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2022/11/30

Chi c’è nello spazio? Aggiornamento 2022/11/30: 13 persone. Immagini spettacolari del decollo di Artemis 1

Con l‘arrivo della navicella Shenzhou 15, l’Agenzia Spaziale Cinese ha effettuato il primo scambio di equipaggio a bordo della Stazione Spaziale Cinese, a bordo della quale ci sono ora sei persone. È la prima volta che la Cina ha sei persone contemporaneamente in orbita ed è l’inizio di una presenza umana permanente a bordo di questa stazione, che con la recente aggiunta del terzo modulo abitativo e con l’attracco della Shenzhou 15 e della Shenzhou 14 e di una navicella cargo Thianzhou ha una massa di quasi 100 tonnellate, superiore a quella della storica stazione sovietica Mir, e una cubatura interna superiore a quella del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale.

Al momento nello spazio ci sono 13 persone: sette a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e sei a bordo della Stazione Spaziale Cinese. 

Illustrazione della configurazione attuale della Stazione Spaziale Cinese (credit: CNSpaceflight).

Stazione Spaziale Internazionale (7)

Francisco Rubio (NASA) (dal 2022/09/21)

Sergei Prokopyev (Roscosmos) (dal 2022/09/21)

Dmitri Petelin (Roscosmos) (dal 2022/09/21)

Nicole Mann (NASA) (dal 2022/10/07)

Josh Cassada (NASA) (dal 2022/10/07)

Koichi Wakata (JAXA) (dal 2022/10/07)

Anna Kikina (Roscosmos) (dal 2022/10/07)

Stazione Nazionale Cinese (6)

Chen Dong (dal 2022/06/05)

Liu Yang (dal 2022/06/05)

Cai Xuzhe (dal 2022/06/05)

Fei Junlong (dal 2022/11/29)

Deng Qingming (dal 2022/11/29)

Zhang Lu (dal 2022/11/29)

Altri voli spaziali umani in corso

Nessuno.

Missione Artemis I

La missione è partita regolarmente il 16 novembre e la capsula Orion, insieme al Modulo di Servizio Europeo, è ora in orbita intorno alla Luna. È disponibile uno streaming video quasi ininterrotto delle immagini provenienti dalle telecamere all’interno della cabina e sulle estremità dei pannelli solari del MSE. La Nasa ha rilasciato oggi questo magnifico montaggio delle fasi salienti della partenza, riprese anche dalle telecamere di bordo.

Prossimi rientri di equipaggi

Nessuno imminente.

Fonti aggiuntive: ShuttleAlmanac, Andrew Jones.

2022/11/29

Antibufala: Il Sole 24 Ore, La Provincia di Como, HWupgrade e lo “stop ai veicoli elettrici” in Svizzera (spoiler: non c’è nessuno stop)

Pubblicazione iniziale: 2022/11/29 13:33. Ultimo aggiornamento: 2022/12/13 9:10.

La Provincia di Como ha pubblicato il 28 novembre un articolo (copia permanente) a firma di Marco Palumbo che titola “Svizzera, stop ai veicoli elettrici e in autostrada si va a 100 all’ora”. Il titolo fa sembrare che sia una descrizione della situazione attuale o prossima ventura (il sottotitolo parla di “misure in vigore dal 12 dicembre”), e ovviamente gli ottusangoli che odiano le auto elettriche ne gongolano pateticamente (sulla scia per esempio di Francesca Totolo).

Un articolo su HWupgrade (copia permanente) segue la stessa falsariga, usando il titolo “Clamoroso dietrofront della Svizzera: auto elettriche vietate, limite a 100 km/h e riscaldamento a 18 gradi” per un articolo a firma di Massimiliano Zocchi. 

L’8 dicembre Il Sole 24 Ore ha titolato “Auto elettriche: la Svizzera vicina al divieto di circolazione. Svezia stop agli incentivi”, a firma di Giulia Paganoni (copia permanente).

Ma tutti questi titoli sono falsi e ingannevoli. Abito in Svizzera (vicino a Lugano) e ho un’auto elettrica. Posso dire, con la certezza dell’esperienza diretta sul posto, che non c’è nessuna restrizione alla circolazione delle automobili elettriche.

L’articolo de La Provincia spiega che l’idea di limitare l’uso dei veicoli elettrici per gestire la penuria energetica è solamente un’ipotesi. Cito infatti dall’articolo in questione:

[...] l’esecutivo federale ha persino paventato l’ipotesi di introdurre «il divieto di circolazione delle auto elettriche, in caso di penuria energetica»

Il presunto “divieto” non è in vigore oggi e non è previsto che entri automaticamente in vigore dal 12 dicembre. 

La frase virgolettata da Marco Palumbo sembra essere tratta da questo documento PDF del Consiglio Federale, che è un documento consultivo, non dispositivo: è una sorta di FAQ sulle misure per contrastare la penuria di energia elettrica.

Fra le tante misure in consultazione, si propone di limitare a 100 km/h la velocità sulle strade nazionali (attualmente il limite autostradale è 120 km/h) perché “chi viaggia sotto i 100 km/h dovrà ricaricare di meno le batterie, riducendo così il consumo di elettricità.” Quindi nessuno “stop”, ma semmai una eventuale limitazione dei consumi.

Il documento propone anche un divieto di uso delle auto elettriche, ma solamente “[i]n caso di penuria persistente (fase 3)”. In tal caso “si può limitare l'uso privato delle auto elettriche al minimo indispensabile. Rimarrà lecito l'uso per spostamenti assolutamente necessari come la spesa, le visite mediche e l'esercizio della propria professione.” Quindi anche nel caso peggiore, non si tratterebbe di uno stop assoluto. 

Inoltre la condizione di “penuria persistente” citata dal documento è una situazione assolutamente eccezionale. Chi volesse approfondire la questione invece di fermarsi a un titolo sensazionalistico può leggere queste fonti: Energia - situazione attuale (Ufficio federale per l’approvvigionamento economico del Paese); Provvedimenti in caso di penuria di elettricità (Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca); Energia: in consultazione le misure per far fronte a un’eventuale penuria di elettricità (Consiglio Federale); Ticinonews; La Regione; TVsvizzera.it.


2022/12/13 9:10. Sulla questione è intervenuto oggi il Corriere del Ticino con un editoriale di Paride Pelli che nota che “Se non si tratta di fake news, poco ci manca”.

Le foto incredibili di Artemis, Terra e Luna in alta risoluzione

Immaginate che foto arriveranno da queste fotocamere digitali, montate alle estremità dei pannelli solari del Modulo di Servizio europeo (che fanno da super selfie stick, quando a bordo ci saranno persone che si affacceranno ai finestrini. La serie completa è qui su Flickr.

Dettaglio della foto qui sopra:

2022/11/28

Elon Musk posta uno screenshot falso della CNN e viola le regole di Twitter. Pensa che sia divertente disseminare fake news

Il neo-boss di Twitter scherza col fuoco in una nuova dimostrazione di irresponsabilità. Ha pubblicato ai suoi 119 milioni di follower un tweet che mostra una falsa schermata della CNN, nella quale sembra che Don Lemon, uno dei conduttori del canale televisivo, stia dando la notizia che “Musk potrebbe mettere a repentaglio la libertà di espressione su Twitter dando alla gente la possibilità di esprimersi liberamente”.

