2015/03/18

Cinquant’anni fa, la prima passeggiata spaziale non fu una passeggiata

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “ebaysto*”, “solomare*” e “ennegl*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2020/05/03 4:40.

Alexei Leonov galleggia nel vuoto dello spazio, protetto dalla morte pressoché istantanea soltanto dalla sua sottile, fragile tuta. È il 18 marzo 1965, e Leonov è il primo essere umano a uscire dal proprio veicolo spaziale ed effettuare quella che viene chiamata molto impropriamente passeggiata spaziale.

Impropriamente perché quell'atto di folle coraggio, motivato dalla fame di propaganda di un regime totalitario (l'Unione Sovietica), fu tutt'altro che una passeggiata. A cinquant'anni di distanza, una attività extraveicolare (questo è il termine tecnico corretto) continua a essere una delle operazioni più difficili e rischiose per astronauti e cosmonauti. Ma è anche una delle più inebrianti: galleggi nell'Universo. Non lo guardi più attraverso uno stretto oblò: ci sei immerso dentro.

Nessuno aveva mai osato tanto. L'escursione di Leonov fu un trionfo per la propaganda sovietica e un'umiliazione per gli americani, ma la realtà fu ben diversa dalla fantasia perfetta raccontata enfaticamente dalle fonti ufficiali dell'URSS. Leonov rischiò di morire abbandonato nello spazio; il rientro a terra terminò quasi in un disastro. All'epoca, però, il regime sovietico controllava ossessivamente ogni informazione e costruì una finzione molto sofisticata: guardate come fu rappresentata la missione nei francobolli celebrativi e confrontate la tuta e il veicolo di quel francobollo con la realtà tecnica mostrata qui sotto.


Oggi, con russi e americani che convivono nella Stazione Spaziale Internazionale, con i lanci dalla Russia e le passeggiate spaziali in diretta streaming su Internet, è incredibile pensare che l'intero programma spaziale sovietico era top secret e che le missioni venivano annunciate soltanto a cose fatte, se e quando avevano successo, mentre i fallimenti erano nascosti e dimenticati. La morte orribile di Valentin Bondarenko durante l'addestramento, per esempio, fu insabbiata completamente. Per anni nessuno, al di fuori di poche persone nell'Unione Sovietica, seppe come andò realmente quella prima “passeggiata” di Alexei Leonov.


Intrappolato fuori


Alexei Leonov e Pavel Belyayev
Il veicolo spaziale Voskhod (Alba) usato da Leonov era una versione modificata della Vostok usata da Yuri Gagarin. Con un miracolo d'ingegneria, i russi erano riusciti a far stare due persone al posto di una. Accanto a lui, nello stretto abitacolo, c'era l'amico Pavel Belyayev.

Per uscire nello spazio, Leonov dovette infilarsi in una camera di decompressione esterna: un tubo gonfiabile applicato lateralmente al veicolo, altro capolavoro dell'improvvisazione tecnica russa. Una volta entrato nella camera, dietro di lui fu chiuso il portello stagno dell'abitacolo e poi fu lentamente sfiatata l'aria dentro la camera.

Leonov aprì il portello esterno della camera di decompressione e si trovò a galleggiare nel vuoto. Là fuori, tutto il suo campo visivo era occupato dall'intera Africa, immersa nei colori incredibili dell'alba. Leonov, ripreso da una cinepresa e vincolato soltanto da un cordone lungo cinque metri che lo riforniva di ossigeno, fu travolto dalla bellezza della visione che lo circondava.

Rimase fuori una decina di minuti, provando vari movimenti per dimostrare che la tuta spaziale russa funzionava. Ma si accorse ben presto che non funzionava granché bene: si era gonfiata come un pallone. “Si stava deformando, le mani erano scivolate fuori dai guanti, i piedi non erano più negli scarponi”, racconta. Era talmente gonfia che Leonov non poteva rientrare nella camera di decompressione. Era intrappolato all'esterno della sua capsula e non c'era nulla che il suo compagno Belyayev potesse fare per aiutarlo.

Senza dire nulla ai controllori a terra, Leonov decise un gesto disperato ma pragmatico: sfiatare metà dell'aria della tuta per farla sgonfiare. Rischiava di andare in carenza d'ossigeno, ma non aveva scelta. Cominciò a sentire i primi effetti della rapida decompressione: il formicolio alle gambe e alle mani che sapeva essere un sintomo potenzialmente fatale.

