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2016/06/30

45 anni fa l’incubo della Soyuz 11

Questo articolo è tratto dall’Almanacco dello Spazio e vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/06/30 16:00.

Credit: Spacefacts.de.
30 giugno 1971: la Soyuz 11 rientra sulla Terra, in Kazakistan, dopo un viaggio spaziale trionfale. Georgi Dobrovolski, Vladislav Volkov e Viktor Patsayev sono rimasti nello spazio per 23 giorni, battendo il record mondiale di durata e hanno effettuato la prima visita a una stazione spaziale. I loro volti sono familiari a tutti i sovietici perché hanno uno spazio televisivo tutto loro ogni sera. Il volo della Soyuz 11 è la risposta perfetta al recente successo americano di Apollo 11, che ha effettuato il primo sbarco umano sulla Luna.

Il rientro procede in maniera automatica, come consueto. Le squadre di recupero si avvicinano alla capsula, coricata sul terreno, accompagnata dal suo grande paracadute, che si è aperto regolarmente. I razzi di frenata hanno agito come previsto. Le condizioni meteorologiche al suolo sono perfette. Ma gli uomini che arrivano per accogliere i tre cosmonauti sono costretti a trasmettere ai responsabili del programma spaziale un messaggio in codice scioccante: le tre cifre 1-1-1.

Nella procedura di comunicazione dell’epoca, le condizioni dei cosmonauti vengono annunciate usando per ciascuno le cifre da 5 a 1. Un 5 indica condizioni di salute ottime; 4 indica condizioni buone; 3 segnala ferite; 2 riferisce ferite gravi; e 1 annuncia il decesso. Dobrovolski, Volkov e Patsayev sono morti. Sul viso hanno segni bluastri; è colato sangue dal naso e dalle orecchie. I soccorritori tentano una disperata rianimazione, documentata in un video difficile da guardare, ma è tutto inutile. I tre sono morti per asfissia da decompressione da oltre mezz’ora e sono rimasti esposti al vuoto dello spazio per almeno undici minuti. È la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale che un equipaggio muore nello spazio.

Durante il ritorno a Terra, al momento della normale separazione del modulo orbitale della Soyuz dal modulo di rientro, lo scossone del distacco ha aperto erroneamente in anticipo uno sfiato e l’aria della piccola cabina è sfuggita rapidamente nel vuoto dello spazio, a oltre 100 chilometri di quota. I tre cosmonauti non indossano una tuta pressurizzata, che li salverebbe, perché nella Soyuz di allora (parente stretta di quella che vola tuttora) non c’è spazio per tre persone in tuta. L’equipaggio ha avuto meno di un minuto per tentare di individuare la causa della fuga d’aria prima di essere sopraffatto dagli inevitabili effetti della decompressione. I registratori di bordo documentano freddamente che 50 secondi dopo il distacco del modulo orbitale il battito cardiaco di Patsayev è precipitato da oltre 90 a 42 pulsazioni al minuto, segno inequivocabile di privazione d’ossigeno, e che 110 secondi dopo l’apertura accidentale dello sfiato i cuori dei tre cosmonauti hanno cessato di battere.

L’Unione Sovietica è scossa dalla tragedia e celebra per Dobrovolski, Volkov e Patsayev dei grandi funerali di stato, ai quali partecipa anche l’astronauta statunitense Tom Stafford, ma le cause precise del disastro vengono tenute segrete. I dettagli delle autopsie dell’equipaggio della Soyuz 11 sono segreti ancora oggi. Il difetto fatale dello sfiato verrà reso pubblico, perlomeno in Occidente, soltanto due anni più tardi. I russi svilupperanno rapidamente una tuta pressurizzata compatta e leggera, la Sokol-K, che verrà usata per tutti i voli spaziali successivi, e lo sfiato verrà riprogettato.

Il disastro della Soyuz 11 scuote anche il programma spaziale statunitense. Inizialmente il segreto assoluto sulle cause della morte dei tre cosmonauti fa sospettare che la lunga permanenza nello spazio abbia influito in qualche modo sulle loro condizioni fisiche: visto che un anno prima i cosmonauti Nikolayev e Sevastyanov, dopo 18 giorni di volo spaziale, quasi non riuscivano a reggersi in piedi, si teme che la permanenza da record dei tre (23 giorni) abbia raggiunto un limite fisiologico invalicabile, come documentano gli articoli del giorno successivo dei giornali italiani, tratte per gentile concessione dall’archivio di Gianluca Atti (@giaroun).


Una volta rivelate le reali cause della morte di Dobrovolski, Volkov e Patsayev, la missione lunare Apollo 15, che deve partire qualche settimana dopo, verrà cambiata per tenerne conto: Scott e Irwin dovranno indossare le tute pressurizzate durante il decollo dalla Luna, la progettazione dei finestrini, dei portelli, delle valvole e dei cablaggi del modulo lunare e del modulo di comando verrà riesaminata a fondo e verranno studiati i possibili effetti di una depressurizzazione del modulo di comando durante il rientro nell’atmosfera terrestre.


Fonti: Space Safety Magazine, Il Post.

2016/06/28

Come nascono le teorie di falsi attentati e messinscene? Così: per superficialità dei giornalisti

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale del 2016/06/28 ore 23:42. Ultimo aggiornamento: 2016/06/29 10:00.

L’attentato all’aeroporto Ataturk di Istanbul di poco fa ha scatenato la frenesia dei giornalisti di pubblicare immagini scioccanti. Come al solito, in questi casi, quando bisognerebbe aumentare i controlli per evitare disinformazione, invece il giornalismo dilettantesco abbassa la già scarsa guardia e pubblica qualunque cosa, comprese foto false o che non c’entrano nulla, e non si degna nemmeno di rettificare.

Ecco come nascono le tesi di messinscena, come quelle che circolarono dopo l’attentato di Bruxelles: grazie a chi non fa bene il proprio lavoro e alimenta la paranoia dei complottisti.

Guardate cos’è successo stasera: Reported.ly (gestito da giornalisti seri) pubblica prontamente un avviso che la foto qui sotto, spacciata per immagine dell’attentato a Istanbul, proviene in realtà dall’attentato di Bruxelles.

La foto:

L’avviso:
 

La conferma che si tratta di un’immagine risalente all’attentato di Bruxelles:

Nel mio piccolo cerco anch’io di avvisare che si tratta di una foto che non si riferisce a Istanbul, e lo faccio rivolgendomi proprio ai giornalisti:
disinformatico
Attentato Istanbul: questa foto NON mostra Istanbul ma Bruxelles. Giornalisti, occhio alla fretta. https://t.co/vq4gPGlOPD
28/06/16 22:41

Come da copione, SkyTg24 invece pubblica* la foto di Bruxelles, presentandola come immagine di Istanbul, tre quarti d’ora dopo che è stato pubblicato l’avviso. Come se non bastasse, dopo averla pubblicata la redazione riceve ripetuti avvisi che è sbagliata, come vedete qui sotto, ma non la rimuove (è ancora online mentre scrivo queste righe, alle 23:20)*. Grazie a @ruggio81 per la segnalazione.

