2018/06/30

Lavori in corso, niente panico

Ultimo aggiornamento: 2018/07/06 22:45.

Se state notando che questo blog ha un aspetto differente dal solito, niente panico: ci sto lavorando. Portate pazienza.



2018/06/30 14:20


Come starete notando, ho sottoposto il blog a una dieta drastica e a un piccolo restyling per alleggerirlo. Se sentite particolarmente la mancanza di qualcuna delle sezioni della vecchia colonna di destra, ditemelo e vedo se posso ripristinarla.

Ogni suggerimento è benvenuto; leggete i commenti per vedere se una richiesta di una funzione è già stata fatta e se è fattibile.

Noterete anche che ho attivato Disqus per i commenti. Per ora è la versione gratuita; se funziona, prenderò quella a pagamento per eliminare le pubblicità. Già così, poter moderare i commenti e anche rispondervi dalla stessa schermata unica è un risparmio di tempo incredibile.

Mancano per il momento tutti i commenti vecchi; li sto importando in Disqus. Potrebbe volerci un po’ di tempo (fino a 24 ore), visto che sono alcune decine di migliaia.

Come mai questo restyling? Dopo anni di accumulo di modifiche ad hoc, il blog era diventato ingestibile e pesantissimo; la cessazione da parte di Blogspot dell’invio delle notifiche ai commenti un mese fa, senza alcuna avvisaglia di voler riprendere, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

A imperitura memoria del vecchio aspetto del Disinformatico, ecco uno screenshot:



2018/07/04


Ho disattivato le pubblicità presenti nella versione gratuita di Disqus: erano squallidissime. Questo mi costa 108 dollari l’anno, ma ne vale la pena.

Poter editare e correggere i refusi nei miei commenti dopo averli pubblicati è una goduria.


2018/07/06 22:45


Come richiesto, il filetto verticale fra le due colonne di testo della versione per schermi grandi è ora grigio chiaro anziché rosso e i titoli degli articoli sono in nero invece che in arancione (tranne quando si visualizza una pagina di articoli; in questo caso i titoli sono arancioni perché sono link e quindi prendono il colore di default dei link e non ho tempo/competenza di cambiare questa cosa).

Ho attivato una sezione che elenca gli ultimi articoli commentati, una funzione che molti mi hanno chiesto e che c’era nella versione precedente. Il codice HTML che ho usato per attivarla è qui (grazie a chi me l’ha segnalato).

So che i commenti di Disqus compaiono solo nella versione per schermi grandi, mentre in quella per dispositivi piccoli compaiono i commenti in versione Blogger nativa; non ci posso fare niente, per quel che ne so. Se volete usare Disqus su uno smartphone, provate a visualizzare la versione per schermi grandi.

Ruspadana, l’app per “giocare” a schiacciare gli immigrati con la ruspa. Approvata da Apple

Ultimo aggiornamento: 2018/06/30 20:35.

Tre “sviluppatori”, Matteo Barni, Giampiero Salemme e Marco Romano, hanno creato un’app, Ruspadana, nella quale il gioco consiste nello schiacciare immigrati di colore con una ruspa per “proteggere la patria”, con lo slogan “Aiuta Ruspadana a fermare l’invasione! Ripulisci le strade, rimuovi gli ostacoli. E goditi le Alpi”.

Non solo: l’hanno inviata all’App Store, che gliel’ha approvata e pubblicata.

Quando me l’ha segnalata @frankiehinrgmc ho pensato che si trattasse di un fotomontaggio, ma mi sono dovuto ricredere: ho trovato la recensioni perplessa di Macitynet, e poi il link all’app nell’App Store (copia su Archive.is), e così ho invitato i miei lettori a chiamare Apple per segnalare la cosa.



Ho anche mandato un paio di tweet al supporto Apple e a Tim Cook.





La reazione di Apple è stata questa, secondo quanto riferito da chi l’ha contattata telefonicamente:





La risposta pubblica degli autori su Twitter è stata questa: si tratterebbe di “satira”.



Molti altri hanno segnalato l’app (Luca Sofri; recensione basita su iPhoneItalia) e notato il fatto che i nomi degli sviluppatori corrispondono a quelli di persone provenienti dalla Apple Academy di Napoli (ma non si può escludere, per ora, una sorprendente omonimia):









A parte la cretineide di fare un’app del genere pensando che sia “satira” (test: se l’app l’avesse fatta un musulmano per schiacciare le donne bianche, sarebbe stata “satira”? Se l‘app avesse mostrato nazisti che schiacciano ebrei con le ruspe, sarebbe stata “goliardia”?), Ruspadana è chiaramente in violazione delle linee guida di Apple, che in teoria degli sviluppatori di Apple Academy dovrebbero conoscere e che gli esaminatori di Apple dovrebbero saper applicare (evidenziazioni mie):

1.1.1 Defamatory, discriminatory, or mean-spirited content, including references or commentary about religion, race, sexual orientation, gender, national/ethnic origin, or other targeted groups, particularly if the app is likely to humiliate, intimidate, or place a targeted individual or group in harm’s way. Professional political satirists and humorists are generally exempt from this requirement.
1.1.2 Realistic portrayals of people or animals being killed, maimed, tortured, or abused, or content that encourages violence. “Enemies” within the context of a game cannot solely target a specific race, culture, real government, corporation, or any other real entity.


Poche ore dopo, l’app è stata rimossa dall’App Store ed è scomparso da lì anche il profilo dello sviluppatore Matteo Barni. Questo è uno screenshot del profilo, dal quale risulta che l’unica app a lui intestata è Ruspadana:



2018/06/30 20:35


Rosita Rijtano su Repubblica racconta la vicenda e intervista i responsabili dell’app, raccogliendone le giustificazioni.


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2018/06/29

Podcast audio e video del Disinformatico del 2018/06/29

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi (29 giugno) del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera.

Tutti i podcast (audio) più recenti sono ascoltabili in streaming e scaricabili da questa pagina del sito della RSI; lo streaming video integrale, se disponibile, è archiviato qui oppure presso www.rsi.ch/web/webradio ed è incorporato qui sotto. Buon ascolto e buona visione!

Telecamere via Internet vulnerabili, alcune mandano da sole i video a qualcun altro

Non è la prima volta che parlo di telecamere IP vulnerabili perché mal configurate dagli utenti che non ne cambiano le ridicolissime password predefinite o vendute con falle di sicurezza che permettono a un intruso di intercettare le immagini trasmesse. Un esempio classico arriva dalla Shenzhen Gwelltimes Technology Co., Ltd, un’azienda che produce telecamere da connettere a Internet vendute con vari marchi (tipo FREDI) e ricche di falle imbarazzanti.