L’intento è presumibilmente umoristico, ma l’uso del vero logo della CNN e dell’immagine di un vero conduttore della rete televisiva rischia di fare disinformazione, tant’è vero che il servizio di fact-checking di Twitter ha segnalato che il tweet del CEO di Twitter viola le regole di Twitter, notando che il falso screenshot ha iniziato a circolare ad aprile 2022 ed ha tratto in inganno molte persone che hanno creduto che fosse reale, come nota Associated Press. CNN ha smentito di aver mai trasmesso una notizia del genere, allegando uno screenshot che include l’avviso di Twitter che segnala la violazione delle sue regole.

Di fatto Musk sta simulando una schermata di un’emittente reale senza dichiarare che è una parodia. Ricordate quando Musk impose a tutti di dichiarare esplicitamente gli account parodia, quando era lui il parodiato? Si ritiene al di sopra delle sue stesse regole, a quanto pare. E chiaramente non ha comprensione del proprio peso mediatico.

Per tutta risposta, Musk ha tweetato “Lmaoooo”.

Come nota David Puente, sarebbe altrettanto divertito se qualcuno con cento milioni di follower diffondesse uno screenshot nel quale si dice che Musk è un pedofilo?

Non è la prima volta che Elon Musk pubblica notizie false su Twitter da quando ne è CEO. Il 30 ottobre scorso aveva diffuso in un tweet la notizia totalmente inventata secondo la quale Paul Pelosi, marito della Speaker della Camera dei Rappresentanti statunitense Nancy Pelosi, aggredito e percosso violentemente in casa pochi giorni prima da un uomo che voleva aggredire la moglie per motivi politici, sarebbe stato in realtà ubriaco e avrebbe avuto una colluttazione con l’uomo per motivi legati a prestazioni sessuali a pagamento. La “notizia” era stata inventata da un sito noto per le sue fantasie complottiste. Musk ha poi rimosso il tweet, ma il danno era ormai fatto.

Con un CEO del genere, non stupisce che gli inserzionisti si stiano ritirando da Twitter in massa. Secondo NPR, che cita un rapporto di Media Matters, metà dei 100 inserzionisti pubblicitari più importanti di Twitter non stanno più facendo pubblicità sul sito. Si tratta di organizzazioni che hanno speso su Twitter oltre 750 milioni di dollari soltanto nel 2022. Altri sette inserzionisti, che ammontano a oltre 225 milioni di dollari dal 2020, hanno ridotto la propria presenza pubblicitaria quasi a zero. Musk ha ammesso che Twitter ha visto un “massiccio” calo nei ricavi e ha incolpato imprecisati “attivisti” che avrebbero fatto pressioni sugli inserzionisti pubblicitari.

Chevrolet, Chipotle Mexican Grill, Inc., Ford, Jeep, Kyndryl, Merck & Co. e Novartis AG hanno tutte pubblicato dichiarazioni di interruzione delle proprie pubblicità su Twitter oppure sono state segnalate e confermate in tal senso, dice NPR, aggiungendo che 12 grandi case farmaceutiche hanno smesso di fare pubblicità, probabilmente in seguito al disastro del falso account “verificato” di Eli Lilly, che aveva annunciato insulina gratis per tutti, facendo precipitare le azioni della vera casa farmaceutica.

Nel frattempo, SpaceX ha comprato spazi pubblicitari su Twitter per reclamizzare le parabole satellitari per trasmissione dati Starlink, secondo CNBC e Reuters, ma l’importo sarebbe piccolo (intorno ai 160.000 dollari). Musk ha dichiarato che SpaceX ha fatto lo stesso tipo di spesa anche su Facebook, Instagram e Google.

Lascio Twitter, ma senza sbattere la porta. Motivi e strategie di uscita

Pubblicazione iniziale: 2022/11/28 9:25. Ultimo aggiornamento: 2023/02/18 11:40.

Lo so che Twitter non è una stazione e non c’è bisogno di annunciare arrivi e partenze, ma faccio un’eccezione per rispetto verso chi mi segue. 

La situazione su Twitter è diventata sempre più assurda e insostenibile, con Musk che usa la sua piattaforma per fare bislacche raccomandazioni di voto e con il ritorno (deciso esplicitamente da Musk) di troppe figure della disinformazione e dell’odio per far finta di nulla o sperare in errori momentanei di valutazione o crisi di assestamento. 

Restare su Twitter significa alimentare questa situazione tossica e, come dice bene Jelani Cobb sul New Yorker, significa sostenere “l’illusorio senso di comunità che ancora permane sulla piattaforma”. Lo spirito di Twitter se n’è andato; al suo posto rimane solo una facciata spaccata e imbrattata, gestita capricciosamente da un bambino viziato con troppi soldi in tasca.

Andarsene da Twitter non è una decisione facile, specialmente per chi ha un numero piuttosto consistente di follower e lo usa molto per informare e informarsi sugli eventi in tempo reale (da sempre il suo massimo pregio) invece che per battibeccare con altri utenti. 

Mi rendo conto di avere un account Twitter con una visibilità per la quale molti farebbero carte false. Ma ci ho ragionato su per molto tempo, e temo di non avere scelta. Mi dispiace parecchio per i circa 420.000 follower, ma in coscienza non mi sento più di avallare la follia di Elon Musk dando loro un piccolo motivo in più per restare su Twitter.

Da oggi, quindi, inizio a ridurre la mia presenza su Twitter. Manterrò l’account, ma salvo casi speciali posterò sempre meno e non risponderò alle menzioni. Ho messo un avviso in tal senso nella mia bio di Twitter, con le mie coordinate sugli altri social network. Ho già chiuso i messaggi diretti (anche se Tweetdeck misteriosamente ne fa passare lo stesso alcuni) e ho attivato il silenziamento delle notifiche

Mi limiterò a seguire su Twitter i circa 800 account d’informazione che seguo attualmente (almeno finché esistono e non migrano altrove), senza postare assiduamente come ho fatto in questi ultimi 15 anni. 

Una protesta non vale nulla se non si mette in gioco nulla.

Resto comunque reperibile via mail; invece che su Twitter, posterò su Mastodon (sono sull’istanza italofona Mastodon.uno; se vi va, ho scritto una miniguida di migrazione), su Instagram, sul mio canale Telegram, su Signal (solo messaggi strettamente riservati) e in questo blog (che potete anche seguire con qualsiasi reader RSS, come per esempio Feedly).

Non sospenderò il mio account e non lo eliminerò per tre ragioni:

  • Se le cose vanno avanti come stanno andando (fuga di inserzionisti e dipendenti, decisioni caotiche), tra qualche mese Twitter potrebbe fallire ed essere rilevato e risistemato da mani meno dissennate di quelle di Musk, nel qual caso potrei tornare a usarlo.
  • Sono su Twitter dal 2007 e ho scritto oltre 135.000 tweet che fanno, nel loro piccolo parte della cronologia di Internet. Sospendere o eliminare l’account li farebbe sparire.
  • Eliminarlo significherebbe che qualcun altro potrebbe usare lo stesso nome account in futuro, magari spacciandosi per me (Twitter Help; Chron; PCWorld).

