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2018/08/18

Lettera aperta di un complottista convertito dal debunking

Ultimo aggiornamento: 2018/08/20 13.55.

Nel numero di settembre della rivista bimestrale Spazio Magazine c’è una bella lettera aperta che il direttore della rivista, l’amico Luigi Pizzimenti, ha ricevuto da un ex complottista. È anche una bella risposta a quelli che dicono che il debunking non serve a niente, “fa più danni che altro” e non fa cambiare idea a nessuno. La pubblico qui sotto integralmente.

Sono passati 49 anni da quando l'uomo ha messo piede per la prima volta sulla Luna, da quel piccolo passo del lontano 20 luglio 1969, fino all'ultima missione Apolo 17 del 1972, solo 12 uomini hanno avuto l'opportunità di camminare sul nostro satellite, e ancora oggi c'è chi stenta a credere che ciò sia successo davvero.

Per lo più si tratta di ragazzi, troppo giovani per aver vissuto in prima persona gli anni d'oro dell'esplorazione spaziale e poco esperti dunque sull'argomento; persone che acquisiscono le loro conoscenze tramite video su YouTube, realizzati talvolta da altre persone prive di qualunque titolo ed esperienza in materia di ingegneria aerospaziale.

Fino a qualche anno fa, anche io ero uno di questi; non solo negavo a prescindere gli sbarchi lunari, ma mi battevo in prima persona per dimostrare la messa in scena.

Nel 2012 pubblicai un video su YouTube dal titolo “L'uomo che non andò mai sulla Luna”, e fu subito un successo, che neanche io mi aspettavo, migliaia di visualizzazioni e centinaia di commenti per la maggior parte a favore del complotto.

In questo video proponevo un esperimento: dopo essermi costruito a mano un modello di un astronauta, cercavo di riprodurre in un piccolo set le foto più famose delle missioni Apollo, ottenendo risultati anche abbastanza soddisfacenti, portando quindi le “prove” del fatto che se potevo replicare quelle fotografie io, con quel poco che avevo a disposizione, chissà che cosa avrebbe potuto fare la NASA con tutti quei miliardi di dollari di budget che possiede.

Ancora oggi per me riguardare quel video (non più disponibile su YouTube) fa un certo effetto, ma c'era solo una cosa che non mi convinceva del tutto.

Col passare del tempo, crescendo, la mia passione per lo spazio e in particolare per le missioni lunari si era fatta sempre più forte, e non riuscivo a capire come mai fra tutti gli scienziati che ammiravo non ce ne fosse nemmeno uno che sospettasse neanche un pochino che lo sbarco sulla Luna non fosse mai avvenuto. Tutti pagati? E da chi? E che dire dunque di tutti quegli astronauti non soltanto della NASA, ma di tutte le agenzie spaziali del mondo così sicuri del fatto che siamo realmente stati sulla Luna? Dopotutto, chi ero io per sostenere che si sbagliassero?

Decisi che era arrivato il momento di approfondire seriamente la questione.

Iniziai ad informarmi solo tramite fonti autorevoli, cercando di mettere da parte per un attimo le idee complottiste che giravano per la mia mente e mi si aprì letteralmente un mondo.

Purtroppo la maggior parte delle persone, non soltanto complottisti, è abituata a vedere gli sbarchi sulla Luna come un insieme di quattro o cinque fotografie famose e qualche spezzone di video, niente più.

E' normale dunque, se ci si limita a questo, porsi qualche dubbio.

Io sono sempre stato abbastanza dubbioso ad esempio, ma ero così dubbioso da arrivare a mettere in dubbio anche i miei stessi dubbi, e se non fosse per il mio innato scetticismo, oggi probabilmente non sarei qui a raccontarvi la mia storia.

