Prendete per esempio l’allarme per un furgone bianco, guidato da un pedofilo pronto a rapire i bambini per esempio vicino alle scuole. Questo allarme viene segnalato in moltissime località, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, e da molti anni, come rivela una rapida ricerca in Google News. In Italia si trovano casi a Zerbo (PV) (2016), Zeccone (PV) (2014), Lecco (2016), Ragusa (2017); all’estero spiccano Australia (2013 e 2011) e Regno Unito (2011). E questi sono solo i primi casi che ho trovato.
Questo vuol dire che o c’è un esercito internazionale di rapitori di bambini che hanno tutti scelto lo stesso metodo di operare e si ostinano a usarlo nonostante sia ormai conosciuto da anni, cosa piuttosto improbabile, oppure la notizia è falsa ed è una diceria che si perpetua e apparentemente si conferma perché in effetti i furgoni bianchi sono molto comuni e capita che qualcuno di essi passi nelle vicinanze delle scuole, ma per motivi assolutamente innocenti, e che qualche genitore ansioso interpreti male questo passaggio.
La variante più recente circola in questi giorni su WhatsApp: un messaggio include una foto di una donna e una voce femminile che dice che la donna nella foto si aggira nel quartiere insieme ad altre due persone e, nel momento in cui i bimbi escono da scuola o vi entrano, la donna ne prende uno e se lo porta via. La voce racconta che “è successo a questa mamma, mentre stava pagando alla cassa la bambina era già stata presa per mano e portata fuori dal bar. Meno male che la nonna se ne è accorta e gliel’hanno strappata dalle mani.”
Inquietante, certo, ma l’allarme è anonimo e non fornisce alcun dettaglio concreto: non indica né dove né quando sarebbe avvenuto questo tentato rapimento. Non specifica la scuola in questione e neppure la città. In altre parole, ha tutte le caratteristiche perfette per diventare un allarme che vale in eterno e in qualunque luogo, esattamente come la storia del furgone bianco, facendo leva sulle nostre paure.
WhatsApp è in grado di tracciare il passaparola di quest’allarme e risalire alla sua fonte per chiedere chiarimenti, ma per ora non risulta che l’abbia fatto. Inoltre il caso è già stato segnalato alla Polizia Postale dal collega debunker David Puente. Nel frattempo, se vogliamo dare una mano a contrastare le fake news, conviene evitare di far circolare questo genere di allarme privo di conferme e di riferimenti di luogo e di tempo e in particolare questo nuovo, perché c’è il rischio che qualcuno riconosca, o creda di riconoscere, la donna nella foto e la prenda di mira, come è successo a marzo del 2016 con il proprietario di un furgone bianco a Sant’Angelo di Piove, nel Veneto: era innocente, ma è stato additato e perseguitato come un orco da chi condivideva sui social senza riflettere.
La sua storia è stata raccontata anche da Una vita da social, la pagina Facebook ufficiale della Polizia di Stato italiana, che riporta le parole amare della vittima di una vera e propria psicosi, nata oltretutto da una stupida, irresponsabile bugia:
[...] nella mattinata di lunedi 22 febbraio [2016] sono venuto a conoscenza da mia moglie che su Whatsapp e in seguito su tutti gli altri social, stava girando un messaggio vocale con il quale una mamma di Sant'Angelo di Piove segnalava un potenziale adescamento a danno di minori e la descrizione del mezzo e del conducente erano quelli del mio veicolo.Così mi sono recato subito dalle forze dell'ordine di Piove di Sacco, dove mi hanno confermato la segnalazione fatta alla stessa stazione dai genitori dei bambini. In presenza sia degli agenti che dei genitori è stato chiarito il malinteso: tutto è nato da una bugia raccontata dai loro figli chissà per quale motivo, amplificata mediaticamente dal messaggio vocale diventato fortemente virale nei social network. L'errato allarmismo in Whatsapp, Facebook e perfino in qualche quotidiano on-line, era partito quindi prima della fine delle indagini delle forze dell'ordine. Inoltre nel weekend, a mia totale insaputa, il mio furgone (con targa ben in vista e con me e la mia famiglia all'interno), vista la sua particolarità, è stato più volte riconosciuto e fotografato ad incroci e semafori, e le foto sono state poi postate nei social network con commenti e appellativi nei miei confronti tutt’altro che piacevoli.
Ricordatevene, prima di condividere allarmi che possono rovinare una vita.
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