Le password predefinite sono “123” e l’app Yoosee consente di gestire le telecamere senza dover cambiare queste password; le telecamere sono numerate in sequenza, per cui un aggressore può sfogliarle tutte semplicemente cambiando un numero nel link pubblico. I risultati sono inevitabili, come racconta Jamie Turman, una madre della South Carolina: ignoti hanno preso il controllo della sua telecamerina IP, usata per tenere d’occhio il figlio Noah, spiando la donna e seguendola mentre si spostava nella stanza del bambino. Si è accorta che la telecamera cambiava posizione, puntando esattamente la zona dove lei regolarmente allattava il figlio.

Questo tipo di intrusione, però, richiede che un intruso si dia da fare per trovare le telecamere vulnerabili e le violi. Ci sono marche che fanno di più: la Swann Security ha messo in commercio una di queste telecamere che manda spontaneamente i video agli sconosciuti, senza che loro debbano fare nulla.

Lo ha segnalato la BBC, e la Swann si è giustificata dicendo che due esemplari della loro telecamera sono stati fabbricati per errore con lo stesso identificativo e comunque gli utenti si sarebbero dovuti accorgere che qualcosa non quadrava quando la telecamera, durante il pairing, ha avvisato che era già abbinata a un account. Il problema dovrebbe essere stato circoscritto, ma la figuraccia probabilmente no.


Fonti aggiuntive: Engadget, Bleeping Computer, BoingBoing.

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Cerchi nel grano, davvero impossibili per gli esseri umani?

Fonte: Tio.ch, 6/6/2018, pag. 7.
Qualche giorno fa sui giornali svizzeri è uscita la notizia di un cerchio nel grano comparso in un campo a Uster (Canton Zurigo). Secondo quanto riportato dai media, alcune persone, compreso il proprietario del campo, identificato solo come Hanspeter S*, ritengono che non possa essere opera umana.

“Non può averlo fatto l’uomo”, titola Tio.ch. Ma in realtà si tratta di un “cerchio” piuttosto semplice da realizzare. Lo so, perché ne ho fatti anch’io, e anche di più complessi, sotto la guida di un maestro di questa arte, Francesco Grassi.

Francesco spiega le proprie tecniche e la storia decisamente curiosa dei cerchi nel grano nel suo libro Cerchi nel grano - Tracce di intelligenza (Edizion STES) e periodicamente offre una dimostrazione pratica di come si creano queste formazioni.

Quest’anno ha costruito un cerchio decisamente complesso in Italia, a Virle (Piemonte), nel corso di una sola notte, fra il 16 e il 17 giugno, coordinando una ventina di persone e con il consenso del proprietario del campo. Questo è il risultato:

Cascina Geronima/Virle 2018, new #cropcircle in Italy made by Francesco Grassi and his team at Giuseppe Chiaretta's farm, Cascina Geronima, Italy, #piedmont. This crop circle had been created during the night between June 16 and June 17 2018. Thanks to Giuseppe Chiaretta (Cascina Geronima). Pictures © Francesco Grassi. Francesco Grassi made this artwork during the night between June 16 and June 17 2018 with his team: Antonio Ghidoni Rodolfo Rolando Stefano Bardelli Ennio Legrottaglie Federico Lino Monica Mautino Davide Bellettini Roberto Camisana Matteo Carancini Vanni De Luca dilens_dilenzia Matteo Gentini Paolo Marelli Graziella Morace Piersilvio Oglio Lorenzo Paletti Matteo Pierini Francesco Sblendorio Rosita Sormani Annalisa Tuccia Carlo Ungarelli Max Vellucci Alberto Zaffaroni Thanks for enjoying my #art.
Un post condiviso da Francesco Grassi (@francesco.grassi66) in data:


Potete seguire Francesco Grassi anche su Twitter (@francescograssi).

“Ma che male fa inoltrare una bufala?” In india porta al linciaggio di un innocente

Molti pensano che la cosa più giusta da fare, quando vedono un video che diffonde un allarme, sia inoltrarlo a tutti i propri amici perché non si sa mai, potrebbe essere utile. Ma è pericolosissimo. Dall’India arriva un esempio terribile di questo comportamento tanto diffuso quanto sbagliato.

In India è diventato virale un breve video che mostra, a prima vista, due persone in moto che rapiscono un bambino per strada. Ma in realtà si tratta di una ricostruzione fatta con attori e realizzata in Pakistan per sensibilizzare la popolazione al problema dei rapimenti di bambini.

La versione originale si conclude con un messaggio di prestare attenzione, tenuto in mano da uno dei finti rapitori, ma la versione che circola in India è stata tagliata da ignoti irresponsabili per togliere questa scena finale che rivela che si tratta di una finzione. Il risultato di questo taglio è che ora il video viene creduto vero dalla popolazione.

La polizia lo ha smentito ripetutamente, ma il video continua a circolare su WhatsApp insieme a messaggi che parlano di centinaia o migliaia di rapitori di bambini che sarebbero entrati in India. Questi falsi allarmi sono stati amplificati anche dalle TV locali, che non si sono prese la briga di compiere verifiche.

Il risultato terribile di questa psicosi di massa è che un uomo di 26 anni, Kaalu Ram, è stato ucciso dalla folla. Era a Bangalore, una delle più grandi e moderne città indiane, in cerca di lavoro. Alune persone del posto lo hanno accusato di essere un rapitore di bambini e lo hanno legato e trascinato per strada, dove uomini e donne l’hanno massacrato di calci, mentre altri riprendevano con i loro telefonini. Kaalu è morto mentre lo portavano in ospedale.

Se vi viene il dubbio che una psicosi del genere non possa succedere da noi, ho solo due parole da aggiungere: Blue Whale.



Identificare il titolare di una numerazione SMS breve in Svizzera

Se siete sulla rete cellulare svizzera e avete ricevuto degli SMS da numeri brevi (short number), lunghi da tre a cinque cifre, per esempio in relazione a offerte di oroscopi o abbonamenti a siti pornografici, probabilmente vi state chiedendo chi ve li stia mandando e magari vorreste contestarli o bloccarli.

In questo caso può essere utile consultare i siti dei principali operatori cellulari svizzeri, che hanno predisposto delle apposite pagine Web.

Quella di Salt consente la ricerca per numero breve o per nome del fornitore dei servizi via SMS e ne restituisce l’indirizzo e i recapiti telefonici, mail e Web insieme a un comodo riepilogo dei comandi standard da inviare per esempio per cancellarsi da un servizio.

La pagina di Swisscom permette la ricerca in base al numero, al nome o al merchant ID del fornitore (riportato nella vostra fattura, se siete abbonati ai suoi servizi) e fornisce tutti i recapiti e l’elenco dei comandi standard, insieme ai relativi costi.

La pagina di Sunrise consente la ricerca dei fornitori in base al numero, tramite un menu a tendina che ne elenca i nomi oppure in base alla categoria.

Per maggiori informazioni su questi servizi SMS/MMS (SMS premium) c’è inoltre una pagina apposita dell’Ufficio Federale delle comunicazioni (UFCOM) che include il codice di comportamento di questi fornitori di servizi.