*Aggiornamento: il tweet è stato rimosso durante la notte.


Anche Rainews pubblica la foto (segnalata da @Mantzarlis):

Altri lettori mi dicono che anche altre testate, come per esempio Repubblica, hanno pubblicato la stessa foto (Vérifié conferma). La Stampa l’ha pubblicata ma poi rimossa chiedendo scusa.

Ora posso capire che nella concitazione possa sfuggire un’immagine. Ma che la si lasci pubblicata, senza un briciolo di rettifica, mentre i lettori stessi denunciano l’errore, è davvero pessimo giornalismo, oltre che una presa in giro dei lettori di buon senso. Che cominceranno a pensare: se pubblicano foto senza controllarle in casi seri come questi, quando sono attendibili le altre notizie che danno?

Mentre i complottisti, da bravi ottusangoli, invece di pensare alla spiegazione più semplice (un errore dettato dalla fretta), si lanciano in fantasie complicatissime di cospirazione mondiale, di false flag, di regie occulte, nelle quali il dramma dell’attentato diventa oscenamente irrilevante ed emerge invece la loro vanità di dire “solo io ho capito la Verità”. Il complottismo, in ultima analisi, è megalomania.


Aggiornamento 2016/06/28 23:55


Un altro fenomeno al quale i giornalisti devono imparare a fare attenzione è lo sciacallaggio per attirare clic, Like, retweet e follower. Il già citato Reported.ly ha dovuto rettificare la pubblicazione di quella che sembrava una disperata richiesta di ritrovare un padre forse coinvolto nell’attentato ma era solo un trucco per ottenere visibilità. Unico indizio sospetto: il nome dell’account, decisamente improbabile (@ElDxnielit0).

Antibufala: le zone che hanno votato per Brexit sono le stesse della mucca pazza!

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Sta circolando (per esempio su Tumblr) una mappa che mostrerebbe una straordinaria correlazione fra le zone del Regno Unito che hanno votato per uscire dall’Unione Europea e quelle colpite dalla morbo della “mucca pazza” (più propriamente encefalite spongiforme bovina, o bovine spongiform encephalopathyBSE, in inglese) nel 1992.

L’intento, non si sa se serio o faceto, è insinuare che chi ha votato per il Brexit è malato di mente.

Ma la mappa della “mucca pazza” è un falso: è semplicemente una mappa del referendum (questa) con i colori alterati e una data modificata. Come segnala Snopes, le epidemie di BSE colpirono l’intero territorio britannico, e lo fecero dal 1986 (anno della prima diagnosi) in poi per decenni, devastando l’industria della carne nel Regno Unito e anche in altri paesi.


Fonti: EFSA; OIE.

Antibufala: inglese escluso dalle lingue dell’UE dopo il Brexit!

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Sull’onda dello shock per il risultato del referendum britannico per uscire dall’Unione Europea stanno circolando notizie (Rsi.ch e Politico.eu, per esempio) che sembrano annunciare con certezza che presto l’inglese non sarà più una delle lingue ufficiali dell’UE e che questo cambiamento sarà automatico. La fonte di questa notizia è spesso una dichiarazione di Danuta Hübner, capo del Comitato Affari Costituzionali dell’UE.

Ma le parole di Hübner configurano un’ipotesi, mentre una dichiarazione della Rappresentanza della Commissione Europea in Irlanda (scritta in inglese e gaelico) ha chiarito come stanno realmente le cose: “Notiamo le segnalazioni nei media che affermano che in caso di ritiro del Regno Unito dall’UE l’inglese cesserebbe di essere una lingua ufficiale dell’UE. Questo è errato. Il Consiglio dei Ministri, agendo all’unanimità, decide le regole che governano l’uso delle lingue da parte delle istituzioni europee. In altre parole, qualunque cambiamento al regime delle lingue delle Istituzioni dell’UE è soggetto a un voto unanime del Consiglio, Irlanda compresa.”

La fonte indicata dalla Rappresentanza è l’Articolo 342 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Per chi si stesse chiedendo come mai l’inglese non dovrebbe restare, visto che anche Malta e Irlanda lo usano come lingua nazionale ufficiale, la spiegazione è che questi due paesi, quando aderirono all’UE, scelsero come lingua ufficiale per le traduzioni UE rispettivamente il maltese e l’irlandese, visto che l’inglese c’era già. L’elenco delle 24 lingue ufficiali dell’UE è qui.

Tesla, l’interfaccia e le app spiegate in dettaglio

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Al convegno Tesla Revolution 2016, tenutosi a marzo scorso, Tiziano Di Valerio, utente Tesla e membro di Teslaforum.it, ha presentato una panoramica della sua esperienza come utente di una Model S, descrivendone l’interfaccia utente, basata su Linux, e la sua vasta integrazione con servizi esterni e presentando alcune delle principali app per la gestione dell’auto.

Il video del suo intervento è disponibile su Youtube (l’ho incluso qui sotto): ve lo consiglio perché è divertente e illuminante e contiene moltissime informazioni preziose. Qui sotto ho aggiunto i link alle app citate.


App ufficiale di Tesla per Model S (iOS e Android)

Visible Tesla (non ufficiale, per Mac, Windows, Linux)

Remote S for Tesla (non ufficiale, iOS e Apple Watch; recensione)

EVmote (webapp)

Teslalog (webapp)

EVE for Tesla (webapp)

2016/06/26

Petizione su Brexit batte record ma finisce nel ridicolo

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/06/27 11:45.

Situazione intorno alle 17 del 2016/06/26.
Si sta facendo tanto clamore intorno al risultato del referendum consultivo del Regno Unito sul cosidetto Brexit, l’uscita dall’Unione Europea (51,9% a favore, 48,1% contro) e in particolare su una petizione che, secondo molti, invocherebbe un secondo referendum, nella speranza di ribaltare il risultato del primo.

Nella concitazione si sono persi di vista alcuni dati di fatto che è meglio ricordare, perché si rischia di dare a questa petizione un’importanza politica che non ha e non può avere, sia per ragioni tecniche, sia per ragioni legali e formali.


1. È una petizione governativa, non commerciale, e standard. Questa non è la solita raccolta di firme (o più propriamente adesioni) proposta da Change.org o dai vari siti analoghi, più o meno commerciali, specializzati nel settore: è una delle tante petizioni ospitate dal sito del Parlamento britannico (come indicato dal suo indirizzo, petition.parliament.uk/petitions/131215) e ne segue gli standard. Le adesioni vengono prese concretamente in considerazione dal governo britannico.


2. È una petizione per discutere una nuova regola, non per rivotare. Il testo è molto chiaro, ma sembra che in molti non l’abbiano letto o capito: chiede soltanto di discutere in parlamento se implementare una regola che stabilisca una sorta di quorum sui referendum per l’uscita dall’UE. Non chiede di votare di nuovo sul Brexit, ma semplicemente di parlare in parlamento di questa possibile regola.


