È disponibile la puntata di ieri del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Francesca Margiotta.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Argomenti trattati: link diretto.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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Prossimi eventi pubblici – Donazioni – Sci-Fi Universe
2019/11/30
2019/11/29
Come fanno i ladri a sapere che avete nascosto un telefonino, laptop o tablet in auto?
Credit: Tehrani.com. |
Dal Dipartimento di Polizia di San Jose, in California, tramite Wired arriva una conferma di un sospetto molto diffuso: sì, alcuni ladri usano davvero degli scanner per rilevare i dispositivi lasciati nelle auto. Non tutti, però, perché di solito basta che il ladro veda che qualcuno si allontana dall’auto dopo aver messo qualcosa nel bagagliaio.
Ma i ladri che usano questi scanner non stanno adoperando chissà quali apparati sofisticati e difficili da reperire: usano semplicemente delle normali app per telefonini che ricevono i segnali Bluetooth emessi da molti di questi dispositivi anche quando sono apparentemente inattivi. Alcuni laptop, per esempio, non si spengono completamente quando viene chiuso il loro coperchio.
Queste app rilevano i dispositivi dotati di Bluetooth presenti nelle vicinanze, ne identificano la marca e il modello, l’eventuale pairing già attivo con altri dispositivi o veicoli e la distanza approssimativa da chi adopera l’app. Formalmente vengono offerte come app per ritrovare dispositivi smarriti, ma hanno ovviamente la capacità di ritrovare anche i dispositivi altrui.
L’indicazione del pairing è particolarmente pericolosa, perché spesso identifica il tipo di veicolo nel quale si trova il dispositivo. Se l’app rileva un iPhone X e sa che è in pairing con una BMW X5, il ladro sa già che deve cercare quel modello di automobile.
Nuove frontiere dell’obsolescenza “programmata”: l’SSD che schiatta dopo 32.768 ore
La Hewlett Packard Enterprise ha pubblicato un avviso a proposito di alcuni suoi dischi rigidi a stato solido (SSD): hanno un difetto di firmware che causa il collasso totale del disco dopo esattamente 32,768 ore di funzionamento, ossia dopo 3 anni, 270 giorni e 8 ore di funzionamento.
Il numero non è casuale: è una potenza di 2 (215), per cui è probabilmente legato a un contatore di ore che raggiunge il proprio limite. Comunque sia, HPE avvisa che se non viene aggiornato il firmware il disco perderà tutti i dati e non sarà più utilizzabile. Visto che si tratta di componenti piuttosto costosi, il danno economico può essere pesante e aggiungersi a quello derivante dalla perdita dei dati.
Vale quindi la pena non solo di fare questi aggiornamenti, ma anche di fare una copia dei dati presenti su questi dischi.
Il bollettino di avviso include i link agli aggiornamenti, che però al momento non sono disponibili per tutti i modelli difettosi ma dovrebbero uscire intorno al 9 dicembre prossimo.
Per sapere quante ore ha accumulato un SSD di questo genere si possono seguire queste istruzioni di HPE.
Chi li ha installati in configurazione RAID, che in teoria dovrebbe garantire la sopravvivenza dei dati in caso di guasto al disco, tenga presente che se anche gli altri dischi del RAID sono dello stesso modello e sono stati installati alla stessa data schiatteranno tutti contemporaneamente, per cui la normale ridondanza non vi salverà.
Fonte aggiuntiva: Sophos.
Il numero non è casuale: è una potenza di 2 (215), per cui è probabilmente legato a un contatore di ore che raggiunge il proprio limite. Comunque sia, HPE avvisa che se non viene aggiornato il firmware il disco perderà tutti i dati e non sarà più utilizzabile. Visto che si tratta di componenti piuttosto costosi, il danno economico può essere pesante e aggiungersi a quello derivante dalla perdita dei dati.
Vale quindi la pena non solo di fare questi aggiornamenti, ma anche di fare una copia dei dati presenti su questi dischi.
Il bollettino di avviso include i link agli aggiornamenti, che però al momento non sono disponibili per tutti i modelli difettosi ma dovrebbero uscire intorno al 9 dicembre prossimo.
Per sapere quante ore ha accumulato un SSD di questo genere si possono seguire queste istruzioni di HPE.
Chi li ha installati in configurazione RAID, che in teoria dovrebbe garantire la sopravvivenza dei dati in caso di guasto al disco, tenga presente che se anche gli altri dischi del RAID sono dello stesso modello e sono stati installati alla stessa data schiatteranno tutti contemporaneamente, per cui la normale ridondanza non vi salverà.
Fonte aggiuntiva: Sophos.
Kinora era il TikTok di 119 anni fa
Quiz: a quando risale il primo sistema che permetteva a una persona di vedere brevi spezzoni di immagini in movimento su un piccolo schermo?
Se vi sembra la descrizione di uno smartphone con TikTok o Instagram e state pensando ai primi anni Duemila o più coraggiosamente agli anni Novanta del secolo scorso, siete comunque fuori bersaglio di circa cento anni.
Kinora è infatti un prodotto che risale alla fine dell’Ottocento. Era un visore meccanico personale, sviluppato dai fratelli Lumière nel 1895 e commercializzato intorno al 1900. I suoi “video” erano degli spessi libretti di immagini scattate in rapida sequenza con una cinepresa e stampate in bianco e nero. Mostrate una dopo l’altra in rapida successione, creavano l’illusione del movimento, come si può vedere in questa dimostrazione:
Oltre a guardare video altrui, per il Kinora era anche possibile creare i propri filmati personalizzati: si andava in uno studio fotografico e ci si faceva riprendere da una cinepresa. La ripresa veniva poi sviluppata e stampata su carta.
Kinora rimase popolare per una ventina d’anni, ma poi svanì, sostituita dall’esperienza collettiva di vedere le immagini in movimento in gruppo e su grandi schermi al cinema. Ora stiamo tornando ai piccoli schermi tascabili: la storia si ripete.
Se vi sembra la descrizione di uno smartphone con TikTok o Instagram e state pensando ai primi anni Duemila o più coraggiosamente agli anni Novanta del secolo scorso, siete comunque fuori bersaglio di circa cento anni.
Kinora è infatti un prodotto che risale alla fine dell’Ottocento. Era un visore meccanico personale, sviluppato dai fratelli Lumière nel 1895 e commercializzato intorno al 1900. I suoi “video” erano degli spessi libretti di immagini scattate in rapida sequenza con una cinepresa e stampate in bianco e nero. Mostrate una dopo l’altra in rapida successione, creavano l’illusione del movimento, come si può vedere in questa dimostrazione:
Oltre a guardare video altrui, per il Kinora era anche possibile creare i propri filmati personalizzati: si andava in uno studio fotografico e ci si faceva riprendere da una cinepresa. La ripresa veniva poi sviluppata e stampata su carta.
Kinora rimase popolare per una ventina d’anni, ma poi svanì, sostituita dall’esperienza collettiva di vedere le immagini in movimento in gruppo e su grandi schermi al cinema. Ora stiamo tornando ai piccoli schermi tascabili: la storia si ripete.
Fonte: Wikipedia. |
Antibufala: le mucche usano la realtà virtuale
Questa foto di una mucca che indossa quello che sembra essere un enorme visore per realtà virtuale sta spopolando su Internet. C’è chi pensa che sia un fotomontaggio per creare una metafora della nostra vita digitale di mucche da mungere alle quali viene nascosta la tristezza della realtà (una sorta di Matrix, ma più bovina; dovremmo forse parlare di Muutrix).
Ma la fotografia è reale. Non è detto, però, che rappresenti la normale condizione delle mucche nell’era digitale.
La foto proviene dal Ministero per l’Alimentazione e l’Agricoltura russo e descrive un esperimento svolto presso la RusMoloko, un‘azienda di lavorazione del latte situata nei pressi di Mosca. Secondo la dichiarazione del Ministero (in russo), l’azienda avrebbe dotato le proprie mucche di visori per realtà virtuale, adattati per le forme craniali dei bovini, per mostrare loro una simulazione di un campo d’estate e ridurre la loro ansia, con l’intento di aumentare la resa di latte.
Ci sono però alcune ragioni per sospettare che si tratti principalmente di una trovata di propaganda o autopromozione, perché la forma del visore, con quello che sembra essere un grande schermo frontale, non si adatta granché al campo visivo delle mucche, che è molto più ampio (circa 330°) di quello umano e quindi richiederebbe un visore ultrapanoramico, a meno che la mucca non sia costretta a vedere solo davanti a sé, cosa che probabilmente non riduce affatto l’ansia.
Inoltre non è chiaro come la mucca possa evitare ostacoli, trovare cibo o farsi guidare dagli allevatori se indossa continuamente questi visori, a cui oltretutto sarà necessario ricaricare periodicamente la batteria, per cui prima o poi il visore verrà tolto e il bovino si renderà conto dell’illusione. O penserà di essere stato teletrasportato da un bellissimo campo a un luogo dove gli fanno cose strane e misteriose. Forse è da qui che nasce la leggenda degli alieni che rapiscono le mucche?
Fonti aggiuntive: BBC, Interfax (in russo).
Acquisti per il Black Friday, occhio alle trappole
Non comprate gattini online. |
Oggi più che mai Internet sarà piena di offerte allettanti e anche i truffatori saranno più attivi del solito, contando sulla fretta e sull’emozione degli acquirenti. Conviene quindi usare un po' di attenzione per evitare delusioni e raggiri.
- Le offerte troppo belle per essere vere continuano a non essere vere anche nel Black Friday. Se qualcuno vi offre un iPhone a 1 franco/euro senza associarlo a un abbonamento cellulare, è sicuramente un tranello. Nessuno regala niente per niente, nemmeno su Internet, nemmeno nel Black Friday.
- Attenzione alle versioni vecchie di prodotti. Il Black Friday è anche il giorno in cui i negozi svendono quello che normalmente non riescono a vendere, e quindi saranno in evidenza a prezzi scontati dei prodotti che a prima vista sembrano l’ultimo modello ma in realtà sono quello precedente, magari con caratteristiche nettamente inferiori o non più aggiornabile.
- Controllate bene i nomi dei siti dai quali acquistate, specialmente se li raggiungete seguendo un link o cliccando su una pubblicità. I truffatori creano siti di vendita falsi i cui nomi somigliano molto a quelli veri. Il loro obiettivo è ottenere i dati della vostra carta di credito. Se vi accorgete di aver fatto un acquisto, anche piccolo, in un sito sospetto, bloccate la vostra carta prima che vi vuotino il conto.
- Se possibile, usate una carta prepagata almeno sui siti che non avete mai usato prima. Questo eviterà danni peggiori in caso di sito fraudolento.
- Usate un gestore di password. Molti siti vi chiederanno di creare un account per fare acquisti: sapere chi compra cosa è per loro molto importante, in modo da profilare i clienti e inviare pubblicità su misura. Nella fretta, probabilmente dimenticherete le password che avete usato. Lasciate che il gestore di password le ricordi per voi, scegliete password lunghe e non ovvie e non soccombete alla tentazione di usare la stessa password dappertutto. Va bene, almeno temporaneamente, anche segnarsele su un foglio di carta. Il gestore di password, fra l’altro, vi eviterà di digitare la password in un sito fasullo che ne imita uno vero.
2019/11/27
Parlo di complotti lunari oggi a Varese
Oggi pomeriggio alle 14 sarò a Varese, nell’Aula Magna del Collegio Cattaneo (via Dunant 7), per parlare di tesi di complotto e allunaggi nell’ambito di Scienza e Fantascienza. Per i dettagli potete consultare la sezione Eventi di Uninsubria.it.
Spoiler: ci siamo andati. Sei volte.
Siamo stati persino capaci di affettuare un allunaggio di precisione per raggiungere una sonda automatica arrivata in precedenza ed esaminarla. È infatti appena passato il cinquantenario della missione Apollo 12: se volete ripassarla con foto, giornali d’epoca e video, il collezionista spaziale Gianluca Atti ed io abbiamo creato Apollo 12 Timeline. Buona lettura.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Spoiler: ci siamo andati. Sei volte.