2018/06/28

Fake news e false citazioni

Credit: Bufale e Dintorni (2013).
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. È una frase che avete sicuramente letto o sentito tante volte. È una citazione celebre, ma di chi? Provate a pensarci un momento.

Intanto ve ne propongo un’altra, che circola moltissimo su Internet in questo periodo: “Quando un governo non fa gli interessi del popolo bisogna cacciarlo con pietre e bastoni”. Chi l’ha detta?

Se avete attribuito la prima frase al gerarca nazista Joseph Goebbels e la seconda a Sandro Pertini, aspettate a darvi una pacca sulla spalla: come tanti altri internauti, siete vittime anche voi di una particolare forma di fake news, ossia le fake quote, che in italiano sono le citazioni false. Le frasi in questione, infatti, non sono mai state pronunciate dai personaggi storici ai quali vengono così spesso attribuite erroneamente.

La tecnica della falsa citazione consiste nell’attribuire a una persona autorevole o molto conosciuta il concetto che si vuole esprimere e che normalmente sarebbe impresentabile, ma che se viene espresso tramite quel personaggio storico o celebre diventa subito sdoganabile e anzi rimane impresso e rafforzato nella propria efficacia.

Per esempio, se la frase sulle bugie ripetute che diventano verità viene attribuita a Goebbels, tristemente noto per la sua gestione della propaganda nazista, si ammanta di credibilità, vista che l’ha pronunciata un esperto del settore; un esperto in negativo, ma pur sempre un esperto. Se la citazione sui governi da cacciare con pietre e bastoni viene attribuita a una figura storica e politica come quella del presidente della Repubblica Pertini, diventa inattaccabile e immune a qualsiasi critica.

Le citazioni falsamente attribuite, insomma, funzionano molto bene, specialmente nei social network, dove la concisione è fondamentale e circolano sotto forma di meme, ossia di un’immagine del personaggio accompagnata da una didascalia che riporta la citazione. Materiale facile da produrre e condividere e adatto a qualunque social network.

Verificare l’autenticità di una citazione celebre non è affatto facile, anche perché digitarla in Google non fa altro che evocare i tantissimi siti che la riportano. Bisogna esplorare gli archivi storici, che spesso non sono disponibili via Internet.

Nel caso della citazione di Pertini, per esempio, è stato necessario interpellare direttamente la Fondazione Sandro Pertini, che ha rilasciato una smentita formale.

Per la frase di Goebbels occorre esaminare immensi archivi in tedesco, non certo facilmente accessibili. Una mia ricerca sommaria indica che una forma alternativa di questa citazione fu usata dall’Office of Strategic Services statunitense, non da Goebbels, per descrivere il profilo psicologico di Hitler:

“His primary rules were: never allow the public to cool off; never admit a fault or wrong; never concede that there may be some good in your enemy; never leave room for alternatives; never accept blame; concentrate on one enemy at a time and blame him for everything that goes wrong; people will believe a big lie sooner than a little one; and if you repeat it frequently enough people will sooner or later believe it.

Fonte: CIA.gov, pag. 46 del PDF.

Di conseguenza conviene partire dal presupposto che ogni citazione sia falsa fino a prova contraria: se non ne viene indicata la fonte e la data precisa e verificata, è probabilmente apocrifa e quindi è meglio non usarla per sostenere le proprie argomentazioni, che se sono buone possono benissimo reggersi senza queste grucce d’argilla.

È amaro constatare che la regola falsamente attribuita a Goebbels si confermi vera: è in effetti “l’esempio perfetto di come una bugia ripetuta mille volte, diventi la verità”, come nota il sito Bufale un tanto al chilo che l’ha indagata.

Come diceva Abramo Lincoln, insomma, non bisogna mai fidarsi ciecamente degli aforismi trovati su Internet. E se l'ha detto Lincoln, sarà vero. Giusto?

2018/06/26

Blogspot ancora in tilt, sospendo i commenti

Come ho segnalato a fine maggio, la gestione dei commenti di Blogspot è in crisi e ormai sono passate quattro settimane senza alcun miglioramento.

Non ricevo più da Blogspot le mail contenenti i testi dei commenti inviati e in attesa di approvazione, per cui spesso non so di avere commenti in coda per l’approvazione. Non mi arrivano neanche le mail di notifica dopo la pubblicazione di un commento.

Vengo a sapere dell’arrivo di nuovi commenti soltanto tramite l’interfaccia Web di Blogger, che però non mostra tutto il testo del commento. È solo questione di tempo prima che qualche imbecille si renda conto che non posso leggere il contenuto completo dei commenti prima di approvarli e ne approfitti per ficcare qualche schifezza nella parte di commento che non posso vedere.

Di conseguenza, ho sospeso completamente i commenti (tecnicamente restano abilitati ai commenti soltanto i membri del blog, ma all’atto pratico non commenta nessuno). Se avete refusi da segnalarmi o commenti da fare, scrivetemi a paolo.attivissimo@gmail.com.

Vado a cercare una soluzione alternativa. Scusate l’inconveniente.

Se l’ex ti molesta e spia tramite l’Internet delle Cose

Quando finisce un amore, probabilmente l’ultima cosa che si ha in mente è la gestione delle password e dei dispositivi informatici che si hanno in condivisione. Eppure molte persone, soprattutto donne, stanno scoprendo che queste password e questi dispositivi stanno purtroppo diventando armi di molestia e persecuzione nelle mani di ex partner violenti e possessivi.

Il New York Times ha pubblicato di recente un’indagine sulle vittime di questa nuova forma di tormento a distanza: tante persone, dopo la fine di una relazione, hanno scoperto che l’ex partner aveva ancora le password dei loro account di mail e dei social network e poteva quindi spiare la loro corrispondenza e seguire i loro spostamenti e rapporti sociali. Ma soprattutto aveva il controllo dei dispositivi digitali di gestione della loro casa: accendeva e spegneva a piacimento l’aria condizionata, il riscaldamento e le luci domestiche, faceva suonare il citofono o comandava gli altoparlanti “smart” per suonare musica ad altissimo volume nel cuore della notte oppure spiava in casa attraverso le telecamere di sicurezza collegate a Internet. Telecamere installate, paradossalmente, per sentirsi più sicuri.

Chi commette questi abusi sfrutta queste tecnologie per continuare ad esercitare un controllo ossessivo sulle proprie vittime, che si sentono particolarmente impotenti. Dal punto di vista legale, infatti, questo genere di intrusione spesso non è coperto dagli ordini restrittivi o dagli accordi di divorzio. Si tratta di un problema nuovo che gli avvocati spesso faticano a prendere in considerazione.

Cosa anche peggiore, le vittime di questo stalking spesso non vengono credute quando dicono che i propri ex partner le spiano e sanno tutto quello che dicono e fanno, perché molti non pensano alle informazioni disseminate dai dispositivi informatici e non immaginano che un ex possa arrivare a tanto.

