Davvero la Polizia di Stato italiana intende bloccare le fake news e decidere quali notizie sono vere e quali no, creando una sorta di “Ministero della Verità”, come hanno annunciato alcuni articoli su Internet e nei giornali? La risposta breve è no: la notizia della polizia antibufale è una bufala.
La risposta meno breve è che il recente comunicato stampa della Polizia di Stato che annuncia un “Protocollo Operativo per il contrasto alla diffusione delle Fake News attraverso il web” non parla di bloccare le notizie, ma di dare ai cittadini uno strumento online per segnalare le notizie sospette, la cui eventuale smentita verrà pubblicata sul sito della Polizia Postale e delle Comunicazioni, www.commissariatodips.it.
Questo protocollo fornirà anche ai cittadini un aiuto nel rivolgersi ai social network in modo autorevole in caso di notizie che li diffamano o danneggiano.
Saranno i social network, non la Polizia, a decidere se eventualmente rimuovere dai propri siti una notizia segnalata.
L’intento, insomma, è dare al cittadino diffamato un supporto, una voce che venga ascoltata più attentamente di quanto purtroppo avviene oggi con le segnalazioni individuali dei contenuti diffamatori, che spessissimo vengono semplicemente ignorate dai social network.
Ma questo intento è stato annacquato da una comunicazione confusa. La prima versione del comunicato stampa della Polizia di Stato [salvata su Archive.org], infatti, parlava effettivamente di “oscuramento dei contenuti inappropriati” in una frase che si prestava al malinteso, dando l’impressione che la Polizia di Stato si sarebbe occupata in prima persona di rimuovere le fake news da Internet [un compito che non le spetta per mille ragioni, non solo giudiriche] quando in realtà questo oscuramento sarebbe stato affidato ai “gestori delle piattaforme virtuali”.
Il comunicato è stato poi riscritto togliendo la frase che menzionava l’oscuramento, e questo ha creato ancora più apprensione, perché questa rettifica fondamentale non è stata dichiarata esplicitamente.
A sinistra, la versione del 18/1/2018; a destra, la versione del 20/1. |
Soltanto consultando una versione estesa del comunicato, pubblicata su Commissariatodips.it, emerge che si tratta di “richieste di rimozione” rivolte ai social network e ai siti Web e non di ordini di oscuramento emanati e imposti dalle autorità. Nel frattempo, però, il danno mediatico c’è stato.
Restano comunque degli aspetti da chiarire in quest’iniziativa: per esempio, chi saranno gli “esperti” citati dal comunicato, che effettueranno “approfondite analisi” delle notizie? Come saranno qualificati, e con quali metodi e criteri effettueranno queste analisi? E come mai il protocollo parla soltanto di contrasto alle fake news diffuse “attraverso il Web”, trascurando il fatto che le notizie false o fabbricate vengono talvolta disseminate anche attraverso i media tradizionali?
Certamente l’attività della Polizia Postale contro le truffe, le bufale grossolane e le catene di Sant’Antonio, condotta attraverso pagine Facebook come Una vita da Social, si è dimostrata efficace e autorevole. Ma quando si passa dalla truffa alla notizia diventa indispensabile fornire la massima trasparenza e appoggiarsi agli esperti di notizie che esistono già: si chiamano bravi giornalisti.
Questo articolo è il testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 25 gennaio 2018. Fonti e approfondimenti: Arianna Ciccone, Butac, David Puente, Guido Scorza, The Guardian, EuroNews.it.
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