Non lo rendo privato (protetto) perché questo renderebbe illeggibili anche i miei tweet passati.

Quindi se vi interessa quello che scrivo, cominciate a fare un mini-piano per continuare a seguirmi altrove quando non sarò più attivo su Twitter. E se avete suggerimenti per migliorare questo mio piano di migrazione, scrivetemi qui sotto nei commenti o via mail.

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2023/02/18 11:40. Aggiungo qui un grafico pubblico, tratto da Socialblade, per tenere traccia della riduzione della mia attività su Twitter. È utile per zittire polemisti e ottusangoli.


2022/11/26

Storie di Scienza 18: Lo strano, cavilloso record di distanza di Orion/Artemis 1

Poco fa l’ESA ha tweetato che la capsula Orion della missione Artemis 1 ha stabilito un record di distanza molto specifico. L’ESA ci tiene molto a questo primato perché partecipa in maniera importante alla missione Artemis fornendo il modulo di servizio che alimenta la capsula Orion e le fornisce propulsione. Trovandosi a 401.798 km dalla Terra, dice l’ESA, Orion ha battuto il primato di massima distanza dalla Terra di un veicolo spaziale progettato per trasportare esseri umani e fare ritorno. 

La NASA e l’agenzia spaziale canadese sono meno cavillose e parlano genericamente di “record di massima distanza di un veicolo adatto a esseri umani”. Ma sbagliano, e ha ragione l’ESA a pignoleggiare.

Perché sono necessarie tutte queste precisazioni? E chi deteneva il record precedente?

“Progettato per trasportare esseri umani”

La prima precisazione è abbastanza facile da capire. Molte sonde spaziali senza equipaggio sono andate ben più lontano, anche fuori dal Sistema Solare, a quasi venti miliardi di chilometri (Pioneer e Voyager). Quindi quello di Orion può essere un record di distanza soltanto nella categoria ben più ristretta dei veicoli human-rated, ossia in grado di trasportare un equipaggio con tutto il necessario per garantirgli la sopravvivenza nello spazio: questo requisito esclude la Tesla Roadster lanciata nello spazio verso Marte da SpaceX nel 2018, che trasporta soltanto un manichino (almeno si spera) racchiuso in una tuta spaziale ma non sarebbe in grado di ospitare un equipaggio vivente.

Notate, inoltre, che nel caso di Orion si parla di veicolo in grado di ospitare un equipaggio, non di veicolo con equipaggio, perché in questa missione la capsula Orion non trasporta nessuno: è un volo di collaudo senza persone a bordo. Quindi non si parla di record di distanza di un equipaggio, ma solo di record di un veicolo che potrebbe trasportarne uno sano e salvo.

Infatti il record di distanza dalla Terra di un veicolo con equipaggio è ancora saldamente in mano a Jim Lovell, Fred Haise e Jack Swigert, i membri dell’equipaggio della missione Apollo 13. Il 15 aprile 1970 alle 0.21 UTC, dopo lo scoppio di un serbatoio nel modulo di servizio che li costrinse a un drammatico rientro d’emergenza sulla Terra, si spinsero fino a 400.171 chilometri dal nostro pianeta e girarono intorno alla Luna a una quota di 250 chilometri dalla sua faccia nascosta prima di tornare sulla Terra, seguendo l’unica traiettoria che avrebbe consentito loro il ritorno prima di esaurire le risorse di bordo.

Nessun equipaggio delle altre missioni lunari raggiunse una distanza così elevata dalla Terra, e da allora nessun astronauta si è mai spinto così lontano.

Ma l’ESA fa un’altra precisazione.

“...e fare ritorno”

Questa seconda precisazione è necessaria per un’ottima ragione, che però richiede una conoscenza piuttosto approfondita delle missioni spaziali lunari con equipaggio per essere compresa.

I veicoli spaziali delle missioni Apollo che portarono vari equipaggi verso la Luna (1968, Apollo 8; 1969, Apollo 10; 1970, Apollo 13) e sulla Luna (dal 1969 al 1972, Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17) erano composti da due moduli abitabili: il Modulo di Comando, che era la capsula conica principale nella quale gli astronauti trascorrevano gran parte della missione, e il Modulo Lunare o LM (Lunar Module), che era la “scialuppa” usata per scendere sulla Luna e ripartirne. Un terzo modulo, il Modulo di Servizio, non era abitabile ed era dotato di un grande motore di propulsione e di tutto il necessario per la sussistenza dei tre astronauti dell’equipaggio per tutto il corso della missione.

Al centro, la capsula conica del Modulo di Comando; a sinistra, la forma cilindrica del Modulo di Servizio con il suo motore primario e i motori di manovra; a destra, il Modulo Lunare (LM). Illustrazione NASA S-66-11008.

Il Modulo Lunare si divideva a sua volta in due parti: uno stadio di discesa, che come dice il suo nome serviva per scendere sulla Luna portando due membri dell‘equipaggio, e uno stadio di risalita, che riportava i due astronauti al Modulo di Comando.

Una volta esaurito il suo compito, il Modulo Lunare veniva sganciato e i suoi motori venivano accesi un’ultima volta per allontanarlo dal veicolo principale. Ma non tutte le missioni Apollo diedero a questi moduli la stessa destinazione finale.

Alcune (Apollo 4, 5 e 6) furono voli di collaudo senza equipaggio, i cui LM si disintegrarono al rientro nell’atmosfera terrestre e comunque erano solo dei simulacri (test article). Alcune (Apollo 7 e 8) furono missioni prive di LM, in orbita terrestre o lunare. Una (Apollo 9) trasportò un equipaggio e un LM rimanendo in orbita terrestre, senza andare verso la Luna, e il suo LM si disintegrò rientrando nell’atmosfera. Le missioni con equipaggio Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17 scesero sulla Luna, e gli stadi di risalita dei loro LM furono lasciati in orbita lunare (Apollo 11) oppure furono schiantati intenzionalmente sulla Luna (Apollo 12 e 14-17). Il LM di Apollo 13 fu usato come veicolo di supporto d’emergenza per il viaggio di ritorno e si disintegrò nell’atmosfera terrestre.

Se avete fatto bene i conti, manca all’appello una missione: Apollo 10.

Il LM di Apollo 10, infatti, non scese sulla Luna, ma si limitò ad avvicinarsi (con a bordo Tom Stafford e Gene Cernan) fino a circa 14 chilometri dalla sua superficie e poi si riagganciò al veicolo principale, dopo aver separato lo stadio di discesa da quello di risalita (il terzo membro dell’equipaggio, John Young, rimase nel Modulo di Comando). 

Una volta compiuta la sua missione, il 23 maggio 1969 lo stadio di risalita di questo Modulo Lunare fu inserito in un’orbita attorno al Sole, dove si trova tuttora. Questo è il veicolo adatto a trasportare equipaggi che si è allontanato dalla Terra più di ogni altro (e oltretutto, a differenza di Orion, ha effettivamente trasportato un equipaggio, almeno per un breve periodo).

