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2023/06/16

Podcast RSI - Story: Tutti pazzi per le VPN, fra sponsor, fatti e miti

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Compilation di spezzoni tratti da YouTube di persone e aziende che parlano (in italiano) delle VPN e le promuovono]

È difficile guardare video su YouTube senza incappare nella sponsorizzazione di qualche fornitore di VPN che promette di farvi accedere a siti altrimenti bloccati e di usare sistemi di sicurezza di livello militare per proteggere il vostro computer, tablet e smartphone da virus, hacker malvagi che vi ruberebbero password e vi vuoterebbero il conto bancario, spie governative, restrizioni commerciali e rapimenti da parte degli alieni. 

[CLIP: Spezzone della sigla di X Files]

Sì, lo so, la cosa dei rapimenti alieni non è vera, ma il problema è che non è l’unica bugia in questo elenco di promesse presentate ossessivamente da tanti influencer per farvi acquistare un prodotto e intascare una generosa commissione. Il recente blocco temporaneo di ChatGPT per gli utenti italiani, per esempio, aveva creato molto interesse per le VPN, e questo interesse continua perché le VPN promettono di farvi accedere ai vostri servizi di streaming video preferiti anche se siete all’estero o se volete collegarvi a siti o servizi vietati o non disponibili nel vostro paese.

C’è molta confusione e ci sono molti miti intorno a queste VPN. La storia di cosa sono, cosa fanno realmente, cosa non possono fare e chi ne ha realmente bisogno è il tema della puntata del 16 giugno 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Benvenuti. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

La sigla VPN sta per Virtual Private Network, che significa “rete privata virtuale”. Indica un software che crea un collegamento protetto fra un dispositivo e una rete informatica, appoggiandosi a un mezzo di telecomunicazione non protetto. Le VPN sono nate in ambito professionale, per consentire di usare Internet per collegare tra loro in modo sicuro computer distanti.

Un’azienda, invece di creare una rete fisica apposita per collegare telematicamente due sedi lontane, con tutti i costi e i tempi lunghi che questo comporterebbe, può usare una VPN per creare quel collegamento appoggiandosi all’infrastruttura già esistente di Internet. Per questo si chiama rete virtuale: una VPN usa il software per creare l’equivalente di un cablaggio diretto reale. E la si definisce privata perché nessuno, da fuori, può decifrarne il traffico di dati, grazie alla crittografia. È una sorta di tunnel: i dati entrano da una parte, per esempio da una filiale aziendale remota, viaggiano in modo protetto lungo i canali di Internet, e riemergono una volta arrivati a destinazione presso la sede centrale.

Ma da qualche tempo l’uso delle VPN si è esteso dalle aziende anche ai privati, grazie anche alla pubblicità incessante fatta da alcuni fornitori di questi prodotti e dagli YouTuber e influencer che si fanno sponsorizzare da chi vende VPN.

Alcune di queste pubblicità, però, alimentano un senso di panico ingiustificato, raccontando che le VPN proteggono da pericoli che in realtà non esistono. 

Per esempio, viene proclamato spesso che se non si usa una VPN si è a rischio ogni volta che ci si collega a un Wi-Fi pubblico, per esempio in un albergo o in un bar, perché un hacker cattivo che si trova nello stesso locale potrebbe intercettare le vostre comunicazioni, rubandovi le password dei siti che visitate oppure entrando insieme a voi nel vostro conto corrente. Oppure potrebbe farlo direttamente il gestore malvagio del locale. Non è vero, e sono anni che non è vero. 

[CLIP: coro di sospiri di sollievo]

Sì, un tempo era tecnicamente possibile fare intercettazioni illegali di questo tipo, ed era anche abbastanza facile farle con metodi come il cosiddetto ARP spoofing o ARP poisoning. L’aggressore dirottava il traffico della rete locale in modo che passasse attraverso il suo computer e poteva così catturare qualunque password inviata in chiaro dagli utenti della rete Wi-Fi. Ma quest’era è finita da un pezzo: nessun servizio decente trasmette le password in chiaro da quando è stato adottato il protocollo HTTPS. L’icona del lucchetto che (ancora per qualche tempo) noterete accanto al nome di un sito indica l’uso di questo metodo sicuro per scambiare dati e trasmettere le password. Chi si mettesse in ascolto sulla rete Wi-Fi potrebbe sapere al massimo il nome del sito che state visitando, ma niente di più. Sono ormai anni che è così, e quindi è inutile usare una VPN per proteggere le proprie password o il proprio conto bancario quando si va su un Wi-Fi pubblico.

