Cerca nel blog

2018/08/02

Avventurette in auto elettrica: trucchi per un viaggio “lungo”, con carico extra e arrampicata

Ultimo aggiornamento: 2018/08/13 17:50.

Come molti di voi sanno, da qualche mese ho una piccola auto elettrica di seconda mano, una Peugeot iOn del 2011, che uso con molto piacere per tutti gli spostamenti in città e a corto raggio, dove posso usare aria condizionata o riscaldamento a volontà e accelerare senza ritegno (stando nei limiti di velocità). È assolutamente una city car, ma ogni tanto mi diverto a portarla ai limiti delle sue prestazioni.

Stavolta la sfida sarà fare nei prossimi giorni, con un’auto che ha circa 90 km di autonomia reale, un tragitto di 150 km fra andata e ritorno, con due persone (io e la Dama del Maniero), 50 chili di carico a bordo all’andata e una salita fino a quota 1200 metri per arrivare alla destinazione, dove oltretutto non c’è nessuna presa elettrica utilizzabile: è un rustico alimentato da un piccolo pannello fotovoltaico da 250 W dove la Dama e io staremo per la giornata con degli amici. Sì, persino io riesco ogni tanto ad andare offline e off-grid.

Potremmo farlo agevolmente con la nostra auto a benzina, ma perché inquinare e rinunciare a una piccola avventura? Oltretutto, visto che la destinazione è in mezzo al verde (sui Monti di Tizzerascia, se volete saperlo), arrivarci senza puzze e rumori ci starebbe bene.

Oltre al silenzio di marcia e alla riduzione dell’inquinamento, vale la pena di considerare anche i costi, sui quali tornerò in dettaglio in un prossimo articolo: se facessi questo viaggio a benzina (con la mia Opel Mokka), spenderei circa 16,5 franchi di carburante; facendolo in auto elettrica, spenderò 2,3 CHF per il “pieno” fatto al Maniero prima di partire (tariffa notturna) più qualche franco per le due o tre ricariche fatte in viaggio. Se avessi un’elettrica a lunga autonomia, spenderei in tutto 4,4 franchi, perché non dovrei caricare alle colonnine e mi basterebbe il “pieno” fatto alle tariffe domestiche: spenderei insomma circa un quarto di quello che mi costerebbe andarci a benzina.

E poi devo ammettere che per me la pianificazione di queste avventurette fa parte del divertimento elettrico: è come pensare a un viaggio in aereo di linea, confortevole ed efficiente ma noioso, e poi dirsi “Certo che farlo in aliante sarebbe più divertente...” e sorridere. Questione di gusti: se non fa per voi, non leggete oltre.

---

Siete ancora qui? Bene. Allora vi racconto il problema di questa sfida: non è arrivare a destinazione, ma tornare al Maniero Digitale.

So per esperienza che ELSA, la mia auto elettrica, è in grado di coprire quei 75 km di andata nonostante la salita del Monte Ceneri a metà strada, il carico extra e l’arrampicata finale di circa 1000 metri (il fondovalle è a circa 200 m di altitudine), e ormai non mi angoscia più neanche fare viaggi con margini di 15 km di autonomia stimata.

Fra l’altro, ELSA ha un piccolo margine di autonomia di emergenza, circa 10 km in “modalità tartaruga”, che ho dovuto usare una sola volta in tutti questi mesi; sul cruscotto si accende proprio un’icona a forma di tartaruga, che si intravede nella foto qui sotto.

In basso verso destra, l’icona circolare gialla
della “modalità tartaruga”. Fonte: KiwiEV.com.


Al ritorno la Dama e io saremo in discesa e quindi la frenata elettromagnetica caricherà un po’ la batteria di ELSA, ma non so quanto: scoprirlo è uno dei motivi di quest’avventuretta. Di certo non la caricherà a sufficienza da fare 75 km fino al Maniero, e oltretutto la salita la scaricherà maggiormente.

Soluzione: fare una ricarica rapida durante l’andata, per arrivare a destinazione con più autonomia residua, e una al ritorno. Lungo il percorso d’andata, sull’autostrada A2, c’è una colonnina GOFAST con connettore CHAdeMO (quello usato da ELSA per le ricariche rapide). Sta a 32 km dal Maniero e la potrò prenotare, per cui ci potrò arrivare comodamente e fermarmici per fare un rabbocco di circa un quarto d’ora (ammazzerò il tempo moderando i commenti del blog e facendo un po’ di lavoro; offline, ma solo fino a un certo punto).