Possono sembrare problemi tipicamente americani, ma i dispositivi domestici connessi a Internet per gestirli a distanza stanno prendendo piede anche da noi. Sta diventando difficile comprare elettrodomestici che non abbiano una connessione Wi-Fi: ho cercato di recente una lavatrice-asciugatrice nuova per il Maniero Digitale e ho trovato solo modelli da collegare a Internet e gestire tramite app, cosa che ho prontamente disattivato.

Inoltre nel mio lavoro di giornalista informatico ho seguito diversi casi di donne maltrattate fisicamente dai partner e poi perseguitate da quei partner anche dopo la fine della relazione e della coabitazione, attraverso il monitoraggio e il controllo dei loro dispositivi digitali, per esempio tramite un’app di tracciamento installata di nascosto sul loro smartphone o una password di Gmail condivisa quando l’ex partner non era ancora ex. Le donne non riuscivano a capire come facesse il loro ex a sapere sempre dove andassero e a raggiungerle sul posto, angosciandole con la sua presenza o con nuove violenze: erano tradite dal proprio smartphone, sul quale era attiva la geolocalizzazione, accessibile al loro aguzzino.

Rimediare non è facile. Il gesto drastico e istintivo di staccare o sostituire tutti i dispositivi informatici, compresi computer e smartphone, ha costi notevolissimi. Cambiare account di mail e sui social network significa isolarsi dai rapporti umani proprio in un momento particolarmente difficile della propria vita. Cambiare le password dappertutto, anche sul router Wi-Fi di casa, richiede competenze che non tutti hanno e quindi comporta spesso l’intervento di una persona esperta e soprattutto di fiducia, che va cercata al di fuori della cerchia degli amici che si hanno in comune con il proprio ex perché a volte questi “amici” sono in realtà complici dell’ex possessivo.

Essere consapevoli del problema è comunque il primo passo per risolverlo, per esempio includendo negli accordi di separazione anche la consegna delle password di casa e la condivisione delle spese tecniche per cambiarle, esattamente come si fa per le chiavi di casa e per il cambio delle serrature.

Inoltre conviene sostituire lo smartphone con un telefonino vecchio stile, che non è hackerabile; si mantiene lo stesso numero di telefono e si usano gli SMS al posto di WhatsApp.

È paradossale che una delle difese più efficaci ed economiche contro questo tipo di persecuzione sia il regresso tecnologico, ma funziona.

Come si lavora al Corriere? A volte così

Ultimo aggiornamento: 2018/06/26 10:40.

Spesso vengo criticato perché infierisco sui giornali che sbagliano notizie di poco conto. Ma questi sbagli, se sono ripetuti e sistematici, rivelano il metodo di lavoro della redazione e rendono evidente la scarsa qualità della selezione dei collaboratori. E resta sempre quel dubbio di fondo: ma se una redazione sbaglia persino notizie così semplici come la morte di una persona celebre, quanti altri sbagli fa di cui non ci accorgiamo?

Prendete il caso, di per sé modesto, del Corriere della Sera e del suo annuncio della morte di Richard Harrison (pseudolink; copia su Archive.is), segnalatomi via Twitter da @marcoazzena:


Guardate il secondo paragrafo e in particolare questa frase:

Agli inizi degli anni ‘60 si era trasferito nel nostro paese per lavorare in alcuni film del genere spaghetti western ma anche in alcuni polizieschi. Tra i suoi successi di quegli anni: «Un gladiatore invincibile», «Colpo maestro al servizio di Sua Maestà britannica», «Le spie uccidono a Beirut». Nel suo curriculum anche una apparizione nello sceneggiato Rai del 1978 «Il balordo».

È curiosamente simile a questa pagina di Wikipedia in italiano:

All'inizio degli anni sessanta si trasferì in Italia dove fu protagonista di molti film di genere, generalmente considerati b-movies: peplum, spaghetti-western, poliziotteschi e film di spionaggio. Ha lavorato anche in televisione (è apparso fra l'altro nello sceneggiato televisivo Rai del 1978 Il balordo, girato al fianco di Tino Buazzelli). Fra i suoi maggiori successi, vanno citati Il gladiatore invincibile, Colpo maestro al servizio di Sua Maestà britannica e Le spie uccidono a Beirut.

Ma il vero problema è che la pagina di Wikipedia non è quella del Richard Harrison scomparso: è quella di un altro Richard Harrison. Questo.

Come ha fatto la redazione del Corriere a includere queste informazioni errate nel necrologio di Richard Benjamin Harrison? Sono troppo malizioso se sospetto che invece di consultare qualche fonte autorevole specialistica (che so, questo articolo di Variety, la Bibbia del mondo dello spettacolo americano, che ho trovato in tre secondi con Google) abbia pigramente digitato “Richard Harrison” nella Wikipedia italiana e abbia dato per buono il primo risultato, senza controllarlo e senza notare che le foto delle due persone sono completamente differenti?

A sinistra il Richard Harrison sbagliato; a destra quello giusto. Credit: Wikipedia.

Ho segnalato la questione pubblicamente al Corriere via Twitter, perché so per esperienza che segnalare privatamente significa perdere tempo ed essere ignorati. Senza una figuraccia pubblica certe redazioni non si muovono.




Se davvero si lavora così nelle redazioni, non ditemi che la colpa delle fake news è di Internet.


2018/06/26 10:40


Il Corriere ha rettificato l’articolo e pubblicato una nota di correzione:

In una prima versione di questo articolo, per errore, sono state utilizzate informazioni riportate da agenzie di stampa relative all’attore Richard Harrison, e non a Richard Benjamin Harrison. Ce ne scusiamo con i lettori.

Un evento raro, nel panorama della stampa italiana, che preferisce negare o rimuovere piuttosto che rettificare pubblicamente. Speriamo che sia un buon segno.


Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2018/06/22

Ci vediamo il 23 sera a Macerata?

Il 23 giugno, come preannunciato nel mio calendario pubblico, sarò a Macerata per il Festival dell’Astronomia. Alle 22.15 sarò in piazza Cesare Battisti per parlare di tesi di complotto intorno agli sbarchi sulla Luna. L’appuntamento era pianificato da tempo, ma queste tesi sono diventate ancor più di attualità dopo le recenti dichiarazioni di Carlo Sibilia, sottosegretario dell’Interno del governo italiano, secondo il quale gli allunaggi sarebbero stati una “farsa” e sarebbero un evento “controverso”.

Sarà un’occasione non solo per chiarire dubbi ma anche per mostrare immagini rare e raccontare aspetti poco conosciuti, curiosi, divertenti ed emozionanti delle missioni spaziali storiche.

Porterò con me le ultime copie cartacee del mio libro sull’argomento, Luna? Sì, ci siamo andati!

Per maggiori informazioni, visitate il sito del Festival, Galassica.it, dove trovate il programma completo.

Podcast del Disinformatico del 2018/06/22 (anche video)

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi (22 giugno) del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera.