Leonov si tirò lungo il cordone per riavvicinarsi alla camera di decompressione e vi s'infilò di testa. Lo sforzo fisico aveva fatto salire la sua temperatura corporea e sudava così tanto che le gocce di sudore gli galleggiavano dentro il casco, bloccandogli la visuale. Quel giorno perse sei chili.

Ma arrivò subito un altro problema: la procedura prevedeva che lui rientrasse a piedi in avanti. Con un altro sforzo, lottando contro la rigidità della tuta, riuscì a girarsi nello strettissimo spazio della camera e dopo la ripressurizzazione rientrò nell'abitacolo, togliendosi di corsa il casco per togliersi il sudore incollato agli occhi.

Ce l'aveva fatta: era diventato il primo uomo a galleggiare libero nello spazio e la sua impresa era stata documentata da una cinepresa e trasmessa in diretta televisiva a un numero selezionatissimo di tecnici e politici dell'Unione Sovietica. Le riprese sono mostrate in questo montaggio:


Altre immagini, incluse le riprese delle prove a terra e del veicolo Voskhod, sono in questo documentario eccezionale insieme alla testimonianza di Leonov e dei tecnici (in russo).



Rientro tra i lupi


I problemi non erano finiti. La camera di decompressione fu sganciata, ma l'espulsione fece ruotare su se stessa la capsula, disorientando i cosmonauti. Non c'era nulla che si potesse fare per fermare la rotazione, per cui la dovettero sopportare. Poi i livelli d'ossigeno nella cabina salirono eccessivamente, rischiando di trasformare l'atmosfera di bordo in un inferno alla minima scintilla elettrostatica. Leonov e Belyayev lavorarono freneticamente per abbassare la temperatura e l'umidità e ridurre il contenuto di ossigeno.

Parecchie ore dopo, quando giunse il momento di tornare a terra, i retrorazzi automatici non si attivarono. I cosmonauti furono costretti ad attivarli manualmente: un compito delicatissimo, perché un errore anche lieve nella durata e nel momento d'innesco poteva farli rientrare troppo verticalmente, disintegrandoli, oppure tenerli per sempre in orbita. Inoltre il modulo di servizio, contenente i motori e il propellente, non si staccò correttamente, esponendo i cosmonauti a una decelerazione violentissima fino a quando il calore del rientro fuse gli agganci del modulo ribelle, liberando la capsula.

Finirono per scendere sotto un grande paracadute principale nel cuore della Siberia, cadendo in una foresta popolata da orsi e lupi. Rimasero nella capsula e attesero varie ore prima di sentire il rumore rassicurante degli elicotteri di soccorso, che però non potevano atterrare in mezzo agli alberi. Leonov e Belyayev uscirono dalla capsula, raggiunsero uno spiazzo e si accorsero che il rumore era quello di un elicottero civile, non di uno di quelli militari di soccorso. Il pilota lanciò giù una scala di corda, non potendo atterrare, ma la scala era troppo fragile per salirvi con le loro pesanti tute, per cui i due rifiutarono l'invito.

Arrivarono presto altri elicotteri, che lanciarono provviste: una bottiglia di cognac, che prevedibilmente si ruppe all'impatto sulla neve, un'ascia e degli indumenti caldi, che s'impigliarono in gran parte negli alberi.

Al tramonto la temperatura scese a -25°C e i cosmonauti furono costretti a restare nella capsula, senza poterne chiudere il portello, con gli indumenti di Leonov fradici di sudore, da strizzare per non trovarseli ghiacciati addosso. Si svegliarono l'indomani al rumore dell'arrivo dei soccorsi, giunti finalmente usando gli sci. I soccorritori costruirono una casetta di legno e un focolare e portarono una tinozza nella quale i due cosmonauti si poterono finalmente lavare e asciugare, passando un'altra notte nella foresta. L'indomani Leonov e Belyayev presero gli sci e si fecero nove chilometri per raggiungere la radura dove li aspettava l'elicottero. Intorno alla cabina del veicolo spaziale videro che c'erano le impronte dei lupi affamati, curiosi di vedere cosa era piovuto dal cielo.

E questa è la vera* storia dei primi passi dell'umanità nel cosmo.

Alexei Leonov (foto di oggi).
Credit: Jan Zelinski.

* 2020/05/03 4:40. È emerso che la storia “vera” ha qualche dettaglio da correggere, come racconto qui.


Fonti: BBC, Sen.com, Federalspace.ru.

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