Siamo stati persino capaci di affettuare un allunaggio di precisione per raggiungere una sonda automatica arrivata in precedenza ed esaminarla. È infatti appena passato il cinquantenario della missione Apollo 12: se volete ripassarla con foto, giornali d’epoca e video, il collezionista spaziale Gianluca Atti ed io abbiamo creato Apollo 12 Timeline. Buona lettura.
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2019/11/23
Comprare un’auto elettrica da 40.000 euro mi costa meno che tenere l’auto a benzina già pagata. Ecco come
Ultimo aggiornamento: 2020/08/06 23:30.
AVVERTENZA: Siccome si stanno accumulando parecchi commenti di persone che chiaramente non hanno letto bene prima di commentare o sono accecate dai loro preconcetti, cestinerò i commenti di chi dimostra di non aver letto quello che ho scritto. In particolare, per ulteriore chiarezza: 1. abito in Svizzera; 2. I conti che faccio valgono per la Svizzera; 3. Lascio da parte, stavolta, le considerazioni ecologiche; 4. la carica gratuita è un’opzione, non un obbligo. Per tutte le solite domande, obiezioni, curiosità e critiche sulla mobilità elettrica, trovate risposte dettagliate su Fuoriditesla.ch. Grazie.
Tra pochi mesi (a maggio 2020) finirò di pagare la mia auto a benzina (una Opel Mokka con cambio automatico). Di conseguenza non avrò più il costo mensile della rata dell’auto.
Eppure ho deciso di acquistare un’altra auto lo stesso, e di comprarla elettrica, e per farlo ho un budget di circa 40.000 franchi/euro, perché a lungo termine tenere un’auto a pistoni che ho già pagato mi costerà praticamente quanto comprare un’auto elettrica nuova o usata.
Come è possibile? La mia scelta, in sintesi, è se spendere nei prossimi anni quasi 40.000 franchi/euro in benzina o spenderli in un’auto migliore e meno costosa da alimentare e mantenere di quella che ho adesso.
Premetto che il caso che sto per descrivervi è particolare e non ho pretese che si adatti a tutti. Le mie circostanze personali sono abbastanza insolite, ma sono un esempio del fatto che ormai non è più vero che un’auto elettrica è per forza uno sfizio da ricchi.
Premetto anche che, per semplicità e mancanza di sfere di cristallo, devo partire dall’ipotesi che alcuni parametri di costo resteranno fissi per i prossimi anni. In realtà alcuni potrebbero aumentare e altri potrebbero diminuire. Del resto, anche le mie esigenze di mobilità potrebbero cambiare, anche se è improbabile. Ogni investimento per il futuro è una scommessa e ha dei fattori di rischio spesso imponderabili. Il tempo dirà se ho scommesso bene.
Sempre per semplicità, ignorerò fattori come costi assicurativi, imposte di circolazione, deprezzamenti, valore di rivendita dell’auto attuale e costi di manutenzione, e mi concentrerò solo sul costo dell’energia. Non ho pretese di arrivare a un vero e proprio TCO (Total Cost of Ownership).
Lascio inoltre in disparte, per questa volta, qualsiasi considerazione ecologica e ne faccio solo una questione di portafogli, così spiazzo in partenza tutte le solite obiezioni e polemiche.
Il mio metodo consiste nel considerare insieme due cose che solitamente non si considerano nell’acquisto di un’auto tradizionale:
Tengo traccia diligentemente delle mie spese di carburante da quando ho questa auto a pistoni (giugno 2016). A tutt’oggi, dopo tre anni e mezzo, ho percorso 84.738 km, spendendo in benzina in tutto 9.416 CHF (8.564 EUR) per 6.125 litri di carburante. Faccio benzina quasi sempre in Svizzera, dove abito, per cui il mio costo medio di carburante è più basso di quello di altri paesi (come per esempio l’Italia): 1,53 CHF (1,39 EUR) al litro.
In altre parole, spendo in benzina mediamente 2.727 CHF (2.480 EUR) ogni anno. Se tenessi la mia auto a pistoni attuale, ai ritmi e prezzi attuali nei prossimi 10 anni spenderei 27.270 CHF (24.800 EUR) solo in benzina. In 15 anni spenderei 40.911 CHF (37.213 EUR) di carburante. Sperando, s’intende, che l’auto attuale mi duri tutti quegli anni e che non debba comprarne un’altra o spendere in manutenzione per quella attuale.
Se il vostro chilometraggio annuo è superiore al mio e pagate la benzina più di quello che la pago io, il salasso a lungo termine è ancora più grande. Decine di migliaia di euro che vanno letteralmente in fumo.
Ma se compro un’auto elettrica, questa spesa di carburante crolla. Nella mia situazione particolare, potrebbe facilmente diventare zero (spiego tra poco come mai).
In sintesi: soltanto con quello che spendo attualmente in carburante in 15 anni, mi potrei comprare un’auto elettrica a lunga percorrenza da 40.000 CHF (36.500 EUR). Con un piccolissimo sforzo di 30 CHF al mese potrei permettermi persino una Tesla Model 3 base nuova di zecca, con assistenza di guida inclusa, che in Svizzera costa attualmente 45.980 CHF (41.800 EUR) prima degli ecoincentivi (circa 2000 CHF dal Cantone e altrettanti dal concessionario). E ce ne sono molte altre, nuove e usate, che costano anche meno e offrono comunque tutta l’autonomia che mi serve.
Starete già pensando che sto barando: in questi conticini, infatti, ho azzerato il costo dell’energia elettrica che dovrò usare al posto della benzina. È facile vincere in queste condizioni. Ma il fatto è che attualmente io potrei (e per i duri di comprendonio che arrivano nei commenti, sottolineo il potrei) davvero caricare la mia auto elettrica gratis.
A due chilometri dal Maniero Digitale, infatti, c‘è IKEA, che ha installato una serie di stalli di ricarica completamente gratuiti. Con tanto di invito a venire a caricare quando si vuole e tutte le volte che si vuole, senza obbligo di acquisto. C’è proprio scritto “Ricarica gratis la tua auto tutte le volte che vuoi”. L’ho già usata un paio di volte per prova con la mia piccola elettrica intanto che facevo la spesa al centro commerciale adiacente.
Non è l’unica colonnina gratuita dalle mie parti: molti supermercati, come ALDI o Bennet oltreconfine, offrono la ricarica a chi fa la spesa. Anche ABB ha varie colonnine gratuite sparse per la Svizzera. Ho insomma varie possibilità concrete di caricare gratuitamente un’auto elettrica a lunga autonomia. Quand’è l’ultima volta che avete fatto il pieno di carburante gratis?
Intendiamoci: queste cariche gratuite hanno un costo in termini di tempo. Su queste colonnine relativamente lente (22 kW) un “pieno” di un’auto elettrica a lunga autonomia richiede almeno tre ore (su una Tesla Model 3 da 50 kWh, che è limitata a 11 kW in carica in corrente alternata, ce ne vogliono circa sei se è completamente scarica). Ma grazie alla mobilità del mio lavoro, a me non costerebbe nulla stare in auto per qualche ora a lavorare con il mio laptop, al calduccio o al fresco grazie al riscaldamento e al climatizzatore che funzionano anche ad auto “spenta”. Già adesso lavoro spesso mentre sono in viaggio in treno o in auto (guida qualcun altro, non vi preoccupate). Con la mia attuale percorrenza dovrei farlo soltanto una o due volte la settimana, magari mentre sto facendo la spesa o altre commissioni presso il centro commerciale. Non avrei problemi a farlo anche fuori dagli orari di lavoro abituali, quando le colonnine sono sempre libere e per gli altri automobilisti elettrici è scomodo venire a caricare.
Certo, capisco che non tutti abbiano questa flessibilità nel lavoro; ma io ce l’ho, per cui perché non sfruttarla?
Fra parentesi, se vi state chiedendo come mai non carico gratis a queste colonnine la mia attuale auto elettrica, ELSA, il motivo è semplice: la sua carica lentissima (2,3 kW su queste colonnine) richiederebbe circa cinque ore, durante le quali non potrei usare riscaldamento o aria condizionata. Avendo una batteria molto piccola (16 kWh), dovrei ricaricarla quasi tutti i giorni. Oltretutto la carica completa fatta a casa mi costa circa due franchi e mezzo (2,3 EUR). Insomma, con ELSA non vale la pena di andare appositamente a una colonnina gratuita. Con un’auto dotata di batteria capiente e capace di caricare a 11 o 22 kW, invece, ne vale la pena eccome.
Ma supponiamo che la festa prima o poi finisca e che la carica gratis non ci sia più, oppure che mi manchi il tempo o la voglia di usarla. Dovrei caricare l’auto sulla presa domestica (che ho già fatto predisporre in garage), durante la notte. Come cambierebbero i conti?
Con il mio contratto attuale, un kWh a tariffa notturna mi costa 0,146 CHF (0,12 EUR). Un “pieno” da 50 kWh mi costa quindi 8,03 CHF (7,3 EUR) e mi consente circa 340 km di autonomia (a 0,16 kWh/km, che è il consumo medio di un’auto elettrica). Dato che il mio contatore standard regge 17 kW (ho già provato), posso fare il “pieno” in poche ore di notte. Per fare 25.000 km/anno mi serviranno 4044 kWh/anno, pari a 590 CHF (537 EUR)/anno.
Nel caso peggiore, insomma, spenderei 49 CHF (44,5 EUR) in più al mese. Posso correre il rischio.
Cosa succederebbe con i prezzi italiani? Prezzibenzina.it oggi indica un prezzo medio di 1,616 EUR/litro per la benzina. Supponendo un consumo medio di 20 km/litro, 25.000 km/anno sarebbero 1250 litri, ossia 2020 EUR; su 15 anni, la spesa di carburante ammonterebbe a 30.300 EUR.
Se un kWh in Italia in fascia notturna costa complessivamente (IVA e imposte incluse) circa 0,20 EUR*, 25.000 km/anno elettrici (4044 kWh/anno) costano 808 EUR, che in 15 anni diventano 12.132 EUR. Resta un avanzo di 18.170 EUR.
* Una mia stima iniziale basata su dati Enel mi diceva 0,124 EUR, ma numerosi commentatori hanno segnalato che il costo reale è 0,20 EUR. Altri mi dicono che è giusta la stima iniziale. Ho aggiornato i calcoli di conseguenza, ma consiglio a ognuno di farsi i suoi.
Chi fa 50.000 km/anno ottiene quell’avanzo in sette anni e mezzo.
Preferite buttar via diciottomila euro in benzina, oppure usare quei soldi per comprarvi un’auto? E ci sono situazioni ancora più vantaggiose, come questa: 60 euro/anno per cariche illimitate.
Chi ha un impianto fotovoltaico, inoltre, carica l’auto praticamente gratis con le eccedenze di energia invece di darle alla rete elettrica (che le paga pochissimo).
Tutto questo mio ragionamento funziona a condizione di tenere la stessa auto per almeno 15 anni e 375.000 km e quindi se si considera l’auto come investimento a lungo termine. È credibile che un’auto elettrica duri così tanto?
Considerato che l’età media del parco auto italiano è intorno ai 10,8 anni (vicina a quella europea), che le auto elettriche hanno meno manutenzione e usura di quelle a pistoni, e che non mancano esempi di auto elettriche usate ben oltre 375.000 km, parrebbe di sì.
Le batterie delle auto elettriche odierne hanno una garanzia di 8 anni e le statistiche indicano che durano ben oltre la garanzia. Persino la mia iOn del 2011 ha già superato gli 8 anni di età coperti dalla garanzia e va ancora piuttosto bene.
Si può anche considerare il caso molto concreto di Tesloop, che gestisce una flotta di auto elettriche in California. Ciascuna percorre circa ventisettemila km al mese e la maggior parte ha superato senza problemi i 480.000 km, come raccontano Quartz e Cleantechnica.
A differenza di quelle a pistoni, inoltre, le auto elettriche non vengono rese obsolete dalle norme antinquinamento. Una Euro 3 a pistoni, anche se funzionante, non può circolare o può farlo solo in alcuni luoghi. Un’auto elettrica, anche se vecchia, non ha queste restrizioni e quindi non viene resa inutilizzabile dalle normative.