Tutti i podcast (audio) più recenti sono ascoltabili in streaming e scaricabili da questa pagina del sito della RSI; a volte c’è anche lo streaming video integrale, qui oppure presso www.rsi.ch/web/webradio. A 37 minuti circa mostro un paio dei miei cimeli lunari. Buon ascolto e buona visione!

Perché PayPal mi dice che devo aggiornare il browser?

Se avete ricevuto una mail che sembra provenire da PayPal e vi avvisa che il browser che state usando “non è compatibile con i nostri standard di sicurezza e non sarà più supportato”, niente paura: stavolta non è un tentativo di truffa, e il link incluso nel messaggio porta davvero a una pagina di aiuto di PayPal e non a qualche sito di malfattori.

Il 30 giugno, infatti, verranno ritirati i vecchi protocolli di cifratura e sicurezza Transport Layer Security (TLS) e HTTP e verranno supportate solo le versioni dalla 1.2 e 1.1 in su, rispettivamente. Quelle precedenti non sono più sicure e vanno sostituite con le versioni aggiornate in modo da poter continuare a fare acquisti online in modo protetto. PayPal ha già avvisato i siti di commercio elettronico che devono adeguarsi: dopo il 30 giugno i vecchi protocolli non funzioneranno più.

Noi utenti non dovremmo avere problemi se usiamo browser recenti. Se avete dubbi, consultate l’elenco di browser compatibili presso Salesforce oppure usate il test apposito di PayPal presso tlstest.paypal.com: se compare “PayPal_Connection_OK” siete a posto e non dovete fare nulla.

Attenzione a chi offre Fortnite per Android: è una trappola

Non esiste ancora una versione ufficiale di Fortnite Battle Royale per dispositivi Android, e così i truffatori si sono scatenati a proporne finte “versioni craccate” o “anteprime” per gli smartphone di questo tipo. Non cascateci: sono trappole che possono costare moltissimo perché infettano i dispositivi e prelevano soldi dal conto prepagato o dall’abbonamento.

Digitare fortnite in Google Play produce una schiera notevole di risultati: ma nessuno è della Epic Games.

Youtube è appestata da video che annunciano trucchi per avere Fortnite per Android, dicono che l’app è nel Play Store (falso) o che c’è una versione non ufficiale o un’APK scaricabile andando a un sito che non è il Play Store e abilitando l’opzione per installare app da fonti sconosciute. Non credeteci.

La società di sicurezza informatica Sophos ha provato a scaricare una di queste false app di Fortnite, pubblicizzata in uno dei tanti video presenti su Youtube, e ha scoperto che l’app contiene soltanto un gioco rudimentale ma soprattutto attiva l’invio di SMS a pagamento.

Queste immagini sono state raccolte dai ricercatori di Sophos:




Pazientate, insomma, oppure procuratevi un dispositivo che già supporta Fortnite (PC e Mac, Xbox, Playstation e iPhone/iPad), come descritto in questa pagina del sito ufficiale.

Il lucchetto “smart” Tapplock è ancora più vulnerabile. E non è il solo

Ricordate la storia del lucchetto “smart” da cento dollari della Tapplock, che trasmette pubblicamente il proprio codice di sblocco? Già questo è un disastro informatico, ma c’è di peggio: è emerso che il sito Web attraverso il quale si gestiscono questi lucchetti, se interrogato con un semplice comando, rivelava non solo tutti i dati necessari per calcolare il codice di sblocco ma anche la localizzazione di ogni singolo lucchetto Tapplock.

La falla è stata risolta, ma la figuraccia no.

Un’altra azienda, della quale non è stato rivelato il nome, ha fatto ancora di peggio. Ha mandato uno dei suoi lucchetti smart a LockPickingLawyer, un esperto di sicurezza fisica, e quando lui ha fatto notare che il lucchetto era apribile semplicemente svitando tre viti, ha risposto che “il lucchetto è invincibile per chi non ha un cacciavite”:


La lista dei PIN più usati

Questi sono i primi dieci PIN più usati al mondo secondo le ricerche di Troy Hunt, che mette a disposizione un database di circa 306 milioni di password provenienti da vari furti di massa.

1234
1111
1342
0000
1212
1986
4444
7777
6969
1989

I dieci successivi sono:

2222
5555
2004
1984
1987
1985
1313
5678
8888
9999

Secondo questa ricerca cinese c‘è una certa variabilità regionale: per esempio, i primi tre PIN cinesi più frequenti sono 1234, 1314 e 2008. Il primo non è una sorpresa, ma gli altri due come si spiegano? Secondo la ricerca, 1314 in cinese somiglia molto a “per sempre” e 2008 è l’anno in cui le Olimpiadi si tennero a Pechino.

L’aspetto più sorprendente è la popolarità di questi PIN: sarebbe possibile indovinare oltre il 23% dei PIN cinesi usando solo questi primi dieci. La percentuale scende, si fa per dire, al 14% negli Stati Uniti. Secondo questa indagine, 1234 è talmente diffuso a livello mondiale che è usato da un utente su dieci.

In altre parole: se usate uno di questi primi dieci PIN, un ladro che vi ruba lo smartphone ha delle ottime probabilità di sbloccarlo in poco tempo. Soluzione semplice: non usate questi PIN.

2018/06/21

Due chiacchiere con Katee Sackhoff (Battlestar Galactica) alla FedCon


Grazie agli organizzatori della Fedcon, la grande convention di fantascienza, fantastico e scienza tenutasi a Bonn il mese scorso, ho avuto l’occasione di intervistare brevemente Katee Sackhoff, l’interprete di Starbuck/Scorpion in Battlestar Galactica. Ecco la mia traduzione dell’intervista: trovate l’originale in inglese qui (grazie a Lisa “AlcoholicRobot” per la trascrizione).

Paolo: Prima di tutto, che rapporto hai con la scienza e la tecnologia? Sei un’Androidiana o un’iPhoniana?

Katee: Ho un pessimo rapporto con la tecnologia! Tutta la tecnologia mi spaventa. Ho un iPhone solo perché ho tentato di passare a un Android ma il mio iPhone non voleva... Il mio numero non ne voleva sapere di trasferirsi sul telefono nuovo e tutti i miei SMS non arrivavano. È stato un incubo ed ero a Dubai e non riuscivo a fare chiamate, per cui ho tirato fuori la SIM e sono andata a comprarmi un iPhone, ho rimesso la SIM in un iPhone a Dubai e ho fatto “fiuu!” [scampato pericolo]. Per cui sì, se potessi avere un telefonino a conchiglia [flip phone] lo userei.

P: Torneresti a un telefonino non smart?

K: Oh, Dio, sì, in un batter d’occhio!

P: Mia moglie ne ha uno.

