È una
notizia che non mancherà di far discutere: uno studio del Centro
Comune di Ricerca della Commissione Europea indica che “la
pirateria musicale digitale non dovrebbe essere vista come un
problema crescente per i titolari di diritti d’autore”.
Lo studio,
pubblicato come documento
piuttosto corposo (una quarantina di pagine),
afferma inoltre che “i nuovi canali di consumo
musicale, come lo streaming online, hanno un effetto positivo sui
titolari di diritti d’autore”
e che “nonostante vi sia una violazione dei diritti
di proprietà (copyright), è improbabile che gli introiti derivanti
dalla musica digitale ne risentano molto”.
Al tempo
stesso, però, i ricercatori ammoniscono che il mercato sta cambiando
e nel passaggio dalla vendita di supporti fisici a quella di file
audio scaricabili “gli effetti della pirateria
sugli introiti complessivi dell’industria musicale potrebbero anche
essere negativi”.
Secondo
questa ricerca non ci sarebbe, insomma, quella certezza scientifica
del danno che molti esponenti del settore musicale hanno dichiarato
più volte in passato.
La ricerca si
basa sull'analisi del comportamento di alcune migliaia di utenti
suddivisi fra Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito e
rivela forti differenze tra i vari paesi. Rispetto ai tedeschi, gli
spagnoli cliccano il 230% in più sui siti di scaricamento illegale,
gli italiani il 134%, i francesi il 35% e i britannici il 43%. La
Francia è prima nello streaming, con il 150% in più rispetto alla
Germania, che è superata dalla Spagna con un buon 20%, mentre
l'Italia ha un 25% in meno.
Secondo gli
autori, una delle cause di queste differenze è la disponibilità o
meno di un'alternativa legale per l'acquisto. La ricerca nota inoltre
che se da un lato gli introiti musicali sono diminuiti regolarmente
ogni anno dal 1999, i dati globali per il 2012 rivelano il primo
aumento da 14 anni a questa parte: solo uno 0,3%, ma pur sempre
un'inversione di tendenza, per un ammontare di 16,5 milioni di
dollari.
L'IFPI
(federazione internazionale delle industrie fonografiche), che è la
fonte di queste cifre, ha risposto
ai risultati della ricerca definendola fra l'altro "difettosa,
ingannevole e scollegata dalla realtà commerciale"
e proponendo una dettagliata controanalisi.
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