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2015/10/30

Podcast del Disinformatico del 2015/10/30

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

Cinque attacchi informatici incredibilmente stupidi ma veri

Avete mai combinato un pasticcio informatico? Capita a tutti, non vi preoccupate. Consolatevi con questa serie di epic fail da parte di gente che in teoria dovrebbe saper gestire i dati digitali e invece s’è fatta fregare per inettitudine o maldestrezza.


Direttore CIA mette dati riservati su AOL


È di pochi giorni fa la notizia della presunta violazione della casella di mail del direttore della CIA John Brennan da parte di alcuni giovani informatici che su Twitter si fanno chiamare @_CWA_ e @phphax e che avrebbero prelevato da questa casella documenti riservati (contenenti nomi e altri dati di dipendenti dei servizi di sicurezza statunitensi, registri di telefonate con funzionari della Casa Bianca, il modulo di richiesta di verifica delle credenziali di sicurezza e altro ancora), pubblicandoli poi su Twitter e su Wikileaks.

Ma la vera notizia è che la casella di mail in questione non risiede sui server superprotetti della CIA: sta su AOL, un comune fornitore d'accesso Internet commerciale. Il direttore della CIA avrebbe insomma depositato documenti confidenziali presso un normale fornitore commerciale di accesso a Internet a basso prezzo.

Se confermato, sarebbe un gesto di stupidità monumentale in termini di sicurezza, che però sarebbe battuto dall'ingenuità delle misure di sicurezza di AOL. Gli intrusi avrebbero infatti ottenuto accesso alla casella di mail di Brennan usando dati pubblicamente reperibili per fingere di essere lui, contattare il servizio clienti di AOL e farsi inviare un ripristino della password, secondo la tecnica classica del social engineering, e descrivono tutti i dettagli della loro incursione.

Può sembrare poco credibile che il direttore della CIA commetta simili passi falsi, ma non è la prima volta che capita qualcosa del genere: nel 2013 furono violate, saccheggiate e pubblicate varie caselle di mail dei familiari dell'ex presidente degli Stati Uniti George H. W. Bush (nonché ex direttore della CIA). Indovinate dove erano custodite queste caselle? Sempre presso AOL.


La Banca d’Inghilterra spedisce piani segretissimi via mail


Un altro mirabile esempio di violazione della sicurezza informatica incredibilmente stupido arriva dal Regno Unito: in questo caso l’aggressore non ha dovuto fare nulla e anzi non c’è, perché il danno l’ha fatto tutto la vittima della fuga, ossia niente meno che la Banca d’Inghilterra.

A maggio 2015 il capo ufficio stampa della Banca, Jeremy Harrison, ha trasmesso via mail il Project Bookend, ossia i piani segretissimi d’emergenza per gestire un’eventuale uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Li ha trasmessi in chiaro, senza proteggerli neanche con una password o men che meno con un pizzico di crittografia. Non solo: li ha trasmessi al destinatario sbagliato. E fra tutti i destinatari possibili è riuscito a digitare l'indirizzo di mail di un redattore del giornale The Guardian, che ha prontamente reso nota la cosa.

Come è stato possibile un disastro simile? Merito del completamento automatico degli indirizzi. La soluzione adottata dalla Banca d’Inghilterra per evitare che imbarazzi del genere capitino di nuovo è altrettanto epica nella sua follia: invece di educare gli utenti a usare la crittografia o altri canali di trasmissione più sicuri per i documenti sensibili, ha fatto disabilitare il completamento automatico degli indirizzi di mail a tutti i dipendenti, col risultato che ora “tutti alla Banca d’Inghilterra devono faticosamente digitare ogni singolo carattere di ogni singolo indirizzo di mail che scrivono”.


Intrusione tramite...bollitore?


Restiamo nel Regno Unito: cosa ci può essere di più squisitamente inglese di un attacco informatico eseguito tramite i bollitori per il tè? Una marca di questi bollitori ha infatti messo in vendita iKettle, ossia un bollitore per l'acqua del tè che è comandabile a distanza tramite un'app per telefonini iOS o Android, in modo da far risparmiare al proprietario dei secondi preziosi quando si alza al mattino o quando rientra (lo so, lo so, problemi da primo mondo). Ma questo comando a distanza viene inviato via Wi-Fi ed è facilmente manipolabile per rivelare la password del Wi-Fi dell'utente.

“Se il bollitore non viene configurato,” spiegano gli esperti della società di sicurezza Pen Test Partners con dovizia di dettagli, “è banale per gli aggressori localizzare la casa e prendere il controllo del bollitore... mando due comandi e il bollitore mi rivela la password [del Wi-Fi] in chiaro.” La società ha anche creato una mappa londinese dei bollitori informaticamente vulnerabili, ma ha scelto di non divulgarla.


USA, dati personali 21 milioni di dipendenti governativi saccheggiati per un anno


Una delle più grandi violazioni di dati governativi della storia degli Stati Uniti è stata resa nota a giugno 2015. I dati personali di circa 21 milioni di dipendenti o ex dipendenti del governo americano (nomi, cognomi, date e luoghi di nascita, indirizzi, impronte digitali, stipendi, informazioni sui familiari, valutazioni psicologiche e altro) sono stati sottratti dagli archivi dell’Office of Personnel Management (OPM). Gli intrusi sono rimasti nel sistema informatico per almeno un anno.

Lo scopo del furto è probabilmente l’acquisizione di informazioni sui dipendenti governativi statunitensi da parte di una potenza straniera; queste informazioni possono essere sfruttate per ricattare i dipendenti oppure per identificare gli agenti governativi in incognito (avendo le loro impronte, anche se cambiano identità sono comunque tracciabili).

Anche qui gli aggressori sono entrati nei sistemi informatici usando, a quanto risulta dalle indagini, la tecnica del social engineering abbinandola alla totale mancanza di protezioni moderne, dovuta al fatto che alcuni dei sistemi hanno più di vent'anni e sono quasi impossibili da sostituire o aggiornare per dotarli di autenticazione a più fattori; oltretutto il governo statunitense rifiuta da anni di assegnare fondi significativi alla sicurezza informatica dell'OPM.


Audio porno inarrestabile dagli altoparlanti del grande magazzino


Per finire, un “attacco informatico” decisamente atipico: un centro commerciale Target vicino a San Jose, in California, è stato “attaccato” diffondendo l'audio esplicito di un video pornografico attraverso gli altoparlanti interni del grande magazzino. Mentre i dipendenti ridevano e riprendevano la scena con i telefonini, molti clienti sono scappati per l'imbarazzo e per non rispondere alle domande dei bambini che chiedevano di spiegare cos'erano i gemiti che riecheggiavano nelle corsie e sono proseguiti per almeno un quarto d'ora prima che qualcuno trovasse la maniera di zittirli.

Inizialmente era stato ipotizzato che qualche dipendente avesse deciso di guardare video a luci rosse sul computer del centro commerciale usato per la gestione degli altoparlanti, ma poi si è scoperto che l’attacco non è stato il solo del suo genere: analoghi fenomeni sono avvenuti almeno tre altre volte in in altri centri commerciali della stessa catena.

Alla fine è emersa una falla di sicurezza davvero demenziale: i centralini telefonici digitali dei negozi della catena Target hanno un numero interno che è chiamabile da fuori e diffonde la telefonata direttamente sugli altoparlanti senza poter essere escluso. È andata tutto sommato bene, perché gli intrusi avrebbero potuto approfittare del controllo totale che avevano per diffondere falsi allarmi e creare panico.