Oggi ho 23 anni e di cose ne sono cambiate parecchie da quando ne avevo 15 o 16; nel frattempo sono diventato socio del CICAP, associazione che mi ha dato la possibilità di conoscere scienziati e di parlare con chi le missioni Apollo le ha vissute direttamente, come Piero Angela, fondatore del CICAP, che all'epoca si trovava proprio negli Stati Uniti per seguire in prima persona le missioni Apollo 7, 8, 9, 10, 11 e 12 o Paolo Attivissimo, che sui complotti lunari ha scritto un libro dal titolo “Luna? Sì, ci siamo andati” che vi consiglio vivamente di leggere, dato che è probabilmente il libro che più di qualunque altro, mi ha aperto la mente sugli sbarchi lunari, mostrando prove tecniche, scientifiche, fotografiche e smontando una ad una le tesi di complotto, che è quello che cerco di fare anche io oggi, ogni volta che mi capita di parlare con qualche “lunacomplottista” per citare Attivissimo.

Non siamo andati sulla Luna per scattare qualche foto o per girare qualche breve filmato, basta pensare che solo le foto scattate dalla missione Apollo 11 sono più di 1400, semplicemente le poche fotografie che tutti conoscono sono quelle venute meglio e per questo pubblicate, ma comunque l'archivio con tutte le foto e i video originali della missione è sempre stato disponibile a chiunque ne facesse richiesta.

Le missioni lunari hanno rappresentato con molta probabilità, l'unica cosa buona che l'umanità abbia fatto nel secolo scorso, e forse l'unico motivo per cui valga davvero la pena di ricordare il '900, secolo che ha visto due guerre mondiali nel giro di pochissimi anni di distanza l'una dall'altra.

Direi che per i complottisti è ora di smetterla di vivere sulle spalle di chi ha fatto la storia rischiando la vita, e di chi la vita l'ha persa nel tentativo di raggiungere quell'obbiettivo così lontano che ancora oggi ci sembra irraggiungibile, quella Luna che tutti possiamo ammirare e contemplare ogni sera, con la consapevolezza che là da qualche parte le impronte degli astronauti che vi hanno camminato sono rimaste come bloccate nel tempo, in attesa del nostro ritorno.

Sam Louis


Per chi osserva che una rondine non fa primavera e che si possono trovare episodi aneddotici di guarigione anche per l’omeopatia, ricordo che questa non è l’unica rondine e che è sbagliato confrontare un “metodo” che non ha nessuna spiegazione logica di funzionamento con uno che ce l’ha. Resta il fatto che questa persona, come tante altre, sarebbe rimasta convinta delle proprie idee complottiste se non fosse stata esposta al debunking.

Ricordo inoltre, ancora una volta, che il debunking non si fa per i convinti; si fa per i dubbiosi. Non si fa debunking per gli estremizzati delle echo chamber. Si fa per tutto il resto del pianeta, che non è Facebook. Non si fa per quelli che si prendono la briga di fare video e blog di diffusione delle tesi complottiste; si fa per quelli che non hanno ancora deciso da che parte stare e che, se vengono esposti solo alle tesi di complotto, finiranno per abbracciarle.

A questo proposito, a me restano delle domande di fondo: se davvero “il debunking fa più danni che altro”, che facciamo? Ci arrendiamo al rincoglionimento generale? Dobbiamo lasciare il campo ai deliri complottisti di ogni sorta? Se qualcuno dice che il ponte Morandi è stato minato, non dobbiamo dire “No, ecco i fatti”, perché tanto il debunking non funziona? Devo smettere? Qualcuno ha delle proposte alternative?

Ne ho discusso brevemente su Twitter con Walter Quattrociocchi, uno degli autori dello studio citato da Repubblica, ma sembra che di alternative non ne siano ancora state trovate. Riassumo qui la nostra conversazione: se mi sono perso qualche pezzo importante, ditemelo.

QC: Bizzarro come questo tema ritorni di moda ;) bit.ly/2vQshzW [nota: è “tornato di moda ” probabilmente per via di questo mio sfogo] Al di là del bel pezzo di @SimoneCosimi credo che @disinformatico conosca molto bene le mie ricerche e come la penso sui "Tuttologi". Possono non piacere i risultati, ma ognuno ha il suo confirmation bias.

PA: Conosco il tuo lavoro, Walter, e sai come la penso: attivissimo.blogspot.com/2017/07/debunk… Non è questione di risultati che non piacciono: è che se davvero il debunking non serve, allora che facciamo? Ci arrendiamo al rincoglionimento generale? C'è qualche proposta alternativa?