Però questa carica rapida porterà la batteria all’80%, non al “pieno”. Infatti le auto elettriche sono come i bicchieri di vino: puoi riempirli rapidamente all’inizio, ma se vuoi colmarli devi versare molto lentamente verso la fine. Questo significa che avremo, a questo punto, circa 72 km di autonomia. Per arrivare a destinazione al rustico ci resteranno 43 km: ci arriveremo quindi comodamente, con circa 29 km di autonomia residua (probabilmente qualcosina meno per via del dislivello).

Quei 29 km di autonomia, però, non ci basteranno per andare dal rustico alla colonnina rapida GOFAST che c’è sulla via del ritorno e fare 20 minuti di ricarica per poi tornare a casa. La colonnina, infatti, sta a 39 km di distanza. Dieci di troppo. Certo, la discesa ci darà un pochino di autonomia in più, ma è improbabile che ci dia ben 10 km aggiuntivi, che sono circa 2 kWh, e comunque la salita ce ne toglierà.

Secondo i calcoli mandatimi dai lettori (grazie, Fx e Paolo Perotti) dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, la formula da usare per salite e discese è questa:

energia potenziale in joule = massa di ELSA e occupanti in kg (circa 1400 kg) x dislivello in m (1000) x accelerazione di gravità (9,81)

ossia, convertendo i joule, circa 3,85 kWh, di cui probabilmente ELSA recupererà circa la metà, e a ELSA ne servono grosso modo 2.

Devo insomma cercare di andare dalla colonnina di ricarica al rifugio e ritorno consumando il meno possibile, in modo da allungare l’autonomia di circa 10 chilometri. Oppure attingere alla “modalità tartaruga”. È un bel rischio, ma se funziona, questo è il Piano A. Dubito che funzionerà (però almeno adesso so quanta energia consumerò salendo). Per questo c’è un Piano B.

Parentesi per gli elettroscettici: sottolineo che questo non è il modo normale di usare un’auto elettrica. Sono io che la sto spingendo al limite e forse anche un po’ oltre. Normalmente, se si ha un’elettrica con autonomia adeguata, non ci si fa nessuno di questi problemi, perché l’autonomia basta e avanza per tutto il viaggio o per raggiungere comodamente un punto di ricarica veloce e fare tappa.

Il Piano B prevede che se vediamo che l’autonomia ottenuta dalla discesa non ci basta per arrivare alla colonnina rapida, possiamo fermarci alla colonnina di ricarica lenta Emotì di Malvaglia, che sta a 15 km dal rustico lungo la via del ritorno, fare il punto della situazione e se necessario fare un piccolo ma lentissimo rabbocco che ci consenta di raggiungere la colonnina rapida. La lentezza non è colpa della colonnina; è ELSA che carica lentamente, a circa 15 km/h (ossia 15 km di autonomia per ogni ora di carica), sul connettore Tipo 1, l’unico offerto dalla colonnina Emotì che sia compatibile con ELSA. Un’altra sosta è una scocciatura, ma è sempre meglio che restare a piedi.

C’è anche un Piano C, perché bisogna sempre avere un piano B e magari anche un piano C, quando si va in auto elettrica, finché l’autonomia sarà modesta rispetto al tragitto e le colonnine di ricarica rapida saranno così rade. Se per caso la colonnina di ricarica rapida all’andata è guasta, occupata o irraggiungibile per qualunque motivo, il Piano C consiste nell’andare direttamente da casa fino alla colonnina lenta di Malvaglia (60 km), lasciare l‘auto sotto carica per circa 4 ore (meno del tempo che trascorreremo al rustico) e farci venire a prendere e riportare dagli amici che stanno già alla destinazione. Con il “pieno”, poi, torneremmo direttamente a casa. Non è un granché, ma eviterebbe completamente le due soste intermedie (40 minuti in tutto).

In realtà ho anche un Piano D: all’andata, fermarmi alla colonnina rapida e caricare oltre l’80%, in modo da avere autonomia sufficiente per arrivare a destinazione e tornare alla colonnina rapida. Ma sarebbe un procedimento lungo, proprio perché la parte finale (l’ultimo 20% circa) della carica di una batteria è lenta anche sulle colonnine veloci. Un dato importante, valido per qualunque modello di auto elettrica, da tenere presente quando si pianifica un viaggio lungo.

---

Insomma, portare una mini-auto elettrica oltre i limiti del suo normale utilizzo cittadino non è facile e ci vuole un certo spirito d’avventura. Ma ho tre, forse quattro trucchi a mia disposizione per aumentare l’autonomia: contenere la velocità, verificare la pressione delle gomme, migliorare l’aerodinamica e “hackerare” ELSA.