Come tutte le altre storie di violazione informatica raccontate in questa carrellata, anche questa è un buon promemoria del fatto che qualunque vulnerabilità, anche la più nascosta, prima o poi verrà trovata e sfruttata, ma in molti casi la vittima non ha preso neppure le misure di sicurezza minime di buon senso e soprattutto non ha pensato che quando si introduce una funzione nuova in un sistema informatico bisogna chiedersi sempre se per caso quella funzione possa essere abusata.

2015/10/29

Vado a incontrare Jim Lovell, astronauta lunare

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/11/02 01:00.

Jim Lovell ha volato nello spazio quattro volte: due con le capsule Gemini 7 e 12 e due con le capsule Apollo 8 e 13. Ha partecipato ad alcune delle tappe più significative e pericolose dell’esplorazione spaziale: il primo vero rendez-vous fra due veicoli con equipaggio (Gemini 7), il primo volo umano intorno alla Luna (Apollo 8) e lo sfortunato viaggio verso la Luna di Apollo 13, che fu funestato da uno scoppio che rese necessario un delicatissimo rientro d’emergenza, così ben celebrato dal film Apollo 13 di Ron Howard. Tuttora detiene, insieme a Fred Haise e Jack Swigert, il record di massima distanza dalla Terra di un essere umano: 400.171 km, durante la missione Apollo 13.

Haise, Swigert e Lovell all’epoca.
Jim Lovell sarà in Inghilterra venerdì, sabato e domenica, ospite di Space Lectures, per una cena di gala e due conferenze, e io sarò lì a incontrarlo insieme agli amici appassionati di spazio.

Cercherò il più possibile di fare livetweet di questi tre giorni davvero spaziali e di portarvi un po’ di foto e video. Nei prossimi giorni, inevitabilmente, sarò collegato a Internet un po’ saltuariamente, per cui perdonatemi se non sarò costantemente presente nei commenti.

Chicca personale: proprio in queste ore un lunacomplottista m'ha scritto baldanzoso annunciandomi il nuovo, imminente videodelirio di uno dei soliti diversamente furbi che ancora non ha capito che dopo quarantacinque anni, se ci fosse qualche finzione nelle foto o nelle missioni Apollo gli esperti l’avrebbero trovata e denunciata. Gli ho risposto dicendogli, fra l'altro, che stavo partendo per andare a incontrare Lovell e che avremmo brindato anche alla salute dei lunacomplottisti e lui ha fatto pubblicamente l’incredulo: “Piu' o meno come quando uno non ti telefona da anni e nel momento che gli telefoni tu ti risponde: "ti stavo per telefonare”. Be’, invece è proprio così: il lunacomplottista non poteva avere un tempismo peggiore (per lui). Sarebbe divertente vedere la sua faccia quando vedrà le foto dell’incontro pubblicate qui.


2015/10/30


Lovell oggi a Pontefract.

Jim Lovell arriva al Wentbridge House Hotel a Pontefract, Inghilterra, nel tardo pomeriggio e fa foto con tutti, compreso il sottoscritto ed Elena, mia moglie, come vedete qui sotto. Io ho in mano un esemplare originale del catalogo NASA delle foto scattate durante la missione Apollo 13, già firmatomi da Fred Haise. Il tweet qui sotto mostra una foto della foto stampata: l’originale è di qualità molto migliore.

Finita la sessione di foto, Luigi Pizzimenti (che conoscete da Ti porto la Luna e per il libro Progetto Apollo – Il sogno più grande dell’uomo; è a destra nella foto qui sotto, e parla dell’incontro con Lovell qui) fa uno scherzo notevole a Lovell: telefona a Fred Haise, compagno di viaggio di Lovell nella missione Apollo 13, e poi passa il telefonino a Lovell dicendo “È per te, c’è uno che ti cerca”. Jim è contentissimo della sorpresa.



Facciamo due chiacchiere in privato, ed è surreale sentire un’icona dell’astronautica che, fra le altre cose, mi raccomanda di usare Viber per risparmiare sulle telefonate e mi fa una dettagliata recensione dell’app.

C’è una grande sala piena di appassionati ed esperti del settore aerospaziale ad accogliere Lovell e la moglie Marilyn:


Fra loro c’è anche Brian Cox, popolarissimo conduttore scientifico televisivo britannico (una sorta di Alberto Angela locale), che domani condurrà l’intervento pubblico di Lovell. Gli ho dato una copia in inglese del mio libro sui complotti lunari e l’ho ringraziato per il suo bellissimo programma The Science of Doctor Who, dedicato ai viaggi nel tempo scientifici raccontati attraverso le puntate di Doctor Who.



Brian Cox chiacchiera con Marilyn e Jim Lovell:


Durante la cena, Lovell fa un breve, lucidissimo discorso sui tanti elementi funesti che contribuirono al disastro evitato di Apollo 13, seguito da una riffa e da un'asta che propongono oggetti relativi all’astronautica davvero speciali, come la famosa foto della Terra vista dalla Luna scattata durante la missione Apollo 8 e firmata da Lovell con la citazione “Please be advised there is a Santa Claus”. Inutile dire che vanno a ruba: i proventi serviranno a organizzare la visita del prossimo astronauta ospite e per beneficenza, come è tradizione di Space Lectures.



Durante l’asta viene dimostrata la, ehm, sganciabilità rapida intenzionale del modello del razzo Titan e della capsula Gemini dal suo piedistallo firmato da Lovell (se l'è aggiudicato all’asta Brian Cox):



Poi Lovell, instancabile, fa autografi a tutti. Consegno anche a lui una copia del mio libro di debunking del lunacomplottismo e lui si mette a ridere ricordando che alcuni complottisti gli hanno addirittura fatto causa (ovviamente persa).



Lovell firma il mio disco 45 giri SOS dallo spazio, già firmato da Haise, e anche il mio catalogo originale NASA delle foto di Apollo 13.



Ma c’è chi mostra, con meritato orgoglio, collezioni di autografi spaziali davvero eccezionali. Non conta tanto l’autografo in sé: quelli, volendo, si possono acquistare dai collezionisti. Conta il fatto che ciascuno di quegli autografi è un ricordo personale del momento in cui hai incontrato una persona eccezionale.



Domani pomeriggio, appunto, c'è la lezione di Jim Lovell, che si terrà alla Carleton Community High School di Pontefract alle 16 ora locale (le 17 italiane) insieme a Brian Cox. Roaming dati e Wi-Fi permettendo, vi aggiornerò man mano tramite livetweet su @disinformatico e farò delle riprese video che spero di poter avere il permesso di pubblicare.

Se questo genere di evento vi interessa, tenete presente che Space Lectures ne organizza spesso, sia con astronauti delle missioni storiche, sia con astronauti di oggi. È decisamente più facile e meno caro fare un viaggio in Inghilterra per incontrarli che andare fino negli Stati Uniti, per cui si tratta spesso di occasioni irripetibili. Ad aprile prossimo ci sarà un altro incontro di questo genere: per ora non posso dirvi chi sarà l’ospite, che verrà annunciato oggi pomeriggio, ma posso già dirvi che è un appuntamento da non perdere se siete appassionati di Luna.


2015/11/02 00:45. Il seguito di questa storia (compreso il nome del prossimo astronauta ospite) è qui.

“Astronavi aliene” nel deserto egiziano in Google Maps? Ma anche no

Mi sono arrivate parecchie segnalazioni a proposito di questa immagine proveniente da Google Maps, che secondo alcuni mostrerebbe delle astronavi aliene dissepolte. Le coordinate geografiche sono 30° 1'13.25"N 31°43'14.51"E. Il link all'immagine in Google è questo: una quarantina di chilometri a est del Cairo, in Egitto.

