri esempi sono in questo mio articolo del 2012.
2019/08/14
Enel X, “azienda globale”, non spedisce a Lugano una tessera di ricarica (aggiornamento: ora sì)
Ultimo aggiornamento: 2019/12/01 23:50.
È bello che Enel X si stia dando da fare installando colonnine di ricarica per veicoli elettrici: ben 6925 finora in tutta Italia, secondo la sua newsletter più recente.
Ma sarebbe anche bello se i tanti turisti che visitano l’Italia dall’estero potessero usarle senza diventare matti. Perché salta fuori che Enel X, quella che si autodefinisce “azienda globale” nel suo sito, si rifiuta di spedire all’estero la tessera che serve per usare queste colonnine. Non dico in Tanzania o a Hong Kong, ma a Lugano. Che sta a trenta chilometri dal confine italiano.
Certo, si può usare l’app JuicePass di Enel X, ma non tutti i turisti hanno il roaming dati sul telefonino, e spesso l’app non funziona perché sbaglia la geolocalizzazione o la connessione dati non funziona. Arrivare in Italia con un’auto elettrica e scoprire che le colonnine che speravi di usare sono inaccessibili può essere un bel guaio. Saperlo in anticipo ti fa andare dalla concorrenza oppure ti fa cambiare paese di destinazione per le vacanze. E magari ti fa pentire di aver scelto un’auto elettrica che non ha una propria rete di ricarica garantita che funziona semplicemente avvicinando il connettore all’auto, in qualunque paese (Tesla).
Come sapete, vivo vicino a Lugano da quattordici anni e ho una piccola auto elettrica (no, non è una Tesla; è una Peugeot iOn di seconda mano). Ogni tanto vengo in Italia e ovviamente mi piacerebbe poter caricare l’auto presso le colonnine che cominciano a essere piuttosto diffuse. Mi piacerebbe usare quelle di Enel X, che sono un po’ovunque. Così ho installato l’app, ho diligentemente creato un account fornendo i miei dati, ed Enel X mi ha regalato 30 kWh di ricarica. Molto bene.
Ma viaggiare con un’auto elettrica richiede, almeno per ora, un Piano A e un Piano B. L’app è il mio Piano A. Ma se non funziona, vorrei avere anche la tessera di ricarica di Enel X. Oltretutto le tessere sono molto più veloci da usare di qualunque app. L’app deve avviarsi, deve geolocalizzarsi, il telefonino deve prendere la connessione, devi interagire con l’app in pieno sole, quando sullo schermo non vedi niente se non ti metti in posizioni che pare che stai facendo tai chi elettrificato o un rito propiziatorio al Totem della Mobilità Sostenibile, devi fare login e devi dire all’app di attivare la carica; la tessera, invece, la tiri fuori, la appoggi alla colonnina e sei a posto. Lo vedo regolarmente con la tessera di Swisscharge che ho e che uso spessissimo: infinitamente più rapida e affidabile di qualunque app.
Così chiedo a Enel X, tramite il sito, di mandarmi una tessera di ricarica associata al mio account. Costa sedici euro, una tantum. Va benissimo: è un investimento in tranquillità. Pago con la mia carta di credito, che è svizzera e viene accettata senza problemi. Vedo online che l’importo mi è stato addebitato.
Il 13 agosto mi arriva una bella mail, tutta allegra:
Rispondo così:
Ieri mi è arrivata via mail una nota di credito per 16 euro, senza una parola di chiarimento o di scuse. Risulta insomma impossibile, per un'“azienda globale”, spedire all'estero, a trenta chilometri dal confine italiano, una semplice tessera di ricarica per auto elettriche.
Insomma, Enel X, sarebbe bastato mettere nel sito un’avvertenza “Non spediamo all’estero”, senza farmi fare tutta la trafila e senza farla fare a voi. Il vostro business globale non arriva neppure a Lugano.
A tutti quelli che inevitabilmente mi suggeriranno che avrei potuto dare l’indirizzo di un familiare o di un amico in Italia: no. È una questione di principio e di buon senso. Non tutti i turisti hanno la fortuna di avere un contatto in Italia, ed è triste che per interagire con una “azienda globale“ si debba sempre ricorrere all'arte di arrangiarsi.
Seguendo i consigli arrivati nei commenti (grazie, siete preziosi come sempre!), ho richiesto una tessera Nextcharge, che è abilitata al roaming su varie reti di ricarica, compresa quella di Enel X. La richiesta si fa direttamente dall’app chiedendo semplicemente di attivare del credito di ricarica sul proprio account. Si può pagare con PayPal (almeno così dice l'app, ma a me non funziona), carta di credito o Google Pay. Il credito caricato va utilizzato entro un anno: la parte non utilizzata è rimborsabile. La tessera viene spedita gratuitamente a casa. Nextcharge è di Bologna. Vediamo cosa succede.