3. La verifica delle adesioni è scarsissima, ma è sempre così. Ieri (25/6), quando le adesioni erano arrivate oltre il milione, iniziando il clamore mediatico, ho provato ad aderire anch’io, visto che sono cittadino (anche) britannico, e ho constatato che i controlli sull’autenticità delle adesioni sono quasi inesistenti (cosa che ha spinto alcuni teorici del complotto a ipotizzare una truffa mediatica messa in atto da chi vuole opporsi al risultato del referendum): ma è normale che sia così, anche se per i non britannici questo potrà sembrare assurdo. Mi spiego meglio tra un attimo: prima vi mostro cosa è successo quando ho aderito alla petizione.




Come vedete nello screenshot qui sopra, il sito ha accettato sulla fiducia la mia dichiarazione che sono cittadino britannico o residente nel Regno Unito e mi ha chiesto soltanto nome, cognome, indirizzo di mail, nazione e codice di avviamento postale. Nessun numero di documento identificativo o altra prova di identità o nazionalità.

Dopo aver cliccato su Continue mi è comparsa una schermata che mi avvisava che avrei ricevuto una mail contenente un link e che la mia adesione sarebbe stata valida soltanto se avessi cliccato sul link. Ho ricevuto la mail e ho cliccato sul suo link, che era del formato seguente:

https://petition.parliament.uk/signatures/[numero di 8 cifre]/verify/[serie di caratteri]

Sono stato portato a una schermata di ringraziamento e la cosa è finita lì.

Il sistema è insomma perfettamente sfruttabile per sfornare adesioni fasulle, e infatti sono arrivate migliaia di adesioni sospette, per esempio da paesi improbabili come la Corea del Nord o il Vaticano, come risulta dai dati aggregati della petizione (che sono pubblicamente scaricabili).

La vulnerabilità della petizione, arrivata ora (26/6) a oltre 3,2 milioni di adesioni, ha suscitato nei dietrologi il sospetto di una manovra di propaganda per far credere che i pentiti del Brexit siano tanti (ma allora perché non falsificare i dati in modo più credibile?) e ilarità negli informatici, ma va considerato che tutte le petizioni ospitate da Parliament.uk hanno lo stesso livello di verifica. La cosa non dovrebbe stupire: nel Regno Unito, ancor più che in altri paesi europei, vale il principio che sei chi dici di essere, fino a prova contraria, tanto che non esiste l’obbligo di un documento ufficiale d’identità all’interno del paese. E del resto, voi come avreste fatto? Avreste chiesto una scansione di un documento d’identità (che non è obbligatorio avere)?


4. Le adesioni fraudolente sono state confermate. Vari giornalisti hanno provato a immettere dati falsi e ci sono riusciti. Il 26/6, intorno alle 13, il Petitions Committee britannico ha annunciato il problema e poi ha detto che erano già state rimosse circa 77.000 adesioni fraudolente. Sempre nel pomeriggio dello stesso giorno la BBC ha pubblicato la notizia della frode. Una fonte, Heatstreet, ha affermato che la petizione è stata presa di mira dai troll di 4chan.


5. È dunque un fallimento? Non è detto. Non si sa quante siano le adesioni fasulle, ma per far fallire la petizione quelle autentiche dovrebbero essere meno di 100.000 (limite sotto il quale le regole di Parliament.uk respingono una petizione) e sembra improbabile che oltre il 97% delle adesioni sia falso.


6. Non farà rivotare comunque. La cosa più importante, però, è altrove: la BBC segnala infatti che la petizione “ha zero probabilità di essere applicata, perché chiede leggi retroattive”. Vale, insomma, zero se si pensa di applicarla per invalidare il referendum già svolto. Certo, prima della frode poteva essere forse un indicatore dei sentimenti degli elettori, ma ora non è più attendibile.


7. Era pensata PRO-Brexit. Ciliegina sulla torta, sempre la BBC nota che la persona che ha avviato la petizione, Oliver Healy, degli English Democrats, lo aveva fatto per dare una nuova possibilità di votare per uscire dall’UE e aveva attivato l’iniziativa prima del referendum, precisamente il 24 maggio, “quando sembrava improbabile che il ‘Leave’ avrebbe vinto, con l’intento di rendere più difficile a quelli del ‘Remain’ di incatenarci maggiormente all’UE. A causa del risultato, la petizione è stata usurpata dalla campagna per il ‘Remain’”.


8. Erano i PRO-Brexit a ritenere giusto rivotare in caso di risultato sfavorevole. Da molti democratici a senso unico è partito il coro dei “non vale, il voto è definitivo, non si può rivotare solo perché la volontà popolare è contraria ai desideri dei Poteri Forti”, ma va notato che era stato Nigel Farage, dell’UKIP (partito indipendentista, quindi radicalmente pro-Brexit), a parlare di “richiesta inarrestabile di nuovo referendum” (“unstoppable demand for a re-run of the EU referendum”) quando temeva che vincessero i contrari all’uscita dall’UE, e che il primo a ventilare l’ipotesi di un secondo referendum fu Boris Johnson, anche lui pro-Brexit.


9. È un referendum consultivo. Il governo del Regno Unito non è formalmente obbligato a fare nulla come conseguenza del referendum e nessuna legge è stata abrogata dal referendum, che in sostanza ha valore soltanto come sondaggio. Il parlamento è sovrano e i referendum britannici di norma non sono vincolanti, come spiega bene The Guardian.


Fonti aggiuntive: Bufale un tanto al chilo, L’Express

Meglio Telegram, Signal o WhatsApp?

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/06/26 18:30.

L’illusione della sicurezza è uno dei maggiori pericoli per la sicurezza (non solo in informatica). La recente introduzione della crittografia in app molto popolari come WhatsApp e Viber è stata interpretata da molti come una protezione assoluta, ma non lo è: conviene conoscerne i limiti in modo da capire con precisione cosa comportano.

The Intercept ha pubblicato un ottimo articolo che fa il punto della situazione sulle principali app di messaggistica che offrono cifratura, e  anche Gizmodo ha messo online una serie di mini-recensioni. Riassumo entrambi e faccio un’allerta spoiler: si salva solo Signal.


WhatsApp. Facebook, proprietaria di WhatsApp, non può leggere i contenuti dei messaggi e delle altre comunicazioni che transitano dall’app, ma sa chi ha comunicato con chi e quando lo ha fatto e si riserva il diritto di registrare queste informazioni (i cosiddetti metadati), insieme alle rubriche telefoniche degli utenti, e di passarle ai governi e quindi agli inquirenti. In altre parole, se avete mai Whatsappato con qualcuno che finisce nei guai con la giustizia, non potete far finta di non conoscerlo contando sulla segretezza delle comunicazioni di WhatsApp. Inoltre una copia dei messaggi viene conservata sul telefonino del mittente e dei destinatari, e chi ha attivato il backup dei dati del telefonino su cloud ha depositato su Google o su iCloud un’altra copia delle comunicazioni fatte con WhatsApp. L’app consente di disattivare quest’opzione, ma spetta all’utente sapere che esiste e intervenire per disattivarla.