Non è certo un luogo segretissimo e inaccessibile, visto che è a una sessantina di metri da un'autostrada, per cui l’ipotesi delle astronavi rimaste inosservate sembra, per essere educati, poco credibile.

Una rapida ricerca sembra invece indicare che si tratti di postazioni di lancio per missili militari, perché ce ne sono di analoghe qui, qui, qui, qui, qui e qui. Fra l'altro, la curiosità in Rete a proposito di queste strutture non è nuova: risale ad almeno tredici anni fa, visto che The Straight Dope ne parlava già nel 2002.

Chissà perché ogni cosa sconosciuta deve essere interpretata come un veicolo alieno. Suvvia, è evidente che queste sono le rampe usate dagli antichi egizi per costruire le piramidi.

2015/10/28

Oggi l’ultimo volo di un aereo mitico: il Vulcan

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/10/29 8:30.

Credit: Charles Toop

Lo considero uno degli aerei più belli della storia dell’aviazione, insieme al Valkyrie, al Blackbird e al Concorde: il bombardiere nucleare britannico Vulcan. Con la sua maestosa ala a delta che praticamente ingloba la fusoliera e i suoi quattro motori a reazione Rolls Royce Olympus annegati nelle ali, è un esempio eccezionale di eleganza e pulizia aerodinamica, reso ancora più notevole dal fatto che è un aereo che volò per la prima volta oltre sessant’anni fa, nel 1952.

Sembra incredibile che queste immagini siano datate 1955 e mostrino un bombardiere che fa un tonneau (avvitamento orizzontale o barrel roll). Qualcuno di voi ricorderà il Vulcan come uno dei protagonisti aeronautici di Agente 007 Operazione Tuono (Thunderball), classe 1965.

Oggi l’ultimo Vulcan ancora in condizioni di volo, mantenuto amorevolmente per anni da una fondazione privata dopo il ritiro dal servizio di parata militare dei Vulcan nel 1993, ha compiuto l'ultimo volo nei cieli di Doncaster, in Inghilterra. Lo ha fatto in gran segreto per evitare che si assembrassero presso il piccolo aeroporto di Doncaster le migliaia di appassionati che solitamente si radunano a ogni volo del Vulcan e che rischiavano di sovraccaricare le infrastrutture locali.

Qui sotto potete vedere e ascoltare il video (che è anche acquistabile qui). Il decollo, con l'indimenticabile boato dei motori che non sentiremo mai più ruggire in cielo, è a 29 minuti dall'inizio.


I costi di manutenzione (2,2 milioni di sterline l’anno, assicurazione compresa, e circa ventimila sterline per ogni ora di volo), insieme all’invecchiamento dei componenti strutturali, hanno reso impraticabile tenere ancora in assetto di volo questa grande regina dei cieli, che d'ora in poi riposerà in un museo a ricordare che sapevamo fare macchine meravigliose anche senza computer, usando solo il cervello, un tavolo da disegno e un regolo calcolatore.

Dare la caccia alle bufale è inutile, secondo uno studio. Sarà, ma continuerò a farlo

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni di “giovbrun*” e “dragam*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2015/11/07 10:40.

Ecco come mi sento quando racconto
una storia antibufala meravigliosa
Fare debunking, ossia sbufalare pubblicamente le notizie false, sarebbe inutile e forse addirittura controproducente, perché chi è incantato dalle bufale non ne vuol sapere di cambiare idea e quindi il debunking non converte nessuno ma semmai esaspera e polarizza ulteriormente i punti di vista. Questa, in estrema sintesi, è l’amara, disperante conclusione di una ricerca in buona parte italiana pubblicata recentemente e intitolata Debunking in a World of Tribes, a cura di Fabiana Zollo, Alessandro Bessi, Michela Del Vicario, Antonio Scala, Guido Caldarelli, Louis Shekhtman, Shlomo Havlin e Walter Quattrociocchi (IMT Alti Studi, Lucca; IUSS, Pavia; ISC-CNR, Roma; 4LIMS, Londra; Bar-Ilan University, Israele).

Se ne parla molto in Rete e in parecchi mi avete chiesto cosa ne penso, specialmente dopo che ho condiviso il palco della Festa della Rete a Rimini (video) proprio discutendone con Quattrociocchi, coordinatore del laboratorio che ha svolto la ricerca, per cui scrivo queste righe per rispondervi e per creare uno spazio di discussione tramite i commenti.

Non entro nel merito dei dettagli metodologici della ricerca perché non sono competente in questo campo: li presumo validi fino a prova contraria. Però mi vengono alcuni pensieri quando guardo il campione usato per la ricerca, ossia circa 54 milioni di utenti Facebook statunitensi, sottoposti ad analisi quantitativa, e “la risposta dei consumatori di storie complottiste a 47.780 post di debunking”. 

Il primo pensiero è che Facebook non è il mondo reale. È una sua versione distorta, filtrata, nella quale si fa notare chi strilla di più, chi ha più tempo da perdere e chi vuole mettersi in mostra. Non mi sorprende, quindi, che la ricerca documenti che chi è complottista su Facebook tende a restare complottista anche dopo essere stato esposto a contenuti di debunking. Lo vedo quasi quotidianamente nelle discussioni fra complottisti (di qualunque genere, da quelli che credono che l’11 settembre fu un autoattentato a quelli che sostengono l’esistenza degli uomini lucertola che governano segretamente il mondo) e non complottisti. Lo vedo in particolare proprio sui social network, che sono un pessimo ambiente per discussioni serie: troppo dispersivi e predisposti ad alimentare tifoserie (tramite i like e simili), battibecchi, esibizionismi e attacchi personali.

Capisco che per i ricercatori non ci sia una risorsa statistica migliore di Facebook, ma mi chiedo se usare Facebook per vedere chi si converte dal complottismo sia un po’ come andare allo stadio durante un derby per vedere chi cambia squadra del cuore.

Un grafico eloquente della suddivisione impermeabile
in tribù delineata dalla ricerca.

Il secondo pensiero è il silenzio della maggioranza. Non esistono soltanto complottisti e debunker: in mezzo ci sono i tanti dubbiosi, gente che non passa tempo a postare e quindi probabilmente non viene rilevata da una statistica, però di fatto legge vari punti di vista, si fa delle domande su chi abbia ragione e magari cambia idea senza dirlo pubblicamente. So che i “convertiti” esistono, perché mi scrivono per raccontare la loro esperienza e li incontro alle conferenze. Sono tanti? Sono statisticamente insignificanti? Può darsi. Ma esistono. Ed è per loro che io e tanti altri scriviamo e ci diamo da fare: sappiamo benissimo che il complottista duro e puro non cambierà idea neppure di fronte all’evidenza e con lui non perdiamo tempo a cercare di dialogare (anche perché percepisce il dialogo come un tentativo dei Poteri Forti di plagiarlo, per cui non ascolta nemmeno). Se evitiamo a un dubbioso di cadere nel vortice della paranoia, di affidarsi a un ciarlatano per la salute dei propri figli, di rovinarsi la vita con persecuzioni, paure e fini del mondo immaginarie, abbiamo ottenuto il nostro scopo. E questo succede: succede solitamente lontano dai riflettori, lontano dalla ribalta pubblica dei social network, spesso con imbarazzo perché significa dover ammettere di aver creduto a delle cazzate monumentali.