Velocità


Ridurre anche leggermente la velocità ha effetti notevolissimi sul consumo di energia: in un‘auto a pistoni la differenza si nota poco, ma quando si ha poca autonomia, come nel mio caso, si nota tantissimo. La resistenza aerodinamica, infatti, aumenta con il quadrato della velocità, quindi anche 10 km/h di velocità in meno possono fare molta differenza sui consumi e sorprendentemente poca sui tempi di percorrenza.

Per esempio, una Tesla Model S 85 ha un’autonomia di 640 km a 60 km/h, di 482 km a 90 km/h e di 370 km a 120 km/h (presumendo, ipoteticamente, una velocità costante).



Allo stesso tempo, per fare 100 km a 100 km/h di media ci vuole ovviamente un’ora, ma per farli a 90 km/h ci vogliono solo sette minuti in più. 100 km a 130 km/h sono 46 minuti; a 120 sono 50 minuti (4 in più, il tempo di una canzone alla radio).

Questo significa, per esempio, che un conducente Tesla che deve fare 400 km può:

a) percorrere i primi 370 a 120 km/h, mettendoci 185 minuti, per poi doversi fermare qualche decina di minuti per caricare e poi coprire gli ultimi 30 km in 15 minuti andando a 120 km/h: totale 200 minuti di guida più il tempo della ricarica.

b) percorrere tutti e 400 i km a 105 km/h senza ricaricare, mettendoci 230 minuti.

Se la sosta di ricarica del caso a) dura più di 30 minuti, insomma, chi corre più veloce arriva più tardi.

Come regola generale, insomma, è piuttosto stupido correre per poi doversi fermare decine di minuti a caricare. Farò quindi l’esperimento di viaggiare al massimo a 100 km/h anche dove il limite sarebbe di 120 km/h.

Morale della storia: superare il limite di velocità di 10 km/h “per arrivare prima e rischiare la multa ma non troppo”, come fanno in tanti, non ha nessun senso, e questo vale sia per le auto elettriche, sia per quelle a pistoni. Usare un’elettrica fa risaltare cose come questa, e guidare auto elettriche è un’arte che combina fisica e matematica, come navigare a vela: o piace, o è meglio prendersi un motoscafo.


Pressione


La pressione ottimale delle gomme è importantissima in un’auto che deve consumare poco (elettrica o a pistoni che sia): la resistenza al rotolamento prodotta dagli pneumatici incide parecchio sull’autonomia, e questa resistenza aumenta al diminuire della rigidità dello pneumatico. Questa rigidità, a parità di pneumatico, diminuisce al diminuire della pressione. In altre parole, gomme sgonfie consumano di più.

Partire dopo aver controllato che le gomme non siano sgonfie è quindi una buona regola anche per questioni di risparmio energetico oltre che di sicurezza (Pirelli; Nokian; EVObsession).

Probabilmente potrei guadagnare un po‘ di autonomia comprando pneumatici a bassa resistenza di rotolamento, ma rinvierò quest’esperimento al prossimo cambio di treno gomme.


Aerodinamica


ELSA non è un capolavoro di aerodinamica; del resto, è pensata per l’uso cittadino, nel quale le velocità sono modeste e quindi l’aerodinamica è poco importante. Ma se c’è da fare un viaggio a velocità sostenuta come quello che sto descrivendo, anche l’efficienza nel fendere l’aria può contribuire ad aumentare l’autonomia.

Ci sono piccoli miglioramenti aerodinamici molto facili da mettere in pratica, come togliere l’antenna radio (tanto non useremo la radio, ma ascolteremo musica su una chiavetta USB). Farà probabilmente pochissima differenza, ma se non ci serve ed è facile toglierla e rimetterla, tanto vale provarci.

Ci sono anche altre modifiche aerodinamiche più impegnative, che emergono se si esplora il mondo dei modder di automobili elettriche (o ecomodder), che si sono dedicati parecchio a quest’auto: i cerchi lenticolari (salt flat disc, moon disc o moon hubcap) e le carenature (wheel skirt o fender skirt) per i vani delle ruote posteriori. Le superfici irregolari dei cerchioni e dei vani delle ruote sono una delle principali fonti di turbolenza in qualunque auto, e la turbolenza aumenta i consumi.

I modder propongono vari modi per carenare facilmente le ruote posteriori (quelle anteriori, sterzando, sporgono e quindi sono difficili da carenare): nastro adesivo telato, pannelli rimovibili e altri accrocchi esteticamente discutibili e probabilmente pericolosi in caso di distacco. Credo che eviterò.

I cerchioni lenticolari, invece, sembrano più fattibili: non si pone il problema della ventilazione inadeguata dei freni perché, a differenza delle auto a pistoni, la frenata sulle auto elettriche è quasi sempre elettromagnetica e usa poco i freni tradizionali. Ce ne sono parecchi in vendita su Amazon (uno; due; tre), ma ci sono anche le soluzioni eccentriche come le teglie per pizza agganciate ai cerchioni e i teli elasticizzati calzati sopra i cerchioni standard. Ê come il modding per computer, solo che è su ruote.

