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2017/05/06

#Bastabufale: il testo del mio intervento a Montecitorio; video della sessione del 2/5

Quello che segue è il testo che avevo preparato per il mio intervento alla sessione di Bastabufale tenutasi a Montecitorio il 2 maggio scorso, con i link alle fonti che ho utilizzato.

Il video dell’intera sessione è in fondo al testo: dopo l'introduzione della Presidente della Camera, inizio io intorno a 19:10; il Ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli inizia a 34:50; a 51:50 parla il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia; a 1:00:00 inizia Monica Maggioni, presidente della Rai; a 1:14:42 parla Maurizio Costa, presidente FIEG; a 1:35:00 interviene il presidente di Pubblicità Progresso Alberto Contri; a 1:39:00 c'è il video di Makkox, seguito dall'intervento di Richard Allan, vicepresidente per la policy di Facebook in Europa; da 1:57:00 inizia la premiazione del concorso “Bufale in Rete”.

Buongiorno a tutti. L'iniziativa Bastabufale della Presidente della Camera Laura Boldrini è il primo sforzo coordinato delle istituzioni per occuparsi del tema della falsa informazione. Uno sforzo necessario, perché i danni causati da questo fenomeno spesso sottovalutato toccano tutti i cittadini su temi importanti come la salute, la sicurezza e le scelte dei rappresentanti politici. Uno sforzo prezioso, perché senza questo coordinamento istituzionale autorevole non sarebbe stato possibile portare all'attenzione dell'opinione pubblica la reale natura del problema e riunire le risorse che possono contribuire ad arginarlo.

Il contrasto ai danni della disinformazione pilotata parte innanzi tutto dalla conoscenza del problema. Quando ho cominciato a occuparmi di bufale su Internet come informatico e come giornalista, tanti anni fa, si trattava di un tema tutto sommato semplice: le bufale erano quasi sempre disseminate da persone comuni, che si trovavano improvvisamente ad avere a disposizione un nuovo potere di comunicare e non si rendevano conto della responsabilità comportata da questo potere.

Per una vasta fetta delle persone comuni, per i non addetti ai lavori, la bufala o la fake news è ancora fatta così, basata su errori ed equivoci in buona fede, propagata in modo dilettantesco. In altre parole, non viene vista come un problema grave. Il termine stesso, "bufala", suona frivolo e sminuisce il tema.

Ma la "bufala", da allora, è cresciuta e si è trasformata: è diventata una disinformazione studiata, pianificata, politicizzata ma anche e soprattutto commercializzata. È diventata uno strumento chirurgico di manipolazione di massa. È diventata anche un motore economico. Con le bufale si spostano i risultati elettorali e si vanificano le campagne sanitarie, ma si fanno anche grandi guadagni. I cittadini – che non sono un'entità astratta, non sono "loro", ma siamo tutti noi – hanno il diritto di sapere che siti Web, social network e testate giornalistiche convenzionali guadagnano cifre enormi con le bufale e le false notizie. Hanno il diritto di sapere che quella che percepiscono come informazione libera da filtri, e quindi più credibile, è in realtà pilotata da algoritmi e meccanismi tecnici che hanno nomi arcani come clickbaiting, programmatic advertising, dark advertising, echo chamber, shock-for-click, botnet. Hanno il diritto di sapere che ogni volta che condividono una fake news sui social network, generano incassi per i bufalari. E non è una questione che riguarda solo i cittadini: questa percezione illusoria di informazione online libera tocca anche chi governa. Poche ore fa ho sentito una senatrice dichiarare con orgoglio, dopo aver pubblicato su Facebook una notizia falsa: "uso la rete che è controllata da me e non da altri organi" [la senatrice è Monica Casaletto e la dichiarazione è stata fatta qui su Facebook].