Insomma, fare debunking non salverà tutti, ma salva qualcuno, ed è sempre meglio che non fare niente. Un medico sa che non riuscirà a guarire tutti i propri pazienti, ma non per questo decide di smettere di fare il medico, di non provare a curarli e di dichiarare che la medicina è inutile. Ogni paziente salvato lo ripaga delle sue fatiche. E come nota Quattrociocchi in un’intervista per Repubblica, l’alternativa angosciante al debunking per ora è lasciare che le scimmie strillino indisturbate: “Bisogna costruire strategie di comunicazione ad hoc”, dice, ma non specifica quali. In attesa che qualcuno le costruisca, io e i miei colleghi andremo avanti a fare debunking.

E a proposito di fatica, ovviamente e giustamente la ricerca statistica in questione non considera il piacere di fare debunking. Anche le tesi di complotto più deprimenti e inquietanti sono un’occasione per scoprire aspetti poco conosciuti della scienza e raccontarli. Per me, e per tanti come me, fare indagini antibufala non è soltanto un dovere morale per contrastare la marea montante di scemenze socialmente pericolose: è un piacere. Studiare e debunkare le tesi alternative sullo sbarco sulla Luna mi ha permesso di conoscere persone straordinarie (compresi gli astronauti che sono andati sulla Luna) e di capire principi di fisica e volo spaziale che altrimenti non avrei scoperto; studiare l’11/9 mi ha dato l’occasione di capire meglio il mondo dell’aviazione civile e le strutture degli edifici e i loro rischi e di ammirare l’eroismo infinito dei vigili del fuoco; studiare l’ufologia mi ha consentito di scoprire fenomeni astronomici e aerei meravigliosi. E in generale mi ha permesso di sviluppare un senso critico, nei confronti di qualunque fonte d’informazione (“ufficiale” o meno), che mi torna utile in mille occasioni quotidiane.

Insomma, io farei debunking anche se non servisse a nulla: perché comunque è un modo affascinante per scoprire storie straordinarie ma reali. E condividerle con voi.


2015/11/07


Gianluca Nicoletti parla di questo studio e del mio commento in questo video nel sito de La Stampa.

2015/10/27

Podcast del Disinformatico del 2015/10/23

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di venerdì 23 ottobre del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

Mail su finti rimborsi Telecom/Tim tentano di rubare le carte di credito

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Su molte delle mie caselle di mail è arrivato questo messaggio, apparentemente proveniente da servizio.clienti@telecomitalia.it, che m’invita ad accedere al servizio per ottenere un rimborso di 110 euro. Il messaggio è una trappola: non seguite le sue istruzioni.

È un classico tentativo di furto dei codici delle carte di credito: lo segnalo perché è fatto meglio della media (poche sgrammaticature, loghi credibili, mittente apparente molto credibile) e perché ha superato ripetutamente i miei filtri antispam, cosa piuttosto insolita.

Il pulsante Accedi al servizio porta a questa schermata, che in realtà è ospitata presso it-10.com e non presso Tim.it:

Ovviamente lo scopo è quello di convincere l’utente a immettere password di Tim.it e dati della carta di credito, che finiranno così nelle mani dei criminali. Ho pensato di fornire un po' di quelli di un mio caro collega, il noto giurista immaginario Massimo Della Pena. Anche qui la schermata di Tim.it è imitata piuttosto bene: c'è anche il controllo sulla coerenza del codice fiscale. L'unica nota stonata è quel Dati di client, che però può anche sfuggire per l’emozione di ricevere un (inesistente) rimborso. Ho già segnalato il caso a Netcraft e a Google.

Mi raccomando, occhio a non farvi allettare da chi vi promette qualcosa di goloso: non fidatevi dell’indirizzo del mittente (come vedete qui sopra, si può falsificare), controllate sempre che nella barra dell'indirizzo ci sia il nome corretto del sito insieme all'icona del lucchetto chiuso che autentica il sito. Se ricevete questa mail, cestinatela: se non avete immesso dati, non correte alcun rischio.

2015/10/26

56 anni fa l’umanità scopriva la faccia nascosta della Luna


26 ottobre 1959: per la prima volta l’umanità vide la faccia della Luna che da milioni di anni era nascosta al suo sguardo terrestre. L’immagine sgranata e confusa che vedete qui sopra fu il primo colpo d’occhio su un mondo così vicino eppure ignoto per metà.

Fu trasmessa dalla sonda russa Lunik 3, che aveva a bordo una fotocamera a pellicola, un laboratorio automatizzato di sviluppo, uno scanner per acquisire le immagini (una trentina in tutto) e un trasmettitore per inviarle a Terra, dove i russi le analizzarono per poi renderle pubbliche appunto il 26 ottobre del 1959. Per l’epoca questi apparati erano il top della tecnologia.

Le immagini furono autenticate intercettando il segnale radio di Lunik 3 presso l’osservatorio britannico di Jodrell Bank, per assicurarsi che i russi non stessero facendo finta a scopo di propaganda (i russi furono ben lieti di fornire informazioni per l’ascolto agli inglesi, proprio per far autenticare l’impresa).

Chicca: la pellicola resistente alle radiazioni usata a bordo della sonda spaziale russa era di produzione americana, rubata dai palloni-spia militari americani della serie Genetrix caduti per errore o abbattuti in territorio sovietico.

La prima pagina de L'Unità del giorno dopo.
Per gentile concessione di @giaroun.


Oggi abbiamo immagini della faccia nascosta notevolmente migliori, come quella mostrata nel confronto qui sotto: ma la meraviglia di vedere per la prima volta qualcosa che nessun essere umano, in tutta la storia dell’umanità, aveva mai potuto vedere dev’essere stata incredibile. Forse abbiamo vissuto un’ebbrezza simile con le recenti immagini di Plutone.

Fra l'altro, quella prima visione fu una sorpresa enorme: si scoprì, in quelle prime foto, che la faccia nascosta della Luna è diversissima da quella rivolta verso la Terra: i mari sono praticamente assenti. Questo non se l’aspettava nessuno. Ed è per questo che si esplora: perché non sappiamo cosa troveremo, e l’universo ha dimostrato ripetutamente di saperci sorprendere.



Fonti: Sven Grahn, NASA, NASA, Astrosurf, DamnInteresting.

2015/10/25

Anche National Geographic si dà al lunacomplottismo per attirare click

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni di “cor.bon*” e “domenico.fe*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un abbonamento). Ultimo aggiornamento: 2015/10/26 8:55.

Adesso anche National Geographic, specificamente National Geographic TV Italia, sta imboccando la strada delle cretinate attiraclick. Ha pubblicato su Facebook (Donotlink; Donotlink) una foto scattata sulla Luna nel cui cielo nero s'intravede una macchiolina chiara, e si chiede: “È una stella, un alieno o una persona sul set?”.

Nessuno dei tre: è semplicemente uno dei tanti segni che si possono notare nelle foto scattate sulla Luna dalle missioni Apollo. Solitamente si tratta di granelli di polvere o altro materiale finiti sulla pellicola o sull'obiettivo e quindi sfocati, di frammenti del rivestimento in Mylar del veicolo, oppure di riflessi interni dell'obiettivo stesso. Roba arcinota a chiunque s’interessi seriamente di storia dell’astronautica, come nelle foto AS10-28-3990 (Apollo 10), AS14-68-9742 (Apollo 14), AS15-M-1545 (Apollo 15) o AS16-112-18218 (Apollo 16).