Sempre dai commenti mi arriva la segnalazione che anche Cemobil (nome infelice, visto che sembra Cernobil, ma tralasciamo), un operatore di colonnine elettrico austriaco, consente l’acquisto della tessera solo a clienti nazionali (che cioè stanno in Austria). Complimenti.
Poco fa (17:00) mi è arrivato questo tweet di risposta da Enel X: “Ciao Paolo, al momento il servizio di spedizione all'estero non è disponibile, ma ci stiamo attivando per renderlo attivo al più presto. Grazie per averci scritto, i suggerimenti e le segnalazioni dei nostri clienti sono importanti per migliorare sempre di più il nostro servizio.”
Ho risposto suggerendo di indicare questa limitazione nelle pagine Web di richiesta, in modo da prevenire che altri possano avere lo stesso problema.
Ieri è arrivata al Maniero Digitale una normale busta postale contenente la tessera di Nextcharge. A quanto pare, la ditta bolognese riesce a fare quello che l’“azienda globale” trova impossibile.
Mi è arrivata poco fa una mail di Enel X che dice che l’azienda ha attivato la spedizione all’estero e che mi manderà la tessera, oltretutto in omaggio. Interessante.
La tessera mi è poi effettivamente arrivata.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
È bello che Enel X si stia dando da fare installando colonnine di ricarica per veicoli elettrici: ben 6925 finora in tutta Italia, secondo la sua newsletter più recente.
Ma sarebbe anche bello se i tanti turisti che visitano l’Italia dall’estero potessero usarle senza diventare matti. Perché salta fuori che Enel X, quella che si autodefinisce “azienda globale” nel suo sito, si rifiuta di spedire all’estero la tessera che serve per usare queste colonnine. Non dico in Tanzania o a Hong Kong, ma a Lugano. Che sta a trenta chilometri dal confine italiano.
Certo, si può usare l’app JuicePass di Enel X, ma non tutti i turisti hanno il roaming dati sul telefonino, e spesso l’app non funziona perché sbaglia la geolocalizzazione o la connessione dati non funziona. Arrivare in Italia con un’auto elettrica e scoprire che le colonnine che speravi di usare sono inaccessibili può essere un bel guaio. Saperlo in anticipo ti fa andare dalla concorrenza oppure ti fa cambiare paese di destinazione per le vacanze. E magari ti fa pentire di aver scelto un’auto elettrica che non ha una propria rete di ricarica garantita che funziona semplicemente avvicinando il connettore all’auto, in qualunque paese (Tesla).
Come sapete, vivo vicino a Lugano da quattordici anni e ho una piccola auto elettrica (no, non è una Tesla; è una Peugeot iOn di seconda mano). Ogni tanto vengo in Italia e ovviamente mi piacerebbe poter caricare l’auto presso le colonnine che cominciano a essere piuttosto diffuse. Mi piacerebbe usare quelle di Enel X, che sono un po’ovunque. Così ho installato l’app, ho diligentemente creato un account fornendo i miei dati, ed Enel X mi ha regalato 30 kWh di ricarica. Molto bene.
Ma viaggiare con un’auto elettrica richiede, almeno per ora, un Piano A e un Piano B. L’app è il mio Piano A. Ma se non funziona, vorrei avere anche la tessera di ricarica di Enel X. Oltretutto le tessere sono molto più veloci da usare di qualunque app. L’app deve avviarsi, deve geolocalizzarsi, il telefonino deve prendere la connessione, devi interagire con l’app in pieno sole, quando sullo schermo non vedi niente se non ti metti in posizioni che pare che stai facendo tai chi elettrificato o un rito propiziatorio al Totem della Mobilità Sostenibile, devi fare login e devi dire all’app di attivare la carica; la tessera, invece, la tiri fuori, la appoggi alla colonnina e sei a posto. Lo vedo regolarmente con la tessera di Swisscharge che ho e che uso spessissimo: infinitamente più rapida e affidabile di qualunque app.
Così chiedo a Enel X, tramite il sito, di mandarmi una tessera di ricarica associata al mio account. Costa sedici euro, una tantum. Va benissimo: è un investimento in tranquillità. Pago con la mia carta di credito, che è svizzera e viene accettata senza problemi. Vedo online che l’importo mi è stato addebitato.
Il 13 agosto mi arriva una bella mail, tutta allegra:
Gentile Paolo Attivissimo,
grazie per averci contattato.
