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2018/07/29

Marcello Foa e l’attentatore “quasi cieco” di Charlie Hebdo

Ultimo aggiornamento: 2018/07/30 8:15.

Poco fa ho visto questo tweet di Massimo Mantellini che cita inquietato un articolo di Marcello Foa e mi sono incuriosito su quale fosse la “cosa pericolosa”:



L’articolo di Foa citato e linkato da Mantellini si intitola Charlie Hebdo, uno dei killer era quasi cieco. E non è uno scherzo. Lo trovate qui in originale (link alterato intenzionalmente) e qui come copia d’archivio.

Nel suo articolo, Foa cita un articolo del settimanale francese L’Obs dedicato all’attentato terroristico a Charlie Hebdo e ne riporta un estratto, dal quale parte per suggerire che ci sia qualcosa che non quadra nella ricostruzione dei fatti.

Foa riporta infatti che secondo L’Obs uno degli attentatori, Said Kouachi, aveva “una malattia degli occhi“ che “gli impedisce di superare l’esame di guida: senza occhiali, non vede niente a meno di un metro.”

Dice Foa: “L’uomo mascherato che abbiamo visto sparare all’impazzata nelle vie attorno a Charlie Hebdo, urlando “Siamo di Al Qaida e veniamo dallo Yemen”, che ha giustiziato il poliziotto a terra o comunque si è mosso con estrema agilità a supporto del fratello, il terrorista che con straordinaria precisione e freddezza ha ammazzato una dozzina di persone nella redazione, era un uomo sedentario, straordinariamente impacciato, diciamola tutta, un imbranato, e soprattutto era quasi orbo, al punto che le autorità francesi gli negarono la patente anche con l’ausilio degli occhiali. Non vedeva una mazza, ma ha dimostrato di essere un cecchino infallibile. Com’è possibile?”

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Ho cominciato con un po’ di verifica e reperimento dei fatti di base.

Foa cita il titolo di copertina dell’edizione del settimanale, traducendolo come “Rivelazioni, come hanno preparato gli attentati”, ma non cita l’originale. Ho provato a ritradurre in francese questo titolo e ho trovato online l’edizione in questione: è quella del 26 febbraio 2015. Il titolo di copertina originale è "Révélations: Comment ils ont préparé les attentats".


Ho trovato inoltre un articolo di Butac che si era occupato della vicenda, notando correttamente che è strano che un dettaglio così importante e apparentemente contraddittorio non sia stato riportato da nessun’altra fonte giornalistica. Ma Butac era poi arrivato a un punto morto per l’impossibilità di reperire l’originale e quindi verificare la correttezza e il contesto della citazione e della traduzione di Foa.

Butac ha notato che “Foa ci riporta le parole che dice di aver trovato su l’Obs, tristemente senza link e testo originale diventa difficile per noi andare a vedere cosa abbiano scritto realmente, dove l’abbiano fatto e chi l’abbia fatto”.

In effetti una citazione del testo originale o una foto del brano citato non sarebbe costata nulla, ma Foa non l’ha fornita.

Un commentatore di Butac ha poi trovato una possibile fonte (oggi scomparsa, ma recuperabile su Archive.org). Tuttavia si tratta di un blog de L’Obs, non di un articolo della rivista, e questi blog sono “spazi concessi da L'OBS come i blog antivaccinisti sul fatto Quotidiano e quelli pro hamer e medicina germanica sul Giornale”, ha notato Butac, per cui non si tratta di una fonte giornalistica vera e propria.

Però questo blog scomparso, recuperato tramite Archive.org, mi ha fornito finalmente la citazione testuale originale che manca nell’articolo di Foa. Il Web è fatto apposta per linkare e incorporare contenuti; sarebbe buona cosa approfittarne.

Ecco uno screenshot del blog non più esistente:


Da questo blog estraggo la frase originale francese attribuita ai giornalisti de L’Obs: “Une maladie des yeux l'empêche de passer son permis de conduire : sans lunettes, à moins d'un mètre, il ne voit rien !”.

Questa frase, immessa tra virgolette in Google, mi ha portato finalmente a una copia digitale dell’articolo originale, dal quale finalmente è emersa la frase originale citata solo in traduzione da Foa:

A Reims, les journées s’étirent en longueur pour Saïd Kouachi. Le frère aîné de Chérif, 34 ans, ne travaille pas. Ne bricole pas. "Il ne sait pas visser une vis", témoigne un de ses beaux-frères, qui ne se souvient pas d’avoir eu une seule fois une vraie discussion avec lui. D’ailleurs, on ne lui connaît pas d’ami. Le futur tueur de "Charlie Hebdo" se déplace peu. Une maladie des yeux l’empêche de passer son permis de conduire : sans lunettes, à moins d’un mètre, il ne voit rien ! La journée, il prie, va à la mosquée, s’occupe de son fils et de sa femme, handicapée.

Un po’ di ricerca approfondita nei bassifondi della Rete mi ha permesso di recuperare una scansione della pagina in questione de L’Obs: il brano in questione è in basso a sinistra.



Fin qui i fatti.

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Per quel che mi consente il mio francese arrugginito, la traduzione di Foa in sé mi pare abbastanza corretta (francofoni che mi leggete, ditemi se c'è qualcosa che non va e che non ho notato).

Ma bisogna tenere presente che “non vede niente a meno di un metro” (se è questa la traduzione giusta) non è lo stesso che “quasi cieco” e non ci dice nulla sulle capacità visive dell'attentatore a distanze maggiori: visto che comunque porta gli occhiali e si occupa dei figli e della moglie disabile, proprio cieco non è. Dall’articolo de L’Obs sappiamo solo che non ha una vista sufficiente per guidare. Non sappiamo nulla sulla sua vista a oltre un metro, ossia alle distanze alle quali presumibilmente si guarda durante un attentato. Serve davvero una vista perfetta per sparare a una persona da un paio di metri di distanza con un’arma a ripetizione?