Se National Geographic TV Italia avesse avuto intenzioni serie avrebbe indicato l'origine della foto: numero della missione, numero progressivo del caricatore, numero del singolo scatto. Invece non l’ha fatto, col risultato che chi volesse approfondire dovrebbe lanciarsi in un’estenuante caccia all'originale nell'enorme archivio di foto lunari della NASA (ammesso che la foto originale esista e che NGTI non se la sia photoshoppata). Un classico esempio di Teoria della montagna di m*rda: bastano tre secondi per creare una bufala, ma per sbugiardarla ci vuole un’infinità di tempo.

Mi manca il tempo, appunto, di sfogliare le migliaia di foto delle missioni lunari per trovare quella usata da National Geographic TV Italia, e Tineye e Google Immagini non trovano corrispondenze. Posso soltanto suggerire qualche criterio di ricerca per chi si volesse cimentare a cercare in ApolloArchive o nel bellissimo archivio recentemente attivato su Flickr.

– La foto mostra cinque crocette di riferimento (reseau mark) uguali: il fatto che siano uguali e siano nella posizione standard suggerisce che l'immagine non sia stata ritagliata o ruotata rispetto all'originale (nelle foto lunari delle missioni Apollo la crocetta centrale è più grande delle altre proprio per indicare il centro dell'immagine e rivelare tagli e rotazioni). Questo significa che la foto è piuttosto insolita, con un'inquadratura che include molto cielo e poco terreno: un elemento utile per riconoscerla a colpo d'occhio mentre si sfoglia l'archivio. A meno che NGTI abbia barato alla grande e messo in basso l’orizzonte di una foto che mostrava molto più terreno.

– La macchia al centro è un ingrandimento della macchia circolettata; inoltre la porzione di cielo che contiene la macchia circolettata è vistosamente alterata rispetto al resto del cielo, con bande nettissime che suggeriscono un brutale copiaincolla, come si nota regolando il contrasto.


– L’immagine sembra essere stata scattata al suolo, non dall'orbita, visto che ci sono dettagli di rocce in primo piano.

– L’area è piuttosto collinosa, per cui sono probabilmente da escludere le missioni che atterrarono in zone molto pianeggianti (Apollo 11, 12, 14) e da prendere maggiormente in considerazione le missioni che scesero in zone più scoscese (Apollo 15, 16, 17).

Buona caccia.

Intanto i commenti al post di National Geographic TV Italia sono in gran parte di protesta per lo scadimento della qualità e la bassezza dell’approccio attiraclic. Chissà se servirà da lezione. Ridiamoci sopra, che è meglio, con una spiegazione alternativa alla quale NGTI forse non ha pensato.




2015/10/26 20:30


Trovata! Ho avuto un colpo di fortuna quasi in contemporanea con Vittorio (nei commenti), khedron11 (via mail) e @Acrivellin (via Twitter): ho provato a cercare in Google varie frasi a tema e quando sono arrivato a “blurry object in apollo photos” ho ottenuto, fra i vari risultati, questa pagina (Donotlink), che mostra una porzione della foto usata da National Geographic TV Italia. Cosa più importante, la pagina cita una frase specifica (“UFO with dangling arms looking towards the Apollo lander”) e il nome dello “scopritore” dell’oggetto misterioso.

Immettendo questi dati in Google sono arrivato al post del fufologo (Donotlink) in questione, che sarà pure uno che vede alieni in qualunque caccola informe ma almeno ha la correttezza di indicare la fonte specifica delle foto che usa.

La foto è la AS16-106-17244 (Apollo 16), che vedete in versione originale integrale qui sotto via Flickr.


Come notate, National Geographic TV Italia ha presentato una fotografia falsa. È tagliata drasticamente, prendendone soltanto la fetta contenente l'orizzonte, ed è stata aggiunta una vasta fetta di cielo assente nell'originale. Usare una foto falsificata, inesistente negli archivi NASA, per parlare dell’accusa di false foto degli sbarchi sulla Luna è un esempio di coerenza giornalistica davvero straordinario.

Magari vi state chiedendo dov’è l'alieno/Edi: è acquattato, piccolissimo, nell’angolo in alto a destra. La versione mostrata da National Geographic lo ingrandisce enormemente rispetto al suolo, creando un ulteriore falso.



Considerate che la pellicola originale è in formato 70 mm, per cui la macchia controversa è davvero piccolissima.

Questo è un dettaglio della zona contenente l'oggetto misterioso:



Notate i puntini neri che costellano l'area che inquadra il suolo lunare: sono granelli di polvere. La pellicola è indubbiamente sporca, per cui è presumibile che anche il presunto “alieno” o “persona sul set” sia in realtà semplicemente un altro granello di polvere, forse illuminato dalla luce dello scanner.

Mistero risolto, insomma, con pessima figura per National Geographic TV Italia, beccata a usare un falso per insinuare che le foto della NASA siano false e così attirare clic. Da che pulpito.

2015/10/24

ADNKronos, il suicidio di un’agenzia di stampa. A colpi di Nibiru e “respirianesimo”

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni di “e78ma*” e “berard*” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2015/10/26 8:30.

Puttane del clic. Lo so, è un’espressione forte, ma è frutto dell’amara e ripetuta constatazione che il giornalismo, quello che si vantava di essere professionale, di rispettare la deontologia, di distinguersi orgogliosamente dalla marea di idiozie pubblicate dai blogger, di avere una dignità, sta sempre più spesso gettando la spugna per prostituirsi, rintronato dalla frenesia di rincorrere il clic pubblicitario a qualunque costo.

Guardate cos’ha pubblicato ADNKronos, che non è il blog di un imbecille paranoico, non è il sitarello di un adolescente in tempesta ormonale, non è un covo di rimbambiti da un’overdose di Voyager: è un’agenzia di stampa.

“"E' Nibiru... stanno arrivando", l'oggetto nel cielo che annuncia l'Apocalisse”, titola ADNKronos (Donotlink), mettendo la “notizia”, si noti, nella sezione Esteri, che sembrerebbe una cosa seria. Non la mette nella sezione Intrattenimento o Cazzate trovate su Internet.

Sì, ancora Nibiru, una bufala che si trova in tre secondi su Wikipedia. Roba che un giornalista che abbia un briciolo di dignità dovrebbe rifiutarsi di pubblicare, perché l'han capito anche i sassi che i video non mostrano un oggetto in cielo, ma un riflesso interno dell'obiettivo del telefonino, come ben spiegato da Metabunk. Se sposti il telefonino, si sposta anche “Nibiru”. Postare un video del genere su Youtube non significa annunciare l’Apocalisse: significa annunciare “sono un cretino”.

Non contenta, ADNKronos ha rilanciato un’idiozia anche peggiore: “Vivere senza cibo, sempre più italiani scoprono il 'respirianesimo'” (Donotlink). Ha ospitato senza pudore il delirio di “Nicolas”, uno che dice di vivere senza mangiare e bere da tre anni. Ha scritto che questa “pratica... si sta diffondendo anche in Italia” e che “attualmente circa 3000 persone in Europa praticano questo tipo di disciplina”. Senza una riga di commento e senza uno straccio di parere medico. Come se smettere di mangiare e bere senza per questo crepare in pochi giorni fosse un dato di fatto, una cosa normale, un’opzione ecologica come un’altra (e infatti è pubblicata appunto nella sezione Sostenibilità). Tutti coglioni, in Africa: potrebbero vivere di energia del cosmo e invece si ostinano a morir di fame.
In pratica ADNKronos ha pubblicato delle istruzioni di suicidio per inedia. Un’istigazione all’anoressia. Un insulto a chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena per la propria famiglia. No, non ditemi che sono eccessivo: i casi di suicidio per “respirianesimo” ci sono già stati. Hanno nomi e cognomi: Timo Degen, morto dopo dodici giorni di dieta d'aria; Verity Lynn, trovata morta dopo sette giorni di digiuno; Lani Morris, morta dopo dieci giorni senza mangiare e senza bere. Le loro storie, e i guru milionari che speculano sulla loro pelle, sono raccontate in questo mio articolo del 2010.