Lo stadio di risalita del Modulo Lunare di Apollo 10, fotografato da un finestrino del Modulo di Comando, poco prima del suo riaggancio. A bordo ci sono Tom Stafford e Gene Cernan. Dettaglio della foto NASA AS10-34-5112. La banda diagonale in alto a sinistra è il bordo del finestrino.

Ma i Moduli Lunari non erano dotati di uno scudo termico, per cui non erano in grado di rientrare sulla Terra. E così l’ESA salva il primato aggiungendo la cavillosa precisazione della capacità di fare ritorno. 

Dove sia esattamente oggi il Modulo Lunare di Apollo 10 non lo sa nessuno con assoluta certezza. Sono passati cinque decenni, e all’epoca i parametri esatti della sua orbita non furono calcolati con precisione e non fu effettuato alcun tracciamento della sua traiettoria, per cui si sono perse le sue tracce.

Tuttavia nel 2018 è stato scoperto un asteroide, denominato 2018 AV2, che orbita intorno al Sole ogni 382 giorni, con due anomalie: un’inclinazione orbitale molto bassa rispetto all’eclittica (meno di un grado) e una velocità relativa molto bassa (meno di un chilometro al secondo rispetto al moto della Terra). Secondo le osservazioni e gli studi effettuati dall’astrofilo Nick Howes, che ha iniziato la caccia al Modulo Lunare di Apollo 10 nel 2011, e da altri astrofili e astronomi, è probabile che questo asteroide sia in realtà il veicolo spaziale disperso.

L’orbita di 2012 AV2.

Se così fosse, il Modulo Lunare di Apollo 10 si troverebbe ora a circa 56 milioni di chilometri dalla Terra e dovrebbe avvicinarsi fino a 6,5 milioni di chilometri intorno al 10 luglio 2037.

Ma se si estende il criterio ai veicoli spaziali che hanno trasportato esseri umani viventi o meno, il primato si sposta ancora.

Presenza umana nel cosmo profondo

Nel 2006, infatti, la sonda interplanetaria New Horizons partì dalla Terra, diretta verso Plutone, di cui ci regalò nel 2015 le prime, spettacolari immagini dettagliate, provenienti da cinque miliardi di chilometri di distanza dal nostro mondo. La sonda proseguì il proprio viaggio incontrando nel 2019 l’asteroide Arrokoth (2014 MU69) a 6,6 miliardi di chilometri dalla Terra e oggi si trova a circa 8,3 miliardi di chilometri da noi.

A bordo di questa sonda ci sono circa 30 grammi delle ceneri dello scopritore di Plutone, Clyde Tombaugh. Questi sono i resti umani più lontani dalla Terra in assoluto. E con tutta probabilità resteranno tali per molti, molti decenni.

 

Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!

2022/11/24

Podcast RSI - Mastodon e fediverso: microguida di base

logo del Disinformatico

Pubblicazione iniziale: 2022/11/24 17:58. Ultimo aggiornamento: 2023/11/04 20:00.

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo integrale e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto. Le frasi fra parentesi quadre sono annotazioni o aggiunte.

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[CLIP: Carlo Gubitosa: “Il mediattivismo ha ceduto il posto al clictivismo, all’attivismo fatto a colpi di clic e inquadrato all’interno di recinti aziendali di cui conosciamo i loghi, i nomi: Facebook, Twitter, Instagram. Ma c’è un’alternativa sia tecnologica che politica a questo sistema di comunicazione sociale inquadrata in recinti aziendali, ed è il fediverso...“ (fonte)]

È la voce di Carlo Gubitosa, scrittore e giornalista, autore di molti libri fondamentali sull’uso sociale dell’informatica e profondo conoscitore dei meccanismi di Internet. Anche se avete seguito soltanto di striscio le notizie sul subbuglio di Twitter dopo l’acquisto da parte di Elon Musk e magari cominciate anche a esserne un po’ stufi, sicuramente avrete notato che quando si parla di questa vicenda spuntano sempre fuori un nome e un concetto: Mastodon e fediverso.

Se volete sapere cosa sono, perché ne parlano tutti, se vi possono servire o ne potete fare tranquillamente a meno, come funzionano in pratica e cosa rispondere agli amici che vi chiedono insistentemente “Sei su Mastodon?”, siete nel posto giusto, ossia all’ascolto della puntata del 25 novembre 2022 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie dal mondo dell’informatica, che oggi cercherà di rispondere a queste domande. Io sono Paolo Attivissimo.

Cos’è Mastodon e perché se ne parla tanto

Cominciamo dalle basi: Mastodon è un social network superficialmente simile a Twitter, nel senso che permette di pubblicare brevi testi, leggermente più lunghi di quelli di Twitter, accompagnati da immagini e spezzoni di video.

Questi testi, chiamati post o toot, possono essere letti, condivisi e commentati da tutti gli iscritti a Mastodon e possono essere letti, ma non commentati, da chiunque abbia un accesso a Internet e un normale browser. Ogni utente iscritto a Mastodon sceglie degli altri utenti da seguire e ne riceve automaticamente i post. Gli utenti si possono scambiare anche messaggi non pubblici, che però non sono segreti in senso stretto, perché possono essere letti dagli amministratori, e non sono protetti tramite crittografia, esattamente come succede su Twitter.

Ho precisato “superficialmente” perché dietro le quinte Mastodon in realtà ha delle differenze molto importanti: non ha un singolo proprietario, ma è gestito da un arcipelago di gestori indipendenti ma federati, ossia che comunicano tra loro usando lo stesso standard; è open source, e questo significa che tutto il suo software è liberamente ispezionabile per controllare che non contenga trappole, inganni o difetti; e i post compaiono in ordine cronologico, senza filtri artificiali di importanza e senza essere inframmezzati di pubblicità.

Questa struttura federata o decentrata significa che non può arrivare nessun Elon Musk o simile a cambiare le regole e dettare legge dall’oggi al domani. Vuol dire anche che non ci sono pressioni commerciali per compiacere gli inserzionisti e che non esistono account privilegiati con bollini a pagamento come ci sono ora su Twitter; non ci sono nobili e plebei. Iscriversi è gratis. Mastodon è una rete sociale scritta dagli utenti per gli utenti, senza condizionamenti, e quest’idea piace molto, specialmente se contrapposta alla nuova gestione autoritaria di Twitter e alla sorveglianza commerciale ossessiva di Facebook e Instagram.

Questa situazione, però, ha anche degli svantaggi. Siccome non ci sono grandi investitori per farlo funzionare, a volte Mastodon è lento. E siccome è un social network emergente, nato nel 2016 su iniziativa dello sviluppatore tedesco Eugen Rochko [25 anni, unico stipendiato della non-profit Mastodon] ma diventato improvvisamente popolare solo negli ultimi mesi, soprattutto grazie al controverso acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, per ora ci trovate poca gente. Sono infatti circa due milioni gli account attivi mensili di Mastodon, contro i quasi 490 milioni mensili di Twitter. Però quella gente è di buon livello: gli spammer, i provocatori e i fabbricanti di fake news non sono ancora arrivati in massa su Mastodon, anche se probabilmente non tarderanno ad arrivarci.