Questo spiegherebbe il fatto che nessun altro giornale ha riportato questo fatto o sollevato perplessità: non era un dettaglio rilevante.

Le asserzioni “uomo sedentario, straordinariamente impacciato, diciamola tutta, un imbranato [...] quasi orbo [...] [N]on vedeva una mazza” sono però esagerazioni e distorsioni infondate, create da Foa. Insieme al titolo che afferma che l’attentatore sarebbe stato “quasi cieco” e alla sua descrizione ingannevole come “cecchino infallibile”, creano sospetto dove non c’è in realtà motivo ragionevole di averne.

Purtroppo Marcello Foa ha lanciato la sassata, ha sollevato il dubbio, ma in questo caso non ha svolto quello che a mio avviso è il vero compito del giornalista: non limitarsi a insinuare dubbi che lascia irrisolti, ma investigare fino a chiarirseli.


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FAQ: “Paolo, perché non fai un’indagine su...?”

Pubblicazione iniziale: 2018/07/29. Ultimo aggiornamento: 2022/01/04 13:30.

Ricevo tante richieste di indagini antibufala. Molte sono garbate, ma ogni tanto su Twitter arrivano i soliti diversamente intelligenti che esigono che io faccia un’indagine antibufala su qualche argomento, di solito di politica o economia italiana, che a loro sta disperatamente a cuore.

Partono subito lancia in resta lamentandosi che io non abbia già indagato e mi accusano di essere di parte, o al soldo dei poteri forti, perché non ho fatto spontaneamente quell’indagine.

A questi instancabili reclamatori del lavoro altrui rispondo spesso così:

No. Non funziona così. Tu no pagare me, io fare quello che volere io. 

Parole semplici, sintassi elementare, per venire incontro alle capacità mentali del leone da tastiera del giorno.

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Quello che a quanto pare non è chiaro a molti di questi guerrieri dei social (e anche ad alcuni vicedirettori di giornale (copia permanente)) è che il debunking per me è sempre stata una passione, non un lavoro retribuito. Sono rarissimi i casi in cui qualcuno mi ha commissionato un’indagine pagandomela.

Quindi vorrei chiarire a tutti, garbati o meno, che

  • faccio debunking nel mio poco tempo libero
  • lo faccio perché mi piace farlo 
  • lo faccio perché mi intriga e mi appassiona scoprire come stanno i fatti
  • lo faccio perché mi piace scrivere e raccontare quello che ho scoperto
  • e lo faccio, quando posso, perché credo che sia un dovere civico, per chi come me ha la fortuna di avere la passione e le risorse necessarie, condividere pubblicamente i risultati di queste indagini e magari aiutare qualcuno. 

Tutto qui. Il tempo che ho non è infinito, le richieste sono tante, e non sempre posso interrompere il mio lavoro retribuito per fare indagini gratuite.

Di conseguenza, siccome non mi paga nessuno per fare debunking, decido io quello che mi va di indagare e lo faccio se e quando ho tempo di farlo, dopo che ho finito il mio lavoro retribuito. Se un argomento non mi interessa, non indago. Semplice. L’unico potere forte che decide su cosa indago o non indago è la mia curiosità (o la mia noia).

Quindi non chiedetemi di indagare su argomenti pallosissimi come la politica italiana, le teorie economiche di Bagnai, l’ennesimo delirio degli antivaccinisti vecchi e nuovi, il signoraggio o il “piano Kalergi”: non lo farò, appunto perché sono di una noia mortale e sono una particolare forma di onanismo mentale nella quale non ho alcuna intenzione di investire il mio poco tempo libero. Non insistete. No. Grazie. No. Davvero. No.

Inoltre vorrei ricordare che né io né i miei colleghi debunker abbiamo il monopolio sulle indagini antibufala. Se un argomento vi interessa, potete indagare voi stessi oppure chiedere anche ad altri di farlo. Esiste una professione che fa proprio questo, e lo fa dietro retribuzione: si chiama giornalismo.

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Scrivo di getto questo post, e lo aggiorno man mano, perché così potrò linkarlo la prossima volta che arriverà l’ennesimo condottiero delle mosche e perché ieri (28 luglio 2018) ho ricevuto una richiesta di questo genere un po’ diversa. Da una nota emittente radiofonica nazionale regionale italiana mi è arrivata questa mail. Ho asteriscato le parti più imbarazzanti.

Buongiorno Paolo,
sono [nome], giornalista di [nota emittente].
Da settembre partirà il nostro magazine quotidiano del mattino in una versione rinnovata, all’interno della quale pensavo di inserire delle finestre sul mondo del web.
Ti andrebbe di regalarci un tuo intervento a settimana sull’argomento?

Fammi sapere se la cosa può interessarti

Buona giornata
[nome]


Ho risposto così:

Ciao [nome],

grazie dell'invito, ma cosa intendi per "regalarci"? Senza compenso?


Ciao,

Paolo


Dalla Nota Emittente Radiofonica mi è arrivata prontamente la laconica conferma del mio dubbio:

Purtroppo si.


Ho risposto come segue, e intendo rispondere allo stesso modo a qualunque altra azienda a scopo di lucro che mi chieda di lavorare gratis, ”per la visibilità”:

Ciao [nome],

purtroppo nonostante lo stipendio che mi passa la CIA per screditare i complottisti e anche tenendo conto dei finanziamenti occulti che mi arrivano dai Rettiliani, non posso ancora permettermi di regalare il mio lavoro: le rate del leasing sul mio aereo per spargere scie chimiche sono alte e il prezzo del carburante va sempre più su. Non hai idea di quanto costino oggi gli additivi per il controllo mentale.