Ma ad ADNKronos, a quanto pare, l’idea che un’agenzia di stampa debba comportarsi responsabilmente e magari verificare le notizie prime di diffonderle, specialmente quando riguardano la salute pubblica o gli asteroidi in arrivo, interessa poco. Conta di più il clic. La cosa triste è che ADNKronos ha ragione: guardate quali sono gli articoli più cliccati dell’agenzia al momento in cui scrivo.
La pseudonotizia sul “respirianesimo” ha funzionato: è una cazzata talmente monumentale che tantissimi, inorriditi, l'hanno linkata, condivisa, cliccata, dandole inconsapevolmente la visibilità che fa correre il contatore delle visualizzazioni delle pubblicità. Chi se ne frega se la notizia è falsa o se qualcuno crepa perché crede – povero ingenuo – di potersi fidare di quello che scrive un’agenzia di stampa. L’importante è che la gente clicchi e l’agenzia incassi. Deontologia? Che roba è?

A me dispiace per i giornalisti che cercano ancora di fare giornalismo con serietà e si vedono travolti da questa tendenza sempre più diffusa a vendere la propria credibilità di testata pur di accaparrarsi i soldi dell’inserzionista. Mi dispiace per quelli che vorrebbero fare informazione ma vengono spinti alla prostituzione. E mi fa pena chi è disposto ad affossare la dignità di una testata per dei rapidi guadagni oggi, senza pensare al domani o all’effetto che ha questa scelta sull’opinione pubblica: come sarà possibile fidarsi di qualunque altra notizia pubblicata da ADNKronos dopo questo carosello di balle?

So benissimo che non saranno i miei strali disgustati a far cambiare idea a chi gestisce così la reputazione di un’agenzia di stampa. Se c’è una vaga speranza di far capire che questo non è il giornalismo che vogliamo e che non siamo disposti a farci fregare, bisogna farsi sentire. La prossima volta che leggete scempiaggini su ADNKronos o altrove, non condividetele sui social per criticarle, non linkatele (salvo tramite Archive.is o Donotlink.com), e installate un adblocker che blocchi la visualizzazione delle pubblicità sul sito che le pubblica, oppure smettete completamente di visitare quel sito. Tocchiamo questa gente nell’unica parte che ancora è sensibile. Il portafogli.


2015/10/26 8:30


Anche il Fatto Quotidiano pubblica (Donotlink) la “notizia” del respirianesimo, usando un testo che ricalca fedelmente quello di ADNKronos (che infatti viene citata come fonte) ma aggiungendo una punta di presa in giro che però, a giudicare dai commenti, rischia di passare inosservata, soprattutto da parte di chi è già predisposto a credere alle idiozie new age.

2015/10/23

Ricerche fatte a voce? Google le ha registrate, ecco come cancellarle

L’articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/10/23 17:00.

Non è un segreto che Google ricorda tutto quello che ciascun utente digita nella casella di ricerca; è forse meno noto che quando si usa Google per una ricerca fatta a voce, come si fa spesso con i telefonini, questo motore di ricerca registra la voce e la conserva.

Lo scopo di questa registrazione di massa non è la sorveglianza, ma l’affinamento del riconoscimento vocale, che migliora man mano che aumenta il numero di campioni di riferimento (generali dei vari utenti oppure dello specifico individuo). Ma è comunque impressionante vedere quanti brani della nostra voce sono stati incamerati da Google. Se volete farvi un'idea dei vostri spezzoni vocali collezionati dal motore di ricerca, entrate nel vostro account Google e poi seguite questo link. Troverete sorprese notevoli: io, per esempio, ho in archivio anche spezzoni casuali di conversazioni, probabilmente registrati perché ho toccato inavvertitamente l’icona del microfono nella casella di ricerca di Google sul telefonino.

Per fortuna è possibile cancellare selettivamente o in massa tutte queste registrazioni andando nelle Opzioni di eliminazione ed è possibile dire a Google di anonimizzare la raccolta di questi spezzoni di audio (seguendo questo link e scegliendo di disattivare l'opzione Comandi e ricerche vocali): si ottiene la richiesta di conferma mostrata qui di seguito, che spiega che “questa impostazione non incide sulla memorizzazione di informazioni da parte di prodotti Google (come Voice) che potrebbero essere utilizzati per memorizzare i tuoi input vocali o audio. Google potrebbe anche continuare a raccogliere e memorizzare dati audio in forma anonima.”


A questo punto, però, arriva una domanda inevitabile: cosa fanno gli altri fornitori di ricerche vocali, come Siri di Apple, Echo di Amazon e Cortana di Microsoft? Ci sono sospetti che Siri e Cortana conservino le registrazioni. Di questi tre, solo il servizio di Amazon offre esplicitamente un’opzione di cancellazione; per Siri e Cortana e più in generale, se volete essere sicuri di non regalare campioni della vostra voce l’unica soluzione semplice è non usare mai la ricerca vocale.


Fonti aggiuntive: Wired, Time.

Braccialetto Fitbit infettabile troppo facilmente? Fortinet dice di sì, Fitbit nega

Nuove frontiere dell’Internet delle Cose, o meglio, dell’Internet delle Cose Insicure: il braccialetto di fitness Fitbit Flex può veicolare infezioni informatiche ed è attaccabile a distanza in dieci secondi. Si tratta della prima dimostrazione pratica di un attacco informatico condotto sfruttando un dispositivo digitale di monitoraggio dell'attività fisica.

La ricercatrice Axelle Apvrille, della società di sicurezza Fortinet, descrive in dettaglio la tecnica che ha usato per questo virtuosismo informatico, che per ora è puramente dimostrativo (video) e non è in circolazione: un aggressore situato nelle immediate vicinanze della vittima manda al braccialetto, via Bluetooth, un apposito pacchetto di dati infetto, e poi si allontana. Il braccialetto accetta il pacchetto senza fare alcun controllo e la fase attiva dell’attacco è già conclusa.

Quando la vittima sincronizza il braccialetto con i server della Fitbit per aggiornare il proprio profilo, lo scambio di messaggi contiene i dati infetti. Dato che il braccialetto viene spesso collegato a un computer, il codice infetto può essere recapitato al computer per infettarlo, per esempio per aprire una backdoor, causare un crash oppure propagare l'infezione ad altri braccialetti.

L’attacco è particolarmente subdolo perché l’utente non si aspetta che un braccialetto di fitness possa essere un bersaglio e un veicolo d’infezione, e non è l'unico successo di Apvrille, che è riuscita ad alterare il numero di passi contati e la distanza percorsa per guadagnare punti che possono essere convertiti in sconti e premi.

Fitbit è stata avvisata della falla a marzo scorso da Fortinet, ma non l’ha ancora corretta. Ora che la falla è stata resa pubblica può darsi che cambi idea, ma l'azienda ha dichiarato senza mezzi termini che “le questioni di sicurezza segnalate sono false e i dispositivi Fitbit non possono essere usati per infettare gli utenti con del malware”.

Non è la prima volta che questo braccialetto di fitness viene colto in fallo: nel 2013 emerse che era possibile falsificare le informazioni di login per accedere a qualunque account Fitbit e vincere premi, mentre nel 2011 le attività amorose degli utenti furono rese pubbliche tramite ricerche via Web che permettevano di sapere chi si era dedicato a sforzi “energici” oppure “passivi e leggeri”.