Siete intrigati? Volete correre a iscrivervi e respirare questa nuova aria di libertà digitale? Volete scoprire il brivido anarchico di far parte del fediverso, per usare il termine cool che indica tutti questi servizi digitali decentrati e coordinati in modo federato, di cui Mastodon è un esempio molto vistoso?

Non partite in quarta, perché è qui che cominciano le complicazioni. Niente di drammatico, però credo che sia prudente che vi prepariate spiritualmente.

Come entrare in Mastodon (se vi serve)

A proposito di preparativi: prima che corriate a installare Mastodon, chiedetevi se vi serve davvero un altro social network oltre a quelli che già usate. Se vi trovate bene a usare Instagram, Facebook, Whatsapp, Telegram eccetera ma non avete mai sentito il bisogno di usare Twitter, allora probabilmente potete fare a meno di Mastodon. E tenete presente che iniziare a usare Mastodon non vuol dire che potrete rinunciare a Twitter, almeno per ora, perché molti utenti non si sono ancora trasferiti da Twitter a Mastodon. Insomma, non installate Mastodon soltanto perché è di moda e ne parlano tutti. Anche perché ci sono, come dicevo, alcune complicazioni in più rispetto ai social network tradizionali.

La prima complicazione è l’app. Normalmente per iscriversi a un social network si scarica l’app ufficiale e si parte. Su Mastodon, invece, bisogna chiedersi quale app scaricare e installare. Proprio perché Mastodon è decentrata, ci sono infatti varie app disponibili, che offrono livelli di facilità e flessibilità molto differenti.

Probabilmente vi conviene cominciare usando l’app di base, quella che trovate linkata su Joinmastodon.org; se vi trovate bene, potrete passare in seguito alle app più evolute e potenti. Per l’app di base c’è una versione per iOS e una per Android, ma ci sono anche altre app per PC e Mac, sia gratuite sia a pagamento, e c’è anche una versione puramente Web multipiattaforma [che volendo si può anche usare in un browser su smartphone].

Una volta installata l’app, bisogna crearsi un account, ma anche qui c’è qualche passo in più da fare rispetto ai social network tradizionali.

Infatti non basta scegliersi un nome utente e una password: bisogna anche rispondere alla domanda criptica Cerca servers o inserisci URL. Per capire come rispondere, bisogna tornare alla natura federata di Mastodon: mentre i social network tradizionali hanno un unico gestore, Mastodon ne ha tanti, e quindi bisogna sceglierne uno presso il quale farsi ospitare. Questi gestori si chiamano in gergo tecnico istanze e ciascuno ha regole di moderazione e di comportamento differenti.

La scelta dell’istanza non è permanente; potete sempre traslocare in un momento successivo. Inoltre normalmente potete seguire qualunque utente di Mastodon, indipendentemente dall’istanza che avete scelto voi o che ha scelto lui, a patto che nessuno dei due usi istanze che sono state bloccate per problemi di contenuti inaccettabili. Vi conviene quindi scegliere un’istanza di buona reputazione, stabile e soprattutto gestita da persone che parlino la vostra stessa lingua, così sarà più facile per loro moderare i vostri post e per voi chiedere assistenza a loro in caso di controversie di moderazione.

Per sapere quali sono queste istanze, provate a guardare quali sono state scelte dalle persone che vorreste seguire su Mastodon: il nome dell’istanza è l’ultimo pezzo del nome dell’utente. Per esempio, io su Mastodon sono @ildisinformatico@mastodon.uno; mastodon.uno è il nome dell’istanza che ho scelto.

[Dai commenti segnalo un altro metodo: consultare Instances.social, che (in inglese) permette di selezionare le istanze in base a vari criteri, compresa la lingua]

Una volta che avete fatto questa scelta, vi vengono proposte le sue regole di comportamento: leggetele, mi raccomando, per capire se ci sono cose da fare o contenuti da evitare [leggete bene anche le regole sulla privacy].

Finalmente a questo punto potete scegliere il vostro nome utente e il nome che verrà visualizzato, dare il vostro indirizzo di mail e scegliere la vostra password. Se tutto è a posto, riceverete una mail contenente un link sul quale cliccare per verificare il vostro nuovo, sfavillante account Mastodon.

È altamente consigliabile impostare prima di tutto la sicurezza rafforzata dell’autenticazione a due fattori [nel giro di poche ore ho avuto cinque tentativi di furto, ovviamente sventati], e anche qui c’è una differenza rispetto ai social network tradizionali. Mentre Twitter, Instagram, WhatsApp e tanti altri offrono questa autenticazione anche tramite SMS, Mastodon normalmente la offre soltanto tramite app di autenticazione. Se non ne avete già installata una, vi tocca farlo.

Fatto anche questo, la configurazione di base è terminata e potete cominciare a postare messaggi e a scegliere utenti da seguire, a commentare i post degli altri utenti o dare loro una stellina di apprezzamento, che è l’equivalente del like o cuoricino in Mastodon, e potete cominciare a condividere e ridiffondere (boost) i post che vi piacciono. Potete poi personalizzare il vostro profilo Mastodon con le solite cose: una breve biografia, una foto e un’immagine di intestazione.

La prima cosa di cui vi accorgerete subito è una miglioria molto utile rispetto a Twitter: su Mastodon i messaggi sono modificabili. Quegli errori di battitura di cui ci si accorge solo dopo aver premuto Invia e che sono l’angoscia costante di ogni utente Twitter, perché lì i tweet non sono modificabili se non si ha un account a pagamento e si risiede in uno dei cinque paesi attualmente abilitati a questi account, su Mastodon non sono un problema. I post sono modificabili per tutti e gratuitamente.

Se siete arrivati fino a questo punto, il grosso della fatica è ormai fatto e potete divertirvi a sfogliare Mastodon e chiacchierare con i suoi utenti. Per trovare su Mastodon le persone che seguite già su Twitter, guardate nei loro profili Twitter: di solito indicano lì il loro indirizzo Mastodon. Ci sono anche dei servizi per Twitter, come Fedifinder e Debirdify, che vi permettono di trovare automaticamente le coordinate Mastodon di tutti gli utenti che seguite su Twitter, a patto che quegli utenti abbiano incluso nella propria bio su Twitter le proprie coordinate su Mastodon.

Ci sono però alcune raccomandazioni di prudenza che è opportuno conoscere prima di addentrarsi in questo nuovo ambiente.

Nuovo social, nuove cautele


La prima regola di prudenza di Mastodon è che gli amministratori dell’istanza nella quale risiede il vostro account vedono tutto quello fate su Mastodon. Vedono anche il vostro indirizzo di mail, il vostro indirizzo IP, che potrebbe rivelare dove abitate o lavorate, e vedono anche i vostri messaggi diretti, che (ripeto) non sono cifrati. Sono diretti, ma non privati [a differenza di Twitter, si viene avvisati di questo fatto ogni volta che si scrive un messaggio diretto].

Gli amministratori possono anche cancellare il vostro account in qualunque momento senza preavviso e arbitrariamente. In altre parole, non affidatevi a Mastodon per qualunque attività essenziale, dai contatti con gli amici all’offerta di servizi commerciali.

