È una delle
regole fondamentali del commercio: quando si sceglie il nome di un
prodotto bisogna sempre pensare se rischia di essere letto in modo
ambiguo o se ha un significato imbarazzante in un'altra lingua molto
diffusa, specialmente se la lingua in questione è quella di un paese
nel quale verrà messo in vendita.
La storia del
marketing è ricca di passi falsi. Alcuni hanno avuto poche
conseguenze, come Wii per Nintendo (“wee”
in inglese significa “pipì”),
altri hanno giocato intenzionalmente con i doppi sensi, come la marca
di palle da biliardo Elephant
Balls. In Nuova Zelanda esisteva una bibita denominata SARS (come
il virus della famigerata pandemia). Ma la maggior parte dei migliori
(o peggiori) nomi inadatti di prodotti è figlia della disattenzione.
Per esempio, intorno al 2006 Ikea mise in vendita un tavolino per
bambini chiamato "Fartfull"
(“pieno di flatulenza”).
Notevole anche lo scivolone del sito d'arte Speed of Art, che scelse
www.speedofart.com
senza considerare che significava "peto dentro
un costume da bagno"
(Speedo fart).
E come dimenticare la FART, Ferrovie
Autolinee Regionali Ticinesi, il cui acronimo FART suscita
l'ilarità di tanti turisti anglofoni increduli.
Ma è in
campo informatico che si registrano le perle più bizzarre. Experts
Exchange, un sito per la consultazione di esperti in informatica e
tecnologia, scelse il nome Expertsexchange.com, che molti
interpretarono come “expert sex change”,
ossia “cambiamento di sesso da esperti”.
Oggi il sito ha aggiunto un trattino
per evitare richieste non pertinenti. Nel 2002 il sito della Powergen
Italia di Arezzo aveva il nome Powergenitalia.com (come documentato
da Archive.org qui) senza considerare che gli inglesi l'avrebbero
interpretato come “power genitalia”,
ossia “genitali potenti”.
Oggi il nome è stato acquisito da un'attività più pertinente, per
cui non è opportuno visitarlo dal luogo di lavoro.
Infelice fu
anche la scelta della tedesca Trekstor, che mise in vendita un
lettore MP3 denominato i.Beat e ne fece una versione nera chiamata
“i.Beat blaxx":
un nome che fu subito interpretato come “io picchio
i neri”.
L'apoteosi
del doppio senso involontario, però, arriva dal Windows Store di
Microsoft, dove fino a pochi giorni fa c'era un'applicazione
della canadese SurfaceSoft che era una calcolatrice nella quale si
scrivevano i numeri tracciandoli con le dita: il software
decodificava la scrittura e risolveva il calcolo. Le dita erano
insomma pennini d'inchiostro e l'app era una calcolatrice. In
inglese, “inchiostro"
si dice “ink" e
"calcolatrice"
si dice "calculator".
Indovinate in che modo gli autori dell'app hanno fuso le due parole
per dare un nome alla propria creatura.
L'app è
stata rimossa
e ribattezzata Kanakku
(parola tamil che significa
“matematica”),
ma il link al
vecchio nome funziona tuttora.
Fonti: Snopes.com,
ListVerse
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