Fin qui ho fatto i conti su 40.000 euro. Ma se l’auto elettrica costasse meno? Per esempio, una Peugeot e208, che costa in Svizzera 34.350 CHF (in Francia circa 31.000 euro) prima degli ecoincentivi? Proviamo a confrontarla con la versione equivalente a carburante (la 208 Active), che costa 19.500 CHF, ossia 14.850 CHF in meno.
La batteria della e208 è garantita per 8 anni o 160.000 km (per il 70% della capacità di carica). Facendo 25.000 km/anno, ci metterei 6,5 anni a raggiungere il limite di garanzia chilometrica. In quei 6,5 anni risparmierei circa 18.000 CHF di benzina, che compenserebbero ampiamente i 14.850 CHF di maggior costo d’acquisto. Caricando a casa, spenderei 3700 CHF di corrente in tutto.
In altre parole, in 6 anni e mezzo la versione elettrica costa circa 3800 CHF in meno di quella a benzina se la si carica gratis, come posso fare io, oppure costa 100 CHF in meno (praticamente lo stesso) se la si carica a casa. Il punto di pareggio di un’auto elettrica, in questo caso, è raggiunto, e senza neanche considerare gli ecoincentivi.
Va detto che questi conticini presuppongono che chi compra l’auto abbia a disposizione l’intero importo del prezzo d’acquisto o abbia accesso a un finanziamento a tasso basso che gli rateizzi l’importo, mentre la benzina si paga mano mano che serve. Rateazioni su 15 anni sono improbabili, ma ho visto offerte per cinque o sei. In Svizzera i tassi sono dall’1% all 1,5%.
Ci sono però offerte, come quella di Hyundai in Italia, che propongono una Kona 39 kWh a interessi zero e anticipo zero, e ci sono anche offerte di noleggio a lungo termine che riducono o azzerano l’investimento iniziale. Renault, inoltre, offre la possibilità di acquistare l’auto e di noleggiare la batteria, riducendo drasticamente il costo di acquisto iniziale.
Dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo mi sono arrivate segnalazioni di casi concreti come questo:
A conti fatti, insomma, le cose oggi stanno così: ai prezzi attuali, l’auto elettrica è costosa come prezzo d’acquisto, ma è un investimento conveniente a patto di tenerla a lungo termine o per percorrenze elevate. Nel mio caso, quindi, è conveniente. Provate a fare il conto con i vostri dati e guardate cosa viene fuori.
E così, se tutto va bene, comprerò un’auto elettrica con i soldi che avrei speso per rifornire un’auto tradizionale. Quale elettrica comprerò? Ci sono molte candidate, e se ne stanno aggiungendo altre. Ma questa è un’altra storia.
2020/08/06 23:30. A giugno 2020 ho acquistato una Tesla Model S 70 di seconda mano per 37.300 CHF (circa 35.000 euro). La storia di come ho fatto è raccontata qui.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
AVVERTENZA: Siccome si stanno accumulando parecchi commenti di persone che chiaramente non hanno letto bene prima di commentare o sono accecate dai loro preconcetti, cestinerò i commenti di chi dimostra di non aver letto quello che ho scritto. In particolare, per ulteriore chiarezza: 1. abito in Svizzera; 2. I conti che faccio valgono per la Svizzera; 3. Lascio da parte, stavolta, le considerazioni ecologiche; 4. la carica gratuita è un’opzione, non un obbligo. Per tutte le solite domande, obiezioni, curiosità e critiche sulla mobilità elettrica, trovate risposte dettagliate su Fuoriditesla.ch. Grazie.
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Tra pochi mesi (a maggio 2020) finirò di pagare la mia auto a benzina (una Opel Mokka con cambio automatico). Di conseguenza non avrò più il costo mensile della rata dell’auto.
Eppure ho deciso di acquistare un’altra auto lo stesso, e di comprarla elettrica, e per farlo ho un budget di circa 40.000 franchi/euro, perché a lungo termine tenere un’auto a pistoni che ho già pagato mi costerà praticamente quanto comprare un’auto elettrica nuova o usata.
Come è possibile? La mia scelta, in sintesi, è se spendere nei prossimi anni quasi 40.000 franchi/euro in benzina o spenderli in un’auto migliore e meno costosa da alimentare e mantenere di quella che ho adesso.
Premetto che il caso che sto per descrivervi è particolare e non ho pretese che si adatti a tutti. Le mie circostanze personali sono abbastanza insolite, ma sono un esempio del fatto che ormai non è più vero che un’auto elettrica è per forza uno sfizio da ricchi.
Premetto anche che, per semplicità e mancanza di sfere di cristallo, devo partire dall’ipotesi che alcuni parametri di costo resteranno fissi per i prossimi anni. In realtà alcuni potrebbero aumentare e altri potrebbero diminuire. Del resto, anche le mie esigenze di mobilità potrebbero cambiare, anche se è improbabile. Ogni investimento per il futuro è una scommessa e ha dei fattori di rischio spesso imponderabili. Il tempo dirà se ho scommesso bene.
Sempre per semplicità, ignorerò fattori come costi assicurativi, imposte di circolazione, deprezzamenti, valore di rivendita dell’auto attuale e costi di manutenzione, e mi concentrerò solo sul costo dell’energia. Non ho pretese di arrivare a un vero e proprio TCO (Total Cost of Ownership).
Lascio inoltre in disparte, per questa volta, qualsiasi considerazione ecologica e ne faccio solo una questione di portafogli, così spiazzo in partenza tutte le solite obiezioni e polemiche.
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Il mio metodo consiste nel considerare insieme due cose che solitamente non si considerano nell’acquisto di un’auto tradizionale:
- il costo totale dell’energia (elettrica o carburante)
- una durata di quindici anni
Tengo traccia diligentemente delle mie spese di carburante da quando ho questa auto a pistoni (giugno 2016). A tutt’oggi, dopo tre anni e mezzo, ho percorso 84.738 km, spendendo in benzina in tutto 9.416 CHF (8.564 EUR) per 6.125 litri di carburante. Faccio benzina quasi sempre in Svizzera, dove abito, per cui il mio costo medio di carburante è più basso di quello di altri paesi (come per esempio l’Italia): 1,53 CHF (1,39 EUR) al litro.
In altre parole, spendo in benzina mediamente 2.727 CHF (2.480 EUR) ogni anno. Se tenessi la mia auto a pistoni attuale, ai ritmi e prezzi attuali nei prossimi 10 anni spenderei 27.270 CHF (24.800 EUR) solo in benzina. In 15 anni spenderei 40.911 CHF (37.213 EUR) di carburante. Sperando, s’intende, che l’auto attuale mi duri tutti quegli anni e che non debba comprarne un’altra o spendere in manutenzione per quella attuale.
Se il vostro chilometraggio annuo è superiore al mio e pagate la benzina più di quello che la pago io, il salasso a lungo termine è ancora più grande. Decine di migliaia di euro che vanno letteralmente in fumo.
Ma se compro un’auto elettrica, questa spesa di carburante crolla. Nella mia situazione particolare, potrebbe facilmente diventare zero (spiego tra poco come mai).
In sintesi: soltanto con quello che spendo attualmente in carburante in 15 anni, mi potrei comprare un’auto elettrica a lunga percorrenza da 40.000 CHF (36.500 EUR). Con un piccolissimo sforzo di 30 CHF al mese potrei permettermi persino una Tesla Model 3 base nuova di zecca, con assistenza di guida inclusa, che in Svizzera costa attualmente 45.980 CHF (41.800 EUR) prima degli ecoincentivi (circa 2000 CHF dal Cantone e altrettanti dal concessionario). E ce ne sono molte altre, nuove e usate, che costano anche meno e offrono comunque tutta l’autonomia che mi serve.
La Tesla Model 3 Standard Range Plus di base: screenshot fatto il 23/11/2019 dal configuratore Tesla per la Svizzera. |
La Renault Zoe ZE40 base nella versione con batteria di proprietà (non a noleggio). Screenshot dal configuratore Renault per la Svizzera, 24/11/2019. |
La Hyundai Kona 39 kWh base sul sito Hyundai italiano costa 38.300 EUR. Il modello non è in vendita in Svizzera, dove è offerta solo la versione da 64 kWh base a 46.990 CHF. |
Starete già pensando che sto barando: in questi conticini, infatti, ho azzerato il costo dell’energia elettrica che dovrò usare al posto della benzina. È facile vincere in queste condizioni. Ma il fatto è che attualmente io potrei (e per i duri di comprendonio che arrivano nei commenti, sottolineo il potrei) davvero caricare la mia auto elettrica gratis.
A due chilometri dal Maniero Digitale, infatti, c‘è IKEA, che ha installato una serie di stalli di ricarica completamente gratuiti. Con tanto di invito a venire a caricare quando si vuole e tutte le volte che si vuole, senza obbligo di acquisto. C’è proprio scritto “Ricarica gratis la tua auto tutte le volte che vuoi”. L’ho già usata un paio di volte per prova con la mia piccola elettrica intanto che facevo la spesa al centro commerciale adiacente.
Uno dei punti di ricarica dell’IKEA di Grancia, Canton Ticino. |
Non è l’unica colonnina gratuita dalle mie parti: molti supermercati, come ALDI o Bennet oltreconfine, offrono la ricarica a chi fa la spesa. Anche ABB ha varie colonnine gratuite sparse per la Svizzera. Ho insomma varie possibilità concrete di caricare gratuitamente un’auto elettrica a lunga autonomia. Quand’è l’ultima volta che avete fatto il pieno di carburante gratis?
Intendiamoci: queste cariche gratuite hanno un costo in termini di tempo. Su queste colonnine relativamente lente (22 kW) un “pieno” di un’auto elettrica a lunga autonomia richiede almeno tre ore (su una Tesla Model 3 da 50 kWh, che è limitata a 11 kW in carica in corrente alternata, ce ne vogliono circa sei se è completamente scarica). Ma grazie alla mobilità del mio lavoro, a me non costerebbe nulla stare in auto per qualche ora a lavorare con il mio laptop, al calduccio o al fresco grazie al riscaldamento e al climatizzatore che funzionano anche ad auto “spenta”. Già adesso lavoro spesso mentre sono in viaggio in treno o in auto (guida qualcun altro, non vi preoccupate). Con la mia attuale percorrenza dovrei farlo soltanto una o due volte la settimana, magari mentre sto facendo la spesa o altre commissioni presso il centro commerciale. Non avrei problemi a farlo anche fuori dagli orari di lavoro abituali, quando le colonnine sono sempre libere e per gli altri automobilisti elettrici è scomodo venire a caricare.
Certo, capisco che non tutti abbiano questa flessibilità nel lavoro; ma io ce l’ho, per cui perché non sfruttarla?
Fra parentesi, se vi state chiedendo come mai non carico gratis a queste colonnine la mia attuale auto elettrica, ELSA, il motivo è semplice: la sua carica lentissima (2,3 kW su queste colonnine) richiederebbe circa cinque ore, durante le quali non potrei usare riscaldamento o aria condizionata. Avendo una batteria molto piccola (16 kWh), dovrei ricaricarla quasi tutti i giorni. Oltretutto la carica completa fatta a casa mi costa circa due franchi e mezzo (2,3 EUR). Insomma, con ELSA non vale la pena di andare appositamente a una colonnina gratuita. Con un’auto dotata di batteria capiente e capace di caricare a 11 o 22 kW, invece, ne vale la pena eccome.
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Ma supponiamo che la festa prima o poi finisca e che la carica gratis non ci sia più, oppure che mi manchi il tempo o la voglia di usarla. Dovrei caricare l’auto sulla presa domestica (che ho già fatto predisporre in garage), durante la notte. Come cambierebbero i conti?
Con il mio contratto attuale, un kWh a tariffa notturna mi costa 0,146 CHF (0,12 EUR). Un “pieno” da 50 kWh mi costa quindi 8,03 CHF (7,3 EUR) e mi consente circa 340 km di autonomia (a 0,16 kWh/km, che è il consumo medio di un’auto elettrica). Dato che il mio contatore standard regge 17 kW (ho già provato), posso fare il “pieno” in poche ore di notte. Per fare 25.000 km/anno mi serviranno 4044 kWh/anno, pari a 590 CHF (537 EUR)/anno.
