Che meraviglia avere un dubbio tecnico sui computer degli allunaggi e farselo chiarire da chi ha creato quei computer. È successo stamattina, in una mail. Il bello di Internet.
I donatori di Carrying the Fire, la traduzione in italiano dell’autobiografia dell’astronauta lunare Michael Collins resa possibile dal crowdfunding e dalla collaborazione con l’editore Cartabianca Publishing, avranno una bella sorpresa.
I complottisti queste gioie non sanno manco cosa siano.
Ieri la traduzione collettiva del libro (circa 182.000 parole) ha superato una tappa importante: oltre la metà del testo è già riveduta e chiusa e nelle mani dell’editore, e ora si corre con cautela verso la chiusura dei capitoli rimanenti, già tutti tradotti ma in attesa di revisione.
Poi ci sarà la fase di rilettura, perché dopo aver reso fedelmente il senso del testo bisogna anche staccarsi dall’originale quanto basta per rendere scorrevoli e idiomatiche le frasi. Seguiranno la bozza di stampa e la preproduzione dei gadget per i donatori, e tutto dovrebbe essere pronto in tempo per farvi avere questa storia straordinariamente umana abbondantemente prima di Natale.
Ci siamo trovati a dover tradurre le cose più impensabili in un testo di astronautica: dalla geologia all’ittiologia, passando per il campo minato della poesia (di Collins e altrui) e dei refusi rimasti annidati per cinquant’anni nel testo originale e da decifrare per renderli in italiano. I giochi di parole, poi, sono un rompicapo che speriamo di aver risolto dignitosamente.
Stavo pensando di pubblicare qui alcuni degli appunti di traduzione per darvi un’idea (senza spoiler) del processo di scelta, molto spesso sofferta e dibattuta per giorni, di come rendere modi di dire, doppi sensi e riferimenti culturali che per un lettore di oggi non avrebbero alcun senso. Se la cosa vi interessa, ditemelo nei commenti.
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2023/08/18 17:00. Nei commenti e su Mastodon sono arrivate parecchie dichiarazioni di interesse dopo la pubblicazione iniziale di questo post, per cui ecco a voi una prima infornata di note e dilemmi di traduzione. Troverete le soluzioni nel libro.
Se Collins sbaglia, che facciamo?
A un certo punto Collins, nella prefazione all’edizione più recente, parla del nuovo veicolo spaziale “Blue Dragon”, ma non esiste nessun veicolo con questo nome. Esiste l’azienda aerospaziale Blue Origin (quella di Jeff Bezos) e SpaceX ha una capsula di nome Dragon. Collins ha messo insieme le due cose.
In un altro punto, Collins parla di due aerei, il “Sabrejet” e il “Seadart”, ma in realtà questi aerei si chiamano rispettivamente Sabre (lo storico F-86) e Sea Dart. Ha sbagliato i nomi (o meglio, nel caso del Sabre, mi dicono dai commenti, ha usato il nome non ufficiale in voga all’epoca).
Nel citare il celeberrimo discorso lunare di Kennedy dimentica una parola fondamentale, space: "No single space project in this period...".
Nel raccontare gli esami medici degli astronauti, parla di medial malleous, ma malleous non esiste: è malleolus. In un altro punto parla dell’aereo dei fratelli Wright, uno degli aerei più importanti della storia, chiamandolo Flier. Con la I.
Parlando di geologia, Collins cita un “Valles Crater” nel New Mexico che non esiste. Intendeva forse la Valles Caldera? Poi dice che la formula della turchese (la pietra, che è femminile) è “CuAL6(OH) 8 (PO4) 4.4H2O”. Ma è sbagliata. La grafia corretta è CuAl6(PO4)4(OH)8·4H2O. Ci insospettisce inizialmente quell’“AL” tutto maiuscolo, e così ci tocca verificarla tutta con un docente di chimica (grazie Gigi) prima di accusare un astronauta di aver commesso una sfilza di errori.
Parliamo di spazio, che andrà meglio no? Ma a un certo punto Collins parla di un “rotational hand controller”. Che però non esiste nel veicolo di cui sta parlando, che ha solo una manopola di traslazione (translational hand controller) e una di assetto (attitude hand controller). A quale delle due intendeva riferirsi?
Eccetera, eccetera.
Che facciamo? Correggiamo i suoi refusi ed errori, ma così creiamo piccole infedeltà di traduzione? Li lasciamo per fedeltà all’originale, rischiando che chi legge solo l’edizione italiana creda che abbiamo sbagliato noi? Mettiamo una nota a piè pagina che nota pedantemente ciascun errore? Li correggiamo senza dire nulla, perché la pedanteria è una brutta cosa e sappiamo tutti cosa intendeva Collins? Però così magari leviamo un dettaglio caratteriale e lo facciamo diventare un perfezionista infallibile invece di un essere umano con i suoi limiti e le sue umane fallibilità.