In merito alla tua richiesta relativa all'acquisto della card Enel X Juice Pass, ti chiediamo di comunicarci le seguenti informazioni:
1. Un indirizzo di spedizione italiano;
2. Nome e cognome del referente;
3. Numero di telefono di riferimento;
4. Fascia oraria preferita per la consegna.
Non vediamo l'ora di ricevere queste informazioni prima di inviare la carta.
A presto,
il Team di Enel X.
Rispondo così:
Buongiorno,
1. Non ho un indirizzo di spedizione italiano. Come espressamente
indicato nei dati del mio profilo Enel-X, risiedo all'estero. Avete il
mio indirizzo di spedizione: Paolo Attivissimo, [mio indirizzo] - Svizzera.
Se non siete in grado di spedire una tessera a un indirizzo non
italiano, vi prego di informarmi e di annullare l'addebito che avete già
fatto sulla mia carta di credito.
2. Il referente è il sottoscritto.
3. Il numero di telefono è indicato nel mio profilo Enel-X. Quello dal
quale ho fatto l'ordine.
4. La fascia oraria è qualsiasi, in orari d'ufficio.
Grazie e cordiali saluti
Paolo Attivissimo
Ieri mi è arrivata via mail una nota di credito per 16 euro, senza una parola di chiarimento o di scuse. Risulta insomma impossibile, per un'“azienda globale”, spedire all'estero, a trenta chilometri dal confine italiano, una semplice tessera di ricarica per auto elettriche.
Insomma, Enel X, sarebbe bastato mettere nel sito un’avvertenza “Non spediamo all’estero”, senza farmi fare tutta la trafila e senza farla fare a voi. Il vostro business globale non arriva neppure a Lugano.
Sì, questo è uno screenshot dal sito Enel X. Notare l’espressione “c*zzo, ci hanno sgamato” dei due a destra. |
A tutti quelli che inevitabilmente mi suggeriranno che avrei potuto dare l’indirizzo di un familiare o di un amico in Italia: no. È una questione di principio e di buon senso. Non tutti i turisti hanno la fortuna di avere un contatto in Italia, ed è triste che per interagire con una “azienda globale“ si debba sempre ricorrere all'arte di arrangiarsi.
2019/08/15
Seguendo i consigli arrivati nei commenti (grazie, siete preziosi come sempre!), ho richiesto una tessera Nextcharge, che è abilitata al roaming su varie reti di ricarica, compresa quella di Enel X. La richiesta si fa direttamente dall’app chiedendo semplicemente di attivare del credito di ricarica sul proprio account. Si può pagare con PayPal (almeno così dice l'app, ma a me non funziona), carta di credito o Google Pay. Il credito caricato va utilizzato entro un anno: la parte non utilizzata è rimborsabile. La tessera viene spedita gratuitamente a casa. Nextcharge è di Bologna. Vediamo cosa succede.
Sempre dai commenti mi arriva la segnalazione che anche Cemobil (nome infelice, visto che sembra Cernobil, ma tralasciamo), un operatore di colonnine elettrico austriaco, consente l’acquisto della tessera solo a clienti nazionali (che cioè stanno in Austria). Complimenti.
Poco fa (17:00) mi è arrivato questo tweet di risposta da Enel X: “Ciao Paolo, al momento il servizio di spedizione all'estero non è disponibile, ma ci stiamo attivando per renderlo attivo al più presto. Grazie per averci scritto, i suggerimenti e le segnalazioni dei nostri clienti sono importanti per migliorare sempre di più il nostro servizio.”
Ciao Paolo, al momento il servizio di spedizione all'estero non è disponibile, ma ci stiamo attivando per renderlo attivo al più presto. Grazie per averci scritto, i suggerimenti e le segnalazioni dei nostri clienti sono importanti per migliorare sempre di più il nostro servizio.— Enel X Italia (@EnelXItalia) August 15, 2019
Ho risposto suggerendo di indicare questa limitazione nelle pagine Web di richiesta, in modo da prevenire che altri possano avere lo stesso problema.
2019/08/31
Ieri è arrivata al Maniero Digitale una normale busta postale contenente la tessera di Nextcharge. A quanto pare, la ditta bolognese riesce a fare quello che l’“azienda globale” trova impossibile.
2019/09/02 10:20
Mi è arrivata poco fa una mail di Enel X che dice che l’azienda ha attivato la spedizione all’estero e che mi manderà la tessera, oltretutto in omaggio. Interessante.
2019/12/01 23:50
La tessera mi è poi effettivamente arrivata.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
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2019/08/13
Dalle Cantine del Maniero riemergono oggetti d’epoca. Sono vostri se li volete
Ultimo aggiornamento: 2019/08/20 20:00.