Ho provato a chiedere al mio idraulico di lavorare senza compenso, ma non ha apprezzato. Quel gretto materialista ha chiesto di essere pagato!

Seriamente parlando: spero che capirai che non posso accettare proposte di lavorare gratis. Niente di personale, ma detto fra noi trovo piuttosto assurdo che un'azienda chieda a un professionista di lavorare senza essere retribuito.

Ciao,

Paolo


Non è la prima volta che vi racconto le “offerte di lavoro” che mi arrivano e cito in proposito il video L’Uomo Visibile, ma credo che meriti sempre ricordarlo per sottolineare, con un sorriso amaro, questo malcostume così dannatamente diffuso.



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2018/07/28

Il giornalismo italiano e l’eclissi: una grande prova di imbecillità col copiaincolla

Ultimo aggiornamento: 2018/07/30 00:50.

Il giornalismo italiano ha messo a nudo in maniera perfetta il proprio disastroso metodo redazionale quando ha proposto notizie sull’eclissi di Luna di ieri sera.

Molte testate online, cartacee e televisive hanno infatti citato l’incredibile idiozia secondo la quale la colorazione rossastra della Luna durante l’eclissi sarebbe dovuta alla vicinanza del pianeta Marte. Marte è rosso, la luna diventa rossa, non fa una grinza, giusto?

Prendetevi pure un attimo di pausa per riprendervi da questa imbecillità. Poi, se avete bisogno di fornire a qualcuno la spiegazione corretta del fenomeno, usate pure questo video della NASA, disponibile anche per qualunque giornalista che si degni di informarsi.



In parole povere: la colorazione è dovuto alla luce solare filtrata dall’atmosfera della Terra. Marte non c’entra nulla, anche perché se ne sta in questo momento a cinquantasette milioni di chilometri dalla Terra e dalla Luna.

Ma i Veri Giornalisti non si curano di quisquilie come i fatti. Cominciamo con Alessandro Belardetti su Quotidiano.net, secondo il quale “Marte colorerà di rosso la Luna”:



Passiamo all’edizione cartacea del Corriere della Sera, dove Laura Vincenti scrive che la Luna “si colora di rosso per effetto di Marte in opposizione”:



Sottolineo che si tratta dell’edizione cartacea perché c’è chi obietta che le castronerie escono sulla versione Web, che è gratuita (come se questo fosse una giustificazione per pubblicare falsità), ma non su quella cartacea.

Non manca anche il contributo de Il Giorno, che scrive che la Luna “si colorerà di rosso grazie alla vicinanza di Marte”:




Maria Cristina Massaro, su Repubblica (link intenzionalmente alterato), ripete la stessa scemenza astronomica e vi aggiunge anche ben due errori d’ortografia nella stessa frase. Rileggere, a quanto pare, proprio non si usa più. Grazie ad @aldolat per la segnalazione e la copia su Archive.is.

A rendere ancora più suggestivi gli sbattila colorazione rossastra assunta dal satellite grazie a Marte in "grande opposizione", cioè alla mini distanza dal nostro pianeta e al suo massimo splendore.

Screenshot per chi non riesce a concepire che il giornalismo possa essere sceso così in basso:


Repubblica ha anche ribadito il concetto su Twitter, dicendo che “La Luna sarà illuminata di rosso grazie a #Marte in 'grande opposizione', cioè alla minima distanza dalla Terra e al suo massimo splendore”:



E per finire, ecco SkyTG24, che ha affermato (durante il telegiornale, non nella rubrica degli oroscopi) che “le persone hanno così potuto ammirare il satellite colorato dai riflessi del pianeta Marte”, come dice la conduttrice in studio, e come ribadisce l’autrice del servizio, Laura Cappon, che parla di “riflessi prestati da Marte” e poi ribadisce la scemenza astronomica, come potete sentire in questo spezzone fornitomi gentilmente da biemmic:



Che io sappia, nessuno dei giornali, siti o telegiornali citati ha finora corretto o chiesto scusa per gli errori.

Lezioni di giornalismo che possiamo trarre da questa storia:

  1. Rileggere quello che si scrive non si usa più.
  2. Le redazioni fanno lavorare persone alle quali mancano le conoscenze più elementari. 
  3. I giornalisti fanno copiaincolla gli uni dagli altri, e senza chiedersi se quello che copiano abbia vagamente senso.
  4. Le redazioni, pur avvisate, non correggono gli errori e non pubblicano rettifiche.
  5. Conclusioni: ai giornali non gliene frega nulla di fottere il lettore e pubblicare notizie false. Non sono errori occasionali, è proprio metodo redazionale. Se questo è il loro modo di fare giornalismo, non si lamentino che il giornalismo sta morendo per colpa di Internet. Questo tipo di giornalismo merita di morire.

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2018/07/27

Podcast audio del Disinformatico del 2018/07/27

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi (27 luglio) del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Questa settimana la registrazione video della diretta non è disponibile.

Con questa puntata la trasmissione va in pausa estiva e tornerà venerdì 7 settembre.

Tutti i podcast (audio) più recenti sono ascoltabili in streaming e scaricabili da questa pagina del sito della RSI. Buon ascolto!

Windows 10 non si riavvierà per aggiornarsi nei momenti più inopportuni: lo garantisce l’intelligenza artificiale

Ci sono fondamentalmente tre situazioni più imbarazzanti e irritanti che possono capitare durante una presentazione in pubblico:

1. Rendersi conto di avere la patta aperta dopo che hai iniziato la presentazione;

2. Veder partire lo screensaver con le tue foto intime;

3. Assistere impotenti all’avvio degli aggiornamenti del sistema operativo, magari con tanto di riavvio obbligato e inarrestabile. Ti fermi troppo a lungo a spiegare una slide, il PC pensa che tu non stia lavorando e fa partire gli aggiornamenti.