Al tempo stesso, magari certi errori non sono neanche colpa di Collins, visto che al testo ci hanno messo mano anche altri. Nella prefazione lo dice lui stesso, citando “Roger Straus III, il mio amabile e comprensivo curatore; e Terry Pietroski, che si è rovinata tanti fine settimana trasformando la mia scrittura a zampa di gallina in ordinate pagine dattiloscritte”. Può anche darsi che chi ha dattiloscritto la sua “scrittura a zampa di gallina” abbia introdotto errori e refusi di cui Collins era innocente, soprattutto se si è trattato di decifrare una scrittura, appunto, “a zampa di gallina”.
Cosa più importante, servono le conoscenze storiche del periodo (o quelle mediche, chimiche o spaziali) per accorgersi di questi errori e dire “ehi, aspetta, qui qualcosa non mi torna” mentre si traduce. A quanto pare, né Collins né i suoi editori hanno mai notato questi sbagli. Di certo non li hanno mai corretti, visto che ci basiamo sull’edizione più recente del libro.
Se Collins dice una fesseria imbarazzante, che facciamo?
Collins scrive che la Casa Blanca, in Porto Rico, dove lui ha abitato per qualche tempo da giovanissimo, è “generalmente riconosciuta come l’abitazione più antica dell’Emisfero Occidentale”. Detta come va detta, è una fesseria un tantinello razzista: come se i popoli già presenti nelle Americhe prima dell’arrivo di Colombo non avessero mai costruito abitazioni. E infatti la storia della Casa Blanca è molto diversa e tocca andare a investigarla per poi decidere cosa fare di questo scivolone.
Collins scrive che nel 1964 non ci furono voli spaziali, ma non è vero: ci fu la Voskhod 1 sovietica. Suona un po’ tanto come un “esistiamo solo noi, gli altri non contano”.
Anche qui, cosa facciamo? A volte è necessario ricorrere a delle soluzioni creative.
Dubbi di ittiologia in un libro di spazio
Carrying the Fire parla di spazio, Luna, astronauti, aviazione: servono quindi persone competenti in questi campi per tradurlo, giusto? Sbagliato. Servono anche esperti di pesca. Collins entra nei dettagli dei suoi hobby: “I split my time between Florida and Boston, doing some watercolor painting, and fishing a lot in both places. I have a tiny paddleboat from which I gather snook in the south and striped bass in the north”.
Che pesce è uno striped bass? E lo snook?
Che ci vuole, basta guardare sul dizionario, no? No. Perché secondo i vari dizionari striped bass è la spigola, il branzino, il basso, il persico spigola, il basso a strisce. Qual è quello giusto? Si va su Wikipedia in inglese e si guarda il nome scientifico: Morone saxatilis. Che Wikipedia in italiano chiama persico spigola. Sarà lui? Ci possiamo fidare di Wikipedia? Mandiamo al diavolo tutto e traduciamo semplicemente “vado a pesca nel nord e nel sud del paese”? Tanto è un libro dedicato allo spazio, cosa gliene frega al lettore dei persici o bassi o quello che sono? Ma la pignoleria è un tarlo tipico dei traduttori, e così si va a frugare nei siti dedicati alla pesca finché si trovano foto di striped bass, che corrispondono alle immagini di persici spigola in siti di pesca italiani, e quindi si decide: persico spigola sia (via Mastodon, dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, arriva la conferma e scopro l’esistenza di Fishbase, incredibile database terminologico multilingue di pesci).
Tempo necessario per tutto questo: un paio d’ore, discussione compresa. Benissimo! Risolto. E adesso ripetiamo tutta questa gioiosa esperienza con lo snook. Odiavo la pesca già prima.
Dubbi di ittiologia, seconda parte
2023/08/18 11:20. Aggiungo questa chicca emersa poche ore fa durante la revisione: Collins, parlando della sua missione Gemini, descrive la bellezza di vedere il getto dei motori nello spazio (la sua capsula, per motivi complicati da spiegare qui, ha dei motori potenti davanti a sé, cosa rara): “...the generalized glow emanating from the Agena’s engine is clearly visible and is quite pretty as it radiates out several feet before fading into blackness. It appears more platinum than the golden color I recall. As with a dying dolphin, the colors fade rapidly…”.
Cosa c’entra il delfino morente i cui colori sbiadiscono in fretta? Non ho mai sentito parlare di questa cosa dei delfini che perdono colore rapidamente quando muoiono. Anzi, i delfini solitamente non sono manco colorati da vivi (con poche eccezioni). Cosa vuol dire tutto questo? Mi sfugge qualche significato? Una metafora? Una citazione poetico-letteraria? Un refuso?
Grazie a San Google scopro l’arcano. Alcuni pesci hanno i cromatofori, che sono cellule della pelle di cui possono comandare il colore. Da morti non le comandano, per cui diventano grigie. Ma il delfino non è un pesce: è un mammifero. Non ha i cromatofori. Quindi?
Quindi salta fuori, con un po’ di ricerca ulteriore, che per motivi insondabili, in inglese americano la parola dolphin indica due tipi di creatura acquatica. Una è il delfino come lo conosciamo comunemente: questo.