Per una lunghissima serie di ragioni che non vale la pena di spiegare qui, devo fare spazio nel Maniero Digitale e quindi devo trovare una buona casa per questi oggetti di elettronica vintage riemersi dai ripostigli in cui erano sigillati e per molti altri che ho già piazzato.
Vendo ciascun pezzo a 50 euro/55 CHF, visto e piaciuto (tutto era funzionante quando l’ho imballato per il trasloco più di dieci anni fa; non so in che stato sia ora). Niente sconti, niente trattative, niente spedizioni, niente Paypal o bonifici ma solo contanti (esatti, se potete), solo ritiro di persona, e niente resi: non ho tempo (questi sono solo alcuni dei tanti oggetti che devo gestire) e comunque il prezzo è puramente simbolico per scoraggiare i perditempo.
Ve li venite a prendere voi a Lugano: non posso spedire. Però se venite vi offro una buona birra. Sapete come contattarmi: paolo.attivissimo@gmail.com. Chi primo arriva meglio alloggia!
Se vedete indicato “in parola”, vuol dire che una persona si è già prenotata per quell’oggetto, ma se dovesse rinunciare tornerà libero e lo proporrò agli altri interessati.
Ho anche un tapis roulant della Pro-Form, modello PETL52010, ripiegabile e trasportabile in auto, con manuale in italiano. Stesso prezzo (50 €/55 CHF). È già smontato e ripiegato e quindi non posso mostrarvi foto del mio esemplare, perfettamente funzionante (l’ho usato fino al mese scorso). Questa è un’immagine che ho trovato online: il piano di calpestio si solleva e le maniglie e i piedi si smontano, per cui è molto compatto.
Regalo invece al primo modellista che passa questi due modelli di astronavi di Star Trek, che ho iniziato e non riuscirò mai a finire, e un kit di un F-14 Tomcat, nemmeno iniziato:
Per una lunghissima serie di ragioni che non vale la pena di spiegare qui, devo fare spazio nel Maniero Digitale e quindi devo trovare una buona casa per questi oggetti di elettronica vintage riemersi dai ripostigli in cui erano sigillati e per molti altri che ho già piazzato.
Vendo ciascun pezzo a 50 euro/55 CHF, visto e piaciuto (tutto era funzionante quando l’ho imballato per il trasloco più di dieci anni fa; non so in che stato sia ora). Niente sconti, niente trattative, niente spedizioni, niente Paypal o bonifici ma solo contanti (esatti, se potete), solo ritiro di persona, e niente resi: non ho tempo (questi sono solo alcuni dei tanti oggetti che devo gestire) e comunque il prezzo è puramente simbolico per scoraggiare i perditempo.
Ve li venite a prendere voi a Lugano: non posso spedire. Però se venite vi offro una buona birra. Sapete come contattarmi: paolo.attivissimo@gmail.com. Chi primo arriva meglio alloggia!
Se vedete indicato “in parola”, vuol dire che una persona si è già prenotata per quell’oggetto, ma se dovesse rinunciare tornerà libero e lo proporrò agli altri interessati.
ACCASATO: Amplificatore Harman Kardon AVR 130. |
ACCASATO: Amplificatore Sansui AU-719, con maniglie per montaggio a rack. |
Cassetto portaoggetti Sansui, con maniglie per montaggio a rack. |
ACCASATE: Cuffie elettrostatiche Stax (da collegare direttamente all’uscita casse di un ampli). |
ACCASATO: Equalizzatore grafico Sansui SE-77. |
Tuner analogico Sansui TU-217. |
Ho anche un tapis roulant della Pro-Form, modello PETL52010, ripiegabile e trasportabile in auto, con manuale in italiano. Stesso prezzo (50 €/55 CHF). È già smontato e ripiegato e quindi non posso mostrarvi foto del mio esemplare, perfettamente funzionante (l’ho usato fino al mese scorso). Questa è un’immagine che ho trovato online: il piano di calpestio si solleva e le maniglie e i piedi si smontano, per cui è molto compatto.
ACCASATO: Tapis roulant Pro-Form. |
Regalo invece al primo modellista che passa questi due modelli di astronavi di Star Trek, che ho iniziato e non riuscirò mai a finire, e un kit di un F-14 Tomcat, nemmeno iniziato:
ACCASATO: L’Enterprise-E di First Contact. Il piedistallo è da riparare. |
ACCASATO: La Voyager di Star Trek: Voyager. |
ACCASATO: Un F-14A Tomcat della Hasegawa in scala 1:72, intonso. |
Come si disanaglifa un anaglifo?
Ultimo aggiornamento: 2019/08/14 17:50.