Se, come me, frequentate convegni, avrete assistito a questi disastri e magari ne sarete anche stati protagonisti.

Il prossimo aggiornamento di Windows 10, dice Ars Technica, userà tecniche di machine learning per rendere meno irritanti i riavvii necessari per installare gli aggiornamenti. Queste tecniche tenteranno di capire quando vi assentate dal computer solo per una pausa caffé o state appunto facendo una presentazione e quindi non è il momento di lanciare aggiornamenti.

Questa misura si è resa necessaria perché molti utenti rinviavano gli aggiornamenti di sicurezza così a lungo che restavano vulnerabili per mesi. Windows 10 ha cercato di compensare questa disattenzione riavviandosi automaticamente quando è disponibile un aggiornamento. Con il nuovo sistema, Windows non si limiterà a rilevare l’inattività di mouse e tastiera oppure la riproduzione di un video e tenterà di distinguere fra pause brevi e lunghe. Speriamo in bene.

Twitter blocca chi si chiama “Elon Musk” ma non è Elon Musk

Come mai sembra che Twitter ce l’abbia con Elon Musk, il boss di Tesla e SpaceX? The Verge segnala che da qualche giorno chiunque cambi il proprio screen name (l’identificativo accanto al nome del profilo) in “Elon Musk” viene bloccato automaticamente.

Una decisione drastica e curiosa, che però ha una spiegazione molto seria: si stanno infatti moltiplicando i truffatori che creano account Twitter i cui screen name sono uguali o molto simili a quelli di personaggi molto famosi. Elon Musk (@elonmusk), con i suoi circa 22 milioni di follower, è particolarmente preso di mira, e i disattenti ci vanno di mezzo.

La truffa funziona così: il vero Elon Musk pubblica un tweet. Subito dopo un truffatore gli risponde usando un account che usa lo screen name di Musk e la sua icona, come mostrato qui sotto: il primo tweet è autentico, mentre quelli nel riquadro sono scritti dall’impostore.


Il truffatore, fingendo di essere Musk, annuncia una svendita di bitcoin o criptovalute, dicendo che chi gli manda delle criptovalute le riceverà moltiplicate per dieci. Gli utenti che seguono Musk e non notano la sostituzione di persona pensano che l’offerta arrivi dal miliardario: così non si pongono domande sul motivo per cui Elon Musk dovrebbe regalare soldi e cascano nella trappola. Chi invia criptovalute agli impostori non rivedrà mai più i propri averi.

Prevengo gli increduli che dubitano che qualcuno possa abboccare all’inganno: su milioni di follower c’è sempre l’ingenuo o il vulnerabile che ci casca. Capita che ci caschino anche i giornalisti disattenti.

Questa forma di protezione verrà probabilmente estesa anche ad altri nomi celebri. Nel frattempo, fate attenzione agli impostori.


Fonte aggiuntiva: Hot for Security.

Perché alcuni siti adesso vengono segnalati come pericolosi o non sicuri?

Intercettazione del traffico in aeroporto.
Credit: Troy Hunt.
Da qualche giorno chi usa Google Chrome per navigare nel Web vede spesso un avviso secondo il quale il sito visitato non è sicuro (“La tua connessione a questo sito non è protetta” e simili).

Si tratta di un effetto di una novità introdotta da Google con la versione 68 di Chrome e annunciata in dettaglio qui.

In pratica, tutti i siti che non usano la crittografia (HTTPS) verranno segnalati come non sicuri. La crittografia serve per proteggere la connessione fra voi e il sito che visitate, in modo da impedire che altri possano intercettarla (rubando password o dati di carte di credito) oppure inserirvi contenuti alterati (pubblicità) oppure ostili (censura, malware).

L’adozione di HTTPS ovunque migliora la privacy e rende molto più difficili alcuni degli attacchi informatici di massa più diffusi.

Se non volete perdervi nei dettagli tecnici, ricordate almeno questo: mai, mai, mai digitare password o dati segreti in un sito che non è protetto da HTTPS. È sicuramente una trappola o è gestito da incompetenti.

Troy Hunt ha preparato un articolo e un video che dimostrano l’utilità di usare HTTPS ovunque e i rischi ai quali ci si espone visitando siti che non lo usano.


Fonti: The Verge, Graham Cluley, Electronic Frontier Foundation.

No, stanotte Marte non sarà grande come la Luna

Ultimo aggiornamento: 2018/07/28 10:25.

Siti parodistici come ScienceInfo (link intenzionalmente alterato) stanno diffondendo di nuovo la bufala secondo la quale il 27 luglio 2018, oggi, il pianeta Marte apparirà grande come la Luna.

La notizia è falsa ed è una versione aggiornata di una bufala che risale almeno al 2003 e che ho raccontato qui nel 2009.

I fatti sono ben diversi: in questi giorni il pianeta Marte raggiungerà la sua distanza minima dalla Terra (circa 57,7 milioni di chilometri). Il valore minimo assoluto verrà raggiunto il prossimo 31 luglio. Anche se Marte si avvicina e allontana periodicamente rispetto alla Terra ogni due anni circa, l’entità dell’avvicinamento è variabile e in questo caso è dal 2003 che non raggiunge un valore minimo così relativamente basso.

Credit: Bruce Betts / JPL Solar System Simulator

Ma Marte non sarà affatto grande come la Luna: continuerà ad essere un puntino, se visto a occhio nudo, e continuerà a servire un telescopio per poterlo osservare in dettaglio. Marte sarà più brillante del solito (più di Giove e di Sirio), ma nulla più. In un telescopio la differenza di dimensioni di Marte rispetto a quando è più lontano dalla Terra sarà notevole, ma questa differenza non sarà percepibile a occhio nudo.