Senza questa consapevolezza diffusa non c'è soluzione calata dall'alto che possa funzionare. In questo senso la risposta dei cittadini all'appello Bastabufale della Presidenza, sottoscritto da migliaia di persone, è un primo segnale importante della graduale diffusione di questa coscienza; è un primo passo verso una soluzione. Una soluzione che – è importante dirlo chiaramente, per evitare equivoci – a mio avviso non può basarsi su censure. Quelle le lasciamo a chi è rimasto nostalgicamente fermo ai tempi in cui esistevano ancora le frontiere per l'informazione e a chi ha così tanta paura dei fatti e si sente così insicuro e fragile da oscurare persino Wikipedia [Jimmy Wales: “Confirmed: All editions of the #Wikipedia online encyclopedia blocked in #Turkey as of 8:00AM local time”]. La soluzione alla disinformazione non è un bavaglio, ma è una maggiore informazione. Non è parlare meno, ma parlarsi meglio.

Grazie all'iniziativa Bastabufale, grazie a questo intervento istituzionale, è stato possibile riunire qui, il 21 aprile scorso, esperti di tutti i settori coinvolti, dai media alle industrie ai rappresentanti del mondo digitale e della scuola e della ricerca, per raccogliere le loro esperienze – e in molti casi le loro forti preoccupazioni – e iniziare a formulare interventi concreti.

Da questi tavoli di lavoro, coordinati dai colleghi esperti David Puente, Michelangelo Coltelli e Walter Quattrociocchi, sono emersi alcuni temi essenziali, fortemente condivisi, che offro come spunti per i relatori di oggi.

– Il primo tema è la consapevolezza che la situazione è grave e non va sottovalutata. La bufala, soprattutto il business della bufala, la fabbrica delle fandonie, è un problema sociale serio che a lungo termine danneggia tutti, creando vantaggi temporanei per pochi. Una cittadinanza confusa da notizie false e contraddittorie su temi delicatissimi come la salute o le scelte politiche non è più facile da governare: è ingovernabile. Questa consapevolezza è emersa con forza in tutti i tavoli di lavoro.

– Il secondo è il bisogno di diffondere un messaggio chiaro, che raggiunga tutti e scavalchi la bolla informativa nella quale ci si trova facilmente racchiusi: una sorta di campagna nello stile della Pubblicità Progresso, che senza atteggiamenti da maestri in cattedra usi il buon senso per sensibilizzare tutti. Un messaggio come, per esempio, "Chi semina bufale avvelena anche te: digli di smettere." Tutti hanno sottolineato gli sforzi di comunicazione già in corso nelle scuole e nei media, per esempio attraverso l'impegno delle istituzioni sanitarie e della Polizia Postale ma anche delle aziende e delle loro associazioni, ma è emerso il bisogno di trovare linguaggi nuovi, di attingere al talento della Rete per rispondere alle false notizie con tempi rapidi e con forme di comunicazione leggere ma precise e fruibili universalmente, di grande impatto, come per esempio i memi.

– Dal tavolo di lavoro dei rappresentanti del mondo digitale, in particolare, è arrivato un altro spunto importante: nessuno vuole istituire ministeri della verità e presentarsi come arbitro del vero e del falso, ma esistono e si possono perfezionare strumenti tecnici per segnalare i casi di falso palese e indiscutibile, di like e di condivisioni generate non da utenti ma da sistemi automatici, che costituiscono una fetta molto significativa delle fake news più dannose. In questo senso è lodevole – anche se un po' tardivo – il cambiamento radicale di atteggiamento di Facebook, che da novembre scorso, quando Mark Zuckerberg dichiarava che l'idea che le fake news su Facebook avessero influenzato le elezioni statunitensi attraverso la creazione di echo chamber, di casse di risonanza che esasperavano le polarizzazioni e le scelte politiche, era un'idea "folle", è arrivato al lancio del Facebook Journalism Project, ha avviato alleanze con le organizzazioni di fact-checking e di debunking per contrassegnare e segnalare le notizie false, e ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto, intitolato Information Operations and Facebook, che considera seriamente il rischio concreto che il social network venga silenziosamente manipolato da operatori commerciali e anche da alcuni stati o nazioni a scopo di sovversione politica.

– L'aspetto commerciale della fake news è emerso al tavolo delle aziende, che quasi all'unanimità si sono dichiarate entusiaste dell'iniziativa Bastabufale e pronte a partecipare ad azioni corali per una maggiore informazione e per non contribuire al sostentamento economico involontario dei siti di false notizie attraverso le inserzioni pubblicitarie, di cui le aziende spesso non hanno controllo diretto. Anche qui non mancano le proposte di comunicazione più agile e rapida e le richieste di autoregolamentazione su base volontaria e di collaborazione con i social network e con i motori di ricerca.

