Questo articolo era stato pubblicato inizialmente su Wired.it, dove però non è più disponibile, per cui lo ripubblico qui.
C'è chi lo intitola “Er Ber Paese” e c'è chi meno aulicamente ne usa il verso finale come titolo: “A noi ce sarveranno le mignotte”, ma è indubbio che il sonetto in romanesco attribuito a Giuseppe Gioachino Belli imperversa in Rete grazie alla sua vivace descrizione della situazione dell'epoca del poeta (1791-1863), che ricalca in modo impressionante quella odierna.
Mentre ch’er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che sò finiti li mijioni
pe turà un deficit de la Madonna
Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l’atenei nun c’hanno più quadrini
pè la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi
Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni sò sempre ppiù basse
Una luce s’è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano.
A noi ce sarveranno le mignotte.
Chiaroveggenza? Corsi e ricorsi storici? Un bel modo per dire in rima che in Italia non cambia mai niente e fare polemica politica? Ognuno è libero di interpretare come vuole il successo mediatico di questi versi, ma c'è un fatto di base che è uguale per tutti: il sonetto è un falso, nonostante venga presentato come autentico da una miriade di blogger e utenti di Facebook (e anche da Oliviero Beha) e lo si potrebbe scoprire facilmente, se solo si volesse, grazie agli strumenti della Rete.
Basta infatti consultare una buona enciclopedia per scoprire che Belli scrisse in tutto 2279 sonetti, principalmente fra il 1830 e il 1847, e una consultazione di Wikipedia permette di sapere che i sonetti sono interamente disponibili online per esempio su Intratext.com. Una rapida ricerca in questa raccolta non trova il sonetto sotto indagine.
Non solo: un'analisi letteraria trova nel sonetto una collezione di anacronismi e assurdità che tradiscono la natura moderna dei versi. L'indizio principale è il riferimento alle pensioni, che all'epoca del Belli non esistevano nell'accezione moderna di prestazione spettante per diritto ma erano un privilegio riservato a pochi. Ma ci sono molti altri elementi fuori dal tempo, lucidamente analizzati per esempio su Admodeo con ampi riferimenti specialistici.
Secondo un commento pubblicato su Osservatorio dei Laici, l'autore del falso sarebbe un certo “M.G.”, che avrebbe inviato il sonetto-burla via mail alla fine di novembre 2010 “a 24 tra parenti stretti ed amici”, indicandone chiaramente l'origine fasulla. “Poi tutto si è ampliato in progressione geometrica”, come accade spesso con le cose pubblicate in Rete, e s'è persa l'indicazione dello scherzo.
Quale che sia la provenienza del sonetto, il suo successo è una perfetta dimostrazione di uno dei fattori ricorrenti nelle bufale e nelle catene di Sant'Antonio: tendiamo a propagare le storie che si adattano ai nostri preconcetti. Il loro adattarsi alla nostra visione del mondo e il loro messaggio morale inibiscono la normale cautela che spingerebbe a verificare prima di pubblicare. In altre parole, tendiamo a inoltrare non tanto il vero, ma ciò che vogliamo che sia vero.
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