Forse non tutti sanno che molte delle fotografie scattate dagli astronauti durante le missioni lunari furono pensate come immagini stereoscopiche: quelle che oggi chiamiamo concisamente “3D”. Le foto venivano scattate a coppie, spostando la fotocamera lateralmente di qualche centimetro per emulare la visione binoculare degli esseri umani.
Il risultato di questa scelta è che è possibile combinare queste coppie di foto per vedere la Luna in tre dimensioni. L’effetto è particolarmente efficace proprio per le foto lunari, perché sulla Luna mancano tutti gli oggetti familiari che ci forniscono un’indicazione di profondità e quindi le immagini tendono a essere molto piatte, nascondendo le ondulazioni e le asperità del terreno.
La NASA e i suoi volontari, nel corso degli anni, hanno preso queste foto e ne hanno realizzato degli anaglifi, ossia delle immagini colorate digitalmente in modo da poterne vedere l’effetto 3D se si indossano occhialini con lenti rosse e blu. Ne trovate molto esempi splendidi nelle Apollo Anaglyph Galleries, presso l’Astropedia (USGS.gov) e presso il sito del Lunar Reconnaissance Orbiter.
Brian May dei Queen è un appassionato di foto stereoscopiche e ha creato con David Eicher un libro di immagini tridimensionali spaziali, Mission Moon 3D, che ho segnalato qui e qui. Ma molte delle sue peraltro bellissime immagini sono state ottenute usando una manipolazione digitale e partendo da una singola fotografia. Quelle di cui sto parlando io sono invece realmente in 3D in origine.
Prendete per esempio questa foto, la AS16-106-17277, scattata sulla Luna dall’equipaggio della missione Apollo 16:
Sì, si intuisce che c’è un cratere; ma se avete gli occhialini appositi e ora guardate l’anaglifo qui sotto, creato da Patrick Vantuyne partendo da questa foto e dalla sua gemella (AS16-106-17278), vi sembrerà di stare alla finestra sulla Luna e apprezzerete i rilievi, le distanze e la profondità scoscesa di quel cratere. Le rocce in primo piano spiccano tantissimo e le montagne sullo sfondo sono visibilmente lontane.
Esiste anche un’altra tecnica di presentazione, che consiste nell’avere due proiettori perfettamente allineati in modo da proiettare entrambi sullo stesso schermo e dotarli di un filtro polarizzante, disposto verticalmente in uno e orizzontalmente nell’altro oppure con polarizzazioni circolari contrapposte. Se gli spettatori hanno occhialini dotati di lenti polarizzate in modo corrispondente, un occhio vede solo una immagine e l’altro occhio vede solo l’altra.
I film in 3D usano spesso anche un altro sistema, che consiste nel proiettare due immagini alternate, una per l’occhio destro e una per quello sinistro, e dare agli spettatori occhialini elettronici in cui la lente destra diventa scura quando viene mostrata l’immagine per l’occhio sinistro e viceversa, in rapidissima alternanza, per cui il cervello non si accorge del trucco e fonde insieme le due immagini. Questo sistema è usato anche da molti TV e proiettori domestici.
Il problema è che molti non hanno questi occhialini colorati (io sì, me li sono procurati su Amazon proprio per godermi queste immagini) o questi complessi sistemi di proiezione, e quindi l’effetto non è sempre fruibile.
C’è però ancora un’altra tecnica stereoscopica: mostrare le due immagini originali una in fianco all’altra e lasciare che sia lo spettatore a rilassare gli occhi, o a incrociarli, in modo che le due immagini si fondano nel suo cervello, regalando la visione stereoscopica.
Questo ha il grande vantaggio di consentire anche immagini a colori e di non richiedere alcun ausilio meccanico, elettronico o ottico, ma non tutti sono capaci di muovere gli occhi in questo modo.
Una soluzione è usare occhialini con due lenti e stampare le due immagini su un foglio oppure mostrarle sullo schermo di un tablet o telefonino, una in fianco all’altra (side by side, SBS). Si può anche usare un visore per realtà virtuale (basta un semplice Cardboard). L’effetto è splendido e questa è la tecnica usata appunto da Brian May e David Eicher, che includono nel loro libro un paio di occhialini di questo genere, come quelli mostrati qui sotto.
Fin qui tutto chiaro: ma che cosa succede se la foto 3D che ci interessa è disponibile solo come anaglifo rosso e blu e ne vogliamo una versione SBS?
Non sempre è possibile partire dalle foto originali, perché spesso le due immagini contengono distorsioni, dovute alle lenti degli obiettivi fotografici, che non permettono di allineare correttamente le varie zone delle foto e quindi rovinano l’effetto 3D. Oppure le immagini originali separate non esistono proprio, perché si tratta di rendering generati da un programma di grafica. Peggio ancora, a volte l’autore dell’anaglifo non ha salvato una copia delle due immagini originali separate oppure non è contattabile per chiedergliele.