Molte pubblicità di VPN promettono di usare la cosiddetta “crittografia di livello militare” per proteggere i vostri dati e le vostre navigazioni da occhi indiscreti. Detta così sembra una protezione fortissima, perché viene istintivo pensare che se una crittografia viene usata dai militari deve essere potentissima, ma in realtà si tratta di un termine di marketing. Significa semplicemente che i militari usano quel tipo di crittografia per alcune cose.

La crittografia in questione si chiama AES, è solo uno degli standard adottati a livello militare, ed è esattamente la stessa che trovate già incorporata in qualunque browser e in qualunque app decente. Se visitate qualunque sito che usi l’HTTPS, ossia oggigiorno praticamente tutti, state già usando “crittografia di livello militare”. Ce l’aveva già Internet Explorer 8 su Windows Vista, e ce l’hanno Google Chrome, Firefox, Safari, Edge, e Opera, per citare alcuni dei principali browser.

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Capita spesso di sentire che le VPN impediscono al vostro fornitore di accesso a Internet di sorvegliare le vostre navigazioni:

[CLIP: pubblicità di una VPN che esprime questo concetto] 

Ma anche questo è vero solo in parte. Sì, senza una VPN il vostro fornitore può sapere i nomi dei siti che visitate, e ci possono essere nomi di siti che preferite che nessuno sappia perché vivete in un ambiente nel quale visitare un sito politico, religioso o relativo alla sessualità o alle questioni di genere è considerato riprovevole o è addirittura proibito. Può capitare anche che un governo di un certo paese decida di bloccare l’accesso a un social network o di consentirlo solo se l’utente si identifica, mentre gli utenti esteri sono liberi di accedere. In questi casi una VPN può essere effettivamente utile.

Ma anche senza una VPN, il fornitore di accesso non può leggere il contenuto dei siti che visitate, se quei siti usano HTTPS, cosa che (come dicevo) ormai fanno tutti. 

[CLIP: uno YouTuber dice che senza una VPN i nostri dati sono a spasso]  

C’è invece un problema più serio che emerge se usate una VPN per nascondere al vostro fornitore d’accesso i nomi e i dati dei siti che visitate. Il problema è che li nascondete al fornitore, ma li affidate al gestore della VPN. E siccome le VPN spesso si usano per visitare siti che non si vuole consultare apertamente, il gestore della VPN diventa depositario di una vasta cronologia delle navigazioni più sensibili di milioni di persone. Se quel gestore venisse attaccato e quella cronologia venisse rubata, le possibilità di ricatto sarebbero molto remunerative e le conseguenze personali potrebbero essere catastrofiche.

È già successo, per esempio a UFO VPN e ad altri sei gestori di VPN nel 2020, quando oltre un terabyte di dati degli utenti è risultato pubblicamente accessibile a causa di un errore di configurazione. E il bello è che si trattava di cosiddette VPN no-log, ossia offerte da gestori che dichiaravano di non tenere memoria delle attività degli utenti.

E qui c’è un’altra mezza bugia delle VPN che è opportuno chiarire. Nessun fornitore di VPN serio ha realmente una politica di non conservazione assoluta delle attività degli utenti. Qualche traccia delle vostre attività, se usate una VPN, viene comunque archiviata, sia per motivi tecnici, sia per motivi legali. Se le autorità giudiziarie hanno fondati motivi per sospettare che stiate facendo qualcosa di gravemente illegale, si rivolgeranno al fornitore della vostra VPN e chiederanno la sua cooperazione, e quel fornitore normalmente sarà obbligato a fornirla.