YouTube diventa a pagamento (per chi vuole)

YouTube Red (da non confondere con RedTube, che è un sito a luci rosse) è il servizio di Youtube, annunciato questa settimana e disponibile dal 28 ottobre, che consente agli utenti che pagano un abbonamento di saltare le pubblicità, salvare su telefonino i video per vederli in seguito, accedere a video e film riservati agli abbonati e di ascoltare musica in streaming in maniera molto simile a Spotify. L’offerta per ora è limitata agli utenti statunitensi e costa dieci dollari al mese (tredici per chi si abbona tramite l'app di Apple).

L’iniziativa di Google, però, non piace a tutti gli youtuber, i creatori di contenuti video, e ai loro fan, perché chi pubblica video per monetizzarli e non accetta le condizioni di YouTube Red si trova con i video contrassegnati come privati, ossia invisibili. Il rischio, insomma, è di dover accettare condizioni capestro rese possibili dal fatto che YouTube domina il mercato dei video in streaming: il 55% dei ricavi che viene passato ai creatori di video è una percentuale inferiore rispetto a quella offerta dai servizi concorrenti (Spotify paga il 70%, Apple Music il 71,5%). È già stata presentata una contestazione formale presso le autorità per la concorrenza della Commissione Europea.

Per i fan saranno scelte difficili: PewDiePie, il numero uno mondiale fra gli youtuber, ha già firmato per produrre contenuti esclusivi per YouTube Red, per cui chi lo vuole seguire in tutte le sue produzioni dovrà mettere mano al portafogli.

Arriva la ricerca potenziata in Facebook

Facebook ha annunciato un’espansione importante della funzione di ricerca del social network, chiamata Search FYI, che consente di cercare all'interno degli oltre duemila miliardi di post che tiene in archivio. Sono cercabili tutti i post pubblici e i post degli amici, con risultati organizzati cronologicamente, per importanza e personalizzati secondo circa 200 fattori, che includono le informazioni personali dell'utente e le sue ricerche passate.

Rispetto alla ricerca finora offerta, questa nuova versione propone anche risultati generali al di fuori della cerchia degli amici, per consentire agli utenti di avere informazioni da vari punti di vista.

Questa funzione di ricerca significa che chiunque può frugare facilmente in tutta la storia dei nostri post, se sono pubblici, e i nostri amici possono fare lo stesso nei nostri post privati, se li abbiamo condivisi con loro. Se volete evitare potenziali imbarazzi, potete proteggere in blocco tutti i vostri post passati dalla ricerca di Facebook andando nelle impostazioni dell’app, scegliendo Impostazioni account - Privacy - Vuoi limitare il pubblico dei post che hai condiviso con gli amici degli amici o con il pubblico? e cliccando su Solo vecchi post. Questa scelta renderà i vostri post passati non solo meno cercabili ma anche meno visibili in generale, per cui è da ponderare con attenzione.

La cercabilità generale dei post futuri, invece, si regola scegliendo di nuovo Impostazioni account - Privacy e poi passando a Chi può vedere i tuoi post futuri? Se scegliete Tutti, i vostri post saranno cercabili da chiunque; se scegliete Amici, saranno cercabili soltanto dagli amici. Per non essere cercabili da nessuno occorrerebbe scegliere Solo io, ma significherebbe che tutti i post sarebbero invisibili a tutti. Il livello di privacy e cercabilità dei singoli post è comunque personalizzabile.

Si può inoltre andare nel Registro attività per esaminare ed eventualmente eliminare la cronologia delle ricerche effettuate in Facebook.

Per attivare la ricerca potenziata in Facebook, disponibile sia su computer sia su dispositivi mobili, occorre attivare l’inglese come lingua dell’interfaccia (in iOS 9, Impostazioni - Generali - Lingua e zona, con effetto su tutte le app e su iOS; in Android si può impostare separatamente la lingua dell’app di Facebook andando nelle impostazioni dell’app stessa).

Maggiori dettagli sono (per ora in inglese) presso search.fb.com.

Raffica di aggiornamenti software per Apple: computer, smartphone, smartwatch

C’è parecchio lavoro di aggiornamento software, particolarmente per gli utenti Apple: è stato rilasciato iOS 9.1 per iPhone, iPad e iPod; per i computer Apple è uscita la versione 10.11.1 di OS X El Capitan; e per gli Apple Watch è disponibile l’aggiornamento alla versione 2.0.1 di WatchOS.

L’aggiornamento per computer risolve, fra l’altro, i problemi riscontrati con Mail e Microsoft Office 2016 oltre a 60 falle di sicurezza; quello per Apple Watch promette di allungare la durata della batteria, migliorare la sicurezza turando 14 falle (eh già, adesso bisogna pensare alla sicurezza informatica anche per gli orologi, se ne usate uno smart), offrire un assistente vocale più efficiente e aggiungere oltre 150 nuovi emoji (c'è di tutto, dall'unicorno al dito medio alzato).

Per i dispositivi mobili che usano iOS, l’aggiornamento alla versione 9.1 (disponibile per iPhone 4s, iPod touch di quinta generazione, iPad 2 e modelli successivi) risolve una cinquantina di problemi di sicurezza, ma a molti interesserà in particolare perché offre Siri sempre attiva (basta dire “Ehi Siri” per invocarla se il dispositivo è sotto carica; l'opzione è sotto Impostazioni - Generali - Siri - Consenti “Ehi Siri”) e gli emoji aggiornati; tenete presente che se usate questi nuovi simboli verranno visti soltanto dagli utenti che si sono aggiornati a iOS 9.1 e sistemi operativi compatibili.

Fra l'altro, Facebook segnala l'importanza di aggiornare anche la propria app per iOS a causa di un errore che produce un consumo eccessivo di batteria, mentre mi arrivano segnalazioni di un difetto analogo nella funzione Chiamate Wi-Fi che riguarda gli utenti di alcuni operatori cellulari svizzeri: anche qui il telefonino si scalda molto e la batteria si scarica troppo in fretta. Conviene quindi lasciare disattivata quest'opzione in attesa che il difetto venga corretto.

2015/10/21

Grande Giove! Oggi è il giorno di “Ritorno al Futuro”

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/10/23 3:00.

Per essere più precisi, oggi è il giorno di Ritorno al Futuro II, seguito futuribile del riuscitissimo film Ritorno al Futuro (1985). La seconda puntata della trilogia cinematografica diretta da Bob Zemeckis è datata 1989, è ambientata nel 2015 e cita precisamente le 16 e 29 del 21 ottobre di quest'anno come tappa chiave del viaggio nel tempo della celeberrima Delorean che viene usata dai protagonisti come macchina del tempo. Oggi, insomma, siamo nel futuro di Ritorno al Futuro (i veri nerd fanno notare che in realtà la ricorrenza andrebbe celebrata domani per chi sta in Europa, a causa del fuso orario, ma fa niente).

Ci sono molti eventi in tutto il mondo per celebrare l'arrivo di una data che allora, 26 anni fa, sembrava così lontana. Anche se lo scopo di Ritorno al Futuro era soltanto divertire e fare anche un po' di satira dell'America degli anni Ottanta senza alcuna pretesa scientifica di prevedere il futuro, è interessante fare il confronto fra il 2015 concepito dal film e quello reale.