Nel caso peggiore, insomma, spenderei 49 CHF (44,5 EUR) in più al mese. Posso correre il rischio.
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Cosa succederebbe con i prezzi italiani? Prezzibenzina.it oggi indica un prezzo medio di 1,616 EUR/litro per la benzina. Supponendo un consumo medio di 20 km/litro, 25.000 km/anno sarebbero 1250 litri, ossia 2020 EUR; su 15 anni, la spesa di carburante ammonterebbe a 30.300 EUR.
Se un kWh in Italia in fascia notturna costa complessivamente (IVA e imposte incluse) circa 0,20 EUR*, 25.000 km/anno elettrici (4044 kWh/anno) costano 808 EUR, che in 15 anni diventano 12.132 EUR. Resta un avanzo di 18.170 EUR.
* Una mia stima iniziale basata su dati Enel mi diceva 0,124 EUR, ma numerosi commentatori hanno segnalato che il costo reale è 0,20 EUR. Altri mi dicono che è giusta la stima iniziale. Ho aggiornato i calcoli di conseguenza, ma consiglio a ognuno di farsi i suoi.
Chi fa 50.000 km/anno ottiene quell’avanzo in sette anni e mezzo.
Preferite buttar via diciottomila euro in benzina, oppure usare quei soldi per comprarvi un’auto? E ci sono situazioni ancora più vantaggiose, come questa: 60 euro/anno per cariche illimitate.
Con A2A ricarico senza limiti a forfait 5 euro al mese. Giusto ora torno da una cena con amici: ristorante con colonnina A2A. Pago il conto e trovo l’auto carica.— Marco Manenti (@emyrddin) November 23, 2019
Chi ha un impianto fotovoltaico, inoltre, carica l’auto praticamente gratis con le eccedenze di energia invece di darle alla rete elettrica (che le paga pochissimo).
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Tutto questo mio ragionamento funziona a condizione di tenere la stessa auto per almeno 15 anni e 375.000 km e quindi se si considera l’auto come investimento a lungo termine. È credibile che un’auto elettrica duri così tanto?
Considerato che l’età media del parco auto italiano è intorno ai 10,8 anni (vicina a quella europea), che le auto elettriche hanno meno manutenzione e usura di quelle a pistoni, e che non mancano esempi di auto elettriche usate ben oltre 375.000 km, parrebbe di sì.
Fonte: TeslaMiles, 2019. @TeslaTaxi20 è un tassista di Modena. |
Le batterie delle auto elettriche odierne hanno una garanzia di 8 anni e le statistiche indicano che durano ben oltre la garanzia. Persino la mia iOn del 2011 ha già superato gli 8 anni di età coperti dalla garanzia e va ancora piuttosto bene.
Si può anche considerare il caso molto concreto di Tesloop, che gestisce una flotta di auto elettriche in California. Ciascuna percorre circa ventisettemila km al mese e la maggior parte ha superato senza problemi i 480.000 km, come raccontano Quartz e Cleantechnica.
A differenza di quelle a pistoni, inoltre, le auto elettriche non vengono rese obsolete dalle norme antinquinamento. Una Euro 3 a pistoni, anche se funzionante, non può circolare o può farlo solo in alcuni luoghi. Un’auto elettrica, anche se vecchia, non ha queste restrizioni e quindi non viene resa inutilizzabile dalle normative.
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Fin qui ho fatto i conti su 40.000 euro. Ma se l’auto elettrica costasse meno? Per esempio, una Peugeot e208, che costa in Svizzera 34.350 CHF (in Francia circa 31.000 euro) prima degli ecoincentivi? Proviamo a confrontarla con la versione equivalente a carburante (la 208 Active), che costa 19.500 CHF, ossia 14.850 CHF in meno.
La batteria della e208 è garantita per 8 anni o 160.000 km (per il 70% della capacità di carica). Facendo 25.000 km/anno, ci metterei 6,5 anni a raggiungere il limite di garanzia chilometrica. In quei 6,5 anni risparmierei circa 18.000 CHF di benzina, che compenserebbero ampiamente i 14.850 CHF di maggior costo d’acquisto. Caricando a casa, spenderei 3700 CHF di corrente in tutto.
In altre parole, in 6 anni e mezzo la versione elettrica costa circa 3800 CHF in meno di quella a benzina se la si carica gratis, come posso fare io, oppure costa 100 CHF in meno (praticamente lo stesso) se la si carica a casa. Il punto di pareggio di un’auto elettrica, in questo caso, è raggiunto, e senza neanche considerare gli ecoincentivi.
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Va detto che questi conticini presuppongono che chi compra l’auto abbia a disposizione l’intero importo del prezzo d’acquisto o abbia accesso a un finanziamento a tasso basso che gli rateizzi l’importo, mentre la benzina si paga mano mano che serve. Rateazioni su 15 anni sono improbabili, ma ho visto offerte per cinque o sei. In Svizzera i tassi sono dall’1% all 1,5%.
Ci sono però offerte, come quella di Hyundai in Italia, che propongono una Kona 39 kWh a interessi zero e anticipo zero, e ci sono anche offerte di noleggio a lungo termine che riducono o azzerano l’investimento iniziale. Renault, inoltre, offre la possibilità di acquistare l’auto e di noleggiare la batteria, riducendo drasticamente il costo di acquisto iniziale.
Dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo mi sono arrivate segnalazioni di casi concreti come questo:
Eccomi Kona 39 spalmata in 7 anni di finanziamento Rata bassa e pochissimi costi fissi (bollo 0 tagliandi da 50 euro) da maggio ho fatto 14500km pagando di carburante 20 euro al mese con duferco— stefano d'anniballe (@stefanocs22) November 24, 2019
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A conti fatti, insomma, le cose oggi stanno così: ai prezzi attuali, l’auto elettrica è costosa come prezzo d’acquisto, ma è un investimento conveniente a patto di tenerla a lungo termine o per percorrenze elevate. Nel mio caso, quindi, è conveniente. Provate a fare il conto con i vostri dati e guardate cosa viene fuori.
E così, se tutto va bene, comprerò un’auto elettrica con i soldi che avrei speso per rifornire un’auto tradizionale. Quale elettrica comprerò? Ci sono molte candidate, e se ne stanno aggiungendo altre. Ma questa è un’altra storia.
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2020/08/06 23:30. A giugno 2020 ho acquistato una Tesla Model S 70 di seconda mano per 37.300 CHF (circa 35.000 euro). La storia di come ho fatto è raccontata qui.
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2019/11/22
Puntata del Disinformatico RSI del 2019/11/22
È disponibile la puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Tiki.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Argomenti trattati: link diretto.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
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Twitter attiva il Nascondi risposta
Twitter ha introdotto ieri (21/11) una nuova funzione: Nascondi risposta. È una sorta di moderazione delle risposte degli altri utenti a un nostro tweet.
Supponiamo che io scriva un tweet e qualcuno (lo chiamo Mario per semplicità) mi risponda con un commento offensivo, come capita spesso su Twitter.
Toccando la freccia in alto a destra nella risposta di Mario nell’app di Twitter posso scegliere se silenziare l’utente o la conversazione o bloccarlo completamente, come al solito, ma ora posso anche usare Nascondi risposta, che non cancella il tweet offensivo da Twitter ma lo nasconde alla mia vista e anche a quella degli altri utenti.
Chi vuole vedere la risposta che ho nascosto non deve fare altro che toccare l’icona nel mio tweet che segnala la presenza di risposte nascoste. Questo evita che il Nascondi risposta possa diventare un modo per censurare i contenuti altrui.
Funzionerà? Servirà a calmare gli hater e troll che appestano Twitter? Lo scopriremo presto. Twitter dice che in Canada, dove la funzione è già disponibile da qualche tempo in prova, il 27% delle persone che si è vista nascondere una risposta ha detto che avrebbe pensato meglio alle proprie scelte in futuro.
La funzione è disponibile aggiornando l’app di Twitter (o Twitter Lite) e anche via Web. Maggiori informazioni sono disponibili nella guida online di Twitter qui.
Fonti aggiuntive: Engadget.
Supponiamo che io scriva un tweet e qualcuno (lo chiamo Mario per semplicità) mi risponda con un commento offensivo, come capita spesso su Twitter.
Toccando la freccia in alto a destra nella risposta di Mario nell’app di Twitter posso scegliere se silenziare l’utente o la conversazione o bloccarlo completamente, come al solito, ma ora posso anche usare Nascondi risposta, che non cancella il tweet offensivo da Twitter ma lo nasconde alla mia vista e anche a quella degli altri utenti.
Chi vuole vedere la risposta che ho nascosto non deve fare altro che toccare l’icona nel mio tweet che segnala la presenza di risposte nascoste. Questo evita che il Nascondi risposta possa diventare un modo per censurare i contenuti altrui.
Funzionerà? Servirà a calmare gli hater e troll che appestano Twitter? Lo scopriremo presto. Twitter dice che in Canada, dove la funzione è già disponibile da qualche tempo in prova, il 27% delle persone che si è vista nascondere una risposta ha detto che avrebbe pensato meglio alle proprie scelte in futuro.
La funzione è disponibile aggiornando l’app di Twitter (o Twitter Lite) e anche via Web. Maggiori informazioni sono disponibili nella guida online di Twitter qui.
Fonti aggiuntive: Engadget.
Da dove vengono i memi? Lo spiega KnowYourMeme.com
La foto di una donna che strilla puntando il dito, abbinata alla foto di un gatto seduto a tavola, è uno dei tanti memi che circolano in Internet e fanno da base per l’umorismo online quando alle immagini viene aggiunto del testo (per esempio, vista la mia nota aracnofobia, qui ci starebbe bene “io quando vedo un ragno - Il ragno”).
Può far ridere o meno, ma è indubbio che questo tipo di contenuto è estremamente popolare. Ma da dove arriva? Chi crea queste immagini, e chi sono le persone ritratte nelle immagini? Lo spiega da anni un sito specializzato che è diventato uno dei punti di riferimento della cultura digitale: KnowYourMeme.com.
Con infinita pazienza, i gestori di KnowYourMeme.com ricostruiscono le origini di tutte queste creazioni. In questo caso, per esempio, la donna che urla è Taylor Armstrong, una delle protagoniste del reality intitolato The Real Housewives of Beverly Hills: l’immagine proviene da una puntata andata in onda il 5 dicembre del 2011 e fu pubblicata dal Daily Mail il giorno successivo. KnowYourMeme ha anche lo spezzone della puntata in questione, che vi risparmio.
Il gatto, invece, si chiama Smudge, e la sua foto risale al 2018, quando fu pubblicata su Tumblr dall’utente deadbeforedeath. Le due immagini furono abbinate per la prima volta su Twitter da @missingegirl il primo maggio 2019 e trasformate in meme il giorno successivo. E il resto è storia: KnowYourMeme.com include anche una statistica di popolarità di ogni meme.
Può far ridere o meno, ma è indubbio che questo tipo di contenuto è estremamente popolare. Ma da dove arriva? Chi crea queste immagini, e chi sono le persone ritratte nelle immagini? Lo spiega da anni un sito specializzato che è diventato uno dei punti di riferimento della cultura digitale: KnowYourMeme.com.
Con infinita pazienza, i gestori di KnowYourMeme.com ricostruiscono le origini di tutte queste creazioni. In questo caso, per esempio, la donna che urla è Taylor Armstrong, una delle protagoniste del reality intitolato The Real Housewives of Beverly Hills: l’immagine proviene da una puntata andata in onda il 5 dicembre del 2011 e fu pubblicata dal Daily Mail il giorno successivo. KnowYourMeme ha anche lo spezzone della puntata in questione, che vi risparmio.
Il gatto, invece, si chiama Smudge, e la sua foto risale al 2018, quando fu pubblicata su Tumblr dall’utente deadbeforedeath. Le due immagini furono abbinate per la prima volta su Twitter da @missingegirl il primo maggio 2019 e trasformate in meme il giorno successivo. E il resto è storia: KnowYourMeme.com include anche una statistica di popolarità di ogni meme.