Signal. È open source (quindi liberamente ispezionabile nel funzionamento), disponibile per iOS e Android, privo di legami commerciali (è sostenuto dalle donazioni degli utenti e non ha pubblicità), offre cifratura completa (end-to-end), non raccoglie metadati (a parte l'orario dell'ultima connessione dell’utente al server, che comunque viene arrotondato al giorno). La rubrica dei contatti viene letta da Signal, ma viene cifrata prima di mandarla ai server di Signal in modo che i dati della rubrica non siano collezionabili (viene usata una funzione di hashing). Le conversazioni non vengono archiviate su cloud Google/Apple. Unico limite: lo usano pochissimi utenti (qualche milione contro i 900 e passa di WhatsApp), per cui o convincete il vostro interlocutore a installarlo, oppure potrete solo mandargli SMS non protetti (l’app indica chiaramente quale tipo di messaggio verrà inviato).


Telegram. Quest’app viene spesso citata come se fosse sicura, ma i fatti sono un po’ diversi. Per impostazione predefinita, i messaggi vengono conservati sui server di Telegram in forma non cifrata. Se usate la modalità privata potete attivare la cifratura, che però è considerata debole e difettosa.


Allo/Duo. The Intercept segnala che Google sta per lanciare un’app di messaggistica, chiamata Allo, e sottolinea che la sua impostazione predefinita sarà che Google può leggere tutto. La crittografia si attiva soltanto se scegliete la modalità privata, che però limita alcune funzioni. Google motiva questa scelta con il fatto che Allo userà il testo dei messaggi per fornire all’utente servizi basati sul contesto. Sempre da Google è in arrivo Duo, app di videochiamata, che sarà cifrata automaticamente e da un capo all’altro della conversazione (end-to-end): non si sa se raccoglierà metadati.

Quanto vale Clash of Clans? Dieci miliardi di dollari

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/06/26 14:50.

Sono in pochi, anche tra i giocatori di videogiochi, a conoscere il giro di denaro incredibile che sta alla base dei giochi gratuiti. Sembra quasi che molti pensino che se il gioco è gratis non ci potrà essere un gran guadagno e quindi i giochi vengano creati più per passione che per lucro.

Le cifre raccontano una storia ben diversa. Il 22 giugno scorso la Supercell, l’azienda finlandese (di proprietà della giapponese Softbank) che ha creato e gestisce il popolarissimo Clash of Clans, è stata acquistata per l’84% dalla Tencent, colosso cinese del settore dei videogiochi, che ha speso 8.57 miliardi di dollari. Questo significa che il valore complessivo della Supercell supera i 10 miliardi di dollari.

Per fare un paragone, Disney comprò tutta la Lucasfilm Ltd (con tutto quello che riguarda Star Wars) nel 2012 per quattro miliardi di dollari.

Supercell dichiara di avere circa 100 milioni di giocatori quotidiani al mondo, sparsi non solo su Clash of Clans ma anche su Clash Royale, Boom Beach e Hay Day. A marzo di quest’anno ha dichiarato 2,3 miliardi di dollari di ricavi e 930 milioni di dollari di profitti per il 2015.

Ma se il gioco è gratuito, da dove vengono tutti questi milioni e miliardi? Dagli acquisti in-app: per proseguire nel gioco o acquisire risorse per giocare è praticamente indispensabile procurarsi “gemme” pagandole con denaro reale (si può giocare anche senza comperarle, ma il gioco è concepito per essere frustrante se non si fanno acquisti). 2,3 miliardi di dollari in un anno sono 6,3 milioni di dollari al giorno, ogni giorno dell’anno, spesi dai giocatori. E con numeri del genere la tendenza è chiara: i giochi gratuiti su dispositivi mobili sono il futuro, mentre i giochi sulle console dedicate passeranno in secondo piano.


Fonti: Ars Technica, International Business Times, VentureBeat, Quora.

2016/06/24

Quanto vale la geolocalizzazione? Abbastanza da rischiare un milione di dollari di multa

Molti utenti di Internet sottovalutano il valore dei dati che regalano ai fornitori di servizi, come per esempio la geolocalizzazione. A chi mai potrà interessare sapere dove mi trovo, visto che non sono una persona importante o speciale? Lo pensano in tanti. Eppure questi dati hanno un valore così alto che esistono società che rischiano multe milionarie pur di sfruttarli.

È quello che ha fatto la società di pubblicità per dispositivi mobili inMobi, che è stata multata dalla Federal Trade Commission statunitense per 4 milioni di dollari (poi ridotti, si fa per dire, a 950.000) perché è stata colta a pedinare segretamente circa cento milioni di utenti.

InMobi dichiarava che il suo software, incluso in moltissime app per Android e iOS per visualizzare pubblicità agli utenti, raccoglieva informazioni di geolocalizzazione soltanto se l’utente dava il permesso. In realtà il software utilizzava i segnali Wi-Fi per dedurre la localizzazione anche quando l’utente negava all’app il permesso di tracciarlo. In pratica, tramite il ricevitore Wi-Fi InMobi si faceva mandare i nomi delle reti Wi-Fi ricevibili dall’utente, li immetteva in un database di localizzazioni di queste reti e ne otteneva la localizzazione dell’utente. E lo faceva ogni trenta secondi circa quando l’app era in uso.

Questa geolocalizzazione aveva effetto anche sugli utenti minorenni, ai quali erano dedicate molte delle app che usavano il software pubblicitario di InMobi, violando quindi il Children's Online Privacy Protection Act statunitense.

Un motivo in più per spegnere il Wi-Fi dei dispositivi mobili quando non è indispensabile, insomma.


Fonti: QZ, Ars Technica.

Zuckerberg e la telecamera tappata: perché?

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/06/24 21:55.

Ha suscitato molto interesse e qualche polemica la foto nella quale Mark Zuckerberg festeggia il traguardo dei 500 milioni di utenti raggiunto da Instagram. I più attenti, infatti, hanno notato che sullo sfondo c’è un laptop nel quale la telecamera e la presa per il microfono sono tappati da quello che sembra essere nastro adesivo nero, e si sono chiesti se sia giustificata così tanta paranoia.

La risposta semplice è : esistono software appositi, i remote access trojan (RAT), che prendono il controllo del computer e usano il suo microfono per origliare e la sua telecamera per spiare.

Potete immaginare che vedere e ascoltare i discorsi privati di uno come Zuckerberg faccia gola a molti, e il rischio di attacchi è quindi molto reale. Talmente reale che il boss di Facebook ha già subito attacchi (coronati da successo) contro i suoi account Twitter e Pinterest. E anche il direttore dell’FBI, James Comey, ha ammesso di coprire la propria telecamera: sa che è un rischio reale perché l'FBI e il britannico GCHQ usano già questa tecnica.