In casi come questi si può “disanaglifare” l’anaglifo e ottenerne due foto da guardare in modalità side-by-side. La tecnica mi è stata suggerita dal grafico Nick Stevens su Twitter: basta aprire l’anaglifo in un programma di elaborazione grafica e salvarne in toni di grigio due versioni, una con il solo canale rosso e una con il solo canale blu.
Per esempio, si può usare un sito come Tuxpi.com, dandogli in pasto l’anaglifo e poi salvando una immagine con il rosso impostato a zero e il verde e il blu impostati a 100 e una immagine con il rosso a 100 e il blu e il verde a zero.
Si ottengono due immagini, una blu e una rossa, che separano le due foto originali. A questo punto si convertono queste due immagini in bianco e nero, si bilanciano luminosità e contrasto, si mettono una in fianco all’altra e si ottiene questa coppia, per la visione a occhi incrociati:
Oppure questa coppia, per la visione a occhi paralleli o con lenti per foto 3D:
Uno degli anaglifi più efficaci nel rivelare la reale natura ondulata e irregolare della superficie lunare è, a mio avviso, quello realizzato da John Kaufmann partendo dalle foto AS11-40-5939 e 5940:
Versione per occhi incrociati:
Versione per occhi paralleli o occhialini:
Nelle versioni 3D diventa subito evidente che c’è un crinale, prima assolutamente invisibile, all’altezza della seconda roccia in alto a destra, e che il suolo è molto più ondulato di quel che sembrava dalla foto bidimensionale.
Questa tecnica si applica anche alle foto scattate durante l’addestramento sulla Terra degli astronauti lunari, dove fu previdentemente adottata l’abitudine di fare coppie stereoscopiche. Ecco Neil Armstrong che si addestra con un simulatore della tuta, del Modulo Lunare e del suolo selenico, in un anaglifo creato da John Kaufmann:
Versione per occhi incrociati:
Versione per occhi paralleli o occhialini:
Come mai mi interessa così tanto questa tecnica? A parte la bellezza di vedere le immagini stereoscopiche spaziali senza il fastidio della tinta rossa e blu, mi permette di debunkare comodamente una tesi di complotto.
C’è infatti una foto lunare che i lunacomplottisti, e anche molti semplici dubbiosi, citano spesso come presunta prova di complotto. Questa (AS14-68-9487):
Secondo i cospirazionisti, le direzioni divergenti delle ombre in primo piano rispetto a quelle sullo sfondo dimostrerebbero l’uso di un set cinematografico con una sorgente di luce vicina. Perché ovviamente i falsari incaricati della messinscena erano scemi e quindi non hanno pensato di usare una sorgente di luce bella lontana in modo da ottenere automaticamente le ombre giuste.
In realtà le ombre divergono per un motivo molto banale ma poco ovvio: le rocce in primo piano stanno su un rialzo del terreno e le ombre cadono lungo la pendenza di questo rialzo, che le devia rispetto alla loro direzione normale. Il rialzo non si nota molto nella foto perché mancano, appunto, i riferimenti familiari ed è tutto grigio.
Ma di questa foto esiste un’immagine gemella (AS14-68-9486) che consente di creare una foto 3D che rende evidentissimo questo rialzo. Lo ha fatto Kevin Frank per l’Apollo Lunar Surface Journal della NASA, ma ha creato soltanto un anaglifo rosso e blu. Splendido, ma richiede gli occhialini rossi e blu.
Contattarlo mi è stato impossibile; riallineare le foto originali richiederebbe di rifare la correzione delle distorsioni fatte da Frank, cosa che esige un tempo e un talento che io assolutamente non ho.
Così ho deanaglifato questo anaglifo usando la tecnica descritta sopra, e questo è il risultato per occhi incrociati:
Questo, invece, è il risultato per occhi paralleli o occhialini:
Da queste immagini deanaglifate si può anche creare una wiggle GIF, ossia una GIF animata che mostra le due foto alternate. Questo a volte consente di percepire la tridimensionalità della scena. Provateci: questa wiggle GIF l’ho creata con EZGif.com. Da questa o dalle foto precedenti riuscite a vedere che le rocce in primo piano sono su un dosso e che il terreno retrostante è avvallato e ondulato?
Poi mi chiedono perché insisto a fare debunking: perché strada facendo non solo evito che qualche dubbioso si faccia contagiare e diventi complottista, ma scopro tante cose interessanti e mi diverto a condividerle con voi.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Forse non tutti sanno che molte delle fotografie scattate dagli astronauti durante le missioni lunari furono pensate come immagini stereoscopiche: quelle che oggi chiamiamo concisamente “3D”. Le foto venivano scattate a coppie, spostando la fotocamera lateralmente di qualche centimetro per emulare la visione binoculare degli esseri umani.