Sparisce Ghosty, l’app per spiare gli utenti Instagram
Ghosty era un’app che prometteva di far vedere i profili Instagram nascosti. Era già stata scaricata oltre 500.000 volte da Google Play, dove era ospitata da aprile scorso. Ma ora non c’è più.
La ragione della sua sparizione è molto semplice: era una trappola. Infatti per poter accedere agli account Instagram privati bisognava dare a Ghosty le proprie credenziali Instagram e invitare almeno un’altra persona a usare l’app. Questo permetteva a Ghosty di accedere all’account Instagram del curiosone e offrirlo agli altri utenti. Era insomma un patto col diavolo, grazie al quale Ghosty permetteva sì di vedere gli account privati su Instagram, ma non tutti: solo quelli degli utenti Ghosty e dei loro amici.
La cosa peggiore, infatti, è che ci andavano di mezzo anche gli utenti Instagram i cui account privati venivano seguiti da chi si iscriveva a Ghosty. E così un utente Instagram che voleva tenere privato il proprio profilo se lo trovava spiabile per colpa di qualcuno dei suoi amici ai quali aveva concesso fiducia.
Ancora una volta, insomma, le promesse di privacy dei social network risultano vane.
Come se non bastasse tutto questo, Ghosty bombardava gli utenti di pubblicità e conteneva servizi a pagamento.
Pur essendo in violazione delle condizioni di servizio di Instagram, che vietano la raccolta di credenziali, Ghosty è rimasto in Google Play per mesi senza che né Facebook (proprietaria di Instagram) né Google intervenissero. Conviene evitare le offerte troppo belle per essere vere, anche quando sono in uno store ufficiale.
Fonti: Naked Security, Android Police.
La ragione della sua sparizione è molto semplice: era una trappola. Infatti per poter accedere agli account Instagram privati bisognava dare a Ghosty le proprie credenziali Instagram e invitare almeno un’altra persona a usare l’app. Questo permetteva a Ghosty di accedere all’account Instagram del curiosone e offrirlo agli altri utenti. Era insomma un patto col diavolo, grazie al quale Ghosty permetteva sì di vedere gli account privati su Instagram, ma non tutti: solo quelli degli utenti Ghosty e dei loro amici.
La cosa peggiore, infatti, è che ci andavano di mezzo anche gli utenti Instagram i cui account privati venivano seguiti da chi si iscriveva a Ghosty. E così un utente Instagram che voleva tenere privato il proprio profilo se lo trovava spiabile per colpa di qualcuno dei suoi amici ai quali aveva concesso fiducia.
Ancora una volta, insomma, le promesse di privacy dei social network risultano vane.
Come se non bastasse tutto questo, Ghosty bombardava gli utenti di pubblicità e conteneva servizi a pagamento.
Pur essendo in violazione delle condizioni di servizio di Instagram, che vietano la raccolta di credenziali, Ghosty è rimasto in Google Play per mesi senza che né Facebook (proprietaria di Instagram) né Google intervenissero. Conviene evitare le offerte troppo belle per essere vere, anche quando sono in uno store ufficiale.
Fonti: Naked Security, Android Police.
Aggiornate WhatsApp: le vecchie versioni si possono violare con un file MP4
Le versioni non aggiornate di WhatsApp possono essere attaccate inviando loro un semplice file MP4 (audio o video), che normalmente viene ritenuto innocuo.
In realtà, se questo file viene appositamente confezionato con metadati alterati, scatena un buffer overflow che può produrre un blocco dell’applicazione o l’esecuzione di comandi ostili.
La scoperta è opera di Gbhackers.com ed è stata confermata da Facebook, proprietaria di WhatsApp. La falla è classificata come CVE-2019-11931. Sono già state distribuite versioni aggiornate dell’app che correggono la vulnerabilità.
Le versioni di WhatsApp vulnerabili sono:
Fonti aggiuntive: Naked Security, Punto informatico.
In realtà, se questo file viene appositamente confezionato con metadati alterati, scatena un buffer overflow che può produrre un blocco dell’applicazione o l’esecuzione di comandi ostili.
La scoperta è opera di Gbhackers.com ed è stata confermata da Facebook, proprietaria di WhatsApp. La falla è classificata come CVE-2019-11931. Sono già state distribuite versioni aggiornate dell’app che correggono la vulnerabilità.
Le versioni di WhatsApp vulnerabili sono:
- per Android, fino alla 2.19.274 esclusa
- per iOS, fino alla 2.19.100 esclusa
- per Windows Phone, fino alla 2.18.368 inclusa.
Fonti aggiuntive: Naked Security, Punto informatico.
Telefonini Android che scattano foto e video di nascosto? Aggiornateli e passa la paura
I ricercatori di sicurezza di CheckMarx hanno scoperto una vulnerabilità degli smartphone Android che consentirebbe a un aggressore di prenderne il controllo e scattare foto e video di nascosto, anche quando il telefono è bloccato e lo schermo è disattivato.
Sembra l’incubo peggiore di ogni utente Android, ma niente panico. La falla, denominata CVE-2019-2234, è stata risolta distribuendo a luglio scorso un aggiornamento delle app usate per gestire la fotocamera.
I ricercatori hanno dimostrato in un video la sfruttabilità della falla: era sufficiente creare un’app che aggirava i permessi che normalmente le app devono chiedere se vogliono scattare foto e si limitava a chiedere il permesso di accedere alla memoria, cosa che fanno tantissime app e non è considerata particolarmente pericolosa.
Grazie a questo espediente, l’app ostile riusciva non solo a riprendere foto e video, ma poteva anche accedere alle foto e ai video già presenti sullo smartphone e inviarli all’aggressore.
Visto che foto e video contengono quasi sempre le coordinate GPS, oltre alle immagini potenzialmente imbarazzanti o confidenziali era possibile ottenere una cronologia degli spostamenti della vittima.
Morale della storia: installate prontamente gli aggiornamenti delle app e non installate app di provenienza sospetta.
Fonti aggiuntive: Hot For Security, Ars Technica, Gizmodo.
Sembra l’incubo peggiore di ogni utente Android, ma niente panico. La falla, denominata CVE-2019-2234, è stata risolta distribuendo a luglio scorso un aggiornamento delle app usate per gestire la fotocamera.
I ricercatori hanno dimostrato in un video la sfruttabilità della falla: era sufficiente creare un’app che aggirava i permessi che normalmente le app devono chiedere se vogliono scattare foto e si limitava a chiedere il permesso di accedere alla memoria, cosa che fanno tantissime app e non è considerata particolarmente pericolosa.
Grazie a questo espediente, l’app ostile riusciva non solo a riprendere foto e video, ma poteva anche accedere alle foto e ai video già presenti sullo smartphone e inviarli all’aggressore.
Visto che foto e video contengono quasi sempre le coordinate GPS, oltre alle immagini potenzialmente imbarazzanti o confidenziali era possibile ottenere una cronologia degli spostamenti della vittima.
Morale della storia: installate prontamente gli aggiornamenti delle app e non installate app di provenienza sospetta.
Fonti aggiuntive: Hot For Security, Ars Technica, Gizmodo.
2019/11/20
Finalmente recuperata una rara foto di Neil Armstrong sulla Luna
Anni fa avevo chiesto ai lettori di questo blog se qualcuno era in grado di recuperare una foto fortemente sottoesposta, scattata durante l’escursione lunare di Apollo 11. La foto, classificata come AS11-40-5894, è particolarmente significativa perché è una delle pochissime che mostrano Neil Armstrong sulla Luna almeno parzialmente.
Mancano infatti fotografie di Armstrong a figura intera durante la sua storica passeggiata sulla Luna. Tutte le foto, infatti, ritraggono il suo compagno di missione, Buzz Aldrin. Di Armstrong ci sono solo alcune inquadrature molto parziali.
La foto in questione è questa, nella sua versione grezza: si scorge, in basso a sinistra, la sagoma di Neil Armstrong.
La NASA ne ha pubblicato una versione parzialmente restaurata, che però è comunque molto scura. Ma oggi il bravissimo restauratore di immagini Apollo Andy Saunders ha risposto a un mio invito su Twitter e ha recuperato l’immagine:
In dettaglio, ecco Neil Armstrong sulla Luna, come non è mai stato visto prima:
Andy Saunders ha dato prova delle proprie capacità anche con la missione Apollo 12, di cui ricorre il cinquantenario proprio in questi giorni:
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Mancano infatti fotografie di Armstrong a figura intera durante la sua storica passeggiata sulla Luna. Tutte le foto, infatti, ritraggono il suo compagno di missione, Buzz Aldrin. Di Armstrong ci sono solo alcune inquadrature molto parziali.
La foto in questione è questa, nella sua versione grezza: si scorge, in basso a sinistra, la sagoma di Neil Armstrong.
La NASA ne ha pubblicato una versione parzialmente restaurata, che però è comunque molto scura. Ma oggi il bravissimo restauratore di immagini Apollo Andy Saunders ha risposto a un mio invito su Twitter e ha recuperato l’immagine:
In dettaglio, ecco Neil Armstrong sulla Luna, come non è mai stato visto prima:
Andy Saunders ha dato prova delle proprie capacità anche con la missione Apollo 12, di cui ricorre il cinquantenario proprio in questi giorni:
Alan Bean: " Let me get the old camera on you, babe"— Andy Saunders (@AndySaunders_1) November 19, 2019
At 6:22 on this day 50 yrs ago Pete Conrad descended the ladder to become the 3rd moonwalker. Can we see Bean's reflection?
1.3gb raw file of the original hasselblad film (thanks JSC / ASU), enhanced for #apollo12 #apollo50th pic.twitter.com/v4ENYTyKQW
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2019/11/18
Ci vediamo domani sera a Bolzano per parlare di missioni lunari e complotti?
Martedì 19 novembre alle 18 sarò a Bolzano, ospite del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige (via Bottai 1), per una conferenza dedicata alle tesi di complotto intorno agli allunaggi umani iniziati cinquant’anni fa.
I dettagli sono nell’evento Facebook: l’ingresso è libero.
Sarà particolarmente interessante parlare di complottismi, visto che stamattina (18 novembre) ho concluso una serie di incontri pubblici con uno degli astronauti lunari, Charlie Duke, per il quale ho fatto da traduttore sia a Lonato (BS), sia a Torino, e una delle cose che ha raccontato nei suoi interventi pubblici ha dimostrato come è facile costruire una tesi di complotto.
Duke, uno dei protagonisti della missione Apollo 16, ha descritto la sua esplorazione della Luna, fatta nel 1972 insieme a John Young, a bordo di un’auto elettrica. Sì, nel 1972 eravamo capaci di costruire un’auto elettrica, oltretutto pieghevole, e portarla fin sulla Luna. Ma abbiamo smesso di andare sulla Luna e abbiamo abbandonato tutta la tecnologia che ce lo aveva permesso, e così non ci andiamo più da quasi cinquant’anni e non siamo più in grado di andarci.
Durante la descrizione ha accennato al fatto che la sua missione è atterrata quasi al centro della faccia della Luna rivolta verso la Terra, per cui lui aveva la Terra grosso modo allo zenit. Duke ha spiegato, inoltre, che la flessibilità limitata della tuta spaziale gli impediva di vedere il pianeta dal quale era arrivato: non poteva inclinarsi all’indietro, a causa del peso dello zaino contenente i sistemi di supporto vitale, e alzare la testa dentro il casco sarebbe stato inutile, dato che la sommità del casco non era trasparente.
La posizione esatta della Terra, però, era importante, perché l’auto elettrica era dotata di una telecamera radiocomandata e di un ricetrasmettitore, che inviavano sulla Terra in diretta le immagini degli astronauti quando l’auto era ferma. Questo consentiva ai tecnici sulla Terra di comandare la telecamera e osservare in dettaglio le attività degli astronauti.