Anche una persona comune, non legata alla sorveglianza governativa o a grandi interessi economici, può trovarsi in un guaio per non aver tappato la telecamera del computer, perché esistono specialisti in estorsioni via webcam. La vittima non sa di essere ripresa e finisce per fare davanti alla telecamera qualcosa di privato e imbarazzante: il criminale la registra, per poi contattare la vittima minacciando di pubblicare le immagini se non viene pagato un riscatto. Lo sa bene Cassidy Wolf, all’epoca Miss Teen USA, ricattata da un criminale che era riuscito a fotografarla nuda tramite la sua webcam.

Il consiglio pratico è spegnere e chiudere il computer quando non è in uso e coprire la webcam con un adesivo facilmente rimovibile. Per il microfono, invece di tapparne il foro del connettore con del nastro adesivo è meglio inserire uno spinotto per cuffie non collegato a delle cuffie: questo di solito disabilita il microfono integrato, anche se in alcuni modelli di computer, per esempio nei Mac, è possibile modificare questa disabilitazione via software.


Fonti: Gizmodo, Sophos, ItPro.

Podcast del Disinformatico del 2016/06/24

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

Controlli parentali, seconda parte: Instagram

Instagram ha da poco superato il traguardo dei 500 milioni di utenti ed è sempre più popolare fra gli internauti più giovani, per cui è il caso di ripassare le regole fondamentali di sana impostazione, consigliate da Sophos, magari per far bella figura con i figli e offrire loro delle opzioni che difendano la privacy senza essere troppo limitanti.


1. Non aggiungete il vostro numero di telefonino al profilo. Il numero è privato, ma viene usato da Instagram per consentire ad altri di cercarvi. Chi conosce il vostro numero, insomma, può approfittarne per trovarvi su Instagram anche se siete sotto pseudonimo.


2. Disattivate la localizzazione. Instagram vi invita a indicare in ogni foto il luogo nel quale vi trovate, ma questi dati possono essere visti anche dagli sconosciuti (se avete un account pubblico) per esempio tramite Picodash (ex Gramfeed). Meglio quindi spegnere la geolocalizzazione per Instagram:

– Android: Impostazioni - App - Instagram - Autorizzazioni - Posizione (disattivare). Nell’app, fate una foto: quando Instagram chiede di avere accesso alla posizione, scegliere Non chiedere più e poi Nega.

– iOS: Impostazioni - Instagram - Posizione - Mai.

Fra l’altro, Instagram ha un’opzione che consente di de-geolocalizzare tutte le foto in un sol colpo: nell’app, toccate l’icona del vostro profilo, toccate l’icona di geolocalizzazione (la terza da sinistra sopra l’elenco delle foto), toccate i tre puntini (Android) o la parola Modifica (iOS) in alto a destra, scegliete Modifica e poi Deseleziona tutti e infine toccate il segno di spunta (o la parola Fine) in alto a destra: alla richiesta Rimuovere geotag? rispondete Conferma.


3. Occhio agli account collegati. Se avete collegato l’account Instagram a quello Facebook o Twitter, controllate che le impostazioni di privacy siano allineate: magari i post di Facebook sono riservati agli amici e non vi accorgete che invece le foto che postate sono pubbliche su Instagram.


4. Rendete privato il vostro account. Non condividete tutto con gli sconosciuti: prendete il controllo e scegliete con chi condividere le vostre foto. Nell’app di Instagram, toccate l’icona dell’omino e attivate l’opzione Account privato. A differenza di Facebook, su Instagram non si può impostare selettivamente la privacy dei singoli post: o tutto o niente. Ricordate, comunque, che niente di quello che mettete in un social network è realmente privato.


5. Attenzione ai link. Come tutti i social network, anche su Instagram non mancano i ficcanaso, gli spammer e gli intrusi informatici che includono nei propri commenti dei link a siti che promettono qualcosa di allettante (per esempio tanti seguaci). Non fidatevi e non cliccateli.

2016/06/23

Ora è ufficiale: Star Trek è morto. Ucciso da Paramount e CBS. AGGIORNAMENTO: Forse no

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Pubblicazione iniziale: 2016/06/23. Ultimo aggiornamento: 2016/07/25 17:50.

Avvertenza: state per leggere il grido rabbioso di un Trekker d’annata. Uno che è cresciuto a pane e Star Trek e che deve alle idee di Star Trek gran parte di quello che è diventato. Uno per il quale Star Trek non è un film/telefilm di gente che scorrazza con le astronavi e risolve i conflitti a cazzotti in tutine attillate, ma è una tela sulla quale sono stati rappresentati in modo accattivante ideali di uguaglianza, razionalità, speranza per il futuro. Ha creato personaggi dei quali mi sono innamorato. Mi ha fatto innamorare della scienza: mi ha fatto crescere e capire. Per me Star Trek è una filosofia di vita. Ridete pure: non pretendo che condividiate quello che sto per scrivere.


Oggi CBS e Paramount hanno pubblicato le loro linee guida per la produzione di fan film di Star Trek, accompagnate da una simpatica letterina. Non ho tempo di tradurle per intero, anche perché leggerle mi fa venire un travaso di bile. Ma segnalo giusto un paio di perle:

– Il fanfilm non può durare più di 15 minuti per ogni singola storia autoconclusiva o comunque non può essere composto da più di due parti o episodi, che non possono durare più di 30 minuti in tutto, senza aggiunte di puntate, stagioni, parti, sequel o remake.

– Il fanfilm non può essere distribuito in formato fisico, come per esempio su DVD o Blu-ray.

– Non sono ammessi attori o tecnici che facciano parte, o abbiano fatto parte, delle produzioni ufficiali di Star Trek.

Trovate su FoCoComicCon un’analisi più dettagliata, scritta da un tecnico del settore (ringrazio Chiara per la segnalazione).

Queste condizioni capestro equivalgono a uccidere le produzioni dei fan, che ancora tenevano in vita, con risultati alterni, le idee e gli ideali che erano la vera base di Star Trek e lo distinguevano da tante altre serie svolazza-e-spara. Niente più Star Trek Renegades, Star Trek HorizonThe New Voyages/Phase II, niente più Star Trek Continues, con i loro meravigliosi cameo di tecnici e attori delle serie “ufficiali”, niente di niente. In quindici minuti è impossibile costruire un personaggio che abbia spessore come Spock o Kirk o McCoy. E scordiamoci del tutto produzioni (semi)professionali come Axanar.

A proposito di Axanar: è uscito proprio oggi un suo nuovo teasermentre la lite legale prosegue e salta fuori che le parole concilianti di JJ Abrams (“it will be announced this is going away, and that fans would be able to continue working on their project”) erano un’improvvisazione non autorizzata – in altre parole, aria fritta.

No, CBS e Paramount hanno deciso che Star Trek deve essere soltanto un branco di bellocci che fanno salti in motocicletta e si menano in continuazione. A sostegno di quello che dico, vi infliggo il trailer del prossimo film, Star Trek Beyond. Perdonatemi.