K: Odio il fatto che viviamo in un mondo nel quale sei istantaneamente reperibile e la gente si arrabbia se non sei accessibile, hai presente? Oppure ti mandano una mail e quando non rispondi immediatamente, mica ti richiamano, ti mandano semplicemente un’altra mail, ma io non controllo il mio telefono per prima cosa la mattina. Per cui sì, non vado d’accordo con la tecnologia. Cercare di trovare un forno, oggi, è la cosa più difficile che ti possa capitare, perché adesso ci sono i forni smart. Io non voglio un forno smart, voglio accenderlo e voglio che si scaldi e non mi serve che il mio forno mi dica come arrostire un pollo; non ho bisogno che il mio forno mi dica quando girare il vassoio se sto facendo dei biscotti... voglio semplicemente accendere quello stramaledetto coso. È dura, non esistono.

P: Lo so, lo so, anche mia moglie ha lo stesso problema! Seconda domanda: a proposito di tecnologie, so che ti piacciono molto le moto.

K: Sì!

P: Hai già provato le moto elettriche?

Credit: Zero Motorcycles.

K: Non ho mai provato una moto elettrica.

P: Lo faresti?

K: No.

P: [ridendo] Come mai?

K: È tutta una questione, secondo me, di sicurezza. Io credo fermamente che gli scappamenti rumorosi salvano vite [loud pipes save lives, slogan molto diffuso fra i biker]. E credo che più è rumorosa una moto, più diventi visibile, specialmente a Los Angeles. Non so se voglio cavalcare qualcosa di così silenzioso. Voglio dire, l’altro giorno sono stata quasi investita da una Prius perché come pedone che attraversava la strada non la sentivo. Per cui non riesco a immaginare, con le auto che cambiano corsia così allegramente come fanno a Los Angeles, di non trovarti nei guai. Detto questo, mi piacciono molto le bici [elettriche], perché ti aiutano a superare le salite.

P: Quindi non proveresti una moto elettrica neanche su una pista?

K: Sì, certamente, in un ambiente controllato lo farei assolutamente, e a un certo punto forse non avremo scelta. Voglio dire, non credo che succederà nel corso delle nostre vite, ma forse in quelle dei figli dei nostri figli, il petrolio non esisterà, per cui...

P: Questo mi porta alla mia terza domanda: sei molto impegnata sui temi dell’ambiente, le tue iniziative di Acting Outlaws sono meravigliose. Stai facendo molto per gli animali e la natura in generale. Ti va di parlarne?

K: Sì, certamente. Tricia Helfer [Numero Sei in Battlestar Galactica] ed io abbiamo fondato la società Acting Outlaws. Stavamo cercando un modo per combinare il nostro amore per il motociclismo con degli obiettivi filantropici, e in un certo senso è successo tutto facilmente e senza intoppi. Quando c’è stata la grave marea nera nel Golfo, in Louisiana, volevamo aumentarne la consapevolezza, perché era già passato un anno e la gente aveva... I nostri cicli di notizie sono così concentrati sul presente, così veloci e frenetici, che a distanza di un anno la gente non ne parla più. Così volevamo aumentare la consapevolezza del fatto che quel petrolio era ancora un problema e siamo andate in modo da Los Angeles alla Louisiana, parlando dell’argomento durante il tragitto, e abbiamo incontrato tante persone davvero interessanti.

Una delle persone migliori che abbiamo incontrato era un allevatore di bovini, mentre stavamo attraversando il Texas, una persona davvero adorabile. Ci siamo fermate sul ciglio della strada e lui è uscito chiedendosi “Ma cosa sta facendo questa gente?”, era una strada molto isolata, ed è uscito in accappatoio e ci ha chiesto “Cosa state facendo?” Gli abbiamo spiegato cosa stavamo facendo e in Texas un allevatore di bovini ci ha staccato un assegno da cinquanta dollari per una causa ecologica, cosa che per noi era un contrasto totale, visto che gli animali delle fattorie industrializzate sono fra i peggiori inquinatori dell’ambiente, e poi pensi al Texas e ai loro mega-camion e tanti animali in fattorie industriali e questo è lo stereotipo che ti viene in mente. Per cui ci siamo trovati con questa persona che è venuta e ci ha messo davanti agli occhi questa cosa e ci ha fatto dire "Ok, l’ambiente importa a tutti”. Tutti devono campare, ed è quello che fa questa persona, ma è stato un momento davvero cool per noi e ci siamo rese conto che quello che stavamo facendo era importante, l’ambiente è importante e abbiamo un solo pianeta, un solo corpo, per cui se lo distruggiamo...

P: Non c’è un Pianeta B [gioco di parole fra Plan B e Planet B].

K: Non andremo altrove. Quello che stiamo lasciando qui, per i nostri figli e le generazioni successive è uno stato di cose triste, tristissimo, e lasceremo loro qualcosa di irreversibile. Il problema del riscaldamento globale è che sarebbe stato meglio chiamarlo semplicemente “cambiamento climatico” sin dall’inizio, perché la gente non associa il riscaldamento del pianeta al cambiamento del clima. Quello che la gente non sembra capire è che il riscaldamento globale è questione di estremi di temperatura e di fluttuazioni e di irregolarità. Certo, esiste una progressione naturale sulla Terra, e siamo in un ciclo, e possiamo fare tutte queste argomentazioni; ma gli esseri umani stanno esacerbando la situazione e la stiamo accelerando, per cui credo che sia nostro dovere cercare di proteggere la Terra così come lei protegge noi.


P: Hai tempo per un’altra domanda conclusiva?

K: Sì.

P: Nel tuo ruolo, recitando nella fantascienza, hai ottenuto una piattaforma di visibilità. Credi che questo ti stia aiutando anche a comunicare la scienza, a infrangere la barriera, invece di predicare ai già convertiti, a gente che è già interessata alla scienza, e a coinvolgere persone nuove? Che tipo di reazione ottieni?

K: Credo di sì, un pochino. Penso che come attori abbiamo il dovere di capire qual è il limite del nostro ruolo e che ci sia un certo gruppo di persone che vogliono che gli attori facciano gli attori e basta e non abbiano opinioni e non aprano bocca perché non è per questo che quelle persone ci seguono, e questo lo capisco totalmente; ma c’è anche un altro gruppo di persone che desidera che usiamo questa piattaforma per qualcosa di più grande di noi. Lavorando nella fantascienza, trovo divertente che la gente dia per scontato che io sia intelligente. Dà per scontato che io sappia tante cose, che ami la scienza, che legga quotidianamente il New England Journal, che conosca tutte le novità della scienza e cose così. Ho un diploma di scuola superiore. Tutto quello che ho imparato l’ho appreso da sola e attraverso i miei viaggi per il mondo e parlando con la gente e cercando di assorbire come una spugna. Per cui credo di avere una voce e cerco di usarla, ma credo che se qualcuno è in cerca di sapere scientifico debba cercare persone molto più istruite di me. Poi io esaminerò quelle informazioni e le metterò in forma più digeribile e comprensibile.

P: Magnifico! Grazie mille.