Sì, nel 1972 eravamo capaci non solo di costruire un’auto elettrica, di renderla pieghevole e di portarla sulla Luna, ma eravamo anche capaci, una volta portata lì, di usarla come stazione televisiva mobile per trasmettere immagini in diretta dalla Luna e a colori (paradossalmente, all’epoca la TV in Italia era ancora in bianco e nero). Certo, erano immagini a bassa risoluzione e sulla Terra c’erano parabole riceventi enormi, ma questo era il livello della tecnologia di punta di quegli anni.
Questo apparato trasmetteva tramite un’antenna parabolica, che doveva essere puntata verso la Terra. Piccolo problema (con relativa tesi di complotto): se Duke ha detto che la tuta impediva agli astronauti di vedere la Terra, come potevano mai puntare con precisione quest’antenna?
La spiegazione l’ho avuta (e devo darmi i pizzicotti nel raccontarvelo) direttamente da Duke, con il quale stamattina ho fatto colazione in albergo. A 84 anni ha una lucidità e precisione di pensiero assolutamente invidiabili, e ha risposto alla mia domanda sul puntamento in modo semplice e lampante: la NASA si era resa conto del problema e aveva installato sul meccanismo di puntamento della parabola una sorta di mezzo periscopio, con uno specchio attraverso il quale l’astronauta poteva traguardare la Terra tenendo la testa orizzontale.
Anche in questo caso, insomma, la tesi di complotto si smonta semplicemente informandosi invece di saltare alle conclusioni. Io ho avuto il privilegio di potermi informare direttamente alla fonte, da uno degli uomini che quel puntamento surreale l‘ha fatto; ma chi non ha questa fortuna può leggersi la vastissima documentazione tecnica pubblicamente disponibile.
Se avete altri dubbi o domande, o se semplicemente volete che racconti e illustri qualche chicca delle tante che abbelliscono le vicende delle esplorazioni lunari, o che vi dica cosa ne pensa Duke del progetto Artemis di tornare sulla Luna entro il 2024, vi aspetto domani (19 novembre) a Bolzano.
I dettagli sono nell’evento Facebook: l’ingresso è libero.
Sarà particolarmente interessante parlare di complottismi, visto che stamattina (18 novembre) ho concluso una serie di incontri pubblici con uno degli astronauti lunari, Charlie Duke, per il quale ho fatto da traduttore sia a Lonato (BS), sia a Torino, e una delle cose che ha raccontato nei suoi interventi pubblici ha dimostrato come è facile costruire una tesi di complotto.
Duke, uno dei protagonisti della missione Apollo 16, ha descritto la sua esplorazione della Luna, fatta nel 1972 insieme a John Young, a bordo di un’auto elettrica. Sì, nel 1972 eravamo capaci di costruire un’auto elettrica, oltretutto pieghevole, e portarla fin sulla Luna. Ma abbiamo smesso di andare sulla Luna e abbiamo abbandonato tutta la tecnologia che ce lo aveva permesso, e così non ci andiamo più da quasi cinquant’anni e non siamo più in grado di andarci.
Durante la descrizione ha accennato al fatto che la sua missione è atterrata quasi al centro della faccia della Luna rivolta verso la Terra, per cui lui aveva la Terra grosso modo allo zenit. Duke ha spiegato, inoltre, che la flessibilità limitata della tuta spaziale gli impediva di vedere il pianeta dal quale era arrivato: non poteva inclinarsi all’indietro, a causa del peso dello zaino contenente i sistemi di supporto vitale, e alzare la testa dentro il casco sarebbe stato inutile, dato che la sommità del casco non era trasparente.
La posizione esatta della Terra, però, era importante, perché l’auto elettrica era dotata di una telecamera radiocomandata e di un ricetrasmettitore, che inviavano sulla Terra in diretta le immagini degli astronauti quando l’auto era ferma. Questo consentiva ai tecnici sulla Terra di comandare la telecamera e osservare in dettaglio le attività degli astronauti.
Sì, nel 1972 eravamo capaci non solo di costruire un’auto elettrica, di renderla pieghevole e di portarla sulla Luna, ma eravamo anche capaci, una volta portata lì, di usarla come stazione televisiva mobile per trasmettere immagini in diretta dalla Luna e a colori (paradossalmente, all’epoca la TV in Italia era ancora in bianco e nero). Certo, erano immagini a bassa risoluzione e sulla Terra c’erano parabole riceventi enormi, ma questo era il livello della tecnologia di punta di quegli anni.
Questo apparato trasmetteva tramite un’antenna parabolica, che doveva essere puntata verso la Terra. Piccolo problema (con relativa tesi di complotto): se Duke ha detto che la tuta impediva agli astronauti di vedere la Terra, come potevano mai puntare con precisione quest’antenna?
L’auto elettrica lunare: sulla sinistra, la parabola per le trasmissioni TV verso la Terra. |
La spiegazione l’ho avuta (e devo darmi i pizzicotti nel raccontarvelo) direttamente da Duke, con il quale stamattina ho fatto colazione in albergo. A 84 anni ha una lucidità e precisione di pensiero assolutamente invidiabili, e ha risposto alla mia domanda sul puntamento in modo semplice e lampante: la NASA si era resa conto del problema e aveva installato sul meccanismo di puntamento della parabola una sorta di mezzo periscopio, con uno specchio attraverso il quale l’astronauta poteva traguardare la Terra tenendo la testa orizzontale.
Anche in questo caso, insomma, la tesi di complotto si smonta semplicemente informandosi invece di saltare alle conclusioni. Io ho avuto il privilegio di potermi informare direttamente alla fonte, da uno degli uomini che quel puntamento surreale l‘ha fatto; ma chi non ha questa fortuna può leggersi la vastissima documentazione tecnica pubblicamente disponibile.
Se avete altri dubbi o domande, o se semplicemente volete che racconti e illustri qualche chicca delle tante che abbelliscono le vicende delle esplorazioni lunari, o che vi dica cosa ne pensa Duke del progetto Artemis di tornare sulla Luna entro il 2024, vi aspetto domani (19 novembre) a Bolzano.
2019/11/16
Una Tesla evita anatre? Forse. Di certo solleva il problema delle decisioni in emergenza
Sta circolando da qualche giorno questo video, per ora non confermato, nel quale si vede un’auto che evita una famiglia di anatre che sta attraversando la strada. La descrizione del video dice che l’episodio è avvenuto in Nuova Zelanda, fra le località di Gisborne e Bacchus Marsh, l’11 novembre scorso, e che l’auto era una Tesla sulla quale era in funzione il sistema di guida assistita (il cosiddetto Autopilot).
La descrizione aggiunge che il conducente procedeva a 100 km/h e non avrebbe notato gli uccelli a causa delle ombre, ma l’assistente di guida avrebbe riconosciuto i volatili, avrebbe suonato l’allarme e avrebbe sterzato e frenato.
Essendo un video virale monetizzato, il rischio che si tratti di una messinscena non è trascurabile, e sto cercando conferme o smentite. Ma in ogni caso il video ripropone in maniera molto coinvolgente il problema fondamentale di qualunque veicolo a guida autonoma o assistita, e anche di qualunque automobilista: cosa fare in casi come questi?
La soluzione cinica e fredda, viste le dimensioni degli animali, è travolgerli: i danni all’auto saranno trascurabili e si eviteranno i rischi di una sterzata improvvisa, con possibile perdita di controllo. Ma quanti si sentirebbero di scegliere questa soluzione? Quanti riuscirebbero, in emergenza, a resistere all’impulso di sterzare e frenare?
In questo caso il sistema di guida assistita avrebbe, a quanto pare, preso la decisione perfetta, riconoscendo gli oggetti e gestendo impeccabilmente la sterzata e la successiva correzione di traiettoria. Ma cosa sarebbe successo se ci fosse stata nella corsia opposta un’altra auto? O un ciclista? O un cane? Il sistema avrebbe sterzato lo stesso, causando uno scontro frontale o travolgendo una persona o un altro animale? O avrebbe semplicemente frenato restando in corsia, nel tentativo di ridurre il danno agli animali e all’auto? E se al posto delle anatre ci fosse stato un bambino?
Un sistema di guida assistita ha tempi di reazione enormemente più rapidi di un essere umano: situazioni come queste, dal suo punto di vista, avvengono al rallentatore e senza emozioni, e quindi c‘è tutto il tempo di “ragionare” sulle varie opzioni e di calcolarne i risultati con freddissima precisione. Ma gli attuali assistenti di guida hanno questo livello di sofisticazione, o si limitano a semplici istruzioni del tipo “se vedi un oggetto grosso davanti a te e la corsia in fianco è libera, scansalo”? Sanno riconoscere non solo gli oggetti, ma il loro valore etico?
Per contro, qualora fosse possibile programmare delle priorità all’interno di questi sistemi, quali dovrebbero essere queste priorità? Se l’impatto è inevitabile, l’auto chi deve scegliere fra un bambino o un anziano? Fra un uomo e una donna? Fra un pedone e un gruppo di pedoni? Se uscire di strada permette di salvare le persone sulla strada ma mette a rischio il conducente e i passeggeri dell’auto, che però sono protetti almeno in parte da carrozzeria, airbag e cinture, è questa la scelta da fare? E se invece si tratta di scegliere fra danni materiali all’auto e investire un anatroccolo?
Più in generale, è giusto pretendere che un sistema informatico debba prendere queste decisioni etiche? O dovremmo invece limitare la guida autonoma a percorsi appositi e messi in sicurezza, come avviene per i treni o le metropolitane e gli ascensori, e abbandonare il sogno di essere portati in giro per le città caotiche di oggi da fedeli servi elettronici infallibili?
Questi dilemmi non sono certo nuovi: fanno parte del cosiddetto trolley problem, o “dilemma del tram”, che ho già toccato altrove, sono noti dagli anni Sessanta del secolo scorso e sono tornati alla ribalta con l’introduzione dei sistemi di guida assistita e con l’affacciarsi all’orizzonte di sistemi di guida pienamente autonoma.
Se volete saperne di più, consiglio questo articolo di Towards Data Science, che esplora i vari approcci adottati dalle aziende come Waymo e Tesla che stanno studiando il problema.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
La descrizione aggiunge che il conducente procedeva a 100 km/h e non avrebbe notato gli uccelli a causa delle ombre, ma l’assistente di guida avrebbe riconosciuto i volatili, avrebbe suonato l’allarme e avrebbe sterzato e frenato.
Essendo un video virale monetizzato, il rischio che si tratti di una messinscena non è trascurabile, e sto cercando conferme o smentite. Ma in ogni caso il video ripropone in maniera molto coinvolgente il problema fondamentale di qualunque veicolo a guida autonoma o assistita, e anche di qualunque automobilista: cosa fare in casi come questi?
La soluzione cinica e fredda, viste le dimensioni degli animali, è travolgerli: i danni all’auto saranno trascurabili e si eviteranno i rischi di una sterzata improvvisa, con possibile perdita di controllo. Ma quanti si sentirebbero di scegliere questa soluzione? Quanti riuscirebbero, in emergenza, a resistere all’impulso di sterzare e frenare?
In questo caso il sistema di guida assistita avrebbe, a quanto pare, preso la decisione perfetta, riconoscendo gli oggetti e gestendo impeccabilmente la sterzata e la successiva correzione di traiettoria. Ma cosa sarebbe successo se ci fosse stata nella corsia opposta un’altra auto? O un ciclista? O un cane? Il sistema avrebbe sterzato lo stesso, causando uno scontro frontale o travolgendo una persona o un altro animale? O avrebbe semplicemente frenato restando in corsia, nel tentativo di ridurre il danno agli animali e all’auto? E se al posto delle anatre ci fosse stato un bambino?
Un sistema di guida assistita ha tempi di reazione enormemente più rapidi di un essere umano: situazioni come queste, dal suo punto di vista, avvengono al rallentatore e senza emozioni, e quindi c‘è tutto il tempo di “ragionare” sulle varie opzioni e di calcolarne i risultati con freddissima precisione. Ma gli attuali assistenti di guida hanno questo livello di sofisticazione, o si limitano a semplici istruzioni del tipo “se vedi un oggetto grosso davanti a te e la corsia in fianco è libera, scansalo”? Sanno riconoscere non solo gli oggetti, ma il loro valore etico?