Inoltre gli amministratori delle istanze di Mastodon sono quasi sempre volontari, che non hanno tempo per approfondire controversie fra utenti e a differenza dei social network commerciali non hanno le risorse legali ed economiche per opporsi a eventuali richieste di informazioni da parte di avvocati o governi, magari stranieri [e anzi spesso devono chiedere donazioni per coprire i propri costi].

Se queste condizioni possono crearvi problemi, è consigliabile iscriversi a Mastodon usando un indirizzo di mail separato e collegarsi a Mastodon usando una VPN.

La seconda regola è che menzionare un utente, ossia citare il suo nome account, in un messaggio diretto lo include automaticamente nella conversazione. Questo non succede su Twitter, e può essere particolarmente imbarazzante se per esempio state segnalando un utente molesto a un moderatore, tramite messaggi diretti, e menzionate il nome account di quell’utente. Il molesto verrà informato di chi lo sta segnalando.

La terza regola è che non esistono account verificati su Mastodon. Se vedete una spunta blu accanto al nome di qualcuno su Mastodon, non vuol dire che quell’utente sia stato verificato: vuol dire solo che l’utente ha aggiunto al proprio nome l’emoji della spunta blu. Però esiste una sorta di autocertificazione: un utente che possiede un sito può inserire in quel sito non solo il nome del proprio account, ma anche un link speciale che fa comparire una spunta verde nel profilo Mastodon dell’utente. Non è una soluzione perfetta [un truffatore potrebbe per esempio creare un sito con un nome di dominio simile a quello di un’azienda e poi inserirvi il link, dando l’impressione di essere autenticato], ma è sicuramente meglio di niente.

[Per esempio, per verificare il mio profilo Mastodon ho inserito nell’HTML della pagina base di questo blog (nella colonna di destra, dove elenco tutte le mie coordinate) questo link:

  <a href="https://mastodon.uno/@ildisinformatico" rel="me">@ildisinformatico@mastodon.uno</a>

e poi ho immesso https://attivissimo.blogspot.com/ in una casella "Contenuto" in Mastodon. Bingo! Autenticazione istantanea e gratuita, come mostrato qui sotto.]

L’improvvisa popolarità di Mastodon sta causando parecchi grattacapi alla sua costellazione di amministratori grandi e piccoli, per cui tutto può succedere nei prossimi mesi: mettete in preventivo rallentamenti e disfunzioni, cose che del resto capitano anche sui social network commerciali. Buon divertimento, e se vi va, ci vediamo anche nel fediverso.

 

Fonti aggiuntive: Pathofex, Techcrunch, Informapirata, Made in Blue, BBC, Quintarelli.it.

2022/11/23

Oggi sarò su Videolina e TeleTicino per parlare di complottismi

Ultimo aggiornamento: 2022/11/25 17:10.

Oggi pomeriggio alle 15:15 andrà in onda una mia intervista sul tema “Siamo stati sulla Luna” su Videolina (canale Sky-Tivusat 819). L’intervista (13 minuti), condotta da Manuel Floris, sarà disponibile anche in streaming su www.videolina.it in questa pagina della rubrica Una finestra sull’universo

 

Stasera alle 21, invece, andrà in onda su Teleticino un dibattito sulle teorie di complotto, condotto da Romano Bianchi, di cui sarò ospite insieme a Claudio Michelizza (Bufale.net), Maurizio Baiata (giornalista e ufologo) e Alessandro Miani (psicologo dell’Università di Neuchâtel). Verranno presentati dei dati sorprendenti sul pensiero cospirazionista in Svizzera, un terrapiattista italofono e altri casi interessanti. La registrazione (58 minuti) è disponibile qui.



Che fine ha fatto il film russo girato nello spazio? Dovrebbe uscire il 12 aprile 2023

Il 5 ottobre 2021, l’attrice russa Yulia Peresild e il regista russo Klim Shipenko sono stati portati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dal cosmonauta Anton Shkaplerov con una navicella russa Soyuz (missione MS-19), e sono rimasti in orbita per dodici giorni, tornando il 17 ottobre con la missione Soyuz MS-18, per effettuare le riprese di quello che è stato spesso e impropriamente definito il primo film girato nello spazio. Da allora non si è saputo più nulla.

In realtà si tratterebbe del primo film realizzato nello spazio da attori e tecnici professionisti: prima di queste riprese, infatti, astronauti e cosmonauti hanno girato in orbita numerosi documentari (Space Station 3D, A Beautiful Planet, For All Mankind (1989) e anche alcuni brevi film amatoriali (come Apogee of Fear, 2012). 

La missione di Peresild e Shipenko era stata annunciata con parecchio rilievo mediatico, anche perché ha battuto sul tempo il progetto analogo di Tom Cruise con il regista Doug Liman, ma poi è calato il silenzio, anche a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.

Quello che si sa è che il film è stato intitolato provvisoriamente Vyzov (Вызов), ossia Sfida, e che sono state fatte oltre 30 ore di riprese; la storia dovrebbe incentrarsi sul personaggio interpretato da Peresild, che è un chirurgo inviato sulla Stazione per salvare un cosmonauta con un intervento cardiaco. 

Il film è un progetto congiunto dell’ente spaziale russo Roscosmos, di Channel One Russia e del Yellow, Black and White Film Studio (uso i nomi inglesi per chiarezza).

Le riprese sono state effettuate in gran parte nella sezione russa della Stazione, ma circa un terzo è stato acquisito negli altri ambienti del complesso orbitale. I voli di Shipenko e Peresild sono stati pagati da Channel One Russia. I due sono stati addestrati per alcuni mesi prima di poter affrontare la missione.

Stando ad alcune fonti (Wikipedia; Kinopoisk.ru, protetta da captcha in cirillico), l’uscita del film è prevista per il 12 aprile 2023 in Russia.


Fonti aggiuntive: 1tv.ru; Russian Space Web; Deadline.


2022/11/21

Artemis 1, primo passaggio ravvicinato della capsula Orion in diretta streaming adesso

Ultimo aggiornamento: 2022/11/21 17:30.

Intorno alle 14 ora italiana la capsula Orion passerà a circa 130 km dalla Luna. Queste sono le immagini che arrivano in diretta streaming dalle telecamere di bordo.

L’immagine è stirata orizzontalmente in originale, soprattutto verso i lati più corti, a causa dell’uso di obiettivi grandangolari (le telecamere usate sono in sostanza delle GoPro adattate). 

Le telecamere che riprendono il veicolo spaziale sono situate alle estremità dei grandi pannelli solari che stanno nella parte posteriore dell’astronave e sporgono un po’ come le ali dei caccia di Star Wars. Sono quelle indicate nell’illustrazione qui sotto come SAW Cam (SAW è l’acronimo di Solar Array Wing).

Le collocazioni delle telecamere di bordo della capsula Orion e del modulo di servizio europeo.

Qualche immagine dallo streaming durante il sorvolo della faccia nascosta della Luna:





Elon Musk ripristina gli account Twitter di Donald Trump e altri istigatori di odio e seminatori di fake news. È ora di decidere cosa fare

Ultimo aggiornamento: 2022/11/21 10:35.

L’account Twitter dell’ex presidente statunitense Donald Trump, sospeso poco dopo l’assalto di centinaia di persone al Congresso statunitense del 6 gennaio 2021 (come i suoi account Facebook, Instagram e YouTube) quando aveva quasi 89 milioni di follower, è stato ripristinato da Elon Musk dopo che il nuovo proprietario di Twitter ha lanciato un sondaggio sull’argomento.