Mi sono trattenuto qualche istante in più in chiacchiere personali con Katee, che è una persona cordialissima, aperta e piena di entusiasmo, e poi il tempo messomi a disposizione dagli organizzatori è finito e ho dovuto lasciare spazio alle altre interviste. Chicca: mentre uscivo dalla saletta delle interviste (perfettamente organizzata, con luci, poltrona, treppiedi e fondale Fedcon) è entrata Samantha Cristoforetti, anche lei ospite e relatrice alla FedCon. Ma questa è un’altra bella storia.




Katee Sackhoff ha appena annunciato la disponibilità del suo ultimo progetto cinematografico, 2036 Origin Unknown:




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An interview with Katee Sackhoff (Battlestar Galactica) at FedCon


The organizers of Fedcon, the huge science fiction/fantasy/science convention that was held in Bonn last May, kindly arranged an interview with Katee Sackhoff (Starbuck in Battlestar Galactica) for me during the convention, which hosted most of BSG’s cast as well as many other actors from Star Trek, Stargate and scientists from the European Space Agency.

Katee’s most recent movie project, 2036 Origin Unknown, has just become available:



As a Battlestar Galactica fan, it was a pleasure for me to meet Katee in FedCon’s perfectly organized and pleasantly quiet interview room. She is as spontaneous and delightful in person as she is captivating on screen.

Since I was at FedCon as a science writer (I write for Le Scienze, the Italian edition of Scientific American), my questions were focused more on science than on science fiction, so this is perhaps a rather unusual interview. Here it is in full: minor edits have been made for clarity. I'd like to thank Lisa “AlcoholicRobot” for the transcript.



P: First of all, what's your relationship with science and technology? Are you an Android person? Or an iPhone person?

K: So, uhm, I am terribly bad at technology. All technology scares me. I have an iPhone, only because I tried to switch to an Android and my iPhone wouldn’t... My number wouldn't go to the new phone and all my SMSs weren't coming through... It was a nightmare and I was in Dubai and I couldn't get numbers, so I took the SIM out and went and bought an iPhone and popped it back in an iPhone in Dubai, it was like "phew". So yes, if I could have a flip phone I would...

P: You would go back to a flip phone?

K: Oh, God, in a heartbeat!

P: My wife has one, yes.

K: I hate that we live in a world where you are instantaneously findable and if you’re not accessible people get mad at you, you know? Or they'll send you an e-mail and when you don't respond immediately... they won't call you, they'll just send you another e-mail, and it's like, but I don't check my phone first thing in the morning. So, yeah, I am really bad at technology. Trying to find an oven, now, is the hardest thing you will ever have to do, because there are smart ovens. I don’t want a smart oven, I want to turn on and my oven gets hot and I don't need my oven to tell me how to roast a chicken, I don't need my oven to tell me, you know, when to turn my pan if I'm making cookies... I just want to turn the darn thing on. It's hard, they don't exist.

P: I know, I know, my wife has the same problem! Second question: talking about technology, you’re a motorcycle enthusiast.

K: Yes.

P: Have you tried electric motorcycles yet?

K: I have actually never tried an electric motorcycle.

Credit: Zero Motorcycles.

P: Would you?

K: No.

P: (laughing) Why?

K: It actually has everything to do, in my opinion, with safety. So I'm a firm believer that loud pipes save lives. And I think that the louder the motorcycle, the more visible you become, especially in Los Angeles. So it is... I don't know if I would want to go on something that's so quiet, you know, I mean, I almost got hit by a Prius the other day because I couldn't hear it as a person crossing the street. So I can't imagine, you know, with cars switching lanes as readily as they do in Los Angeles that you wouldn't sort of, be in harm’s way. That being said, I do like the mechanical bicycles because it can help you get up a hill.

P: You’d never try an electric? Even on a racing circuit?

K: Yeah, of course I would, in a contained environment absolutely, and at some point we may have no choice, I mean I don't think in our lifetimes, but maybe in our children's children's lifetimes, you know, petrol won't exist, so...

P: This leads to my third question: you're very keen on environmental issues, your Acting Outlaws initiatives are wonderful. You're doing a lot for animals and for nature in general. Would you like to talk about that?

K: Yes, absolutely, so Tricia Helfer [Number Six in Battlestar Galactica] and I started the company Acting Outlaws. We really were searching for a way to sort of marry our love of motorcycle riding with philanthropic goals, and it sort of just happened easily actually and seamlessly. When the Gulf oil spill happened in Louisiana, we wanted to raise awareness somehow, because it was a year later and people had... Our news cycles are so current, they're so quick and fast-paced that, you know, a year after something people don't talk about it anymore, a week after something people don't talk about it anymore. So we wanted to raise awareness that oil was still an issue, and so we rode the motorcycles from Los Angeles to Louisiana and we sort of talked about it on the way there, and we met a lot of really interesting people.

One of the best people that we met was a cattle rancher on our way there through Texas, really lovely man. We stopped on the side of the road and he came out ’cause we was like "What are these people doing?", it was a very isolated road, and he came out in his bathrobe and was like "What are you guys doing?" And we explained him what we were doing and, you know, in Texas, a cattle rancher wrote us a check for fifty dollars for an environmental cause, which to us was so polar opposite because, you know, industrialized farm animals are some of the biggest pollutants to the environment, and then you sort of think about Texas and you think about big trucks and lots of industrial farm animals and that's just sort of where your mind stereotypically goes to. And so to have this person sort of come out and throw that in our faces and make us sort of go "Ok, the environment matters to everyone". Everyone needs to make a living, and that's what this person does but that was a really cool moment for us and we sort of realized that what we were doing was important, the environment is important and we only get one planet, like, one body so if we destroy it...

P: There's no planet B.

K: We're not gonna go somewhere else, you know, it's what we're leaving in this place as for our children and generations to come is a sad, sad state and we're gonna leave them with something that is irreversible. The problem with global warming is that it should've just been called climate change from the very beginning, because people don't associate the planet getting warmer with climate change. But what they don't seem to realize is that global warming is just temperatures extremes and fluctuations and irregularities, and yes, there is a natural progression to the earth and we are just cycling back and yes, we can make all these arguments, but human beings are exacerbating and we’re speeding it up, so I think it's our duty to sort of try and protect the earth the way that she's protecting us.



P: Do you have time for one more? Final question?

K: Yes.

P: In your role, acting in science fiction, this has given you a platform of visibility. Do you think that this is helping you to also communicate science? You're breaking the barrier, instead of preaching to the choir, to people who are already interested in science, and bringing new people in? What kind of reaction do you get?

K: I think so a little bit, I think as actors we sort of need to know our place a little bit as well, I think that there are a certain group of people that want actors to just be actors and not have an opinion and not open our mouths because that’s not what they are following us for, which I completely understand that, and then there are another group of people that want us to use that platform for something greater than ourselves. Being in science fiction, I think the funny thing is people just assume I'm intelligent. And they just assume that I know things and that I love science and I read the New England Journal on a daily basis, and I know everything about new science or whatever. I have a high school diploma. Everything I learned in my mind is self-learned and from world travel and talking to people and trying to be a sponge. So I do believe that I do have a voice and I try to use that, but I think if anyone is looking for scientific knowledge they should look at people that are much more educated than I am and then I will dissect that information and put it in a palatable, more understandable form.