Per contro, qualora fosse possibile programmare delle priorità all’interno di questi sistemi, quali dovrebbero essere queste priorità? Se l’impatto è inevitabile, l’auto chi deve scegliere fra un bambino o un anziano? Fra un uomo e una donna? Fra un pedone e un gruppo di pedoni? Se uscire di strada permette di salvare le persone sulla strada ma mette a rischio il conducente e i passeggeri dell’auto, che però sono protetti almeno in parte da carrozzeria, airbag e cinture, è questa la scelta da fare? E se invece si tratta di scegliere fra danni materiali all’auto e investire un anatroccolo?
Più in generale, è giusto pretendere che un sistema informatico debba prendere queste decisioni etiche? O dovremmo invece limitare la guida autonoma a percorsi appositi e messi in sicurezza, come avviene per i treni o le metropolitane e gli ascensori, e abbandonare il sogno di essere portati in giro per le città caotiche di oggi da fedeli servi elettronici infallibili?
Questi dilemmi non sono certo nuovi: fanno parte del cosiddetto trolley problem, o “dilemma del tram”, che ho già toccato altrove, sono noti dagli anni Sessanta del secolo scorso e sono tornati alla ribalta con l’introduzione dei sistemi di guida assistita e con l’affacciarsi all’orizzonte di sistemi di guida pienamente autonoma.
Se volete saperne di più, consiglio questo articolo di Towards Data Science, che esplora i vari approcci adottati dalle aziende come Waymo e Tesla che stanno studiando il problema.
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2019/11/10
Tesla in Cina: dieci mesi fa non esisteva neanche la fabbrica. Oggi inizia a sfornare auto. La prossima sarà a Berlino
Dieci mesi fa, alla periferia di Shanghai c’era questa distesa di fango.
Oggi al suo posto c‘è una fabbrica che sforna auto elettriche per l’enorme mercato cinese.
Con buona pace di tutti quelli che dicono “non si può fare”.
2019/11/12 23:20: Poco fa Elon Musk ha annunciato pubblicamente, durante una premiazione in Germania, che la prossima fabbrica di auto Tesla, la Gigafactory 4, sorgerà vicino a Berlino. Ha aggiunto via Twitter che la fabbrica produrrà batterie, gruppi propulsori e veicoli, iniziando con la Model Y.
2019/12/20 8:40: La prima Model 3 fabbricata in Cina è stata consegnata al cliente, che come consueto è un dipendente dell’azienda. Il dipendente ha colto l’occasione per una proposta di matrimonio.
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Credit: Eunice Yoon / CNBC. |
Oggi al suo posto c‘è una fabbrica che sforna auto elettriche per l’enorme mercato cinese.
Con buona pace di tutti quelli che dicono “non si può fare”.
2019/11/12 23:20: Poco fa Elon Musk ha annunciato pubblicamente, durante una premiazione in Germania, che la prossima fabbrica di auto Tesla, la Gigafactory 4, sorgerà vicino a Berlino. Ha aggiunto via Twitter che la fabbrica produrrà batterie, gruppi propulsori e veicoli, iniziando con la Model Y.
2019/12/20 8:40: La prima Model 3 fabbricata in Cina è stata consegnata al cliente, che come consueto è un dipendente dell’azienda. Il dipendente ha colto l’occasione per una proposta di matrimonio.
What a touching moment. pic.twitter.com/DlQn4wyW1j— Tesla China (@teslacn) December 30, 2019
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2019/11/09
Ho citato il 5G a scuola ed è partita subito la polemica. Facciamo chiarezza
Martedì scorso sono stato alle Scuole Medie di Morbio Inferiore (Canton Ticino), su invito dell’istituto, per fare una conferenza sul fenomeno delle fake news per gli studenti.
Ho citato casi storici come la Donazione di Costantino e i Protocolli dei Savi di Sion. Ho parlato delle varie cause dell’esplosione di questo fenomeno: dal clickbait all’errore giornalistico, dal pregiudizio alimentato dagli algoritmi dei social network al programmatic advertising, dalla caccia agli ascolti TV alla propaganda politica, fino al diletto di inventare fandonie per vedere chi ci casca e si spaventa.
Strada facendo, in una novantina di slide, ho toccato razzismo, antivaccinismo, cambiamenti climatici, antisemitismo, Donald Trump, complottismo, il caso Stamina e altro ancora, proponendo anche alcune tecniche di indagine e di difesa, che abbiamo applicato in pratica con degli esercizi.
Sono tutti argomenti solitamente considerati delicati e controversi: ma una sola slide, fra le tante che ho mostrato, mi è valsa l’accusa di essere un indottrinatore. La slide è quella che vedete qui sopra: quella che riguarda il 5G.
Tio.ch, infatti, segnala che una madre di uno degli studenti ha criticato il mio intervento:
Alla critica si è unita Eva Camilleri, del Gruppo Stop 5G, come potete leggere nell’articolo di Tio.ch, che include anche la confortante presa di posizione del direttore dell’istituto scolastico e un mio breve commento rilasciato stamattina (venerdì 8) poco prima di andare in diretta alla radio.
Vorrei chiarire i fatti dando qualche dettaglio in più, per smorzare subito questa polemica.
Prima di tutto, quella slide è stata l’unica in cui ho accennato al 5G, e l’ho mostrata per segnalare che negli Stati Uniti l'emittente RT America, finanziata dal governo russo, fa disinformazione sulle nuove reti cellulari per spaventare l'opinione pubblica con toni catastrofici. Non lo dico io: lo dice Il Post, sulla scorta di un’inchiesta del New York Times.
La slide mostra appunto un fermo immagine di uno dei video di RT America, che presenta la drammatica dicitura “5G Apocalypse”. L’ho fatta vedere agli studenti per far notare come intorno all’argomento circoli molta informazione volutamente falsa e confezionata professionalmente: fake news, insomma, ossia il tema della conferenza.
Ho detto agli studenti che non ci sono, ad oggi, fatti comprovati che indichino un pericolo particolare nel 5G rispetto al 4G attuale, ma che in ogni caso, a prescindere da come la si pensi sul 5G, immagini come questa di RT America mostrano che non tutto quello che circola su Internet e ha un aspetto professionale è attendibile, e quindi spetta a loro sviluppare il loro senso critico e acquisire gli strumenti e le conoscenze che li mettono in grado di capire cosa è vero e cosa è falso. Conoscenze che ricevono, appunto, a scuola.
Fine dell’accenno al 5G. Siamo poi andati avanti ad analizzare tanti altri casi di fake news.
Questo è quanto. Se la mamma preoccupata o i membri del Gruppo Stop 5G ne vogliono parlare serenamente faccia a faccia, fuori da ogni polemica, sono a disposizione.
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Ho citato casi storici come la Donazione di Costantino e i Protocolli dei Savi di Sion. Ho parlato delle varie cause dell’esplosione di questo fenomeno: dal clickbait all’errore giornalistico, dal pregiudizio alimentato dagli algoritmi dei social network al programmatic advertising, dalla caccia agli ascolti TV alla propaganda politica, fino al diletto di inventare fandonie per vedere chi ci casca e si spaventa.
Strada facendo, in una novantina di slide, ho toccato razzismo, antivaccinismo, cambiamenti climatici, antisemitismo, Donald Trump, complottismo, il caso Stamina e altro ancora, proponendo anche alcune tecniche di indagine e di difesa, che abbiamo applicato in pratica con degli esercizi.
Sono tutti argomenti solitamente considerati delicati e controversi: ma una sola slide, fra le tante che ho mostrato, mi è valsa l’accusa di essere un indottrinatore. La slide è quella che vedete qui sopra: quella che riguarda il 5G.
Tio.ch, infatti, segnala che una madre di uno degli studenti ha criticato il mio intervento:
«È una vergogna. La scuola media non dovrebbe spingere per il 5G. Invece mio figlio, in classe, è stato “indottrinato” da Paolo Attivissimo, esperto di nuove tecnologie invitato in aula»
Alla critica si è unita Eva Camilleri, del Gruppo Stop 5G, come potete leggere nell’articolo di Tio.ch, che include anche la confortante presa di posizione del direttore dell’istituto scolastico e un mio breve commento rilasciato stamattina (venerdì 8) poco prima di andare in diretta alla radio.
Vorrei chiarire i fatti dando qualche dettaglio in più, per smorzare subito questa polemica.
Prima di tutto, quella slide è stata l’unica in cui ho accennato al 5G, e l’ho mostrata per segnalare che negli Stati Uniti l'emittente RT America, finanziata dal governo russo, fa disinformazione sulle nuove reti cellulari per spaventare l'opinione pubblica con toni catastrofici. Non lo dico io: lo dice Il Post, sulla scorta di un’inchiesta del New York Times.
La slide mostra appunto un fermo immagine di uno dei video di RT America, che presenta la drammatica dicitura “5G Apocalypse”. L’ho fatta vedere agli studenti per far notare come intorno all’argomento circoli molta informazione volutamente falsa e confezionata professionalmente: fake news, insomma, ossia il tema della conferenza.
Ho detto agli studenti che non ci sono, ad oggi, fatti comprovati che indichino un pericolo particolare nel 5G rispetto al 4G attuale, ma che in ogni caso, a prescindere da come la si pensi sul 5G, immagini come questa di RT America mostrano che non tutto quello che circola su Internet e ha un aspetto professionale è attendibile, e quindi spetta a loro sviluppare il loro senso critico e acquisire gli strumenti e le conoscenze che li mettono in grado di capire cosa è vero e cosa è falso. Conoscenze che ricevono, appunto, a scuola.
Fine dell’accenno al 5G. Siamo poi andati avanti ad analizzare tanti altri casi di fake news.
Questo è quanto. Se la mamma preoccupata o i membri del Gruppo Stop 5G ne vogliono parlare serenamente faccia a faccia, fuori da ogni polemica, sono a disposizione.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
2019/11/08
Puntata del Disinformatico RSI del 2019/11/08
È disponibile la puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme ad Alevidj.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Argomenti trattati: link diretto.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
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Argomenti trattati: link diretto.
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App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
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Cancellare la cronologia di un assistente vocale
Gli assistenti vocali memorizzano quello che diciamo loro: le nostre parole non svaniscono nel nulla ma vengono conservate. Sappiamo che questi assistenti spesso si attivano spontaneamente, senza che li abbiamo invocati, per cui spesso captano e registrano pezzi di conversazioni intime che non avevamo intenzione di condividere con Google, Apple, Amazon, Facebook o Microsoft.
Se volete riesaminare quello che hanno archiviato su di voi questi assistenti ed eventualmente cancellarlo, questo articolo di Gizmodo contiene le istruzioni dettagliate (in inglese, ma facilmente deducibili in italiano) su come procedere con quasi tutti questi assistenti vocali.
Per l’Assistente Google, per esempio, bisogna entrare nel proprio account Google visitando myaccount.google.com e cliccare su Dati e personalizzazione - Utilizza gestione attività.
Invece per cancellare la cronologia vocale di Siri sui vari dispositivi (iPhone, iPad, iPod touch, Apple Watch, Apple TV, HomePod e Mac) bisogna seguire una procedura distinta per ogni singolo dispositivo.
Amazon Alexa, invece, è gestibile entrando nel proprio account Amazon, scegliendo Account e liste e poi Contenuti e dispositivi - Privacy di Alexa e Rivedi la cronologia voce. Scegliendo Intera cronologia come intervallo di date compare la possibilità di rivedere o eliminare tutto. Fra l’altro, esiste anche una scorciatoia: se si abilita in questa pagina l’opzione Abilita l'eliminazione tramite comando vocale, potete eliminare una registrazione dicendo "Alexa, elimina quello che ho appena detto" oppure eliminare tutte quelle del giorno dicendo "Alexa, elimina tutto quello che ho detto oggi."
Se volete riesaminare quello che hanno archiviato su di voi questi assistenti ed eventualmente cancellarlo, questo articolo di Gizmodo contiene le istruzioni dettagliate (in inglese, ma facilmente deducibili in italiano) su come procedere con quasi tutti questi assistenti vocali.
