Jonny Greenwood, uno dei membri della band, ha tweetato che si è trattato di un “hackeraggio”, usando proprio la frase “We got hacked last week”, ma in realtà l’hacking non c’entra: Greenwood stesso ha chiarito subito dopo, nello stesso messaggio, che si è trattato di un furto tradizionale. “Qualcuno ha rubato l’archivio di minidisk [sic] di Thom [Yorke] risalente ai tempi di OK Computer e pare che abbia chiesto 150.000 dollari, minacciando di disseminarlo” (“someone stole Thom’s minidisk archive from around the time of Ok Computer and reportedly demanded $150,000 on threat of releasing it”).
— Jonny Greenwood (@JnnyG) June 11, 2019
Anche Thom Yorke ha parlato di “hackeraggio” (“we’ve been hacked”) nel suo annuncio della geniale risposta della band alla situazione: invece di cedere al ricatto, i Radiohead hanno stroncato sul nascere le possibilità di guadagno del ladro. Hanno infatti messo in vendita online su Bandcamp a prezzo simbolico (18 sterline, circa 23 franchi o 21 euro) una copia dei file audio presenti sui diciotto Minidisc rubati, devolvendo i ricavi al movimento ambientalista internazionale Extinction Rebellion. L’offerta è valida solo per un periodo limitato (18 giorni).
Un gruppo di fan, inoltre, ha pubblicato su Google Docs una ricostruzione degli eventi secondo la quale non ci sarebbe stata alcuna richiesta di riscatto. In realtà il ladro, o un suo complice, avrebbero messo in vendita i file rubati, chiedendo 500 dollari per ogni traccia e 50 dollari per ogni versione live, per cui il costo stimato per acquistare il contenuto di tutti e 18 i Minidisc si sarebbe aggirato sui 150.000 dollari.
In altre parole, l’hacking vero e proprio non c’entra, contrariamente a quanto riportano molti testate e persino la stessa band; ma l’informatica c’entra eccome, perché la reazione rapidissima dei Radiohead al furto delle registrazioni è stata possibile soltanto grazie a Internet.
Fonti aggiuntive: Graham Cluley, The Verge, Naked Security, NME.
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