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Quel famoso “superamento” del Test di Turing annunciato dall'Università di Reading e sbufalato dagli esperti comincia finalmente a rivelare la sua reale consistenza. O, dovrei dire, inconsistenza.
Primo dato: grande confusione. Gizmodo ha intervistato uno dei giudici, l'attore Robert Llewellyn (il mitico Kryten di Red Dwarf, mostrato qui accanto), che ha detto che i giudici erano soltanto cinque e ha ammesso di essere uno di quelli che s'è fatto ingannare dal computer scambiandolo per un essere umano.
Se i giudici erano soltanto cinque e il computer è riuscito a farsi credere umano nel 33% dei casi, come dice il comunicato stampa dell'Università di Reading, allora vuol dire che il programma ha ingannato ben due persone. Un risultato che non mi sembra statisticamente molto significativo.
I giudici erano invece trenta secondo Bennie Mols, un altro dei giudici, che racconta a Communications of the ACM la propria esperienza, mostrando un esempio di chat talmente non sequitur da rendere assolutamente ovvio che si trattava di un dialogo con una macchina. Giusto per dirne una: una delle risposte è apparsa sullo schermo talmente in fretta dopo la domanda che non era materialmente possibile che l'avesse digitata un essere umano. Il resto della “conversazione” è altrettanto pieno di sintomi palesi di artificialità: leggetelo ve ne accorgerete.
I due giudici non concordano neppure sul numero dei test: dieci sessioni di cinque minuti nel corso di un'ora secondo Llewellyn, cinque sessioni di cinque minuti secondo Mols.
Come è possibile che ci siano queste discordanze sui dati basilari di un esperimento? La risposta migliore, probabilmente, è che non si è trattato di un esperimento scientifico. O forse è azzeccata quella data da Mols: “In ultima analisi, il Test di Turing è più per divertimento che per scienza”.
Per cui dormiamo sonni tranquilli: non c'è nessuna intelligenza cibernetica pronta a soppiantarci, checché ne dica il professor Warwick.
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