Il risultato di questa scelta è che è possibile combinare queste coppie di foto per vedere la Luna in tre dimensioni. L’effetto è particolarmente efficace proprio per le foto lunari, perché sulla Luna mancano tutti gli oggetti familiari che ci forniscono un’indicazione di profondità e quindi le immagini tendono a essere molto piatte, nascondendo le ondulazioni e le asperità del terreno.
La NASA e i suoi volontari, nel corso degli anni, hanno preso queste foto e ne hanno realizzato degli anaglifi, ossia delle immagini colorate digitalmente in modo da poterne vedere l’effetto 3D se si indossano occhialini con lenti rosse e blu. Ne trovate molto esempi splendidi nelle Apollo Anaglyph Galleries, presso l’Astropedia (USGS.gov) e presso il sito del Lunar Reconnaissance Orbiter.
Brian May dei Queen è un appassionato di foto stereoscopiche e ha creato con David Eicher un libro di immagini tridimensionali spaziali, Mission Moon 3D, che ho segnalato qui e qui. Ma molte delle sue peraltro bellissime immagini sono state ottenute usando una manipolazione digitale e partendo da una singola fotografia. Quelle di cui sto parlando io sono invece realmente in 3D in origine.
Prendete per esempio questa foto, la AS16-106-17277, scattata sulla Luna dall’equipaggio della missione Apollo 16:
Sì, si intuisce che c’è un cratere; ma se avete gli occhialini appositi e ora guardate l’anaglifo qui sotto, creato da Patrick Vantuyne partendo da questa foto e dalla sua gemella (AS16-106-17278), vi sembrerà di stare alla finestra sulla Luna e apprezzerete i rilievi, le distanze e la profondità scoscesa di quel cratere. Le rocce in primo piano spiccano tantissimo e le montagne sullo sfondo sono visibilmente lontane.
Esiste anche un’altra tecnica di presentazione, che consiste nell’avere due proiettori perfettamente allineati in modo da proiettare entrambi sullo stesso schermo e dotarli di un filtro polarizzante, disposto verticalmente in uno e orizzontalmente nell’altro oppure con polarizzazioni circolari contrapposte. Se gli spettatori hanno occhialini dotati di lenti polarizzate in modo corrispondente, un occhio vede solo una immagine e l’altro occhio vede solo l’altra.
I film in 3D usano spesso anche un altro sistema, che consiste nel proiettare due immagini alternate, una per l’occhio destro e una per quello sinistro, e dare agli spettatori occhialini elettronici in cui la lente destra diventa scura quando viene mostrata l’immagine per l’occhio sinistro e viceversa, in rapidissima alternanza, per cui il cervello non si accorge del trucco e fonde insieme le due immagini. Questo sistema è usato anche da molti TV e proiettori domestici.
Il problema è che molti non hanno questi occhialini colorati (io sì, me li sono procurati su Amazon proprio per godermi queste immagini) o questi complessi sistemi di proiezione, e quindi l’effetto non è sempre fruibile.
C’è però ancora un’altra tecnica stereoscopica: mostrare le due immagini originali una in fianco all’altra e lasciare che sia lo spettatore a rilassare gli occhi, o a incrociarli, in modo che le due immagini si fondano nel suo cervello, regalando la visione stereoscopica.
Questo ha il grande vantaggio di consentire anche immagini a colori e di non richiedere alcun ausilio meccanico, elettronico o ottico, ma non tutti sono capaci di muovere gli occhi in questo modo.
Una soluzione è usare occhialini con due lenti e stampare le due immagini su un foglio oppure mostrarle sullo schermo di un tablet o telefonino, una in fianco all’altra (side by side, SBS). Si può anche usare un visore per realtà virtuale (basta un semplice Cardboard). L’effetto è splendido e questa è la tecnica usata appunto da Brian May e David Eicher, che includono nel loro libro un paio di occhialini di questo genere, come quelli mostrati qui sotto.
Credit: London Stereoscopic Company. |
Fin qui tutto chiaro: ma che cosa succede se la foto 3D che ci interessa è disponibile solo come anaglifo rosso e blu e ne vogliamo una versione SBS?
Non sempre è possibile partire dalle foto originali, perché spesso le due immagini contengono distorsioni, dovute alle lenti degli obiettivi fotografici, che non permettono di allineare correttamente le varie zone delle foto e quindi rovinano l’effetto 3D. Oppure le immagini originali separate non esistono proprio, perché si tratta di rendering generati da un programma di grafica. Peggio ancora, a volte l’autore dell’anaglifo non ha salvato una copia delle due immagini originali separate oppure non è contattabile per chiedergliele.
