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2020/10/24

La Svizzera nega la rianimazione agli anziani malati di Covid? No. Per ora no, e cerca di evitarlo. Ma si prepara al peggio

Pubblicazione iniziale: 2020/10/24 17:57. Ultimo aggiornamento: 2020/11/01 23:30. 

La Stampa ha pubblicato un articolo di Fabio Poletti (copia permanente qui) che cita il protocollo di triage svizzero da adottare in caso di esaurimento delle risorse mediche. L’articolo in sé è corretto, ma il titolista lo ha massacrato con un sensazionalismo acchiappaclic che è decisamente fuori luogo, intitolandolo “La Svizzera sceglie: rianimazione negata agli anziani malati di coronavirus”. Come se già adesso i medici andassero in giro a lasciar morire gli anziani. È falso.

Repubblica, invece, ha scritto che il protocollo sarebbe stato già “attuato”, titolando Se la Svizzera non cura gli anziani (tempo presente, come se stesse già accadendo adesso) e ribadendo nel catenaccio “Attuato un protocollo per le terapie intensive che riguarda gli over 75 in caso di disponibilità limitate”. Nel testo, l’articolo senza firma dice che “anche nella civilissima Svizzera gli anziani vengono messi da parte”. Di nuovo il tempo presente.

L’articolo iniziale de La Stampa è stato ripreso da Il Fatto Quotidiano e ANSA e approfondito (con link alle fonti, come si deve) da Open. Il clamore italiano ha indotto la stampa svizzera ticinese a parlarne (per esempio Ticinonews).

Ne scrivo brevemente perché molti di voi mi hanno segnalato l’articolo sapendo che abito in Svizzera e quindi mi hanno chiesto lumi in proposito.

Il protocollo in questione è questo (a La Stampa o Repubblica non costerebbe nulla linkarlo, ma non lo fa, a differenza di Open) e non è affatto applicato in questo momento. Se Repubblica o La Stampa hanno prove del contrario, che le tirino fuori. 

Questo protocollo fa semplicemente parte di quei piani che ogni governo, ogni pubblica amministrazione, ogni Protezione Civile che abbia un minimo di buon senso prepara in anticipo per decidere come affrontare le situazioni più drammatiche qualora si presentassero.

Il documento, intitolato “Pandemia Covid-19: triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse” e redatto dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva, lo mette subito in chiaro: “Se le risorse a disposizione non sono sufficienti, occorre prendere decisioni di razionamento”

Per ora le risorse sono sufficienti, ma l’aggravarsi della pandemia da Covid fa prospettare il rischio che le risorse non bastino per tutti. E se si arriverà a quel punto, allora bisognerà avere pronte delle regole precise su come assegnare quelle risorse. Il protocollo definisce queste regole: pragmatiche, severe, ma necessarie. Immagino che il governo italiano abbia un documento analogo, che so, in caso di eruzione del Vesuvio (questo) o di crollo di una diga.

Per esempio, il documento svizzero dice di non voler considerare criteri tipo “l’estrazione a sorte, il principio «first come, first served», la priorità a persone con un elevato valore sociale”. E descrive i principi etici fondamentali da usare: equità, salvare il maggior numero possibile di vite, proteggere gli specialisti coinvolti, eccetera.

Il triage è un concetto assolutamente normale per chiunque lavori nella gestione delle emergenze: in medicina, per esempio nelle liste d’attesa per donazioni di organi. C’è un solo organo donato e cinque pazienti compatibili in fin di vita che ne hanno bisogno. A chi lo dai? Tiri la monetina?

Lo stesso vale in tempo di guerra, o in caso di attentato o disastro che causa tanti morti. Medici e soccorritori arrivano e per prima cosa fanno triage: se si rendono conto di non avere risorse sufficienti a salvare tutti, devono fare delle scelte terribili, come lasciar perdere o dare palliativi a quelli che sanno di non poter salvare e concentrarsi su quelli salvabili. Ed è inutile fare i buonisti in poltrona: no, spesso non è possibile salvare tutti.

Fra l’altro, il documento svizzero risale al 20 marzo scorso, non è neanche una novità: ne parlava già il Corriere del Ticino in quella data. 

Insomma, non so quale sia il senso di questi articoli. Il fatto che le autorità si preparino a gestire una situazione drammatica che comporta sacrifici e scelte durissime e non la affrontino tirando a indovinare sul momento non dovrebbe essere una novità. L’esistenza di questo documento svizzero è una non notizia. A meno che l’obiettivo di questi giornali sia far pensare ai propri lettori “oddio guarda gli svizzeri, come sono freddi ’sti gnomi di Berna che già pianificano chi lasciar morire” per acchiappare qualche clic pubblicitario in più. Come se gli ospedali italiani non fossero già popolati di primari e infermieri esausti e in lacrime che fanno queste scelte tutti i santi giorni. E come se i medici italiani non avessero già pronti protocolli analoghi. Di cui Il Fatto Quotidiano parlava già a marzo scorso.


2020/11/01 18:00

La Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana parla della vicenda in questo articolo del 26 ottobre, confermando le mie spiegazioni. Il dottor Paolo Merlani, direttore sanitario dell’Ospedale di Lugano, dice che la notizia «Presentata così come ha fatto la stampa italiana non è corretta».

Poco più di una settimana dopo la pubblicazione iniziale di questo mio articolo, la necessità di scegliere a chi assegnare i posti in terapia intensiva è diventata terribilmente concreta. Tio.ch segnala che nel canton “Soletta i posti in terapia intensiva si stanno esaurendo: già venerdì erano solo 15, a fronte di 17 pazienti che ne avrebbero avuto bisogno. Anche nel Giura le strutture sono sovraccariche, e alcuni pazienti sono stati trasferiti a Basilea.” Nel canton Vallese, “un ultraottantenne ricoverato all'ospedale di Sion con gravi sintomi di Covid ha dovuto interrompere il trattamento. «Normalmente avremmo trasferito questa persona in terapia intensiva, in modo che avesse una minima possibilità di sopravvivenza» ha dichiarato alla Nzz am Sonntag Bienvenido Sanchez, vice-capo del reparto terapia intensiva. «Nella situazione attuale, però, preferisco tenere liberi gli ultimi letti per i casi in cui c'è più speranza». In realtà il problema non sono tanto i "letti" in sé. All'ospedale di Sion ce ne sono ancora quattro liberi. Ma manca il personale”.

 

Ringrazio @damariani1 per la segnalazione del protocollo italiano e @davidegrandi per la segnalazione del piano per il Vesuvio. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

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