L’eclissi di Luna annunciata per stasera, invece, non è una bufala e sarà un’occasione anche per osservare Marte. Per maggiori informazioni potete consultare il sito dell’Unione Astrofili Italiani, e fate attenzione alle baggianate scritte da giornalisti che s’improvvisano astronomi.


Fonti aggiuntive: Metabunk, Planetary.org, Slate.

Intelligenza artificiale per disegnare bikini sulle foto di donne nude

Prima riga: immagini originali;
seconda e terza: tentativi dell’IA.
Ultimo aggiornamento: 2018/07/27 11:45.

Secondo quanto racconta The Register, un gruppo di ricercatori brasiliani ha condotto uno studio sull’uso dei sistemi di intelligenza artificiale per riconoscere automaticamente le immagini di nudo e censurarle applicandovi dei bikini.

I risultati dello studio sono stati pubblicati nei lavori della IEEE International Joint Conference on Neural Networks (IJCNN), nell’ambito della IEEE World Congress on Computational Intelligence, tenutasi a Rio de Janeiro.

The Register descrive la tecnica usata: i ricercatori hanno dovuto scaricare oltre duemila immagini di donne nude e in bikini e le hanno usate per addestrare l’intelligenza artificiale.

I risultati non sono stati entusiasmanti, come potrete notare dai campioni mostrati qui sopra. Cosa peggiore, questa tecnologia potrebbe essere usata in senso inverso per creare immagini di nudo sintetiche togliendo i bikini alle foto scattate in spiaggia, per esempio.

Non capita spesso di dover scaricare per lavoro migliaia di immagini di donne poco o per nulla vestite, di doverle selezionare e poi guardare di nuovo per vedere se il software le ha elaborate correttamente. Ma per la scienza questo e altro.

L’articolo completo che descrive la ricerca, scovato da @bvzm dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, si intitola Seamless Nudity Censorship: an Image-to-Image Translation Approach based on Adversarial Training.

Chicca finale: i ricercatori lavorano per l’Università Cattolica Pontificia di Rio Grande do Sul.

2018/07/25

Un lago di acqua liquida nel sottosuolo di Marte? Forse

Lo strumento italiano MARSIS a bordo della sonda europea Mars Express, in orbita intorno a Marte da quasi 15 anni, ha rilevato segnali radar compatibili con la presenza di uno strato significativo di acqua liquida sotto la superficie di Marte, a circa 1,5 km di profondità, nella regione del Planum Australe, la pianura vicina al polo sud del pianeta, in un’area larga circa 20 chilometri. Ne ha dato notizia oggi l’Agenzia Spaziale Italiana.

Credit: Agenzia Spaziale Italiana (ASI). La zona colorata indica i segnali compatibili con la presenza d’acqua.

I dettagli della scoperta sono pubblicati sulla rivista scientifica Science, nell’articolo Radar evidence of subglacial liquid water on Mars. Si ipotizza, sulla base dei dati, che l’acqua sia salata, perché altrimenti a quella profondità le basse temperature la farebbero ghiacciare. Un ambiente di questo tipo, protetto dalle radiazioni provenienti dallo spazio, potrebbe essere congeniale alla vita.

Ma come nota Emily Lakdawalla su Planetary.org, a quella profondità la temperatura dovrebbe aggirarsi intorno ai -68°C, per cui dovrebbe trattarsi di acqua molto, molto, molto salata.

Inoltre Lakdawalla sottolinea che le dimensioni indicate per il possibile lago sotterraneo sono vicine al limite della risoluzione dello strumento MARSIS, e lo confermano gli stessi ricercatori (“For most Martian areas, MARSIS lateral resolution is about 10 - 30 km whereas along track resolution is 5 - 10 km after Synthetic Aperture Radar (SAR) processing”, R. Orosei et al., Supporting online material, Science), per cui servirebbero strumenti molto più sensibili per determinare con precisione le dimensioni del ritrovamento.

Data l’importanza della possibile scoperta, che consentirebbe per esempio di attingere alle risorse locali invece di dover portare l’acqua dalla Terra, è opportuno avere molta cautela e attendere conferme ulteriori. La tecnica usata è molto sofisticata e solitamente affidabile, ma non è un’osservazione diretta, e sappiamo che l’Universo spesso riserva sorprese a chi si fa prendere troppo dall’entusiasmo.

Maggiori informazioni sono su Science (Liquid Water on Mars), Nature, ESA, BBC, The Verge.



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2018/07/24

Promemoria: la mail dell’hacker che sa la tua password

Ultimo aggiornamento: 2018/07/26 21:50.

Dalle segnalazioni che mi stanno arrivando, sta ancora circolando vivacemente la truffa della mail di un sedicente hacker che dice (in inglese) di avere la vostra password e di avervi ripreso in video mentre guardavate un sito pornografico.

La mail inizia di solito con “I will directly come to the point. I do know [password] is your password. Most importantly, I am aware about your secret and I have evidence of this.”

Alcune testate affermano che si tratterebbe di attacchi mirati “a imprenditori e figure istituzionali” (Il Fatto Quotidiano; Corriere della Sera), ma è sbagliato: la mail sta arrivando a persone di tutti i generi e non è affatto un fenomeno limitato all’Italia, come spiega Ticinonews.ch citando il caso di una giovane ticinese che non è né imprenditrice né figura istituzionale.

È una truffa. Non cascateci. Non c’è nessun video ricattatorio, ma solo un bluff. Se volete saperne di più e decidere cosa fare senza panico, leggete il mio articolo completo.

Il 26 luglio sono state diffuse le raccomandazioni della Polizia Cantonale svizzera, riprese dal Corriere del Ticino e da Ticinonews.