In casi come questi si può “disanaglifare” l’anaglifo e ottenerne due foto da guardare in modalità side-by-side. La tecnica mi è stata suggerita dal grafico Nick Stevens su Twitter: basta aprire l’anaglifo in un programma di elaborazione grafica e salvarne in toni di grigio due versioni, una con il solo canale rosso e una con il solo canale blu.
Per esempio, si può usare un sito come Tuxpi.com, dandogli in pasto l’anaglifo e poi salvando una immagine con il rosso impostato a zero e il verde e il blu impostati a 100 e una immagine con il rosso a 100 e il blu e il verde a zero.
Si ottengono due immagini, una blu e una rossa, che separano le due foto originali. A questo punto si convertono queste due immagini in bianco e nero, si bilanciano luminosità e contrasto, si mettono una in fianco all’altra e si ottiene questa coppia, per la visione a occhi incrociati:
Oppure questa coppia, per la visione a occhi paralleli o con lenti per foto 3D:
Uno degli anaglifi più efficaci nel rivelare la reale natura ondulata e irregolare della superficie lunare è, a mio avviso, quello realizzato da John Kaufmann partendo dalle foto AS11-40-5939 e 5940:
Versione per occhi incrociati:
Versione per occhi paralleli o occhialini:
Nelle versioni 3D diventa subito evidente che c’è un crinale, prima assolutamente invisibile, all’altezza della seconda roccia in alto a destra, e che il suolo è molto più ondulato di quel che sembrava dalla foto bidimensionale.
Questa tecnica si applica anche alle foto scattate durante l’addestramento sulla Terra degli astronauti lunari, dove fu previdentemente adottata l’abitudine di fare coppie stereoscopiche. Ecco Neil Armstrong che si addestra con un simulatore della tuta, del Modulo Lunare e del suolo selenico, in un anaglifo creato da John Kaufmann:
Versione per occhi incrociati:
Versione per occhi paralleli o occhialini:
Come mai mi interessa così tanto questa tecnica? A parte la bellezza di vedere le immagini stereoscopiche spaziali senza il fastidio della tinta rossa e blu, mi permette di debunkare comodamente una tesi di complotto.
C’è infatti una foto lunare che i lunacomplottisti, e anche molti semplici dubbiosi, citano spesso come presunta prova di complotto. Questa (AS14-68-9487):
Secondo i cospirazionisti, le direzioni divergenti delle ombre in primo piano rispetto a quelle sullo sfondo dimostrerebbero l’uso di un set cinematografico con una sorgente di luce vicina. Perché ovviamente i falsari incaricati della messinscena erano scemi e quindi non hanno pensato di usare una sorgente di luce bella lontana in modo da ottenere automaticamente le ombre giuste.
In realtà le ombre divergono per un motivo molto banale ma poco ovvio: le rocce in primo piano stanno su un rialzo del terreno e le ombre cadono lungo la pendenza di questo rialzo, che le devia rispetto alla loro direzione normale. Il rialzo non si nota molto nella foto perché mancano, appunto, i riferimenti familiari ed è tutto grigio.
Ma di questa foto esiste un’immagine gemella (AS14-68-9486) che consente di creare una foto 3D che rende evidentissimo questo rialzo. Lo ha fatto Kevin Frank per l’Apollo Lunar Surface Journal della NASA, ma ha creato soltanto un anaglifo rosso e blu. Splendido, ma richiede gli occhialini rossi e blu.
Contattarlo mi è stato impossibile; riallineare le foto originali richiederebbe di rifare la correzione delle distorsioni fatte da Frank, cosa che esige un tempo e un talento che io assolutamente non ho.
Così ho deanaglifato questo anaglifo usando la tecnica descritta sopra, e questo è il risultato per occhi incrociati:
Questo, invece, è il risultato per occhi paralleli o occhialini:
Da queste immagini deanaglifate si può anche creare una wiggle GIF, ossia una GIF animata che mostra le due foto alternate. Questo a volte consente di percepire la tridimensionalità della scena. Provateci: questa wiggle GIF l’ho creata con EZGif.com. Da questa o dalle foto precedenti riuscite a vedere che le rocce in primo piano sono su un dosso e che il terreno retrostante è avvallato e ondulato?
Poi mi chiedono perché insisto a fare debunking: perché strada facendo non solo evito che qualche dubbioso si faccia contagiare e diventi complottista, ma scopro tante cose interessanti e mi diverto a condividerle con voi.
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