Ma in inglese americano c’è anche un pesce che viene chiamato dolphinfish, e che i pescatori, maledetti loro, abbreviano comunemente in dolphin. Cosa mai potrebbe andare storto?
Questo è un dolphinfish, Coryphaena hippurus. In italiano si chiama lampuga o corifena cavallina o mahi mahi. Un pesce che raggiunge il metro di lunghezza. Molto colorato, che diventa grigio quando muore. A-ha!
Il mistero delle parole di Collins è quindi risolto: metteremo lampuga. Ma leggendo la voce di Wikipedia in italiano dedicata a questo pesce scopro questa chicca finale, che mi commuove perché mi immedesimo totalmente nella situazione (il grassetto l’ho aggiunto io):
Nell'inglese americano, un nome comune per questa specie è dolphinfish, spesso abbreviato dai pescatori semplicemente in dolphin, termine che genera facilmente confusione con i delfini, i noti mammiferi marini, anch'essi chiamati appunto dolphins. Inganno in cui è stata tratta anche la pur eccellente traduttrice Fernanda Pivano, che nella versione italiana de Il vecchio e il mare descrive appunto il protagonista che, in breve tempo, issa a bordo un "delfino" e lo mangia completamente, impresa in cui assai difficilmente un solo uomo anziano riuscirebbe con un vero delfino.
Ci sarei cascato anch'io. Anni fa, in Florida, mi rifiutai di andare a mangiare in un noto ristorante perché vidi sul menu esposto fuori che servivano "dolphin".
Riferimenti culturali
Come spieghiamo una long distance call a una generazione che non sa cosa voglia dire pagare per una telefonata nazionale in base alla distanza?
Come spieghiamo ai lettori chi o cosa era Queeg in “This little Queeg-like quirk had nothing to do with the Agena, but was simply an attempt to strengthen my hands”? O chi era Walter Mitty? O chi era l’inaffondabile Molly Brown? Ai tempi di Collins, le citazioni erano attualissime e intuitive per chi leggeva, ma oggi?
Giochi di parole latini
Nel parlare dello stress di avere sempre i giornalisti addosso (specialmente per le mogli degli astronauti) e dei contratti di esclusiva con alcune testate che furono fatti all’epoca, Collins fa un gioco di parole in latino: Sic transit media. Ma media è plurale, e quindi il verbo dovrebbe essere transeunt. Però se lo correggiamo, a parte il falso storico, si perde molto l’assonanza con il modo di dire sic transit gloria mundi.
Che facciamo? Se lasciamo l’originale, i latinisti penseranno che abbiamo lasciato o introdotto una scemenza? Esistono dei latinisti che leggono autobiografie di astronauti?
Barzellette e giochi di parole scurrili
E per finire questa prima, piccola infornata, due casi piuttosto scurrili che sconsiglio alle anime candide.
Il primo è questo: parlando dei giornalisti, Collins nota che facevano sempre domande ficcanaso, tipo questa ai bambini piccoli: “How did Mom feel when Dad was up?”. Nota che una volta “An astronaut wife I know, when asked this by a female reporter, blinked a time or two and then deadpanned, “Honey, how do you feel when your husband is up?” End of interview.” Si capisce il gioco di parole? E come diavolo lo rendiamo in italiano? Abbiamo trovato una soluzione, ma sarà efficace?
Il secondo caso richiede una premessa piuttosto lunga: Collins, a proposito dell’espressione “in the barrel” usata per indicare il turno di visite per le pubbliche relazioni che ogni astronauta doveva sobbarcarsi, dice solo che derivava da una barzelletta sconcia di Alan Shepard (ma non dice quale) e per questo motivo non potevano spiegare in pubblico la sua origine e si erano inventati la scusa che avesse a che fare con l’espressione “shooting fish in a barrel”. Come rendere in italiano tutto questo, considerato oltretutto che “in the barrel” ricorre parecchie volte nel libro?
Tocca andare a caccia di barzellette sconce anglosassoni, e grazie alla vastità dell’umano sapere racchiusa in Internet emerge l’origine della storia del barile. Riassumo la barzelletta (è sconcia, vi ho avvisato): in una comunità rurale di uomini rudi, nell'unica taverna c'è da bere e da mangiare, ma manca un’altra cosa importante. Un nuovo arrivato chiede a un veterano: “Per il sesso come fate?” Il veterano risponde: “Vai dietro la taverna, c’è un barile con un buco, infilaci l’uccello e vedrai”. Il novellino, dapprima scettico, alla fine cede e prova. Riceve il sesso orale migliore di tutta la sua vita. Il giorno dopo, ringrazia il veterano. “Di niente” risponde lui “usa pure il barile quando vuoi per le prossime tre settimane, ma poi basta”.
“Perché?” chiede il nuovo arrivato.
“Perché alla quarta settimana tocca a te stare dentro il barile”.
Ecco, ora non resta che trovare l’equivalente italiano di tutto questo (dai commenti vedo il suggerimento dei “turni di botte”). E altro ancora. Con buona pace di tutti quelli che “eh ma oggi basta usare DeepL”.
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