In altre parole, Star Trek è morto. Riposi in pace. E possano i dirigenti ottusi di CBS e Paramount ritrovarsi tutti a Gre’thor.


Aggiornamento (2016/06/30): Quando pensi che non possa andare peggio, va peggio. Il 27 giugno 2016 è stata aggiunta alla campagna promozionale di Star Trek Beyond una canzone di Rihanna. Non sto scherzando. Non ho niente contro Rihanna, intendiamoci: ma che c’entra con Star Trek? C’entra solo se si vuole confezionare un prodotto ancora più commerciale a impegno zero. Mi arrendo.


Aggiornamento (2016/07/25): Mi devo ricredere. Star Trek Beyond si è rivelato un gran bel film, in pieno spirito Trekkiano. Lo recensisco qui senza spoiler. Evidentemente la campagna promozionale era completamente incoerente rispetto al contenuto del film (tant’è vero che uno dei colpi di scena principali di Beyond è stato rivelato per errore in uno dei trailer televisivi). La critica nei confronti delle norme capestro resta valida, ma perlomeno Star Trek non è morto.

Se usate l’inglese, aggiornatevi: prende piede “they” al posto di “he” o “she”. Strano ma antico

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/06/29 14:40.

La American Dialect Society ha scelto they come parola dell’anno, segnala la BBC. La scelta si riferisce al suo crescente uso come termine neutro per indicare una persona di cui non si sa o non si vuole specificare il genere, al posto del pedante e pesante he or she oppure he/she.

Per esempio, invece di dire o scrivere “A scientist must always check his or her data carefully”, si scriverebbe “A scientist must always check their data carefully”.

Anche se molti s’infiammeranno pensando al sabotaggio delle sacre e inviolabili regole della lingua perpetrato dalle lotte sociali attuali per la parità o neutralità di genere (che pure stanno contribuendo a quest’evoluzione grammaticale), in realtà in inglese la questione è dibattuta almeno dalla fine del Settecento; nell’Ottocento Samuel Taylor Coleridge già si chiedeva se non fosse il caso di usare un pronome neutro per non dover specificare se si sta parlando di un uomo o di una donna, nota sempre la BBC, citando anche altri linguisti favorevoli a quest’uso di they.

Cito da Pemberley: “Already in 1894, the famed grammarian and linguist Otto Jespersen (who was decidedly not a feminist himself) wrote in his book Progress in Language: With Special Reference to English that "it is at times a great inconvenience to be obliged to specify the sex of the person spoken about. [...] if a personal pronoun of common gender was substituted for he in such a proposition as this: `It would be interesting if each of the leading poets would tell us what he considers his best work', ladies would be spared the disparaging implication that the leading poets were all men." (so that it can hardly be claimed that a concern about such matters is only a recent outgrowth of 1970's feminism or so-called "PC" ideology).

Si tratta, fra l’altro, di un uso già adottato dalla guida di stile del Washington Post, che consiglia di riformulare la frase se possibile ma di ricorrere al they come estremo rimedio. Non solo: è un uso non nuovo, documentato, secondo Mental Floss, nella Bibbia e in autori come Chaucer, Shakespeare, Swift, Austen, Thackeray e Shaw, che è piuttosto difficile definire analfabeti o sgrammaticati o ispirati dalla rivoluzione gender.

“And whoso fyndeth hym out of switch blame, they wol come up…” (Chaucer, "The Pardoner’s Prologue")

“And everyone to rest themselves betake” (Shakespeare, "The Rape of Lucrece")

“If ye from your hearts forgive not every one their trespasses” (King James Bible, Matthew 18:35)

“I would have everybody marry if they can do it properly” (Jane Austen, "Mansfield Park").


(fonte; altri esempi biblici).


Del resto, anche you ha cambiato significato: il “tu” di oggi era un tempo il “voi” formale, e le lingue vive si evolvono. Quanti usano correttamente who e whom?

Se l’uso del they vi sembra profondamente sbagliato (fa storcere il naso anche a me, madrelingua dello Yorkshire), considerate questo caso: se voleste esprimere in inglese la frase “Ognuno ha la propria opinione su questa cosa”, come fareste? In altre parole, cosa mettereste al posto dei puntini?

Everyone has ... own opinion about this.


Provate a chiedervi cosa vi suona meglio (o meno peggio): Everybody has his or her own opinion about this oppure Everybody has their own opinion about this?

Oppure:

Maybe it's time for anyone who still thinks that singular "their" is so-called "bad grammar" to get rid of ... prejudices and pedantry.


Se volete ancora un esempio, preso dalla musica recente, correggereste Sting e il suo If you love somebody, set them free? Appunto. Grazie a @CanonF1 per il suggerimento.

Per approfondire l’argomento consiglio queste fonti: Poynter.org; Grammarist; Oxford Dictionaries; The Economist; Pemberley.com.


2016/06/29 14:40. Il primo ministro britannico uscente, David Cameron, ha usato questa forma in una dichiarazione proprio stamattina, per non specificare se il prossimo primo ministro sarà un uomo o una donna: “...the Cabinet met this morning and agreed the creation of a new EU unit in Whitehall... it will be responsible for ensuring that the new Prime Minister has the best possible advice from the moment of their arrival.”

2016/06/21

Podcast del Disinformatico del 2016/06/17

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di venerdì del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

2016/06/19

È morto Anton Yelchin, Chekov nei reboot di Star Trek

Pubblicazione iniziale: 2016/06/19 21:24. Ultimo aggiornamento: 2016/06/22 13:00.

La notizia è confermata da Reuters, dal Los Angeles Times e da moltissime altre fonti: l’attore Anton Yelchin, che interpretava Pavel Chekov nei film di Star Trek più recenti, è morto oggi a 27 anni, ucciso dalla propria auto.

Secondo le notizie pubblicate poco fa, non si è trattato di un incidente stradale: l’auto si è mossa all'indietro lungo il vialetto di casa in forte pendenza e ha incastrato Yelchin fra una buca delle lettere in muratura e un cancello di sicurezza. È stato trovato morto dagli amici che sono andati a casa sua a cercarlo, verso l’una del mattino, quando non si è presentato per le prove. Il motore era ancora acceso e l'auto era in folle.

L’attore aveva recitato anche in Star Trek Beyond, in uscita a luglio.


2016/06/19 23:40. Fonti interne alla produzione mi segnalano che perlomeno in Canton Ticino l’uscita del film è stata rinviata all’11 agosto. Intanto è emerso che l’auto che ha ucciso Anton Yelcin è una Fiat Chrysler Grand Cherokee del 2015. Può essere solo una coincidenza, ma il modello era stato richiamato da Fiat Chrysler ad aprile scorso in 1,1 milioni di esemplari per problemi di confusione nell’uso del suo cambio automatico che avevano causato o contribuito a 41 ferimenti. La leva del cambio, infatti, non cambia fisicamente posizione a seconda della marcia inserita (c'è solo una spia luminosa che indica la marcia corrente), e quindi molti conducenti sono scesi dall’auto pensando di averla messa in Park quando in realtà era ancora in Drive o in folle o in retromarcia, col risultato che l’auto si muove da sola (Jalopnik; Jalopnik; Gizmodo).