Previsioni azzeccate


Film in 3D. Non siamo ancora agli ologrammi che escono dallo schermo in luce diurna come fa la pubblicità de Lo Squalo 19 nel film, ma le tecnologie di proiezione tridimensionale sono ovunque e ci sono “ologrammi” come l'apparizione di Tupac a Coachella nel 2012.

Videogiochi comandati dal cervello e senza fili. Nel bar del 2015 c'è un vecchio videogioco e i bambini (uno dei quali è Elijah Wood del Signore degli Anelli) inorridiscono all'idea di un gioco nel quale bisogna toccare i comandi: roba da neonati. Oggi abbiamo Kinect, Leap Motion e altri sensori di movimento e cominciamo ad avere sistemi che consentono di comandare computer con gli impulsi del cervello.

Pagamenti tramite impronta digitale. Biff paga il taxi appoggiando un dito sul sensore d'impronte, e nella realtà ci siamo arrivati proprio quest'anno, con l'introduzione di sistemi come Apple Pay.

Videoconferenze. Marty chiacchiera con il collega Needles in videochiamata. Abbiamo già Skype, FaceTime e simili da parecchi anni.

Tecnologia indossabile o wearable. Marty Junior riceve una telefonata sugli occhiali? Google Glass e Hololens sono già tra noi da un po’. Cominciano a circolare i primi indumenti smart, anche se non siamo ancora ai livelli della giacca parlante e autoasciugante o delle scarpe autoallaccianti di Ritorno al Futuro (anche se Michael J. Fox ne ha appena ricevuto un paio sperimentale, dimostrato qui).

Volopattino (hoverboard). Il bellissimo neologismo italiano coniato dai traduttori di RaF II è diventato realtà proprio nel 2015 con i dispositivi creati da Lexus e Hendo, anche se entrambi richiedono una superficie metallica sottostante e “volano” soltanto a pochi centimetri da terra. E a proposito di traduzioni, se vi siete mai chiesti chi è Scott nell'espressione “Great Scott!” usata da Doc in originale (in italiano “Grande Giove!”), Slate ha la risposta.

Droni. Si vedono poco nel film ma ci sono: la telecamera robotica volante che riprende l'arresto di Biff è attualissimo; lo è un po' meno il drone che porta a passeggio il cane.

Schermi giganti ovunque. Questa è facile: abbiamo davvero megatelevisori e display colossali dappertutto. Ritorno al Futuro ipotizzava anche schermi arrotolabili, e ci stiamo arrivando.

Televisori comandati a voce. Oggigiorno i comandi vocali sono non solo nei televisori (con implicazioni di privacy e sorveglianza), ma sono in effetti dappertutto, anche se non sempre con risultati soddisfacenti.

Fotocamere digitali tascabili. Non era una previsione difficile, dato che RaF II fu già ripreso usando tecniche parzialmente digitali, ma è senz'altro giusta, vista l'onnipresenza delle fotocamere digitali oggi.

Identificazione biometrica automatizzata. Quando la ragazza di Marty viene trovata dalla polizia, viene riconosciuta biometricamente e scambiata per la signora McFly del 2015. Oggi abbiamo Facebook che fa la stessa cosa negli USA (riconoscimento facciale applicato alle foto, che in Europa è vietato) e abbiamo fotocamere che riconoscono espressioni e sorrisi e telefonini che si sbloccano se riconoscono il volto o l'impronta del proprietario.


Previsioni clamorosamente mancate


Pazienza se non abbiamo la pizza reidratabile in quattro secondi, non vestiamo con le tasche rovesciate in fuori indossando due cravatte e non sono stati aboliti gli avvocati: il futuro di Ritorno al Futuro II ha delle carenze enormemente più significative, che dimostrano quanto è difficile fare previsioni anche a breve termine perché non è possibile prendere in considerazione gli effetti di invenzioni o scoperte rivoluzionarie e dirompenti.

Internet. Nel 1989 il Web era ancora un'idea appena formata nella mente di Tim Berners-Lee e Internet era un privilegio di pochi. In Ritorno al Futuro 2 le telecomunicazioni sono ancora di tipo telefonico gestite da un operatore centrale: voce, fax, videochiamate. Ma di reti telematiche pervasive non c'è traccia.

Telefonini. Nel 1989 la telefonia mobile aveva già mosso i primi passi in Europa e li stava iniziando a muovere negli Stati Uniti, ma nel film non ce n'è traccia. Anzi, Marty a un certo punto usa addirittura una cabina telefonica.

Stampa 3D. Non sembrano esserci dispositivi di creazione istantanea di oggetti nel 2015 di RaF II, ed è una delle innovazioni tecnologiche più salienti della realtà che il film non ha considerato.

Fax. Se c'è una tecnologia che sembra fuori luogo (o fuori tempo) in RaF II, è decisamente il fax, che è già obsolescente da anni eppure è onnipresente in casa di Marty nel 2015.

Automobili volanti. Il problema sembra essere più normativo che tecnico: nessuno vuole automobilisti della domenica che cadono dal cielo. Ci sono dei prototipi, ma l'auto volante di massa è ancora oggi un miraggio, e probabilmente è bene che resti tale.

Controllo della meteorologia. Non siamo ancora in grado di far piovere a comando in luoghi precisi con precisione cronometrica come in RaF II, anche se gli sciachimisti sono convinti di sì.

Fusione nucleare o generatori ultracompatti. Il Mr.Fusion che alimenta la Delorean del 2015 con i rifiuti è ancora un sogno.


E naturalmente non abbiamo ancora una macchina del tempo. O questo è quello che vogliono farci credere.

2015/10/20

Asteroide mancherà la Terra di circa 500˙000 km il 31/10; scoperto solo 10 giorni fa

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Simulazione in Celestia (Astroblogger).
Un asteroide di dimensioni importanti (300-600 metri circa) passerà a circa 478.000 chilometri dalla Terra nei prossimi giorni. Non c'è alcun pericolo, ma il fatto che sia arrivato a sorpresa, senza essere avvistato prima dai sistemi di monitoraggio, desta comprensibilmente un po’ di angoscia.

L’oggetto, denominato 2015 TB145, è stato infatti scoperto soltanto la settimana scorsa, il 10 ottobre, dall'osservatorio Pan-STARRS alle Hawaii. Arriverà il 31 ottobre, passando a circa 35 chilometri al secondo (126.000 km/h): una velocità molto elevata rispetto alla norma. A titolo di confronto, l’asteroide disintegratosi sopra la Russia, nella zona di Celyabinsk, a febbraio 2013 aveva un diametro di circa 17 metri e viaggiava a 19 km/s (68.400 km/h). Il momento di massima prossimità alla Terra di questo nuovo asteroide sarà alle 17:18 UT del 31 ottobre. Gli astronomi sperano di ottenere immagini con un dettaglio di circa 2 metri per pixel con i loro radiotelescopi.

Le info della NASA sono qui; quelle del Jet Propulsion Laboratory sono qui; quelle del Minor Planet Center sono qui. I file per Celestia sono su Astroblogger, dal quale ho tratto anche questo schema della traiettoria con l'orbita della Luna.


Se questo asteroide fosse stato in rotta di collisione, con un preavviso così modesto non avremmo avuto nessun modo di deviarlo o distruggerlo. Secondo la simulazione di Impact: Earth! un suo impatto a 126.000 km/h, ipotizzando che si tratti (come si suppone) di un oggetto di tipo cometario e un angolo d'impatto di 45 gradi sulla terraferma, creerebbe un cratere di circa 6 km di diametro, profondo 500 metri, accompagnato da una palla di fuoco larga quattro chilometri e mezzo. Un bel pensiero col quale iniziare la giornata.