Bisogna ricordare, inoltre, che installare una VPN sui propri dispositivi significa far passare tutto il proprio traffico Internet attraverso i server del gestore della VPN, che si trova quindi in una posizione ideale per sorvegliare le vostre attività online. Per questo conviene scegliere attentamente il proprio gestore e non fidarsi delle offerte troppo belle per essere vere. Per orientarsi nella scelta conviene cercare prodotti open source (il cui contenuto e funzionamento è insomma aperto, pubblico e ispezionabile) e che usino protocolli standard come WireGuard o IPSec.

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Non è invece una bugia la proposta di usare le VPN per accedere a contenuti soggetti a restrizioni geografiche. Infatti dal punto di vista tecnico si può davvero usare una VPN per vedere un sito che per qualunque ragione è bloccato nel paese in cui ci si trova. Bisogna però valutare se sia opportuno farlo dal punto di vista legale.

Per esempio, probabilmente non ci sono grossi problemi legali nell’usare una VPN per simulare di trovarsi negli Stati Uniti allo scopo di vedere su YouTube il nuovo trailer di un film che i produttori hanno limitato a quel paese e bloccato nel resto del mondo, perché vogliono gestire la campagna promozionale in momenti differenti nelle varie regioni del pianeta.

Un caso classico di video soggetto a georestrizioni: Katee Sackhoff (Battlestar Galactica) commenta il suo primissimo ruolo cinematografico, ma i titolari dei diritti non vogliono che i loro contenuti si vedano in Svizzera.

Ma usare la stessa tecnica per accedere a un account Netflix statunitense, o a un server statunitense di una rete di gioco, senza risiedere in quel paese è quasi sicuramente una violazione del contratto di servizio e può portare al blocco dell’account e alla perdita dei soldi pagati per quell’account. Lo stesso vale per chi ha un account presso un servizio commerciale di streaming video nel proprio paese di residenza e vuole usarlo all’estero. Alcuni fornitori di questi servizi tollerano questo comportamento; altri no. Conviene leggere attentamente le regole del singolo servizio.

Se poi andate in paesi nei quali ci sono forti restrizioni di accesso a Internet per motivi politici, religiosi o di altro genere e pensate di usare una VPN per aggirarle, pensateci due volte, e poi lasciate perdere. I fornitori di accesso a Internet, infatti, si accorgono se usate una VPN, perché vedono che vi collegate al sito del gestore della VPN, e le autorità possono chiedervi di giustificare questa vostra scelta. In certi paesi questa richiesta, come dire, può rendere spiacevolmente memorabile una vacanza o un soggiorno di lavoro.

Insomma, se le VPN vengono usate conoscendone bene i limiti tecnici, sono sicuramente degli strumenti utili in molte situazioni, anche se spesso vengono vendute facendo promesse o creando paure che non hanno nessuna base di realtà. Ma non sono una bacchetta magica che risolve tutti i problemi di sicurezza, perché come si dice spesso la sicurezza informatica non è un prodotto, è un processo. Se usate una VPN su un dispositivo non aggiornato e non protetto e vi comportate online in modo imprudente, la vostra sicurezza rimarrà inadeguata.

Faccio un esempio pratico. Anni fa, mentre ero in vacanza nel Regno Unito, mi misi a lavorare con il mio computer portatile nell’accoglientissima sala del piccolo albergo a conduzione famigliare che avevo scelto. Seduto comodamente accanto al caminetto acceso, riuscii nel giro di pochi minuti a procurarmi i dati delle carte di credito di alcuni clienti: nomi e cognomi, numeri, codici di sicurezza e date di scadenza. Eppure il computer dell’albergo era moderno e aggiornato, con un browser che sicuramente usava HTTPS per tutte le transazioni commerciali, e non era neppure collegato al Wi-Fi accessibile agli ospiti. Ma l’albergatore aveva la brutta abitudine che quando prendeva una prenotazione per telefono, per essere sicuro di aver capito bene ripeteva ad alta voce tutti i dati delle carte di credito da usare.

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