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2018/07/22

Ci vediamo stasera a Spotorno?

Come preannunciato, stasera alle 21.30 sarò a Spotorno, in Piazza della Vittoria, come relatore ospite di Scienza Fantastica, il progetto culturale del Comune di Spotorno che si tiene dal 21 al 30 luglio, per parlare dei viaggi nel tempo dal punto di vista scientifico ed esplorare le implicazioni serie e semiserie di un’eventuale scoperta di un modo per compierli.

Se siete da quelle parti e vi va, vi aspetto!

Quanta superficie di pannelli solari servirebbe per dare energia al mondo? L’origine di un grafico molto diffuso

Ultimo aggiornamento: 2018/07/22 17:00.


Da anni vedo circolare l’immagine che vedete qui sopra: rappresenterebbe la superficie di pannelli solari sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno di energia elettrica della Germania (D), dei 25 paesi dell’Unione Europea (EU-25) e del mondo intero (Welt).

Non ne avevo mai cercato la fonte, ma ieri ho letto un tweet che me l’ha fornita direttamente, citando l’autrice, Nadine May. È bastato questo e un minimo sforzo in Google per trovare il documento completo dal quale proviene il grafico: la versione in inglese si intitola Eco-balance of a Solar Electricity Transmission from North Africa to Europe, risale al 2005 ed è la tesi di laurea di Nadine May presso la facoltà di scienze fisiche e geologiche dell’Università Tecnica di Braunschweig.

Il grafico è a pagina 26 della tesi (Figura 12) ed ha una didascalia che ne chiarisce il senso: è un “theoretical space requirement”, ossia un requisito di superficie teorico qualora un impianto solare fosse collocato in quelle aree geografiche. Va quindi considerato come una spannometria: un esercizio matematico-scientifico per farsi un’idea delle grandezze in gioco e per rispondere a quelli che pensano che per alimentare il pianeta dovremmo tappezzare di pannelli tutto il deserto del Sahara o addirittura il mondo intero.

La tesi fornisce le cifre alla base del grafico: se il fabbisogno energetico mondiale è di 16.076 TWh/anno (dato riferito al 2004), per soddisfarlo sarebbe sufficiente una superficie di 254 km per 254 km; per soddisfare quello europeo servirebbe un’area di 110 km per 110 km; e per soddisfare quello tedesco ne servirebbe una da 45 per 45 km, secondo i calcoli di Nadine May.

Dalla lettura attenta della tesi emerge anche un altro dettaglio importante: non si tratta di pannelli fotovoltaici, ma di pannelli solari termici, ossia (sezione 2.2.1) di specchi che concentrano la luce solare su condotte contenenti un vettore termico fluido, il cui riscaldamento viene usato per generare vapore acqueo, che aziona una turbina che a sua volta genera corrente elettrica.

Questa stima pone anche la sfida tecnica non banale del trasporto di tutta questa energia elettrica dalle zone desertiche ai luoghi di consumo e forse non considera sufficientemente le sue implicazioni un po’ colonialiste, ma è comunque uno spunto di riflessione; un dato di massima dal quale partire. Il concetto di fondo è che quelle sono le superfici complessivamente necessarie: nulla vieta di distribuirle in giro per il mondo, più vicino a dove viene consumata l’energia, riducendo il problema della distribuzione.

Altre stime più recenti (2017) stimano un fabbisogno mondiale circa doppio (30.000 TWh/anno) e, nel caso del fotovoltaico, una superficie di 200.000 kmq, equivalente a un quadrato di 448 km di lato. Se portassimo gli otto miliardi di esseri umani del pianeta ai consumi energetici tedeschi, secondo queste stime servirebbe un quadrato di 1000 km di lato.

Insomma: dovremmo tappezzare di pannelli tutto il mondo? No. Nello scenario più ambizioso sarebbe sufficiente un quindicesimo dell’area desertica del pianeta, ossia il quadrato in basso a sinistra in questo grafico.

Fonte: Energy-age, 2017.


Certo, una serie di centrali solari che copra in tutto 200.000 o un milione di chilometri quadrati, con relativa rete di distribuzione planetaria, sarebbe un’opera ingegneristica ciclopica, ma non sarebbe la prima: con mezzi molto meno avanzati di quelli odierni l’umanità ha saputo costruire piramidi, creare i canali di Panama e Suez, costruire dighe immense e reti ferroviarie e stradali colossali; ha saputo organizzarsi per debellare malattie devastanti.

Costa? Ovviamente. Ma non dimentichiamoci che gli Stati Uniti, da soli, spendono in armi oltre 600 miliardi di dollari l’anno. Poi ci sono le spese militari del resto del mondo.

E non dimentichiamoci le parole attribuite a un protagonista di un altro progetto apparentemente impossibile e faraonico di cui ricorre in questi giorni il quarantanovesimo anniversario: Jim Lovell (Apollo 13).

“D’ora in poi viviamo in un mondo nel quale l’uomo ha camminato sulla Luna. Non è stato un miracolo; abbiamo semplicemente deciso di andarci.”

Sono troppo ottimista? Sicuramente. Una specie intelligente non spenderebbe oltre 600 miliardi di dollari l’anno in bombardieri, testate nucleari e stipendi per addestrare gente ad ammazzare più efficientemente il prossimo. Ma si può sempre sperare che prima o poi la specie maturi. E semplicemente decida di fare.


Documento di approfondimento: Concentrating Solar Power for the Mediterranean Region, DLR/Ministero Federale Tedesco per l’Ambiente (2005). Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2018/07/21

L’incredibile restauro delle immagini di Apollo 11

Ieri, 20 luglio, sono state presentate le primissime immagini del documentario Apollo 11 (Apollo11movie.com; Twitter @Apollo11movie), che userà immagini originali restaurate per raccontare la storia del primo sbarco sulla Luna.