– Dal tavolo della scuola e della ricerca sono arrivate le segnalazioni delle tante iniziative già in essere per l'accrescimento della competenza dei cittadini nei confronti dell'informazione, soprattutto in campo scientifico, e sono emerse proposte di studiare il fenomeno della disinformazione attraverso strumenti scientifici già collaudati. C'è ancora molto lavoro da fare per quantificare il problema e capirne tutte le sfaccettature e le dinamiche. Questo un lavoro preliminare essenziale per evitare di scadere in interventi inefficaci e di pura facciata che in realtà non risolvono nulla.

– Il mondo dei media e del giornalismo si è dimostrato fortemente preoccupato per il crollo del mercato pubblicitario che lo alimenta, passato in massa ai social network e ai motori di ricerca, e per il fatto di trovarsi in mano a meccanismi pubblicitari sui quali non ha più controllo (come per esempio il programmatic advertising). Questa crisi ha esacerbato il problema della qualità dell'informazione: meno soldi significa inevitabilmente meno qualità e comporta tempi di produzione sempre più stretti che ostacolano la verifica dei fatti. Su questo punto molti dei partecipanti a questo tavolo di lavoro hanno espresso il bisogno di rendere chiaro, attraverso campagne informative ma anche operazioni di trasparenza interna, il concetto che produrre notizie ha un costo e che l'abitudine a trovare tutto gratis è un danno per tutti. Fare informazione corretta richiede denaro: "la verità conta", ma anche "la verità costa".
Ma ho dovuto constatare con rammarico che queste preoccupazioni non sono accompagnate quasi mai da gesti concreti: si è parlato di decaloghi, di richiami alla deontologia, ma non ho sentito parlare di procedure standardizzate di correzione e gestione degli inevitabili errori giornalistici. Molti hanno vantato l'adozione di gruppi di fact-checking adiacenti o interni alle redazioni, ma la realtà è che troppe notizie continuano a essere pubblicate senza le verifiche di base offerte a costo quasi nullo dalle tecnologie digitali. E le rettifiche latitano: anzi, in molte redazioni avverto un vero e proprio fastidio di fronte alle segnalazioni documentate di errori pubblicati e le notizie errate non vengono corrette neppure quando è evidente che sono false.
I rapporti con il mondo digitale sono tesi: Facebook e Google, in particolare, sono percepiti come antagonisti che godono di vantaggi – soprattutto in campo fiscale – che sbilanciano il mercato e creano una posizione dominante che condiziona il mercato dell'informazione.
Ho apprezzato, comunque, l'ammissione che esiste un problema di cultura della correttezza e della trasparenza, le riflessioni amare sulle mancate scuse per la gestione mediatica del caso di Tiziana Cantone e le assunzioni di responsabilità di questi media tradizionali per il caso Stamina/Vannoni. Ma è chiaro che c'è ancora molto lavoro da fare per recuperare una credibilità che secondo alcuni dei partecipanti è ai minimi storici.


La voglia di fare, insomma, c'è: ma per fare qualcosa di efficace occorre continuare a confrontarsi e iniziare a compiere gesti concreti e uscire dal campo delle promesse.

Vorrei concludere con una riflessione dedicata a chi, comprensibilmente, teme che questi gesti siano una forma velata di controllo delle opinioni e di repressione della libertà d'opinione. È una riflessione non politica, ma tecnica: se i like sono generati da sistemi automatici o da collaboratori a pagamento, se i commenti sono partoriti da algoritmi di ripetizione e amplificazione, la libertà d'opinione non c'entra nulla. Queste non sono opinioni di persone: sono spam generato da macchine. Sono un problema tecnologico, e come tale si risolvono con un intervento tecnologico oltre che con uno sforzo d'informazione che raggiunga tutti. Credo che nessuno voglia che il futuro dei propri figli sia deciso da cinici algoritmi che diluiscono la democrazia. Buon lavoro a tutti. Grazie.


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