QC: E' materia complicata. Ignoriamo risultati scientifici? O portiamo da quelli per capire come essere efficaci? Polarizzare non aiuta, la figura del tuttologo è estremamente pericolosa. Stiamo studiando.

PA: Questa è appunto la mia domanda: i vostri studi hanno trovato un approccio migliore? Perché se c'è, ditecelo, che lo adottiamo senza problemi. Ma ditecelo presto, che qui c'è bisogno urgente :-)

QC: "Ditecelo" a chi? A chi ti riferisci? Se ci sono risultati sono fruibili da tutti.

PA: Mi riferisco agli autori del paper. Sto appunto chiedendo: se "il debunking fa più danni che altro", adesso che facciamo? Devo smettere? Avete delle proposte alternative? Per dire, Fabiana Zollo, prima autrice della ricerca, diceva: “... l’uso di un approccio più aperto e morbido, che promuova una cultura dell’umiltà con l’obiettivo di abbattere i muri e le barriere tra le tribù della rete, rappresenterebbe un primo passo" [fonte]. OK. Come si fa?

QC: E' materia complicata. Ci stiamo lavorando. Ammettere che è cambiato il paradigma è già un passo importante. Rivendicare autorità (?) dove non sono riconosciute è solo altra benzina sul fuoco ed una pericolosa fallacia logica.

PA: Puoi tradurre l'ultima frase? Confesso che non l'ho capita.

QC: Traduzione: Chi decide quale è il blog che dice la "verità"? Chi è in grado di verificare ogni cosa? Ogni fonte (anche tu dici che non riesci a stare dietro a repubblica)? Come fai ad essere sicuro che le tue risposte sono sempre quelle giuste? Risposta: Ognuno ha il suo blog.

PA: 1. "Chi decide quale è il blog che dice la "verità"?" Se Repubblica scrive di un aereo che va dieci volte più veloce della luce (caso reale) [fonte], la verità è molto chiara. Non c'è da decidere. Di casi chiari come questi ce ne sono tanti. 2. "Chi è in grado di verificare ogni cosa?" Nessuno singolarmente. Ma nessuno ha questa pretesa. Però collettivamente, perché no? Si può perlomeno ridurre il numero di cose non verificate. 3. "Come fai ad essere sicuro che le tue risposte sono sempre quelle giuste?" Potrei fare la stessa domanda a te. Come fai a essere sicuro che il tuo paper ha ragione? :-) Non ho la pretesa che le mie risposte siano sempre giuste. 4. "Ognuno ha il suo blog." Detto così, sembra che tutti i blog abbiano pari dignità e che ognuno abbia la propria verità. Le scie chimiche di [nome rimosso per non regalare visibilità] e il blog di Katharine Hayhoe non sono pari. Ma forse ho capito male.

QC: Stiamo mescolando i piani. Per pubblicare un lavoro su una rivista scientifica occorre passare per il peer-review (che ha le sue falle). Perchè alcuni risultati scientifici li accetti e altri no? Che verifiche si fanno rispetto ai contenuti dei blog?

PA: Scusami, forse c'è un equivoco: non sto mettendo in discussione le conclusioni del paper. Sto chiedendo "E adesso che facciamo?". Non è una domanda retorica: è una richiesta concreta.

QC: E' un work in progress, la risposta concreta che abbiamo per ora, che però mi sembra non piacerti troppo, è di evitare la polarizzazione. Lo dico da un po', perchè questa non si può prendere in considerazione? Invece di rivendicare maggioranze silenti che non ci sono?

PA: In cosa consiste "evitare la polarizzazione"? La prendo in considerazione volentieri. Potresti fare qualche esempio concreto?

QC: Vuol dire evitare di darci giù con le etichette, con gli slogan "il debunking è LA soluzione" "Repubblica BUUUH", "chi non fa debunking è complottaro/tonto". Esempio concreto è qui ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30033116

PA: Mi hai mai visto fare deliri del genere? :-) L'esempio concreto che citi fa una proposta interessante. Però non fa il passo successivo: dimostrare che funziona.

[non c’è stata risposta da Quattrociocchi a questo filone di conversazione]

Un altro caso di conversione è qui.


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