Il lavoro di ripulitura, restauro, rimozione della grana, stabilizzazione e ripristino del colore è assolutamente incredibile. Guardatevi il trailer sul monitor più grande e definito che avete: la prima volta che l’ho visto ho fatto un salto sulla sedia, perché non ho mai visto immagini come queste.



Ho estratto le immagini salienti del trailer dalla versione Youtube (ce n’è anche una su Vimeo), che ho catturato a 3840 pixel di larghezza, e le ho messe a confronto con materiale analogo già disponibile. Ingranditele: hanno una risoluzione spaventosa. Potete usarle come wallpaper su un monitor 4K senza vedere la grana. Se guardate con attenzione, noterete qua e là qualche minimo artefatto digitale e le aberrazioni cromatiche nelle zone periferiche delle immagini, tipiche delle riprese su pellicola dell’epoca. Ma il risultato è oltre quello che pensavo fosse possibile.

Le immagini del trailer sono quelle con le bande nere sopra e sotto; le altre, a titolo di confronto, sono di altra provenienza (ne ho indicato la fonte).



Un vettore Saturn V sulla torre di lancio.



Neil Armstrong, di spalle, durante la vestizione pre-lancio.



Buzz Aldrin durante la vestizione pre-lancio.



Ancora Aldrin.




Mike Collins durante la vestizione pre-lancio.



Ora che avete abituato la vista alla qualità di queste immagini, confrontatele con le migliori disponibili finora, che avevo acquisito (grazie alle vostre donazioni) e usato per il documentario libero e gratuito Moonscape.



Da Moonscape.



Da Moonscape.



Da Moonscape.


Confrontate questa immagine da Apollo 11 non con le riprese cinematografiche, ma con la foto della stessa situazione:



Foto NASA S69-39956.


Oppure confrontate le immagini del centro di lancio (LCC) a Cape Kennedy, in Florida, disponibili negli archivi NASA, con la versione restaurata:





Qualche altro fotogramma tratto da Apollo 11:





Quando potremo vedere questo restauro nella sua interezza su grande schermo? Ancora non si sa: secondo le informazioni raccolte da Collectspace.com, Apollo 11 non ha ancora una data di uscita ed è ancora in fase di post-produzione.

Il documentario è diretto da Todd Douglas Miller ed è prodotto dalla CNN Films e dalla Statement Pictures dello stesso Miller, che non è nuovo all’argomento, dato che ha già diretto il cortometraggio The Last Steps (2016), dedicato all’ultimo sbarco umano sulla Luna, quello della missione Apollo 17, avvenuto nel 1972.

Per restare informati su Apollo 11 potete seguire la Neon (Twitter: @NEONrated; sito: Neonrated.com), che detiene i diritti mondiali del documentario secondo Variety, la CNN Films (Twitter: @CNNfilms; sito: (cnn.com/cnnfilms), che ha i diritti TV statunitensi, oppure la Statement Pictures (sito: Statementpictures.com).


Avvertenza cordiale: i commenti che negano gli allunaggi verranno cestinati e chi li invia verrà bannato immediatamente e definitivamente. Gli imbecilli si trovino un altro sfogo per le loro piccole frustrazioni. I dubbiosi, invece, sono benvenuti e sono invitati a leggere questo libro gratuito.


Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2018/07/20

Podcast audio e video del Disinformatico del 2018/07/20

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi (20 luglio) del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera.

Tutti i podcast (audio) più recenti sono ascoltabili in streaming e scaricabili da questa pagina del sito della RSI; lo streaming video integrale, se disponibile, è archiviato qui oppure presso www.rsi.ch/web/webradio ed è incorporato qui sotto. Buon ascolto e buona visione!

I telefonini fanno male alla memoria?

Ultimo aggiornamento: 2018/07/20 15:40. 

Uno studio dell’Istituto tropicale e di sanità pubblica svizzero effettuato su 700 giovani in Svizzera e pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives ha attirato molta attenzione nei media perché sembra portare prove della tesi che campi elettromagnetici ad alta frequenza dei telefoni mobili possono avere effetti nefasti sullo sviluppo della memoria in alcune zone del cervello (rsi.ch; Ticinonews; La Regione; Blick).

Sul sito della rivista, però, l’articolo non c’è. Così ho contattato la rivista, che mi ha dato un link di anteprima all’articolo (in fondo alla pagina), che uscirà ufficialmente lunedì 23 luglio (il link sarà questo; una bozza è qui). Si intitola A prospective cohort study of adolescents’ memory performance and individual brain dose of microwave radiation from wireless communication ed è legato a uno studio precedente dello stesso gruppo pubblicato nel 2015 (Memory performance, wireless communication and exposure to radiofrequency electromagnetic fields: a prospective cohort study in adolescents, DOI: 10.1016/j.envint.2015.09.025).

Leggendo la pagina di presentazione risulta che i dati sono ancora assolutamente preliminari e non certi: “i risultati dello studio possono essere stati influenzati dalla pubertà, che ha effetto sia sull’uso del telefonino sia sullo stato cognitivo e comportamentale del partecipante”.

In ogni caso, per scrupolo di sicurezza i ricercatori consigliano di minimizzare il rischio “usando cuffiette o il vivavoce durante le chiamate, in particolare quando la qualità della rete è bassa e il telefonino lavora alla massima potenza”.

Instagram ora dice a tutti quando siete online; come spegnere questa “funzione”

Instagram ha attivato una nuova funzione che consente agli amici e a tutti quelli ai quali abbiamo mandato messaggi diretti di sapere quando siamo online grazie a un pallino verde che appare accanto all’icona del profilo.