Musk dice che quasi il 52% degli account partecipanti (privi di qualunque autenticazione e quindi potenzialmente comprendenti bot) ha votato a favore della disattivazione della sospensione.

Per ora Trump ha deciso di non far uso dell’account dicendo che non vede motivi per usarlo, ma ha incoraggiato chi lo segue su Truth Social (il social network fondato da lui) a partecipare al sondaggio di Musk. Prima della sospensione, Trump dominava le notizie specificamente attraverso i suoi tweet, per cui la sua dichiarazione di scarso interesse suona poco plausibile.

Quello di Trump non è l’unico account ripristinato negli ultimi giorni. Anche Babylon Bee e Jordan Peterson, due account banditi tempo addietro per i loro ripetuti attacchi sessisti e omofobi, sono tornati su Twitter. Lo stesso vale per Project Veritas, ripetutamente finito in tribunale per aver pubblicato video falsi con chiare connotazioni politiche e bandito da Twitter a gennaio 2021 dopo ripetuti tentativi di usare il social network per disseminare informazioni private di persone.

La riattivazione dell’account di Donald Trump è probabilmente il segnale più chiaro del nuovo corso di Twitter voluto da Elon Musk: ridare una piattaforma a istigatori di odio e intolleranze e disseminatori di fake news, in nome di una asserita “libertà di espressione assoluta” dichiarata ripetutamente da Musk.

In realtà più che difendere la libertà di espressione sembra che Musk voglia dare briglia sciolta a chi vuole odiare, discriminare e insultare. Se volete un assaggio di questa briglia sciolta, date un’occhiata al fiume di commenti di puro odio a questo mio thread su Twitter:

Comunicazione di servizio: chiunque venga qui a dirmi che la riattivazione dell'account Twitter di Donald Trump è solo "libertà di parola" verrà bloccato. Non ho tempo da perdere con chi non capisce che la libertà di parola non include quella di gridare "al fuoco!" in un cinema.

La "libertà di parola" di cui blaterano questi suoi paladini è solo una scusa per poter incitare all'odio e alla discriminazione senza pagarne le conseguenze.

E no, non sono interessato a intavolare un dibattito. Blocco, punto e basta. Per la stessa ragione per cui non sto ad ascoltare una zanzara o discutere con una cellula cancerosa.

E per quelli che mi accusano che così faccio "censura": no. La libertà di parola non include l'obbligo di ascoltare. Sarebbe ora di capirlo. Scelgo di non ascoltare gli hater. Tutto qui.

Per chi mi chiede esempi di come sta venendo applicata questa presunta "libertà di parola": guardate i commenti a questo thread.

Per quelli che "ma Twitter è un'impresa privata e fa quello che gli pare": no. Anche un giornale è un'impresa privata: non vuol dire che abbia il diritto di sbattere la tua faccia e il tuo indirizzo di casa in prima pagina dicendo "Pedofilo, prendetelo".

Per quelli che "ma allora dovresti vendere la tua Tesla": so distinguere fra prodotto e fabbricante.

Lo spettacolo del nugolo di hater, gente mai vista prima, che accorrono a dirmi "e allora bloccami" condito da vari insulti, è davvero notevole. Moscerini che si lanciano contro un parabrezza gridando "beccati questaaaaaa!!!!!"

E fanno ovviamente splat.

Già prima della gestione Musk Twitter era un ricettacolo di hater di tutti i generi, ma questa caratteristica è destinata ad acuirsi se vengono dati segnali forti di accettabilità come appunto il ripristino dell’account di Donald Trump. Mentre scrivo queste righe, gli hater sostenitori di Trump stanno cercando in tutti i modi di imbrattare qualunque mio tweet, anche quelli non pertinenti, con commenti di insulto e odio.

Come accennavo già qualche settimana fa, per chi ha una presenza professionale significativa su Twitter si pone il problema di cosa fare di fronte a questa piega del social network. Restare in un ambiente tossico significa avallare quella tossicità; lasciarlo significa smettere di far sentire la propria voce di buon senso proprio dove ce n’è più bisogno (e per molti significa anche una perdita di lavoro).

Provo a ragionare ad alta voce (o almeno per iscritto) ed esplorare i vari scenari possibili, anche perché con circa 420.000 follower (ma per fortuna nessuna dipendenza economica da Twitter) penso di poter dire di essere fra coloro che hanno su Twitter una presenza significativa, e comunque questi ragionamenti possono essere utili a chiunque. Se avete commenti o suggerimenti, mi interessano, ancora di più del solito.

Nel frattempo, ho aggiunto delle info al profilo usando l’opzione Modifica il profilo professionale, che permette di mostrare nel profilo “la posizione, le indicazioni stradali, gli orari e/o le informazioni di contatto dell'attività”. La differenza, vista attraverso un account di test che non mi segue, è mostrata qui sotto.

Con le informazioni aggiuntive...
...e come era prima.

Scenario 1. Chiudere tutto

Questa, sinceramente, è l’opzione che mi viene istintivo scegliere. Lo schifo di questi sviluppi recenti, il fiume quotidiano di odio, insulti, complottismi e farneticazioni e l’intento di Musk di monetizzare l’aggressione e la discriminazione mi hanno stancato, e l’idea di contribuire all’attrattiva di questo nuovo Twitter con i miei contenuti mi disgusta; dover oltretutto pagare 96 dollari l’anno (altrimenti i miei tweet, dice Musk, saranno relegati insieme a quelli degli spammer) non aiuta. Non è tanto la cifra in sé, quanto il principio. L’idea di chiudere e basta mi alletta per la sua semplicità e per il segnale forte e inequivocabile che darebbe.

Però questo farebbe sparire tutti i miei tweet non solo da Twitter, ma anche da qualunque sito che li abbia embeddati. Renderebbe incomprensibili tutte le discussioni alle quali ho partecipato in 15 anni di presenza su Twitter.

E ovviamente mi dispiacerebbe molto perdere i contatti con i tanti nuovi contatti e amici che Twitter mi ha consentito di avere. So anche che farei un torto ai miei follower che apprezzano quello che pubblico. So che se io dovessi migrare altrove, inevitabilmente ne perderei parecchi per strada (come è successo per esempio a Charlie Stross). Non tutti sarebbero in grado di passare a Mastodon o a un feed RSS (con Feedly, per esempio) o sarebbero disposti a farlo.

A proposito: gli account “disinformatico” e simili che trovate su Mastodon non sono stati creati da me. Sono probabilmente semplici mirror che ripubblicano su Mastodon quello che posto su Twitter. Per il momento non sto pensando di migrare a Mastodon, ma non escludo di farlo in futuro.

Inoltre su Twitter ci sono, almeno per ora, moltissime persone e fonti informative che perderei, anche se parecchie se ne sono già andate (Stephen Fry, Marina Sirtis) o stanno meditando di andarsene (astronauti e membri della comunità aerospaziale e scientifica in generale, come nota Space.com). E se Twitter collasserà, perderò comunque i contatti con follower, fonti e amici.

