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2021/02/01

La Stampa, L’Espresso, il Corriere e il metodo redazionale: nessuno rilegge

Molta gente mi dice che esagero quando parlo di metodo redazionale scadente e disastroso ogni volta che un giornale pubblica una bufala.

"Dai, Paolo" mi dicono "è soltanto un errore, errare è umano, gli sbagli succedono a tutti". Certo, i refusi càpitano a tutti. Anche a me, e chi segue questo blog lo sa bene.

Ma io sto parlando di metodo di lavoro. Ossia di abitudini e di scelte precise quotidiane, che prima o poi portano inesorabilmente a disastri.

È un po’ come l’elettricista che tutti i giorni taglia e giunta fili senza staccare la corrente: è proprio un modo di lavorare, un’abitudine cementata. Per un po’ gli va liscia, ed è pure contento perché risparmia tempo e disagi al cliente. Poi rimane folgorato, e a quel punto tutti piangono.

Per esempio, pubblicare senza rileggere, o senza far rileggere, è ormai un metodo di lavoro consolidato in tutte le redazioni di cui vedo le pubblicazioni. E i risultati si vedono.

Un altro esempio è il titolo che dice una cosa mentre l’articolo ne dice un’altra, perché il titolista (ammesso che esista questa fantomatica figura) non parla col giornalista e non capisce una cippa di quello che sta titolando. Neanche lui rilegge. E i risultati si vedono.

Ma ci vuole un livello d’incoscienza speciale, un metodo di lavoro particolarmente scalcinato e incurante delle conseguenze, per fare quello che è successo oggi a Fabio Pozzo su La Stampa.

Cosa c'è che non va nel metodo di lavoro di Fabio Pozzo? Beh, oggi ha scritto (o perlomeno ha firmato) un pezzo sugli armatori e sull’aumento dei prezzi delle spedizioni via nave. Quello che vedete nell’immagine all’inizio dell’articolo e che trovate in copia permanente qui: archive.is/FWCKV.

In quell'articolo c’è un passaggio molto delicato, perché “entra in un campo, quello della concorrenza, che è un nervo scoperto x gli armatori, non vorrei si causasse qualche reazione”, dice Pozzo o chi per lui. Testuali parole.

Come faccio io a conoscere queste testuali parole? Perché sono state scritte nel testo dell’articolo.  

In altre parole, Fabio Pozzo (o chi per lui) ritiene che sia un metodo di lavoro accettabile scrivere i promemoria interni confidenziali nel testo dell’articolo. Agevolo screenshot. Notate niente?

La cosa tragicomica è che quel promemoria era chiaramente confidenziale: “L’argomento sotto è molto delicato, valuta tu se dare un’impronta un po’ più sfumata in quanto si entra in un campo, quello della concorrenza, che è un nervo scoperto x gli armatori, non vorrei si causasse qualche reazione”.

Beh, se si scrivono e si lasciano i commenti interni negli articoli pubblicati, sì, “qualche reazione” si causa eccome. Forse non quella degli armatori, ma quella dei lettori.

Insomma:

  1. il giornalista scrive gli appunti confidenziali nel testo dell’articolo (primo errore fondamentale)
  2. non rilegge quello che ha scritto prima di inviarlo per la pubblicazione (secondo errore fondamentale)
  3. e nessuno in redazione legge prima di pubblicare (terzo errore fondamentale)

Questo è un classico esempio di metodo di lavoro fallimentare e sbagliato: è l'elettricista che lavora sui cavi in tensione. Qui non è un refuso: è proprio un comportamento incosciente di una redazione. Di cui noi lettori paghiamo le conseguenze. Per un po’ va tutto bene, si risparmiano tempo e soldi, fino a quando va male. Come oggi.

Questo comportamento non è occasionale e non è limitato a La Stampa. Ecco un esempio fresco fresco da l’Espresso. Edizione cartacea, quella che non si può correggere facendo finta che non sia mai successo nulla:

Sì, qui è rimasta l’istruzione “mettere la dieresi sulla “u” per favore!”. Perché nessuno rilegge.

E questo è un titolo di oggi del Corriere, che parla della nota città di News York a caratteri cubitali: nessuno rilegge.


Fabio Pozzo de La Stampa, dopo la mia segnalazione su Twitter, ha corretto l’articolo. Anche il Corriere ha cambiato il titolo (solo nella versione per desktop; la versione per smartphone lo riporta ancora). Per L’Espresso, invece, niente da fare: verba volant, scripta manent. Se le scripta sono su carta, s’intende.

Questo, sottolineo, è soltanto il bollettino dei disastri di oggi.

Speriamo che la lezione sia stata imparata, non soltanto da Pozzo, ma da tutta la filiera di produzione. E magari anche da chi si avvicina al giornalismo e vuole evitare queste brutte figure.

 

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