2016/06/22 13:00. Alcune immagini della casa e del luogo dell’incidente sono su NBC Bay AreaTMZ. Dettagli sul cambio automatico della Grand Cherokee, con una prova pratica e una scansione delle istruzioni fornite da Fiat Chrysler dopo il richiamo, sono su Jalopnik.

Se un’auto elettrica finisce in acqua, si rimane folgorati?

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/06/21 14:05.

È una domanda più che sensata: con tutta l’energia elettrica immagazzinata nella batteria, non c’è il rischio di prendere una scossa mortale se si finisce in acqua con un’auto elettrica?

A quanto pare la risposta è no. È uscito un video, girato se ho ben capito in Kazakistan, nel quale una Tesla Model S affronta un sottopassaggio allagato e ne esce senza particolari problemi mentre le auto con motore a scoppio sembrano bloccate. Il titolo del video parla di “swimming”, come se la Tesla fosse diventata un natante, ma penso che sia un’iperbole per sottolineare quanto è alta l’acqua che la circonda e che l’auto non sia arrivata a galleggiare: da come sterza, sembra proprio che abbia ancora una buona presa sulla strada sottostante.


Elon Musk ha segnalato il video commentando semiseriamente (sottolineo il semiseriamente) che “decisamente non lo consigliamo, ma la Model S galleggia abbastanza bene da trasformarla in barca per brevi periodi. La spinta si ha tramite la rotazione delle ruote” e ha aggiunto che ha “ancora intenzione di fare un’auto sportiva sommergibile che possa viaggiare su strada” ma che si tratta “solo di un progetto secondario” che ha “un potenziale di mercato limitato”.

Elektrek ricorda comunque che l'opzione “auto sommergibile di James Bond” nel software delle Tesla è soltanto un easter egg e non una funzione reale.

Anche Nissan ha studiato la questione, come si vede in questo video promozionale della sua Leaf (la cui versione integrale è qui).



HowStuffWorks.com spiega che le grandi batterie delle auto elettriche sono sigillate in un involucro metallico isolato e i singoli elementi che compongono la batteria sono a loro volta sigillati e comunque contengono sostanze chimiche in forma di gel che non fuoriescono violentemente in caso di rottura. Inoltre lo spegnimento dell'auto isola la batteria da tutto il resto del veicolo, per cui è veramente molto difficile, se non impossibile, prendere una scossa da un'auto elettrica immersa in acqua.

A dicembre 2015 una Tesla Model S è finita in una piscina. Delle due persone a bordo, una è sopravvissuta e l'altra è morta in ospedale. L'auto è affondata lentamente e non c'è stata alcuna segnalazione di folgorazioni.

Un'auto elettrica THINK City è stata immersa completamente in acqua salata mentre era accesa ed ha superato la prova senza folgorazioni.

Tutto questo non vuol dire, beninteso, che sia prudente attraversare un tratto di strada allagato: l'acqua potrebbe essere molto più profonda di quel che si pensa, col rischio di rimanere bloccati e quindi di perdere l'auto o, peggio ancora, restare intrappolati e annegare. Inoltre i soccorritori devono imparare a gestire le auto elettriche in caso di incidente non sommerso; ma questa è un'altra storia.

Nuovo aggiornamento dell’Almanacco dello Spazio

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Festeggio il quarto volo suborbitale del razzo New Shepard di Blue Origin, avvenuto oggi, pubblicando l’aggiornamento del mio e-book Almanacco dello Spazio (in formato EPUB e MOBI), che raccoglie per data gli eventi avvenuti nella storia dell’astronautica.

Con questa edizione, scaricabile come sempre gratuitamente e sostenuta dalle donazioni, ho coperto quasi tutti i principali avvenimenti spaziali di gennaio, febbraio, marzo, aprile, novembre e dicembre. Il libro finito dovrebbe essere pronto per fine anno.

Se siete fra i suoi revisori, concentratevi sulle voci di aprile e su quelle asteriscate nel resto del testo: l'asterisco indica infatti le voci aggiunte o modificate in tutto il testo. Se notate errori, refusi o lacune, ditemelo: le istruzioni sono nel libro.

Buona lettura a tutti!

2016/06/17

Marte a 17.000x6000 pixel

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Cliccate pure sull’immagine e godetevela ingrandita. Poi, se vi serve uno sfondo per il vostro computer (o per la vostra parete), scaricate l’originale. E perdetevi sulle colline e le valli di Marte: siete nella Marathon Valley, vista attraverso gli occhi del veicolo robotico Opportunity. Con le notizie che arrivano dalla Terra, ogni tanto ci vuole uno sguardo verso orizzonti più puri.

Controlli parentali, consigli per genitori: prima parte

Ricevo spessissimo domande su come proteggere i minori durante la navigazione in Rete e l’uso dei dispositivi digitali, per cui inizio oggi una serie di articoli sull’argomento.

Prima di tutto, non esiste un gadget magico che risolve il problema. Gran parte della protezione arriva da una serie di comportamenti dei genitori. Un articolo pubblicato su The Atlantic divide i genitori in tre categorie: i permissivi, che mettono poche restrizioni sull’uso delle tecnologie digitali; i restrittivi, che cercano concretamente di limitare questo uso; e i mentori, che partecipano attivamente all’uso.

Stando ai risultati ottenuti, conviene essere mentori: i genitori restrittivi hanno il triplo del rischio di trovarsi di fronte a un minore che usa l’identità di un compagno di scuola o di un adulto per eludere le restrizioni.

La società di sicurezza informatica F-Secure ha pubblicato un vademecum molto interessante che è una buona base da ripassare prima di prendere in considerazione misure di tipo tecnologico.

Per esempio, consiglia di insegnare ai bambini l’uso responsabile delle tecnologie, mostrando come scegliere password robuste e usare un gestore di password, come impostare gli account nei social network in modo che non mostrino informazioni private agli sconosciuti. In particolare è importante chiarire che i tutorial che trovano online e che sono sempre più spesso la principale fonte d’istruzione sono solitamente superficiali e concepiti per far entrare rapidamente nel social network ma non per farlo in modo sicuro.

Un altro consiglio è dare il buon esempio: se usate password pessime, passate tanto tempo a fissare lo schermo del vostro smartphone o non fate mai attività all’aperto, lontano dai dispositivi digitali, è difficile pretendere che i vostri figli faranno diversamente. Non basta dire quali sono le regole: occorre dimostrare che le regole funzionano, facendo lo sforzo di seguirle personalmente.

Non va dimenticato, poi, che i dispositivi digitali non sono delle babysitter, non vanno usati come strumenti per tenerli tranquilli e non sostituiscono le altre cose di cui ha bisogno una persona che cresce.