Disattivazione reversibile

Esiste anche un’opzione che consente di disattivare immediatamente un account, mantenendo però la possibilità di riattivarlo entro un certo periodo di tempo (30 giorni oppure 12 mesi).

Scenario 2. Restare ed eventualmente cambiare qualcosa

L’alternativa allo scenario “di pancia” è non uscire completamente da Twitter ma rimodulare profondamente l’uso del mio account.

Sospensione manuale

Per esempio, potrei semplicemente sospendere il mio uso dell’account, ossia non postare nulla a parte un tweet fissato che avvisa della situazione, e leggere gli account che mi interessa seguire, finché esistono.

Proteggere i tweet

I tweet protetti (quelli degli account con il lucchetto) mi permetterebbero di limitare le mie interazioni su Twitter soltanto ai follower che approvo. Però i miei tweet diventerebbero visibili soltanto a quegli stessi follower e non sarebbero retweetabili (salvo screenshot e copiaincolla), e approvare a mano qualche centinaio di migliaia di follower è impraticabile.

Bloccare i commenti diretti ai miei tweet

Scegliendo Chi segui oppure Solo chi menzioni nell’opzione Chi può rispondere? ad ogni tweet potrei forse stroncare o almeno smorzare il flusso di commenti di odio.

Sarebbe un po’ scomodo, visto che quest’opzione esiste in Twitter per Web (ed è settabile come default) ma non in Tweetdeck (che è la web app che uso per seguire le notizie su Twitter), e avrebbe lo svantaggio di impedire anche le risposte dirette dei commentatori non ostili.

Fra l’altro, quest’opzione è applicabile anche retroattivamente ai tweet già pubblicati (anche a distanza di giorni) e ha effetto sull’intero thread.

Secondo i miei primi test, tutti possono comunque copiaincollare un tweet di questo tipo e poi menzionarmi per farmi leggere il loro commento/risposta, e tutti possono farne retweet e citarlo. La risposta diretta è consentita rispettivamente solo a chi seguo o a chi menziono. Il like diretto è consentito in ogni caso.

Ho verificato che per ora queste opzioni funzionano ancora: ecco i test.

Messaggi diretti

Sorprendentemente, i messaggi diretti di hater che mi arrivano sono praticamente zero, eppure ho i DM aperti da anni. Forse il fatto di non poter esibire in pubblico il proprio odio fa passare la voglia. In ogni caso, li ho chiusi, visto che non vorrei che qualcuno pensasse che i DM sono confidenziali (non sono nemmeno cifrati end-to-end).

Fonti: BBC, Vox, Slate.

2022/11/18

Tesla apre la rete di ricarica rapida alle altre marche anche in Italia

Da pochi giorni alcuni dei punti di ricarica rapida di Tesla, i cosiddetti Supercharger, accettano anche veicoli elettrici di altre marche anche in Italia. Questo è un grande bonus per tutti gli utenti di auto elettriche, che potranno così approfittare anche della vasta rete di ricarica rapida dell’azienda, con oltre 35.000 stalli in tutto il mondo che offrono potenze fino a 250 kW e sono situati presso alberghi e ristoranti ideali per una pausa di viaggio.

Fino a novembre 2021, solo i veicoli Tesla potevano caricare presso le colonnine rapide di Tesla. Poi l’azienda ha iniziato ad abilitare alcune colonnine in Olanda nell’ambito di un progetto pilota (come ho raccontato su Fuori di Tesla: News). A giugno 2022 sono state abilitate altre colonnine rapide di Tesla in Danimarca, Finlandia, Germania, Lussemburgo e Svizzera (FdTN). Attualmente il progetto pilota è operativo anche in Francia, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Svezia, Belgio, Austria, Islanda e Italia, secondo l’aggiornamento della pagina informativa di Tesla.

In Italia, i Supercharger abilitati alla carica di veicoli non-Tesla sono quelli indicati su questa mappa, ottenibile visitando https://www.tesla.com/it_IT/findus e disattivando tutte le opzioni tranne Supercharger disponibili per i veicoli non Tesla:

La mappa è consultabile anche nell’app di Tesla entrando nel proprio account e selezionando Carica il veicolo non Tesla, ma in questo caso mostra soltanto i Supercharger abilitati nelle vicinanze dell’utente.

Questa è invece la mappa di tutti i punti di ricarica rapida di Tesla in Italia (abilitati e non abilitati alla carica di veicoli di altre marche):

Per usare le colonnine abilitate con un’auto diversa da una Tesla, è necessario che l’auto abbia un connettore CCS Combo per la ricarica rapida (ce l’hanno quasi tutti i modelli recenti) e che l’utente sia residente in uno dei paesi inclusi nel progetto pilota e abbia installato sul proprio smartphone l’app di Tesla, abbinandola a una carta di credito e creando un account.

Fatto questo, l’utente può recarsi a uno dei Supercharger abilitati, collegare l’auto allo stallo, selezionare lo stallo nell’app e avviare la carica. Gli utenti di auto Tesla non hanno bisogno di usare l’app: semplicemente collegano l’auto allo stallo e la carica si avvia automaticamente. I prezzi sono indicati nell’app e variano a seconda del sito e dell’orario.

L’apertura della rete di ricarica Tesla a tutte le marche potrebbe eliminare alcune delle riluttanze attualmente esistenti verso le installazioni dei Supercharger, per esempio presso le aree di servizio delle autostrade italiane. Finora si poteva obiettare che installare un Supercharger favoriva solo le auto elettriche di Tesla: ora comincia a non essere più così. Inoltre l’uso a pagamento da parte di utenti di altre marche (a tariffe maggiori rispetto agli utenti Tesla) porterebbe a Tesla maggiori ricavi, investibili in una ulteriore espansione della rete di ricarica.

Per contro, questa apertura toglie ai proprietari di auto Tesla il vantaggio di disporre di una rete di ricarica esclusiva e garantita: ora gli stalli saranno maggiormente contesi.

Il progetto pilota procede con una certa cautela anche perché sono emersi alcuni problemi strettamente pratici: per esempio, gli utenti delle auto non-Tesla che hanno la presa di ricarica situata lungo la fiancata anziché verso il muso o la coda si sono accorti che i cavi di alcuni Supercharger sono troppo corti per raggiungere la loro presa, e quindi si trovano a parcheggiare di traverso, occupando più stalli, per poter caricare.


Questo problema si presenta presso i Supercharger che hanno le colonnine disposte di traverso, in fondo allo stallo, mentre quelli che hanno le colonnine disposte di taglio, come divisori dei vari stalli, non comportano alcun ostacolo per chi ha la presa sulla fiancata.

Tuttavia un’auto che ha la presa sulla fiancata sinistra, come per esempio la Audi e-tron mostrata qui sotto, si trova a usare la colonnina che invece verrebbe usata da una Tesla parcheggiata nello stallo alla sua sinistra. Lo stallo a sinistra di quello occupato è quindi inutilizzabile per una Tesla (ma è accessibile per un’altra Audi).

Nessun problema, insomma, se le auto in ricarica presso questi Supercharger “di taglio” sono tutte Tesla o tutte non-Tesla, ma se si mescolano si perde l’accessibilità di qualche stallo.