Per l’Assistente Google, per esempio, bisogna entrare nel proprio account Google visitando myaccount.google.com e cliccare su Dati e personalizzazione - Utilizza gestione attività.
- Per riesaminare tutte le cose dette volontariamente o involontariamente all’Assistente, cliccate su Gestisci attività e poi su Filtra per data e prodotto. Scegliete Assistente e poi Applica.
- In Utilizza gestione attività potete disattivare l’opzione Includi registrazioni vocali e audio per cancellare tutte le registrazioni vocali acquisite e cliccare su Gestisci attività e poi su Scegli di eliminare automaticamente. A questo punto potrete scegliere se eliminare tutto automaticamente dopo tre o diciotto mesi.
Invece per cancellare la cronologia vocale di Siri sui vari dispositivi (iPhone, iPad, iPod touch, Apple Watch, Apple TV, HomePod e Mac) bisogna seguire una procedura distinta per ogni singolo dispositivo.
Amazon Alexa, invece, è gestibile entrando nel proprio account Amazon, scegliendo Account e liste e poi Contenuti e dispositivi - Privacy di Alexa e Rivedi la cronologia voce. Scegliendo Intera cronologia come intervallo di date compare la possibilità di rivedere o eliminare tutto. Fra l’altro, esiste anche una scorciatoia: se si abilita in questa pagina l’opzione Abilita l'eliminazione tramite comando vocale, potete eliminare una registrazione dicendo "Alexa, elimina quello che ho appena detto" oppure eliminare tutte quelle del giorno dicendo "Alexa, elimina tutto quello che ho detto oggi."
Attivare un assistente vocale di nascosto con un laser
Siri, Alexa, Facebook Portal e Google Home, i popolari assistenti vocali, sono vulnerabili a un attacco che sembra preso di peso da un film di fantascienza: è sufficiente puntare un raggio laser modulato (anche invisibile, se negli infrarossi) su un punto preciso dei dispositivi che incorporano questi assistenti per prenderne il controllo e impartire comandi vocali silenziosi e potenzialmente pericolosi, come “acquista questo prodotto” oppure “spegni tutte le luci e sblocca la porta d’ingresso”.
Il punto preciso da colpire corrisponde ai microfoni incorporati in questi assistenti. Questi microfoni, realizzati in tecnologia MEMS (sta per Micro-ElectroMechanical Systems), sono misteriosamente sensibili alla luce laser.
I ricercatori, composti da esperti in Giappone (University of Electro-Communications, Tokyo) e presso la University of Michigan, hanno dimostrato di essere in grado di prendere il controllo di questi assistenti anche attraverso una finestra e persino stando in un altro edificio a 70 metri di distanza dal bersaglio.
L’attrezzatura necessaria non è particolarmente complicata o costosa, e l’unica difesa attualmente disponibile è piazzare i propri assistenti vocali lontano da qualunque finestra che dia sull’esterno. Oppure fare direttamente a meno di questi assistenti.
L’attacco è particolarmente interessante non solo per la sua modalità da film, ma anche perché scavalca uno dei limiti finora presenti negli attacchi informatici a questi dispositivi, ossia la necessità per il malfattore di introdursi in casa per poterli usare in modo improprio.
Gli assistenti vocali, infatti, sono concepiti per avere la massima facilità d’uso, per cui rispondono a qualunque voce e non chiedono quasi mai password di conferma prima di eseguire i comandi. Ma i loro microfoni hanno una portata che si limita al volume dell’abitazione, per cui normalmente questa assenza di protezioni non è un problema, salvo che il “malfattore” sia un membro della famiglia (un bambino, per esempio) oppure una persona invitata in casa.
Con questa tecnica, denominata Light Commands, questo limite non c’è più. I dettagli sono raccontati presso LightCommands.com.
Fonte aggiuntiva: Ars Technica.
Il punto preciso da colpire corrisponde ai microfoni incorporati in questi assistenti. Questi microfoni, realizzati in tecnologia MEMS (sta per Micro-ElectroMechanical Systems), sono misteriosamente sensibili alla luce laser.
I ricercatori, composti da esperti in Giappone (University of Electro-Communications, Tokyo) e presso la University of Michigan, hanno dimostrato di essere in grado di prendere il controllo di questi assistenti anche attraverso una finestra e persino stando in un altro edificio a 70 metri di distanza dal bersaglio.
L’attrezzatura necessaria non è particolarmente complicata o costosa, e l’unica difesa attualmente disponibile è piazzare i propri assistenti vocali lontano da qualunque finestra che dia sull’esterno. Oppure fare direttamente a meno di questi assistenti.
L’attacco è particolarmente interessante non solo per la sua modalità da film, ma anche perché scavalca uno dei limiti finora presenti negli attacchi informatici a questi dispositivi, ossia la necessità per il malfattore di introdursi in casa per poterli usare in modo improprio.
Gli assistenti vocali, infatti, sono concepiti per avere la massima facilità d’uso, per cui rispondono a qualunque voce e non chiedono quasi mai password di conferma prima di eseguire i comandi. Ma i loro microfoni hanno una portata che si limita al volume dell’abitazione, per cui normalmente questa assenza di protezioni non è un problema, salvo che il “malfattore” sia un membro della famiglia (un bambino, per esempio) oppure una persona invitata in casa.
Con questa tecnica, denominata Light Commands, questo limite non c’è più. I dettagli sono raccontati presso LightCommands.com.
Fonte aggiuntiva: Ars Technica.
Facebook cambia nome: ora si chiama FACEBOOK
Facebook ha annunciato un cambiamento epocale nel proprio branding: d’ora in poi l’azienda che gestisce il social network si chiamerà FACEBOOK, scritto tutto in maiuscolo e in colori variabili. L’app del suo social network omonimo manterrà il logo classico e il nome classico senza maiuscole. Quindi facciamo i bravi e impariamo la distinzione: l’app è Facebook, l’azienda è FACEBOOK. C'è anche la GIF animata apposita:
C’è tutto uno spiegone sui dettagli di questa decisione, che parla di un “sistema che è rispettoso del contesto e dell’ambiente”, di un “design che sostiene le persone e le loro storie”, e racconta che il font scelto ha un “sottile ammorbidimento degli angoli e delle diagonali” che “aggiunge un senso di ottimismo”. Sarà.
Il problema, perlomeno per me che sono della vecchia guardia, è che la regola di Internet è che scrivere tutto in maiuscolo equivale a URLARE. Per cui vedere “FACEBOOK” mi fa venire l’impulso di leggerlo urlando.
A parte questo, è comunque positivo che presto le app di FACEBOOK (l’azienda) avranno tutte una chiara indicazione della loro appartenenza a FACEBOOK (sempre l’azienda). Molti utenti, infatti, non sono consapevoli del fatto che anche Instagram e WhatsApp (e anche Oculus) fanno parte della galassia di servizi di FACEBOOK (l’azienda) e quindi abbandonano Facebook (l’app) in favore di queste altre app senza rendersi conto che i dati che vi immettono confluiscono lo stesso in FACEBOOK (l’azienda).
C’è tutto uno spiegone sui dettagli di questa decisione, che parla di un “sistema che è rispettoso del contesto e dell’ambiente”, di un “design che sostiene le persone e le loro storie”, e racconta che il font scelto ha un “sottile ammorbidimento degli angoli e delle diagonali” che “aggiunge un senso di ottimismo”. Sarà.
Il problema, perlomeno per me che sono della vecchia guardia, è che la regola di Internet è che scrivere tutto in maiuscolo equivale a URLARE. Per cui vedere “FACEBOOK” mi fa venire l’impulso di leggerlo urlando.
A parte questo, è comunque positivo che presto le app di FACEBOOK (l’azienda) avranno tutte una chiara indicazione della loro appartenenza a FACEBOOK (sempre l’azienda). Molti utenti, infatti, non sono consapevoli del fatto che anche Instagram e WhatsApp (e anche Oculus) fanno parte della galassia di servizi di FACEBOOK (l’azienda) e quindi abbandonano Facebook (l’app) in favore di queste altre app senza rendersi conto che i dati che vi immettono confluiscono lo stesso in FACEBOOK (l’azienda).
Instagram prima e dopo. |
Perché TikTok è sotto indagine?
TikTok, l’app che molti conoscono con il suo nome precedente, ossia Musical.ly, ha circa 500 milioni di utenti in tutto il mondo. Sono concentrati in gran parte in Cina e sono principalmente giovanissimi.
Il suo concetto è semplice: pubblicare video cortissimi, che durano una quindicina di secondi e spesso sono realizzati con qualche effetto speciale a sorpresa oppure mimano spezzoni di canzoni.
Ma c’è chi si preoccupa per TikTok, addirittura in termini di sicurezza nazionale. L’app è oggi di proprietà dell’azienda cinese Bytedance, che era stata multata per quasi sei milioni di dollari, quando l’app si chiamava ancora Musical.ly, per aver ospitato consapevolmente contenuti pubblicati da minori e raccolto dati su minori senza il consenso dei genitori, cose vietate negli Stati Uniti.
Una delle persone preoccupate per la sicurezza di TikTok è Alex Stamos, ex funzionario della sicurezza di Facebook e oggi professore a Stanford: ha tweetato che Bytedance sta applicando le regole cinesi di censura anche negli Stati Uniti, vietando contenuti che esprimono punti di vista politici.
Un’altra preoccupazione è che il governo cinese esige che le sue app social forniscano allo stato pieno accesso alle informazioni degli utenti. Bytedance, però, dice che i dati degli utenti non cinesi non vengono condivisi con le autorità cinesi. Alcuni politici americani hanno chiesto ai responsabili di TikTok di presentarsi per un’udienza in cui chiarire la propria posizione e hanno chiesto ai servizi di sicurezza statunitensi di esaminare TikTok. L’app è sotto esame anche nel Regno Unito per il suo uso di dati di minori.
Tanta agitazione può sembrare assurda per un’app tutto sommato frivola, ma c’è un precedente: Grindr, un’app di incontri gay. Era stata acquisita da un’azienda cinese, Kunlun, ma le autorità americane hanno ordinato a Kunlun di cederla ad altri (americani) perché contiene troppe informazioni personali sui soldati statunitensi, che non è opportuno regalare a un paese straniero che ne potrebbe fare un uso facilmente immaginabile.
Il suo concetto è semplice: pubblicare video cortissimi, che durano una quindicina di secondi e spesso sono realizzati con qualche effetto speciale a sorpresa oppure mimano spezzoni di canzoni.
Ma c’è chi si preoccupa per TikTok, addirittura in termini di sicurezza nazionale. L’app è oggi di proprietà dell’azienda cinese Bytedance, che era stata multata per quasi sei milioni di dollari, quando l’app si chiamava ancora Musical.ly, per aver ospitato consapevolmente contenuti pubblicati da minori e raccolto dati su minori senza il consenso dei genitori, cose vietate negli Stati Uniti.
Una delle persone preoccupate per la sicurezza di TikTok è Alex Stamos, ex funzionario della sicurezza di Facebook e oggi professore a Stanford: ha tweetato che Bytedance sta applicando le regole cinesi di censura anche negli Stati Uniti, vietando contenuti che esprimono punti di vista politici.
Un’altra preoccupazione è che il governo cinese esige che le sue app social forniscano allo stato pieno accesso alle informazioni degli utenti. Bytedance, però, dice che i dati degli utenti non cinesi non vengono condivisi con le autorità cinesi. Alcuni politici americani hanno chiesto ai responsabili di TikTok di presentarsi per un’udienza in cui chiarire la propria posizione e hanno chiesto ai servizi di sicurezza statunitensi di esaminare TikTok. L’app è sotto esame anche nel Regno Unito per il suo uso di dati di minori.
Tanta agitazione può sembrare assurda per un’app tutto sommato frivola, ma c’è un precedente: Grindr, un’app di incontri gay. Era stata acquisita da un’azienda cinese, Kunlun, ma le autorità americane hanno ordinato a Kunlun di cederla ad altri (americani) perché contiene troppe informazioni personali sui soldati statunitensi, che non è opportuno regalare a un paese straniero che ne potrebbe fare un uso facilmente immaginabile.
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