L’annuncio ufficiale presenta questa novità al contrario, dicendo che ora siamo noi che possiamo sapere quando sono online i nostri amici, ma probabilmente non tutti gradiranno questa piccola forma di sorveglianza in più.

Mentre prima si poteva sfogliare Instagram senza farlo sapere a nessuno, magari in momenti nei quali si doveva essere occupati a fare tutt’altro (scuola, lavoro, sonno), ora per farlo è necessario andare nelle Impostazioni, selezionare Stato di Attività e disattivare Mostra stato di attività.

La privacy, però, ha un prezzo: se disattivate la visualizzazione della vostra visibilità non potrete vedere lo stato degli altri. Sopravviveremo?

Chi ha paura di Momo? Come il giornalismo crea le psicosi

Ultimo aggiornamento: 2018/08/05 9:10.

Niente paura: quella nella foto è solo una scultura moderna. Non ha poteri magici: è una bufala. Se la ricevete sullo smartphone, cestinatela pure.

C’è una catena di Sant’Antonio che circola principalmente su WhatsApp e che sta scatenando paura in molti utenti, soprattutto giovanissimi: si basa sulla foto che vedete qui accanto e dice di chiamarsi Momo.

Secondo quello che afferma la catena, chi la riceve deve rispondere mandando immagini horror, altrimenti continuerà a essere bersagliato da quest’immagine impressionante.

Ma niente panico! Non ci sono virus o molestatori dietro questa storia. Momo è semplicemente il nomignolo dato a una scultura creata da una società giapponese di effetti speciali, la Link Factory.

L’origine della catena, spiega Know Your Meme, è un utente Instagram, nanaakooo, che il 25 agosto 2016 aveva postato una versione più ampia della foto: è esplosa quando il 10 luglio scorso è stata pubblicata su Reddit (/r/creepy) una versione tagliata della foto della scultura, che ha ricevuto moltissimi voti positivi e commenti, e da lì è partita inarrestabile grazie agli utenti che credono a qualunque cosa vedano.

Questa è la scultura completa:


Altre info sulle origini della scultura sono su Delucats (in cinese).


2018/08/05 9:10 - Momo rischia di diventare il nuovo Blue Whale grazie ai giornalisti affamati di clic


Il giornalismo irresponsabile che vive pensando soltanto a quanti clic farà un articolo e se ne strafrega di concetti come “verità”, “verifica” o “fatti” sta gonfiando il meme di Momo per cercare di farlo diventare il successore della psicosi per il Blue Whale Challenge. Non aiutatelo: non diffondete Momo e le stupidaggini che lo circondano. Cestinatelo e basta.

Dagospia offre un perfetto esempio di questo giornalismo spazzatura: “LA PAURA CORRE SU WHATSAPP – UNA NUOVA PREOCCUPANTE SFIDA IN STILE “BLUE WHALE” DILAGA TRA I GIOVANI”, dice nel tweet, scritto tutto in maiuscolo così è più drammatico. Ma nell’articolo (link intenzionalmente alterato) salta fuori che il “dilagare” è in realtà un singolo caso non confermato: “si ipotizza che possa essere collegata al suicidio di una ragazzina in Argentina che si sarebbe tolta la vita”.

Anche l’emittente TV statunitense CBS47 ne parla, citando un articolo basato sul vuoto pneumatico.

Ne parla anche Il Giornale (link intenzionalmente alterato, grazie a @martacagnola per la segnalazione), basandosi esclusivamente sull’“articolo” di Dagospia.

Stessa fame disperata di psicosi su Il Messaggero (link intenzionalmente alterato), basata sempre sulla stessa singola storia non confermata.

Tranquilli: Momo è e resta una bufala. Ditelo agli amici e ai figli e liquidate questi tentativi giornalistici di creare psicosi. Rideteci sopra insieme per neutralizzare Momo e i suoi sciacalli.

Clash of Clans usato per riciclare soldi rubati

Se giocate a Clash of Clans, Clash Royale o a un altro dei tanti giochi online che hanno una “moneta” interna, fate molta attenzione alle offerte di chi vi propone di ottenere queste monete a prezzi scontati: potreste avere a che fare con dei riciclatori di carte di credito rubate e potreste trovarvi con l’account bloccato.

Lo segnala Kromtech Security, raccontando di aver scoperto su Internet un archivio di dati pubblicamente accessibile e contenente migliaia di dati di carte di credito. Ben presto gli esperti si sono resi conto che si trattava di un archivio gestito da ladri di carte di credito.

Questi ladri avevano creato un sistema automatico che creava degli account Apple ID finti usando i dati delle carte di credito rubate. Questi account venivano poi usati per acquistare gemme o altre monete virtuali nei giochi. Le gemme acquistate con le carte altrui venivano poi vendute a prezzo scontato a giocatori comuni, e in questo modo la banda otteneva soldi puliti.

La Supercell, che ha sviluppato Clash of Clans e Clash Royale ha avvisato i giocatori che chi compra gemme o diamanti da siti esterni può trovarsi permanentemente bandito dal gioco e rischia di dare a dei criminali il controllo del proprio account Apple ID o Google Play.


Fonte aggiuntiva: Tripwire.

2018/07/17

CNN ha le statistiche pubblicitarie nascoste ma accessibili: Ctrl-Shift-Z le rivela

Una segnalazione curiosa di @AbeSnowman: se andate sul sito della CNN (Cnn.com), senza un adblocker attivo, e premete Ctrl-Shift-Z compare un bottone che permette di consultare le statistiche pubblicitarie.


Cnn.com normale...

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Cliccando sul bottone blu e poi sui sottomenu che compaiono si possono vedere moltissimi dati statistici sulla pubblicità visualizzate. Questa è solo una selezione.

























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