Le regole della vita offline valgono anche online: il mondo sarà anche cambiato, ma la maggior parte delle buone raccomandazioni che un genitore di oggi ha ricevuto dai suoi genitori restano valide oggi e anche in Rete: per esempio, non parlare agli sconosciuti, non visitare posti pericolosi senza essere accompagnati, non litigare e non insultare facendo i bulli sono consigli che funzionano sempre.

Infine un mito da smontare: il “mondo virtuale” non esiste. Quello che si fa in Rete è reale, ha effetti concreti e tocca persone tutt’altro che virtuali.

Antibufala: Zuckerberg compra casa a Milano!

È approdata su molti giornali e siti d’informazione la notizia dell’acquisto, da parte di Mark Zuckerberg, boss di Facebook, di un mega-attico nel centro di Milano.

Non mancano i dettagli: 21 milioni di dollari, due attici uniti per formare l’abitazione da 800 metri quadri complessivi, con “un salone da 300 mq e una cameretta per la figlia da 150 mq”, una sala cinema privata e una piscina da 50 metri. La casa sarebbe centralissima, addirittura nel “quadrilatero della moda” del capoluogo lombardo.

Ma la fonte originale è, secondo le indagini di Bufale un tanto al chilo, il sito di gossip Novella 2000, che ne ha parlato il 13 giugno scorso; a sua volta, questo sito cita come unica fonte Alessandro Proto, CEO della Proto Group Ltd, descritta come “società specializzata nella vendita di immobili a divi di Hollywood e calciatori di fama mondiale”. La società, dice Proto secondo Novella 2000, avrebbe anche venduto a Zuckerberg “un castello in Piemonte” e “un attico in centro a Robert Downey Jr”.

Ma secondo i fatti raccolti dal giornalista di Repubblica Riccardo Staglianò, il signor Proto sarebbe in realtà “uno dei più grandi illusionisti della storia recente”, abituato a fare annunci che hanno ben poco a che fare con la realtà e molto a che fare con l’autopromozione e coinvolto anche in questioni giudiziarie piuttosto gravi, sia in Italia, sia in Canton Ticino.

Le sue numerose prodezze mediatiche sono documentate dal Fatto Quotidiano, da Ticino News, dall’Espresso e da molti altri siti d’informazione. Addirittura, dice Nerve, Proto ha dichiarato di essere l’ispirazione per il personaggio di Christian Grey in Cinquanta sfumature di grigio.

Di conferme di quello che dice Proto, finora, manco l’ombra: per cui è prudente, specialmente per i giornalisti, considerare qualunque sua affermazione come bufala autopromozionale fino a prova contraria, in modo da non diventare megafoni involontari di un personaggio che indubbiamente sa usare il marketing virale per apparire nei media.

Facebook traccerà gli utenti quando entreranno nei negozi degli inserzionisti

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/06/17 14:30.

Se avevate ancora qualche dubbio sul fatto che chi usa i social network non è un cliente ma è un prodotto da vendere, un recente annuncio di Facebook dovrebbe togliervelo.

Facebook ha infatti annunciato che userà la geolocalizzazione, fornita dallo smartphone dell’utente tramite il GPS integrato e la scansione automatica delle reti Wi-Fi vicine, e la abbinerà alle pubblicità viste, allo scopo di informare i rivenditori su quanti utenti vedono la loro pubblicità su Facebook e poi vanno nei loro negozi.

Sarà inoltre possibile sapere quanti di questi utenti effettuano anche un acquisto. Gli utenti, in cambio, avranno il vantaggio di essere avvisati dell’ubicazione del negozio più vicino nel quale è disponibile il prodotto reclamizzato.

Facebook non è l’unica o la prima a offrire un servizio del genere: Google lo fa già con AdWords dal 2014, secondo Sophos. Va detto anche che l’utente non sarà identificato personalmente, perché i dati verranno raccolti in forma aggregata.

Se comunque questo genere di tracciamento vi inquieta, disattivate i servizi di localizzazione: se avete un iPhone o uno smartphone Android che usa la versione 6.0 o successiva di Android, potete farlo selettivamente per l’app di Facebook.

Per l’iPhone, andate in Impostazioni – Privacy – Localizzazione – Facebook e scegliete Mai. Fatelo anche per Messenger, Instagram e WhatsApp, che fanno parte della famiglia di Facebook.

Per gli Android 6.0 o successivi, andate in Impostazioni – Geolocalizzazione – Facebook – Autorizzazioni e disattivate Posizione. Questo è il percorso sul mio Nexus 5x; altri modelli, mi segnalano nei commenti, ne propongono differenti. Per esempio, provate Impostazioni – Generali – Gestione Telefono – Applicazioni – Facebook – Autorizzazioni e disattivate La tua posizione. In alternativa, provate Impostazioni – Applicazioni – Gestione Applicazioni – Facebook – Autorizzazioni e disattivate la voce Posizione. Ripetete la procedura per Messenger, Instagram e WhatsApp. Per gli Android precedenti è disponibile soltanto la disabilitazione generale della geolocalizzazione, spegnendo GPS e Wi-Fi.

Donna viene imbrogliata da truffa sentimentale online, ma in carcere ci finisce lei

Sharon Armstrong, una donna neozelandese, ha frequentato un sito d’incontri e vi ha trovato quella che sembrava essere l’anima gemella. “Parlava del nostro futuro insieme. C’erano telefonate, mail e messaggini quotidiani”, ha raccontato la signora a un simposio sulle truffe online.

Dopo vari mesi di corteggiamento senza mai incontrarsi di persona e senza mai vedersi faccia a faccia in chat (c’era sempre qualche problema o qualche scusa), dall’uomo è arrivato un invito insolito per chi sospetta la classica truffa sentimentale dove il criminale chiede denaro alla vittima: ha proposto alla donna di volare a Buenos Aires per prendere dei documenti e portarli a lui a Londra. L’invito era accompagnato da un biglietto aereo regolarmente pagato. La signora ha cercato online l’azienda presso la quale doveva recarsi per ritirare i documenti e ha visto che era tutto regolare, e così ha preso l’aereo.

Al suo arrivo la signora Armstrong ha trovato presso l’albergo una valigia, che però era vuota. Ha chiesto chiarimenti al suo corrispondente, che le ha spiegato che si trattava di un contratto molto riservato che era stato messo nella fodera della valigia, ma che lei poteva esaminarlo se voleva. La signora si è fidata.

All’aeroporto la donna è stata fermata ai controllo: nascosti nella valigia c’erano tre pacchetti di cocaina. La signora Armstrong è stata arrestata e ha trascorso in carcere in Argentina due anni e mezzo.

Oggi la signora racconta la propria storia nella speranza di mettere in guardia altre possibili vittime e ha un consiglio molto semplice: “Se qualcosa ti sembra troppo bello per essere vero, probabilmente non è vero. Se stai parlando online con qualcuno che non hai mai visto in volto e che ti chiede soldi o di fare un viaggio, non farlo”.