P: That’s wonderful! Thank you very much.


We chatted off the record a little longer and then my time was up. Final surprise: as I said goodbye and left the interview room, a familiar face appeared. It belonged to Italian astronaut Samantha Cristoforetti, who was also on stage at Fedcon to talk about her experience in space. She posted a wonderfully geeky tweet with Katee Sackhoff:




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Combattere le fake news con il Tramezzino di Verità

George Lakoff. Fonte: Wikipedia.
Ultimo aggiornamento: 2019/06/21 21:10.

Si dice spesso che smentire pubblicamente una notizia falsa non fa che ripetere ulteriormente quella notizia e quindi paradossalmente tende a rinforzarla e farla rimanere nei ricordi delle persone. Molti personaggi pubblici, compresi i politici, conoscono questa regola e la sfruttano per usare i media a proprio vantaggio, praticamente obbligando i giornalisti a ripetere le loro dichiarazioni perché fanno notizia.

Per esempio, se dico “Non è vero che il nonno di Gianni Morandi era un clandestino a bordo del Titanic”, il concetto che probabilmente vi resterà in mente non è la smentita, ma l’idea che il nonno di Morandi fosse davvero un clandestino. È un’immagine accattivante, per quanto falsa e assurda, ed è decisamente più memorabile di un arido “non è vero che”, e quindi la smentita diventa un autogol che contribuisce alla memorizzazione e diffusione della notizia falsa.

Oggi che scriviamo tutti in pubblico attraverso i social network, questo problema di come articolare una smentita in modo da evitare che diventi un rinforzo della notizia falsa non riguarda più soltanto chi fa comunicazione tradizionale, ma può interessare chiunque.

Per fortuna esiste una tecnica comunicativa che aiuta a risolvere il problema, perlomeno secondo lo studioso di scienze cognitive George Lakoff della University of California, Berkeley. Ha un nome piuttosto curioso: “truth sandwich”, ossia “tramezzino di verità”.

Si chiama così perché consiste nel costruire la smentita presentando per primissima cosa il quadro generale dei fatti, poi citando brevemente la notizia falsa e infine spiegando in dettaglio perché è falsa. La notizia falsa è, per così dire, inserita come farcitura fra due strati di verità.

Pignoleria: se state pensando che in realtà si dovrebbe chiamare “tramezzino di bugie” perché i tramezzini si descrivono in base alla farcitura, avete perfettamente ragione, ma Lakoff ha scelto così, e del resto “tramezzino di bugie” indubbiamente sarebbe stato un brutto nome.

Per esempio, considerate il caso delle recenti immagini e dei file audio agghiaccianti che arrivano dagli Stati Uniti e mostrano i bambini dei migranti ammassati e rinchiusi in gabbie, separati dai propri genitori nei centri di detenzione governativi.

Fonte: US Border Patrol/Avvenire.


Il modo tradizionale di smentire le dichiarazioni false del presidente Trump, che dice testualmente “siamo costretti a spezzare le famiglie [...] quella legge ce l’hanno data i democratici e non vogliono farci niente” (“We have to break up families. The Democrats gave us that law. It’s a horrible thing. We have to break up families. The Democrats gave us that law and they don’t want to do anything about it.”), sarebbe quello di dire “Trump incolpa i Democratici, ma non è vero che è colpa loro. Ecco perché.” Ma così facendo resta in mente principalmente il concetto che sono stati incolpati i democratici.

Secondo il principio del “truth sandwich”, invece, la smentita andrebbe data dicendo per esempio innanzi tutto:

“La politica che ha portato ai bambini in gabbia è stata voluta dall’amministrazione Trump.” 

Questo è il primo strato di verità di questo tramezzino immaginario, che prosegue per così dire con la farcitura:

“Trump dice erroneamente che è colpa delle leggi volute dai democratici”.

E poi arriva lo strato finale:

Qui su Factcheck.org viene ricostruita in dettaglio la scelta dell’amministrazione Trump di cambiare le regole di gestione degli immigrati.”

Nel caso specifico, in sintesi, questo cambiamento consiste nel fatto che l’amministrazione Trump ha deciso di procedere penalmente contro gli immigrati genitori invece di usare la procedura civile usata solitamente in precedenza. Questo obbliga alla detenzione, e la detenzione per legge è separata per adulti e minori, e questo porta alle famiglie spezzate. La separazione è particolarmente traumatica perché le autorità di immigrazione statunitensi non prendono alcuna misura significativa per tracciare i minori e i loro genitori e quindi consentirne il futuro ricongiungimento (molti bambini di tenerissima età non sanno dare generalità dettagliate: per loro la mamma è la mamma e basta). Il risultato finale è che i bambini strappati ai loro genitori rischiano di non poter mai più ritrovarli e di diventare orfani di Stato.

Poche ore fa Trump ha firmato un executive order che almeno a prima vista è mirato a interrompere queste detenzioni separate. Un evento notevole, considerato che fino a pochi giorni fa l’amministrazione Trump diceva di avere le mani legate e che comunque la politica di separazione non esisteva, ma questa è un’altra storia. Circa duemila bambini restano tuttora in gabbie.

Prima che parta il coro dei “Ma anche Obama...”, metto subito in chiaro tre cose:

  • primo, la politica di Bush Jr e di Obama portava alle separazioni solo in casi molti particolari, mentre con Trump è diventata la norma;
  • secondo, uno sconcio inaccettabile precedente non cambia il fatto che quello che sta avvenendo adesso è e resta uno sconcio inaccettabile;
  • terzo, parlare del passato non risolve il problema del presente ed è solo una foglia di fico per non affrontarlo e distrarre dalla realtà drammatica di oggi e buttarla in caciara politica inutile e idiota. Non attacca, quindi non provateci, cari troll.

Ha ragione lo studioso? Il “tramezzino di verità” è più efficace ed evita che i politici usino i giornalisti come amplificatori delle proprie menzogne? Provate anche voi a costruire le vostre comunicazioni sui social network usando questa tecnica, soprattutto nei dibattiti più accesi. Vale la pena di tentare: la posta in gioco è alta. Fatemi sapere.


2019/06/21


Un bell’esempio di uso del truth sandwich arriva dal Washington Post di oggi:



Il titolo dell’articolo dice “La Casa Bianca non ha imposto nuove sanzioni all’Iran giovedì, nonostante l’asserzione di Trump”. In altre parole, per prima cosa mette i fatti e poi segnala la fonte che ha diffuso la fandonia.

Il corpo dell’articolo segue lo stesso schema: fatti in sintesi, fonte della fandonia, ripetizione estesa dei fatti.


Fonti aggiuntive: Washington Post, BBC, Avvenire.

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