Fonte: MyiMiev.com.


Sulla Tesla Model 3, i (copri)cerchioni quasi lenticolari forniti di serie fanno una differenza notevole (circa il 4% di autonomia in più).

Ma anche questa è per me una tecnica difficile da adottare, perché ELSA ha i cerchi in lega, senza un bordo di innesto per copricerchioni. Dovrei procurarmi dei cerchi in ferro, montarvi le gomme e poi comprare dei copricerchioni lenticolari e installarli. Magari un’altra volta.

Ci sarebbe anche un altro trucco aerodinamico: sfruttare la scia di un altro veicolo, per esempio un autobus o un camion. Anche mantenendo la distanza di sicurezza, un veicolo largo crea comunque dietro di sé una scia notevole che riduce l’energia usata per fendere l’aria da parte di un veicolo che sta in scia.

L’effetto è misurabile, ma prendere un’auto elettrica per poi mettersi in coda a un camion o autobus puzzolente e inquinante mi sembra un controsenso totale, per cui non intendiamo usare quest’approccio. Quando arriveranno i camion elettrici, però...


Hackerare?


Per “hackerare” intendo “sbloccare le due modalità nascoste di frenata rigenerativa”.

La frenata rigenerativa è la caratteristica delle auto elettriche o ibride che consente di usare il “freno motore” (ossia il motore diventa una sorta di dinamo) per ricaricare la batteria mentre si viaggia, invece di frenare con i freni tradizionali e buttar via energia cinetica e polveri fini di pastiglie (inquinanti).

ELSA è una Peugeot iOn, che come la Citroen C-Zero è una Mitsubishi i-Miev rimarchiata, con interni differenti e -- sentite questa -- con una semplice mascherina di plastica che blocca la corsa del selettore (la “leva del cambio”) in modo che non possano essere selezionate le modalità B e C di frenata rigenerativa, come spiegato nel video mostrato qui sotto da 1:49 in poi, in questo articolo (copia su Archive.is), in quest’altro e in queste foto.


Per i nostalgici dell’informatica, è come se scopriste che il vostro PC ha un selettore Turbo, ma è coperto da un tappo di plastica incollato.

Esiste anche un metodo che agisce sui cablaggi, ma non mi pare opportuno.

Perché Peugeot e Citroen hanno fatto questa scelta? Secondo un articolo del 2010, trovato da motogio dopo la pubblicazione iniziale di questo mio articolo, l’hanno fatta per proporre una guida semplificata ai clienti europei: “"Nous tenions à simplifier l'interface homme-machine", explique Philippe Barriac, en charge du projet iOn depuis son origine. "La sélection du bon rapport en fonction de l'allure et de la pente ne dérange pas le client japonais. Point tant son homologue européen. Ainsi avec la iOn, quel que soit le profil de la route, c'est la boîte et le calculateur qui sélectionnent le bon taux de récupération de l'énergie cinétique. On ne peut faire plus simple"”.

Sostituendo semplicemente la mascherina con la versione Mitsubishi (part number 2420A081XB) e facendo un pochino di, ehm, chirurgia plastica, le due modalità tornano disponibili anche sulla iOn.

La modalità B offre il recupero energetico massimo ed è quindi ottimale per le discese, mentre la modalità C ne offre uno ridotto rispetto a quello predefinito (che è il D) e quindi è ideale per i percorsi a velocità costante, dove l’intervento della frenata rigenerante a ogni minimo rilascio dell’acceleratore ridurrebbe l’autonomia rispetto alla semplice inerzia (coasting). Se avrò tempo prima di questo viaggetto, proverò anche questa modifica, in modo da massimizzare il recupero di carica su quel dislivello di mille metri e ridurre la scarica durante il viaggio autostradale.

2018/08/09 19:50. Funziona! Ho sbloccato le modalità nascoste di ELSA.

2018/08/10 9:40. Ecco un paio di foto al volo.





È importante notare che su queste auto (iOn/Miev/C-Zero) le luci di stop non si accendono quando si usa la frenata rigenerativa, per cui potrebbe essere sconsigliabile usare la modalità B (frenata rigenerativa drastica) se si ha dietro un’altra auto che segue da vicino: potrebbe non accorgersi che state rallentando e quindi tamponarvi. In questo caso, una leggera pressione sul pedale del freno fa accendere gli stop.

---

Funzionerà tutto questo? Resteremo appiedati a metà salita o fra una colonnina e l’altra? Lo saprete nella prossima puntata.


Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

Nessun commento: